Numero 22 del 15 maggio 2024

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Indice

SPIFFERI

C’è del marcio in Danélandia. Un commento a caldo di Carlo

In Liguria ci sono dei signorini birbanti, toti di buona famiglia, che fumano gli spinelli. Qualche pacca sul sedere gliela danno gli avvocati della stessa famiglia, che spesso li fanno salvi, ed evitano che qualcuno, burlando di qui e di là, gli tiri addosso i meloni. E che cozzani, ripetono spesso, non abbiamo fatto quasi niente e vogliono tagliarci la testa, e questa, perbacco, è cosa nostra. Per molti si danno solo bacini, come dicono in Via Nelli. A leggere tali sciocchezze, mentre facevo la spesa all’Esselunga, mi è moncada la fiata. Tuttavia, costoro non si sono fatti rossi, lo ha detto anche la Rai, sul primo canale. Chiedo tuttavia venanzio se cucino con loro alici, pernici e maurici (grossa spigola nel fianco dei pensionati): anche se bucci bucci bucci, sento odor di peccatucci.

Messaggi europei agli elettori: promesse infernali?

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Prima del blackout per le europee, una riflessione semiseria sui cartelloni elettorali che imperversano su Genova. Parto dal cerchiobottismo di Salvini: più Italia meno Europa. Che vuol dire? Niente. Ma il popolo bue al quale si rivolge magari annuisce. Subito smentito il “Mai Sottomessi” della leghista Sardone, affisso sotto l’ancora più inquietante gigantografia di Giorgia. Metafora del rapporto tra FdI e Lega? Ma ciò che turba maggiormente è il cartellone in cui Tajani solleva la mano di un morto (Berlusconi) e parla di “forza rassicurante”. Rassicura gli elettori che finiranno tutti nell’Ade? Un po’ controproducente a livello limbico subliminale. Ma tant’è: è questo il livello dell’attuale comunicazione politica. Preferisco le lapidi di Staglieno: sempre bugiarde ma almeno confortanti.

Savona chiama, ma Genova non risponde

Rino Canavese, già Presidente di Autorità Portuale Savona prima dei folli e distruttivi accorpamenti di istituzioni portuali consumati al tempo in cui Matteo Renzi e Graziano del Rio scassavano la statualità, ci spiega in questo numero come venne organizzata la gara internazionale in project financing per il porto di Vado: un “modello Savona” che venne portato ad esempio dalla Corte dei Conti per trasparenza delle procedure e rigorosa gestione del pubblico denaro. Esattamente l’opposto dello strombazzato “Modello Genova”, in cui non si risponde a nessuno e si spendono a casaccio soldi piovuti dal cielo (felice congiuntura sotto schiaffo dissipazione). Intanto l’opera di Vado funziona egregiamente, la diga foranea di Genova rischia di sprofondare nelle sabbie mobili. Questione di modelli?

C’È POSTA PER NOI

Il nostro affezionato lettore Amedeo de Pirro ci scrive:

La consulenza come alibi

È di un paio di settimane fa l’ennesimo annuncio del buco nei conti della sanità (fonte: Secolo XIX). Dopo i veementi richiami ai direttori dei vari comparti (Bucci ha fatto scuola) il presidente Toti ha affidato attraverso Alisa a KPMG l’incarico di verifica e controllo dei conti della sanità ligure. Per questo è previsto uno stanziamento di 450.000 € per il 2024

Ora, chiunque abbia lavorato in posizioni di responsabilità, sà che il consulente è “colui che tu chiami per sapere l’ora e se ne va portandoti via l’orologio” per dirla con una battuta che circola in McKinsey. Nel nostro caso i consulenti non potranno far altro che intervistare i responsabili operativi (tra l’altro profondamente offesi da questa scelta che mette in discussione le loro competenze e capacità professionali) dei vari servizi e dare poi indicazioni di carattere organizzativo. Se volessimo davvero rafforzare la sanità, potremmo investire lì le tante risorse sprecate, comprese queste.

Con i soldi dell’Ocean Race, del mortaio in giro per l’Europa e così via potremmo avere quelle risorse finanziarie che mancano davvero. Dal punto di vista operativo e organizzativo il Covid ha dimostrato la capacità del settore pubblico di adattarsi a un problema del tutto nuovo e trovare il modo di organizzarsi al meglio (senza bisogno di strapagati consulenti) per erogare i servizi necessari.

Quindi il problema, anche se sicuramente l’organizzazione può essere migliorata, è politico

Risale alla scelta di base da fare tra servizio pubblico e/o privato, e mi pare che oggi la scelta fatta sia chiarissima: investimenti pubblici e profitti privati, p.e. la regione costruisce ospedali e il privato li gestisce e ci guadagna. A che servono allora i consulenti? Forse si potrebbero usare per monitorare le spese per promuovere un modello di turismo ormai superato, un turismo di quantità, che rapina e desertifica il territorio senza lasciare apprezzabili benefici, un modello che non solo viene oggi ripensato ovunque, ma già viene rifiutato in luoghi come Barcellona e Dublino, solo per fare qualche nome.

Come diceva Petrolini “io non ce l’ho con te, ma con quelli vicino che non ti buttano di sotto”, allora io ce l’ho con l’opposizione, cosa spettano a fare qualche cosa?

Amedeo de Pirro

Riceviamo da Riccardo degl’Innocenti

A che punto sono i lavori della diga di Genova?

Secondo il cronoprogramma ufficiale, al 31 dicembre 2023, a 8 mesi dall’avvio ufficiale dei lavori (4 maggio 2023), l’avanzamento della costruzione della nuova diga avrebbe dovuto essere al 12%, come mostra la linea rossa che abbiamo tracciato nella immagine ufficiale del cronoprogramma dell’Autorità di sistema portuale. Invece, secondo il Secolo XIX il programma, dopo 8 mesi dei 3 anni e mezzo di lavoro previsti, è al 2,5%, cioè è già in ritardo del 79% del tempo programmato. Come mai? E ora?

Restiamo in attesa di dichiarazioni “responsabili” di Bucci, responsabile della nuova diga.

Riccardo Degl’Innocenti

Dubbi Amletici

L’amico Bruno Morchio ha postato la domanda cruciale: “Qualcuno sa se Esselunga fa consegne anche ai domiciliari?”.

ECO DALLA RETE

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Il 29 aprile Andrea Acquarone ha postato un testo nel sito di Good Morning Genova. Eccone ampi stralci:

La Foce anni ’50 https://goodmorninggenova.org/wp-content/uploads/2024/04/foce-1950.jpg

Bucci: il cemento al posto di una spiaggia

A Bucci manca una visione, la cultura e la sensibilità necessarie in questa fase di grande ristrutturazione della città. Una prova? Alla Foce, dove il sindaco vuole cementificare una spiaggia che si è riformata naturalmente. Il progetto Waterfront di Renzo Piano la ripristinava e valorizzatv. Bucci ragiona in modo diverso; è uomo di mentalità datata, ben oltre il fatto anagrafico. Invece che assecondare l’arenile che si rigenera con poche installazioni – qualche baretto, aree per lo sport come nelle spiagge attrezzate europee, qualche albero nel passaggio da spiaggia a passeggiata – la Giunta disattende il disegno di Piano e lo trasforma in una colata di cemento e un parcheggio. Per tombare di nuovo la spiaggia della Foce, sessantacinque anni dopo. Già. Il sindaco è burbero, tosto, incazzoso. Va al sodo: parcheggio, piazzalone, che ci si fa Euroflora, e poche musse. Sa lui. Non pensa a questo non-luogo tra un’edizione e l’altra: la via di mezzo tra una Dubai dei misci e l’outlet di Serravalle. L’estetica che più gli è congeniale.

Travolti dalla mole di progetti che si affastellano, i genovesi non si sono accorti dell’evoluzione surrettizia del progetto. Questa maniera di procedere senza coinvolgere produce fatalismo di nuovo conio. Se in epoca Doria tendeva alla depressione (“non ci si può fare niente”) adesso vira all’afasia: “tanto lo fanno lo stesso”. La retorica patetica del Bucci, che quando si mette una cosa in testa non fa discorsi: va fino in fondo. Mica chiacchierare. Narrazione che più provinciale non si può deresponsabilizza la cittadinanza. Ci pensa il Bucci. Ma spesso pensa male. In questo caso, malissimo.

L’opera (il piazzale) è ormai appaltata per 25 milioni sottratti a Sampierdarena e i lavori principali sono cominciati. Nel 2025 si vuole ospitare Euroflora. Eccolo lì il Nostro che lavora contro il tempo. Che forte! Ma Bucci è inadatto a ruoli apicali. Lavora con lena, ma andrebbe diretto. Ad ogni modo, può non esser troppo tardi per riportare il progetto all’idea originale di Piano. Il previsto parcheggio sotterraneo si può fare sotto Piazza Rossetti. Per Euroflora spazio ne hanno, lo trovino. Non c’è nessun motivo, se non una mancanza di cultura, per rinunciare alla prima spiaggia urbana in centro.

Se la città non esprime una sua voce su questa vicenda non perderà solo la vecchia spiaggia della Foce; un’altra volta. Le resterebbe solo la facoltà di andare al’estero e poi dire: sai che bello se la spiaggia della Foce fosse come Barceloneta!

Andrea Acquarone

Progetto Renzo Piano https://goodmorninggenova.org/wp-content/uploads/2024/04/foce-piano.jpg Progetto Bucci https://goodmorninggenova.org/wp-content/uploads/2024/04/foce-bucci.jpg

ECO DELLA STAMPA

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Il 7 maggio ShippingItaly ha pubblicato un florilegio di intercettazioni relative all’affaire Toti & Co. in cui emerge appieno la rozzezza, la volgarità e lo squallore morale dell’avidità impersonificata dai protagonisti della vicenda. Nel frattempo Marco Bucci (non inquisito) dichiara che trattare le faccende portuali genovesi “è come dare da mangiare ai maiali”: un’abboffata generale.

Le telefonate infuocate tra Aponte e Signorini

«L’ordinanza di 654 pagine firmata dal gip di Genova Paola Faggiani che ha portato all’applicazione di misure cautelari nei confronti di 10 persone (tra cui Paolo Emilio Signorini, Giovanni Toti, Mauro Vianello, Aldo e Roberto Spinelli) per presunta corruzione offre uno spaccato forse più inquietante che sorprendente delle guerre di potere che da anni si giocano per ogni metro quadrato del porto di Genova.

In particolare un passaggio intitolato ‘La telefonata di Aponte a Signorini e le accuse di corruzione’ rivela che, mentre fra i gruppi Msc (per Grandi Navi Veloci e Stazioni Marittime) e Spinelli era in corso un duro braccio di ferro per ottenere 14.000 mq di aree sull’ex carbonile Enel sotto la Lanterna, da Ginevra nell’estate del 2022 partì verso palazzo San Giorgio una chiamata destinata a cambiare le sorti della contesa. Da un lato Spinelli pensava e sperava di avere vita facile nell’ottenere quella fetta di porto, l’Autorità di sistema portuale era orientata ad accontentare quella richiesta (con tanto di pronunciamento dei suoi uffici a favore del piano d’impresa presentato) ma il gruppo ginevrino per Stazioni Marittime decise di mettersi di traverso al punto di minacciare ricorsi e segnalare reati alla Procura. Era il 29 agosto del 2022 quando Gianluigi Aponte, patron del Gruppo Msc (non indagato), chiamò al telefono direttamente il presidente della port authority, Paolo Emilio Signorini, lamentando un atteggiamento preferenziale a favore di Aldo Spinelli. “Qua vengo a sapere che praticamente la sua organizzazione ha deciso di dare ulteriori 14.000 mq a Spinelli, gliene ha già dati 30.000 e insomma se gli volete dare tutto il porto di Genova insomma e noi stiamo a guardare ma insomma, la cosa comincia a diventare un po’ indecente”. I toni della conversazione poi salirono ancora: “…ma che cazzo adesso basta, io le dico la cosa va a finire male perché adesso o mi date questo spazio o sennò veramente vi cito tutti quanti, basta adesso basta perché mi sono scocciato qua diciamo la gentilezza è presa per coglionaggine, qua basta, basta, insomma è indecente quello che sta succedendo verso il nostro gruppo, non è accettabile è una mancanza di rispetto”. […] Nelle trascrizioni delle telefonate insulti e sberleffi su vari personaggi coinvolti nella vicenda si sprecano: personaggi più e meno noti vengono ribattezzati come “cinghiale travestito”, “avvocaticchio del c…o”, “pigna secca”, “mafiosi”, ecc.».

Nicola Capuzzo

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Alle osservazioni critiche del nostro Degl’Innocenti risponde Rino Canavese, presidente dell’Autorità Portuale di Savona quando tutto è cominciato (2005-2013); attualmente alla guida del Terminal Novara CIM.

C:\Users\HP\AppData\Local\Microsoft\Windows\INetCache\Content.MSO\70BC1CCA.tmp Dialogo sulla portualità a Ponente: il punto su Vado C:\Users\HP\AppData\Local\Microsoft\Windows\INetCache\Content.MSO\78D0FF68.tmp

Vado Ligure ha un affaccio sul mare di 4 km con alcuni stretti pontili per lo sbarco di rinfuse liquide verso i depositi costieri, una banchina per i passeggeri e una per le merci. Il resto è litorale e arenile. O meglio, lo era. Oltre 20 anni fa il presidente del porto di Savona Alessandro Becce offrì letteralmente Vado Ligure alla Maersk che cercava un terminal container. Iniziò un iter lungo e controverso, che vide la politica (tutte le parti, eccetto i verdi) e l’economia (imprese e sindacati) dalla parte del progetto in ragione dello “sviluppo” e della “occupazione”, mentre una parte dei cittadini era attivamente contraria; tanto da guadagnare la maggioranza in una consultazione popolare rivelatasi inutile alla prova delle istituzioni. L’opposizione non era pregiudiziale. Vado ha una tradizione industriale, ma ha sopportato a lungo insediamenti nocivi, tra cui la centrale a carbone oggi spenta. Stava entrando in una sorta di convalescenza da tante infermità ambientali e occupazionali patite (a seguito delle dismissioni delle vecchie fabbriche), pensando a come valorizzare il litorale, fatto salvo il porto esistente, per goderne come cittadini, sia per beneficiare di un turismo sostenibile. Ma ecco la tegola Maersk: una piattaforma di cemento di 20 ettari, 300 X 700m. Capacità: 900mila teu/anno, pari a 550mila container con i relativi transiti da e per l’hinterland (1500/giorno) per lo più su camion. Il premio per il sacrificio: nuova occupazione e qualche opera civile. Al tempo di Becce furono promessi 1000 posti, poi 600, poi 400. Dal 2020 il terminal è operativo. È costato 400 milioni di soldi pubblici. Il tutto, come fu detto all’inaugurazione, per consentire un “salto competitivo” alla portualità ligure, che avrebbe moltiplicato teu, posti di lavoro e valore aggiunto sul territorio. “Non ruberemo traffico a nessuno” aggiunse Maersk.

Sono trascorsi 4 anni e Vado Gateway dovrebbe essere a regime. Ma il terminal fa meno di 300mila teu e ha interrotto la crescita. Le mega-navi non si vedono. 3300 teu è la media delle navi che fanno cabotaggio nel Mediterraneo facendo capo ai grandi porti di trasbordo (Port Said, Algeciras ecc.). Solo un servizio è diretto per gli USA con navi da 6mila. Altro che non rubare teu agli altri porti! I 300mila teu di Vado stanno comodamente nei 500mila in meno tra Genova e la Spezia che pure dovevano crescere di milioni. Una piattaforma forse utile per i traffici di Maersk, che non ha aggiunto un teu alla portualità ligure.

RDI

Lo stato dell’arte a Savona-Vado: un commento

Un quadro che dovrebbe essere motivo di riflessione politica e sociale non della solita retorica mistificatoria di Palazzo San Giorgio. Invece si ammette la crisi solo per attribuirne le cause a fattori contingenti (pandemia e guerre) senza affrontare le cause strutturali della scarsa domanda di trasporto e le variazioni geopolitiche del commercio internazionale. Si festeggia l’annuncio del gruppo Cosulich di eleggere Vado terminale delle auto dalla Cina. Si tace sulla caduta verticale di traffici nel porto contiguo di Savona, dimezzato in 5 anni.

Vanno ricordati i 244 assunti dal terminal (meno dalle promesse ma pur sempre positivi), i 50 di ZPMC Italia, la fabbrica cinese di gru portuali insediatasi a Vado, oltre agli assunti dall’ indotto relazionabile con le attività del terminal. Tuttavia il risultato è paradossale: una domanda di lavoratori eccedente per una popolazione di 8000 persone, peraltro soddisfatta in larga parte da risorse esterne. Tuttavia, se cresce il credito politico e sociale di Vado, sotto quello ambientale resta largamente inesigibile. Un debito che le istituzioni regionali devono risarcire in qualche modo. Le elezioni comunali di Vado a giugno sono l’occasione per i partiti di riconoscere l’enorme inganno perpetrato e renderne conto ai vadesi disponendo adeguate riparazioni.

La portualità ligure, per parte sua, deve affrontare il declino palese dei traffici container, che sinora ha dissimulato dietro l’aumento scriteriato di nuove banchine e nuove dighe che divorano mare e territorio, beni comuni. Dall’inaugurazione di Vado, Genova funziona al 50% della sua capacità di contenitori. Eppure si continuano ad ampliare le banchine per movimentarli (vedi Bettolo, i tombamenti grazie alla nuova diga, l’allargamento di Prà). Queste estensioni sono sostenute da investimenti pubblici ingenti, distratti da impieghi più utili e urgenti (es. sicurezza della costa e del territorio), ridotti a bandierine elettorali per i politici e ad affari lucrosi per le imprese, per lo più le stesse, incaricate di realizzarli in regime commissariale (in deroga al codice degli appalti).

Va interrotta questa dissennata tendenza. Va promosso un piano organico e coordinato che, sulla base di una previsione realistiche della domanda, riordini le funzioni dei porti liguri, razionalizzi gli investimenti, corregga le distorsioni, riequilibri i rapporti dimensionali e funzionali con le città e i territori.

Riccardo Degli Innocenti

I fatti visti da Savona

Con l’approvazione del PR Portuale dell’agosto 2005 in AP Savona (allora felicemente autonoma) si decise di indire una gara europea di Project Financing per soggetti interessati a progettarla, realizzarla e gestirla nonché a finanziarla in parte (ad oggi l’unico caso nella portualità nazionale). Veniva pubblicato il bando sulla Gazzetta Europea e tra i vari soggetti si evidenziò il progetto di APM Terminal (società del gruppo Maersk) che si offri di progettare l’opera, di realizzarla e di gestirla per 50 anni. Gli elementi significativi dell’offerta prevedevano un investimento di 450 milioni di cui 300 a carico del pubblico e 150 a carico del privato (50 sulle opere di banchina e 100 sulle attrezzature). In corso di esecuzione, attraverso una variante, i lavori hanno permesso un risparmio di circa 50 milioni per cui al pubblico il costo finale è risultato di 248 milioni. Gli esiti della gara sono stati ripubblicati in sede europea. Dopo questa fase si è proceduto nel 2008 alla firma della Concessione e alla definizione di un protocollo d’intesa con il Comune di Vado per interventi compensativi. Sulla gara si è pronunciata la Corte dei Conti con esito positivo, sottolineando come questa potesse essere definita come una procedura corretta da utilizzare in casi analoghi. In seguito APM interveniva sulle difficoltà del gruppo Orsero e rilevava la società concessionaria del terminal frutta con un ulteriore investimento e la salvaguardia di 142 occupati. Sul tema occupazione: il processo è partito a fine 2005 con l’idea del ricorso al project finacing e Becce ha finito il mandato nel 2004, non si è mai fatto cenno a 1000 o 800 unità ma a 400 unità a regime; oggi considerando sia la forza lavoro diretta che quella di ZPM (che lavora esclusivamente sugli oltre 100 mezzi operativi del terminal) e sulla compagnia portuale siamo vicini a quei numeri come certificato dalle organizzazioni sindacali. Vi è poi un effetto piattaforma che ha portato al recupero delle aree esterne al porto, per gran parte lasciate dall’industria, che stanno vivendo un periodo di forte espansione (TRI, Vernazza, Spinelli, Alkion ed altri). La sezione savonese dell’Unione industriali ha certificato che il calo occupazionale registrato a partire dal 2010 con la chiusura di attività industriali tra cui la centrale a carbone è stato riassorbito con un delta positivo di oltre 50 unità da piattaforma e attività retro-portuali.

R.C.

Quali prospettive per la portualità?

Sul tema traffico: è vero che tutti stanno risentendo della contrazione nei volumi movimentati (sui nostri porti -2%, sui porti del nord Europa -8/10%). È altrettanto vero che le compagnie tendono a privilegiare i loro terminal generando non una crescita complessiva ma un riposizionamento tra i vari terminal (così avverrà con Bettolo, Hapag su Spinelli, Maersk su Vado, etc.) ma questo fenomeno non credo sia il più rilevante. È rilevante capire quale mercato serviamo dai nostri porti e quanto del nostro mercato sia oggi servito dai porti del Nord Europa: nei nostri centri intermodali da Novara a Bologna riceviamo oltre 30 treni giorno provenienti da quei porti con merce per il nostro mercato e senza una nuova logistica ferroviaria (che si sta cominciando faticosamente a fare) non si potrà recuperare molto di quel traffico. Uno spunto di riflessione possiamo averlo guardando i nostri competitor che servono da Nord una consistente quota del mercato nazionale (1,5 milioni di TEU), e lo fanno grazie al sistema ferroviario che hanno consolidato essenzialmente su scelte di sistema e non di contrapposizione tra i singoli operatori. Oggi è all’attenzione di tutti il tema ambientale che si sta sviluppando ponendo tematiche forti anche sul piano economico (auto elettriche, fabbricati green, etc.). È evidente che anche sulla logistica dei trasporti si avranno effetti che si concretizzeranno con l’ottimizzazione dei flussi di trasporto. In quest’ottica, al netto delle situazioni di crisi in essere su Suez che credo saranno superate, la rotta di transito che oggi attraversa il Mediterraneo verso i porti del Nord Europa, con navi di grandi dimensioni per diminuire l’incidenza unitaria su ogni teu, dovrà essere ripensata. Su questi temi è indicativo il lavoro fatto in sede comunitaria da UE-Sonora per l’asse Nord-Sud Europeo. La tavola in coda evidenzia il forte risparmio in termini di emissioni con un servizio al mercato europeo da Sud anziché come oggi avviene da Nord. In termini di emissioni prodotte si ha un risparmio di oltre il 50% per singolo contenitore movimentato. Scendere dall’area di Anversa-Rotterdam o da Amburgo–Brema per alimentare il mercato del Sud Europa significa affrontare un percorso di 900-1100 Km, se alimentato da Sud le distanze si limitano a 400-500 km. e si ha un risparmio sulla tratta marittima di 6 giorni di navigazione. I fattori ambientali possono essere la chiave per la crescita del Nord Ovest e del nostro sistema portuale.

Rino Canavese

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Il Rettore Magnifico sulla collina del disonore

La mente eccelsa del Professor Federico Delfino, Rettore (apparentemente) Magnifico dell’Ateneo genovese, ha partorito la seguente dichiarazione al Secolo XIX del 9 maggio scorso, a proposito della deportazione agli Erzelli della Facoltà di Ingegneria: «il contratto dei lavori per il lotto B è stato stipulato a maggio, siamo in quella fase già esecutiva che non dovrebbe patire contraccolpi: tutto l’iter viene seguito dagli uffici regionali che proseguono nella loro operatività, come tutto l’Ente. E per il lotto A, avendo già tracciato l’iter per il lotto B, verrà seguita la stessa strada. Speriamo davvero, quindi, che non ci siano ritardi». Ossia, mentre la morsa affaristico-speculativa dell’establishment locale è inquisita dalla magistratura, tanto che i suoi passati diktat sono sotto osservazione, l’attuale dominus dell’Università genovese prosegue nell’inginocchiamento davanti ai business più devastanti inaugurato dal suo non rimpianto predecessore Paolo Comanducci. Colui che accettò il trasloco della Scuola Politecnica (ex Ingegneria), non si sa a fronte di quali contropartite, su quella che l’ex preside della facoltà Aristide Massardo definiva “la collina del disonore”. Quindi, la messa a repentaglio di uno dei pochi insegnamenti capace di attirare studenti anche da fuori regione confinandolo in una sede inospitale, e pure di problematico accesso; mentre – così facendo – si potenzia la capacità attrattiva delle sedi concorrenti di Torino, Milano e Pisa. E questo solo per riempire in quel luogo desertico gli spazi vuoti di una tecno-city mai nata e – così – ripianare con pubblico denaro gli investimenti privati nell’operazione immobiliare in forte deficit; progettata vent’anni fa e da allora in stand by. Per di più – nel trasloco dalla prestigiosa location di Albaro verso gli spazi ridotti dell’anonima sistemazione collinare – con la dissipazione di preziose infrastrutture didattiche accumulate in decenni, come il simulatore di onde marine al servizio di ingegneria navale. Mentre avvoltoi immobiliaristi volteggiano sulla splendida villa Giustiniani-Cambiaso e gli immobili di pregio attorno a viale Causa; promettendo l’ennesima operazione di immissione sul mercato di lotti abitativi extra lusso. Dopo il flop dell’analoga operazione sotto l’egida di Renzo Piano nell’ex Fiera del mare.

Pierfranco Pellizzetti

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

La corsa contro il tempo (e Nordio) della Procura genovese

La parola ‘garantista’, pronunciata meccanicamente dai sostenitori di Toti & C., esce loro di bocca come un crisantemo lasciato a marcire.

‘Garantista’, e il suo opposto ‘giustizialista’, sono parole ormai appassite: escono di bocca quando chi le pronunzia non sa più cosa dire.

‘Sono tranquillissimo’, proclama l’indiziato. Nel frattempo i suoi sodali ne proclamano l’innocenza – o meglio la tecnica ‘non colpevolezza’ – sino all’esaurimento dei famosi ‘tre gradi di giudizio’, contando sugli interminabili contorcimenti del nostro processo penale.

Oggi garantista significa solo trovare nel nostro astruso sistema penale, l’estrema difesa dell’illegalità. Toti & C hanno il diritto di proclamarsi ‘non colpevoli’, o non ancora colpevoli. Non più di dirsi ‘innocenti’. Innocenza persa prima ancora di venire condannati, nel momento in cui Finanza e Magistratura hanno sollevato la pietra che nascondeva il verminaio. ‘Giustizia a orologeria!’ si proclama ancora, con l’appoggio esplicito del Ministro Guardasigilli. Come se magistrati e polizia giudiziaria dovessero destreggiarsi in uno slalom tra le continue occasioni elettorali: si tratti di Europee o del Molise.

Però – a ben vedere – un’intenzione la si può cogliere tra le righe del provvedimento del GIP. L’intenzione sottintesa di rispondere alla recente accelerazione dei progetti governativi vòlti da un lato a limitare l’indipendenza della nostra magistratura e ‘imbavagliare’ l’informazione sulle sue inchieste più imbarazzanti per il potere.

Senza la possibilità di intercettare le conversazioni tra gli indagati, e di pubblicare integralmente quelle rilevanti per le indagini, non sarebbe stato possibile per la pubblica opinione essere effettivamente tale. Scoperchiare questa situazione era necessario e non può essere confuso con la bassa opportunità di spiare il funzionamento del potere dal buco della serratura. Ma non solo questo. C’è piuttosto da chiedersi, ove l’iniziativa ministeriale di separare le carriere dei PM da quella dei giudici fosse stata già condotta in porto, se la stessa inchiesta dei PM genovesi sarebbe stata possibile. La dipendenza delle procure dall’esecutivo, siamone pur certi, avrebbe paralizzato ogni iniziativa dannosa per la maggioranza al governo.

Un concorso e un CSM separati da quelli dei giudici avrebbero già, nei fatti, creato una nuova dipendenza, non più dalla legge, come detta solennemente la Costituzione, ma dalle scelte politiche del ministro della Giustizia.

Michele Marchesiello

Il sonno della politica genera mostri

Se la natura aborre il vuoto, altrettanto lo fa la politica in democrazia. Quanto insegna il blitz che scoperchia la cupola di collusioni e malaffare facente capo a Giovanni Toti; ben nota a tutti, ma contro cui nessuno sapeva come opporsi. Ossia il “mucchio selvaggio” che occupa lo spazio pubblico, del quale rifulge l’assoluta estraneità allo spirito ligure. Nella contestuale vanificazione di tradizioni civili che avrebbero dovuto/potuto contrappesare la pericolosa indifferenza/ignoranza nei loro confronti di chi si accampava al vertice delle istituzioni locali. Certo, la natura oligarchica del luogo, seppure in diverse modalità (massonica a Savona, aristocratica a Genova, militare a La Spezia e basata sulla rendita nell’imperiese), ma riequilibrata da una presenza civica – almeno nelle prime tre provincie, segnate della nascente rivoluzione industriale – che diventava soggetto politico. Una vicenda ben visibile nella Genova dei portuali che promuovevano il primo quotidiano interamente pagato dai lavoratori (appunto, “il Lavoro”) e bloccavano porto e città a difesa della loro Camera del lavoro sotto minaccia. E gli ultimi bagliori di questa combattività risalgono al 30 agosto 1960, quando i camalli espulsero dal centro cittadino i neo-fascisti del MSI e pure le camionette della polizia di Scelba. Che ha da spartire la storia di lotte democratiche con le provocazioni anti-anti-fasciste di questi politicanti in carriera e affari, addestrati alla comunicazione mistificatrice di scuola berlusconiana? Ma va detto che le loro pratiche nel mirino dei magistrati trovano il proprio viatico nelle scelte di chi hanno soppiantato: l’ultimo city-boss della cosiddetta sinistra – l’afasico Claudio Burlando – teorizzatore della politica come “scambio negoziale”. Solo che da pratiche artigianali si è passati alla loro industrializzazione. Avendo come filo conduttore la presenza inquietante del calabrese Aldo Spinelli, giunto a Genova da Palmi per costruire un impero portuale sulle cui origini bisognerebbe fare chiarezza. Il grande elemosiniere prima di Claudio e poi di Giovanni; che quando i compaesani salgono a nord si precipitano subito a omaggiare. In questa Liguria ad alta presenza mafiosa. Come testimoniano i voti a pagamento utilizzati da Toti. Ma anche nell’ultima primaria PD per le regionali fu cospicua la presenza di voto etnico precettato. E vinse l’outsider Raffaella Paita.

Ora la Procura ha fatto la sua parte. Politica e società liguri sapranno fare la loro?

Pierfranco Pellizzetti

La prima tutela in una regione che invecchia

La morte corre sull’autostrada (nella Liguria ridotta a cantiere)

1969 Sydney Pollack gira il film Non si uccidono così anche i cavalli?

“Nella California dei primi anni trenta, nel pieno della Grande depressione, è in voga un genere crudele di spettacolo, quello delle maratone di ballo, durante le quali coppie di disperati senza lavoro ballano per giorni interi, attratti, ancora prima che dal premio in denaro offerto a chi resisterà di più, dalla semplice possibilità d’avere almeno il vitto assicurato per qualche tempo”, (Wikipedia)

Ci penso quando passo sull’autostrada Genova Savona di sera e vedo il livello di sicurezza degli operai al lavoro: meno di zero. In galleria in lavorazioni che producono molta polvere pochi indossano una mascherina protettiva (efficiente?): noi chiudiamo i finestrini, accendiamo il climatizzatore, ma loro?

Dietro una curva ti si para davanti un povero cristo, in mano una sbarra luminosa appena percettibile, che sbraccia per farti cambiare corsia camminando all’interno della corsia che sta per essere chiusa. Lo evito, posso farlo rispettando i limiti di velocità, intanto mi chiedo se chi arriva da dietro si rende conto che sto evitando di investire una persona e spero che eviti di tamponarmi usandomi come una palla da biliardo contro il povero cristo.

C’è chi strombazza, chi fa una manovra pericolosa, chi, credendosi un collaudatore di Ferrari sul circuito di Maranello, fa una basetta a me e al povero cristo casualmente posizionati sulla traiettoria della sua performance.

Ho visto operai attraversare l’autostrada mentre sto arrivando, c’è una percezione del rischio molto bassa fra loro, ma non nasce dal nulla, nasce dalla sottovalutazione della vita umana che, passando di appalto in appalto, arriva ai più poveri, i meno preparati, i non politicizzati che non sanno nulla dei loro diritti e, anche se li conoscessero, “o mangiano la minestra o saltano la finestra”.

Genova e tutta la Liguria sono invase, assediate dai cantieri e costellate di morti sul lavoro e infortuni vari. È odiosa la retorica del “mai più” esibita dopo ogni morte, mentre spudoratamente si sono ridotti a poco più di un migliaio gli ispettori del lavoro per l’intera Italia. Passiamo di fianco a cantieri, in autostrada o in città, brontolando perché ci ostacolano, ci rompono i timpani, ci soffocano con polveri e inquinanti di ogni genere, ma sono i poveri cristi gli ultimi anelli di un’odiosa catena di cui siamo ogni giorno testimoni. Uccisi, come i cavalli.

Possiamo rinunciare a un cantiere o intervenire se minaccia vite umane?

Maura Rossi

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Intervistato da Limes (2/2024), Mario Zanetti, presidente di Confitarma, ha dichiarato: «i nostri porti nel complesso non risentiranno di una diminuzione di traffici, semmai vi sarà una modifica delle modalità del fiderggio. A cambiare sarà la natura dei traffici in arrivo, da intercontinentali a regionali. Qualora la crisi nel Mar Rosso perdurasse, le grandi navi che prima sceglievano i porti italiani come Genova o La Spezia potrebbero optare per porti esterni all’Italia, ad esempio Algesiras». Su questo tema cruciale e le sue ricadute locali interviene qui di seguito il nostro Marchesiello.

La logistica marittima sta cambiando. Bucci lo ha capito?

Pare che a Genova non si sia capito – o non si voglia capire – che nel Mar Rosso la guerra dei traffici marittimi è già persa e che gli Houthi cantano vittoria annunciando di voler estendere la lotta contro i traffici occidentali all’Oceano Indiano. Infatti le compagnie di navigazione hanno rinunciato a Suez e intraprendono la più lunga e costosa, ma meno rischiosa, circumnavigazione dell’Africa; evitando Mar Rosso e Suez, dove nel frattempo il traffico si è dimezzato. Per questa ragione anche gli Houthi (e l’Iran) spostano le imboscate, da un Mar Rosso sempre meno frequentato, all’Oceano Indiano. Perciò anche le flotte navali occidentali, americane ed europee, stanno rivedendo le loro strategie e in gran parte abbandonando lo scenario del Mar Rosso, vuoi per l’inutilità dei loro pattugliamenti, vuoi per la concreta difficoltà di una strategia rigorosamente difensiva.

Del resto, Houthi a parte, già nel 2001 il blocco del canale derivato dall’incagliamento della Ever Given, portacontainer classe Golden lunga 400 metri, aveva dimostrato la scarsa praticabilità di Suez da parte di quel tipo di nave. Data la situazione, e il suo prevedibile consolidarsi, ci si chiede sino a quando i carichi di maggior valore continueranno ad affacciarsi al Mediterraneo e fare scalo nei suoi porti, quello genovese in particolare.

È in questa prospettiva che sarebbe saggio progettare il futuro del porto genovese e della città che lo incorpora come il suo bene più prezioso.

Le sue banchine che tipo di traffici – merci varie e container – dovranno accogliere? Trasportate su quali tipi di navi? La sua efficienza potrà ancora misurarsi in milioni di teus movimentati, o si dovranno immaginare altri fattori di crescita e profitto? Il gigantismo navale – nella nuova situazione – potrà ancora interessare, e in che misura, gli scali di un Mediterraneo ridotto a mare interno? Il gigantismo navale, a Genova, andrà ancora d’accordo col gigantismo delle strutture portuali in via di realizzazione? O non accadrà che proprio la prospettiva, in funzione della quale è stata progettata la nuova diga foranea (quando e se questa costosissima opera si realizzerà), risulterà superata; sostanzialmente inutile e sovradimensionata rispetto a un più realistico traffico di feeder provenienti dai porti atlantici? Non occorrerebbe, proprio a Genova, proprio ora, una pausa di ripensamento, alla ricerca di soluzioni che investano sia la qualità delle merci che il loro veloce smistamento verso l’hinterland?

Michele Marchesiello

Continua l’epopea del tappeto magico per volare in crociera (MSC, of course)

Marco Bucci procede al varo del “moving walkway”, il tapis roulant tra l’aeroporto e la futura stazione di Erzelli. Progetto di rilancio dell’aeroporto mediante privatizzazione; con Msc che vuole comprarsi pure l’aerostazione. Il finanziamento dell’opera è del sodale sotto-ministro dei trasporti, il salviniano Rixi, fresco di appoggio al generale Vannacci candidato della Lega (“un grande valore aggiunto”), a cui Bucci promette pubblicamente il voto. Intanto l’aeroporto comunica il movimento di aprile sottolineandone il netto aumento (+12%) rispetto al 2023. Propaganda: i passeggeri nel 2010 erano 1.287.524 e nel 2023 1.279.445. Nel frattempo gli aeroporti italiani, nella cui ranking Genova è al 23° posto, hanno aumentato i passeggeri (pax) da 140mlo a 197mlo anno (+41%). Genova ne rappresenta una quota marginalissima, pari a 0,6%. C’è da farsene una ragione. Saremo la regina dei porti, ma quanto ai cieli siamo una ancella. Vallo a dire a Bucci e a Toti, che pretendono di essere la capitale di tutto, persino del formaggio!

Il dato più sconsiderato riguarda la capacità dei 600mt del tappeto mobile, pari 12mila pax ora, che per 16 ore giorno produce ha capacità anno di 70mlo pax. A Venezia, aeroporto Marco Polo, un analogo tappeto collega l’aerostazione alla darsena dei traghettati in città lungo 300 metri, con una potenziale di 5mlo pax, per 11,3mlo pax anno (2023). L’utenza prevista è pari alla metà del totale pax. Ovvio, considerando che non tutti utilizzeranno il tapis. Mentre a Genova si progetta la stessa opera per un’utenza 53 volte più grande del reale! Forse perché qui si è più ottimisti? Ma nel Piano Nazionale Aeroporti del MIT redatto dall’ENAC, lo scenario prevede Genova 2035 a 2,3 mlo pax anno. Con il tappeto mobile comunque sovradimensionato 30 volte. Ma c’è MSC a illuminare le “magnifiche sorti e progressive” dei crocieristi, che aumentando nel porto “incrementeranno di certo” l’uso dell’aeroporto grazie al nuovo collegamento. Già funzione il trasferimento a bordo mediante bus passeggeri, che trovano anche il bagaglio già in cabina. Perché costringerli a fare 600 metri sul tappeto per poi prendere il treno e poi dalla stazione di arrivo risalire sul bus per raggiungere l’imbarcadero?

Ulteriore non detto è che i crocieristi sono aumentati a Genova. Ma dal 2016 al 2023 è dovuto ai pax in transito. Mentre quelli “home”, imbarcati e sbarcati a Genova, potenziali utenti aggiuntivi di aeroporto e tappeto mobile, sono addirittura diminuiti (- 16.657)!

Riccardo Degl’Innocenti

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Totonomine del post Toti. Io dico Maurizio Lastrico

Il gioco è fondamentale per la crescita di un bambino. Disse Eraclito: “il tempo della vita è un bimbo che gioca, con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il regno…”. Ma non vale solo per l’infanzia: attraverso il gioco, la parte ludica della vita si apprende meglio anche da adulti; s’impara più rapidamente e più profondamente. Prima di me lo diceva Platone, modestamente. E pure Friedrich Schiller, che nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo vedeva nel gioco quell’attività che lo fa completo, unendo sensibilità e intelletto, forma e materia, l’equilibrio fra le due opposte tendenze uomane. Tutta questa pappardella introduttiva per giustificare come il gioco sia forse l’unica cosa seria, il resto è solo serioso. E voglio giocare seriamente alla luce del terremoto politico che ha visto agli arresti personaggi della vita politica ed economica ligure, da Toti a Signorini, dall’AD di Esselunga, Moncada, a un vecchio esponente della CGIL, Maurici. Quindi giochiamo al toto Presidente del Consiglio di Regione Liguria. Guai a chiamarlo pedestremente, ruffianamente e giornalisticamente Governatore, carica che non esiste. Visto che Toti ormai è bruciato per il terzo mandato, la destra è orfana. Chi sceglierà? Ci sarebbe il vice, quel tal Piana, invischiato in faccende pruriginose tra festini orgiastici e cocaina. Fuori campo anche lui, pure se venisse assolto. C’è una vecchia conoscenza, tal Claudio Scajola, quello della casa al Colosseo acquisita a sua insaputa, quello che diceva di Biagi (morto) che era un rompicoglioni. A parte l’età, più vicina agli ottanta che ai settanta, è troppo schierato a Ponente, e la Liguria è Genova-centrica. Potrebbe ritornare a Genova Ilaria Cavo, come donna avrebbe delle chance, ma oggi è deputata, chi glielo fa fare? Sarebbe un passo indietro. Il resto è nebbia. E a sinistra? Qualunque candidato che venga scelto tra veti, contro veti e disaccordi, soprattutto se espressione della fauna locale, sarebbe perdente in partenza, sia per mancanza di credibilità che di fuoco amico. Ci vorrebbe un volto conosciuto, che la gente voti a prescindere: tra i giornalisti vedrei una Maria Cuffaro, di Rai Tre o il simpatico e magro Federico Rampini, dalle bretelle rosse. Ma sarebbero fuori dalle logiche di potere locale e quindi invisi alle attuali cadreghe. Quindi? Gioco per gioco, candido l’amico Maurizio Lastrico. È famoso, onesto e colto. Comico? Non abbiamo rischiato un Grillo Premier? E poi critichiamo l’Ucraina di Zelensky.

Carlo A. Martigli

Bacchee a chi sbulacca, come suggerisce la parlata ligure

Scrivevo in questi giorni queste righe partendo da alcuni modi di dire liguri, a mio parere estremamente evocativi, che si attagliano perfettamente al modus operandi degli alfieri del “modello Genova” e delle risposte che ne ricevono in cambio dalle Istituzioni.

Così il termine “sbulaccare”, che rimanda al “farla fuori del bulacco” o vaso, mi sembrava il modo migliore per descrivere tutte quelle imprese da “voglio e posso, ma faccio casino e altri impiastri” tanto care ai nostri eroici sostenitori delle magnifiche sorti e progressive che vorrebbero imporre a Genova e a tutta la Liguria, da lorsignori vissuta come una proprietà privata; la loro e di pochi amici, per chiamarli così.

Subito mi ero chiesta se nel loro ribaltare logica, regolamenti e leggi si fossero ispirati al Capitano Kirk di Star Trek, il quale, all’esame per diventare comandante di flotta interstellare, non riuscendo a risolvere l’inestricabile caso della Kobayashi Maru, aveva pensato bene di modificare i dati al computer riuscendo così a scapolarsela. Ma il paragone mi è sembrato improprio: il buon Kirk si è sempre distinto per astuzia e strategia, ma la sua personalità si ispira largamente all’integrità anglosassone e la sua strategia conserva pur sempre una lungimiranza che “ghe ne fuìse”.

In un altro momento, in un rigurgito di studi classici, mi è venuto in mente il “quo usque tandem, abutere Catilina, patientia nostra…” (fino a quando abuserai della nostra pazienza?), ponendo la cittadinanza nel ruolo di Cicerone. Ma qui addirittura abbiamo un’inversione: Catilina si batteva per una redistribuzione delle ricchezze dei latifondisti e più diritti a donne e servi, mentre Cicerone difendeva lo status quo della Res publica in senso conservativo. Quindi, i cittadini spazientiti, sì, ma forse pure un po’ conservatori. Ma il duo tante volte deriso come Cric e Croc mal si presta ad interpretare un Catilina.

Quindi ho pensato di attingere il linguaggio opportuno per descrivere le gesta dei “comandanti de nìatri” proprio da una tradizione linguistica concisa quanto quella anglosassone, e non a caso, ad essa debitrice di “squisite” parole quotidiane.

Mi apprestavo quindi a parlare delle numerose “baccate istituzionali” collezionate dal duo in risposta alle sue “sbulaccate”, quand’ecco, all’alba del 7 maggio, arrivargli l’ennesima, questa volta dalla Procura coordinante 6 PM.

Avranno appena avuto il tempo di dirsi: “Vanni avanti tì, che a mi u me scappa da rìe”, della barzelletta sui ladri di polli.

Maura Rossi

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Quando Riccardo cuor di Leone pagò per poter issare la bandiera genovese  sulle proprie navi e difenderle così dai pirati - GenovaQuotidiana

Savone pays du Roi, mercanti e pirati (4)

Dai Registri del Comune di Savona: “nel maggio 1128, Ruggero II duca di Puglia, prestò orecchio alle richieste dei consoli di Savona e ordinò la scarcerazione di alcuni savonesi catturati con l’accusa di pirateria. Secondo il disposto dell’atto, i liguri si impegnarono a non compiere atti ostili nei confronti dei sudditi pugliesi per tutto il vasto tratto di mare tra i territori del duca e la costa ligure. Nella stessa occasione Ruggero accordò la protezione agli uomini e alle merci dei savonesi nelle terre a lui sottoposte, con l’eccezione di coloro che andavano per mare causa predandi”. Una testimonianza utile alla ricostruzione del permanente dualismo al centro della Liguria, che conferma la vitalità delle due città nonostante i saccheggi subiti. Costretti a lottare per la sopravvivenza, all’inizio savonesi e genovesi combatterono pro aris et focis, altari e focolari. Per poi passare al contrattacco. Nel 1088 Genova ricambia ai Fatimidi l’oltraggio ricevuto mettendone a sacco la capitale, la tunisina Mahdia. Nel 1191 Savona si costituisce libero comune a compimento della rinascita iniziata intorno all’anno 1000, che la trasformerà in un fiorente porto, centro del commercio col Nord Europa; espandendosi all’ombra della rocca del Priamar, con un tessuto urbano di case a schiera per delimitare i vicoli che sfociavano sul porto.

Ma quale fu la risorsa per questa inversione nel destino delle due città? Presto detto: il comune ricorso alla pirateria, che farà scoprire una fonte di ricchezza nei bottini ricavati dal brigantaggio marittimo Così “ardore patriottico, zelo religioso e avidità predatoria si rinforzarono reciprocamente”, instillando nello spirito delle due città quella vocazione corsara che sarà praticata per secoli. Di cui ritroviamo ancora tracce nella cattura di pirati del 1128.

La navigazione savonese nel Mediterraneo risale alle crociate in Terra Santa, in costante dialogo e accesa rivalità con l’espansione commerciale genovese. Entrare nell’orbita dei traffici ultramarini della Superba comportava indubbi vantaggi. Ad esempio gli accordi stipulati nel 1101 e nel 1104 da Genova con Tancredi di Antiochia e Baldovino re di Gerusalemme che estendevano agli alleati savonesi l’esenzione da tasse doganali. Ma la tutela agiva anche da freno: una convezione del 1153 – rinnovata nel 1168 e nel 1181 – limitava la libertà di viaggio dei Savonesi oltre Barcellona e Sardegna.

Nel costante timore di accordi tra Savona e Pisa in chiave anti-genovese. (Continua)

Pierfranco Pellizzetti

L’irrefrenabile attivismo del “rieccolo” imperiese

Ancora una volta Claudio Scajola gioca la sua partita su tanti (quanti?) tavoli.

Il multiforme Sindaco di Imperia, Presidente della Provincia, Commissario dell’ATO idrico imperiese (che vuole la privatizzazione di Rivieracqua, contro la volontà popolare) è protagonista a tutto campo sulla scena politica del Ponente ligure (e – perché no? – forse anche della Regione).

Lo Scajola che interferisce nelle elezioni amministrative di Sanremo, indicando la sua preferenza per un candidato (Alessandro Mager) che rappresenta la continuità con l’Amministrazione comunale uscente e che si rivolge al centro-destra civico, contro l’altro candidato (Gianni Rolando) espressione del centro-destra ufficiale dei partiti governativi (tra cui F.I.). Lo fa a suo modo (i giornali titolano “Scajola a gamba tesa sulle elezioni”): facendo arrabbiare tutti. Cioè – per motivi diversi – le due facce del centro-destra cittadino. Mager abbozza, ma davvero non si capisce se la preferenza espressa da Scajola sia un valore aggiunto; Rolando protesta per lo strabismo del “dominus” provinciale che percorre strade diverse sui diversi livelli politici.

L’unico che è orgoglioso (e lo dichiara) di non essere stato “prescelto” è il candidato del centro sinistra Fulvio Fellegara, con giusta ragione!

Scajola che si riavvicina a Forza Italia a livello nazionale e con Tajani a Roma, pochi giorni fa ha firmato un documento a sostegno del Ppe e di F.I. in vista delle elezioni europee. Strabismo di vedute tra il livello locale e quelli superiori; nazionali ed europei.

Scajola che viene ipotizzato (non certo a sua insaputa) quale possibile candidato governatore della Liguria al posto di Toti, nel caso di una mancata ripresentazione dell’attuale governatore. Una “voce” che arriva da Ventimiglia, dove ci sono tanti estimatori dell’ex ministro in cerca di nuova e sempre più ampia visibilità.

Queste le notizie di inizio maggio dalla lontana Provincia dell’estremo Ponente.

Chissà cosa succederà ancora da qui alle elezioni di giugno!

Daniela Cassini

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

La cucina ligure, vista da un gourmet del Levante

Ci sono dei luoghi di resistenza all’offensiva del cibo industriale e del gusto perduto. Come i farinotti, qualche vecchia trattoria, rari agriturismi. Isole a rischio di venire sommerse da tonnellate di monotono sushi, hamburger di carni sconosciute, pane gommoso e dolciastro, impastato nel chewing-gum. Dov’è la cucina ligure? Difficile trovare la cima. Ma qual è la vera ricetta della cima? Conto ben otto ricette diverse da Levante a Ponente: fuori Genova il ripieno è colore verde, a Genova è giallo.

Se c’è qualche piatto comune, altre specialità sono tipiche di un territorio o magari di un quartiere. Ovunque troviamo il pesto e la farinata, che a Savona chiamano anche “turtelassu”, a Imperia “frisciolata” e alla Spezia ci farciscono la focaccia. Lo stoccafisso è caratteristica comune, ma c’è chi rivendica una sua peculiarità come Badalucco col festival dello “Stocafissu a Balcogna”. Il minestrone è un piatto molto raro nei ristoranti; e con dispute su soffritto sì/soffritto no (propendo per la seconda). Del baccalà sono comuni le frittelle. Il coniglio con pinoli e olive è un must ligure, ma chi propone più le verdure ripiene? La trippa in Liguria è plurale. Un tempo a Genova si contavano decine di trippai, come alla Spezia e Savona. Oggi ne sono rimasti pochissimi. Il fitto misto alla genovese è più diffuso nel Tigullio che in città. Poi ci sono curiosità come la farinata di zucca solo a Sestri Ponente, il bagnun d’acciughe di Riva Trigoso, la Sardenaira o pizza all’Andrea nel sanremasco, i Fazzini di Val Bormida, la focaccia alla salsiccia in Val di Magra, la stroscia del Ponente, i testaroli a Levante. Chi conosce la differenza tra corzetti e croxetti? E le torte? Altra delizia tradizionale: Pasqualina, Cappuccina, di riso, polpettone di patate e fagiolini, torta di bietole, di cipolle, ma anche verde del Ponente, baciocca, scarpazza. Conoscete la cucina bianca? E la mesciua? Il pane di Triora? I chinotti canditi? I gattafuin?

Pochi i salumi liguri. Il più noto è di Sant’ Olcese, poi c’è la mostardella di Vobbia, il salame di Castiglione Chiavarese, la mortadella nostrale della Valle del Magra. A Finale Ligure trovi un lardo straordinario aromatizzato al basilico. Rari pure i formaggi. A Genova si produce la prescinseua, indispensabile nella Pasqualina. C’è poi il formaggio San Ste di Santo Stefano d’Aveto, le formaggette della Val di Vara, la toma brigasca, la giuncata, il formaggio di Mendatica e la formaggetta di Stella San Giovanni. Alla prossima.

Nicola Caprioni

PASSEGGIATE D’ARTE

Bellezze dimenticate da riscoprire

I rissêu, consigli per un viaggio affascinante

Quasi ogni chiesa di Liguria ha un sagrato variamente pavimentato, ma la soluzione più suggestiva è a mosaico di ciottoli colorati. L’uso è facilmente spiegabile: il pietrame, tratto dalle spiagge o dai greti dei torrenti, se conficcato in modo corretto nel suolo lo consolida evitando il dilavamento. I sassi colorati impreziosiscono gli esterni delle chiese e dividono lo spazio profano da quello sacro. A Genova e a Levante prevalgono pavimentazioni simmetriche, a varia composizione e spesso con utilizzo di ciottoli colorati. Nel Savonese e nell’estremo Ponente prevale il decoro geometrico: i sassi sono di colore bianco, grigio e nero; in qualche caso rosso e verde scuro. In passato l’abbellimento della chiesa coinvolgeva l’intera comunità ecclesiale e gli artigiani pavimentatori eseguivano un progetto definito con la committenza; per lo più semplici muratori che avevano imparato i segreti del risö dai più anziani. Nasceva dalla loro attività e secondo le richieste del mercato la particolare tecnica decorativa, capace di trasformare l’umile ciottolo nell’ elemento base di un manufatto artistico.

Ecco allora una proposta diversa per un affascinante viaggio in Liguria, quasi tutto in bianco e nero, dal momento che, con poche eccezioni (i ciottoli rossi di Levanto e quelli verdi di Promontorio di Portofino) le tinte del rissêu sono dei due colori opposti. A Genova i mosaici più famosi sono quelli del santuario di Nostra Signora del Monte e di Palazzo Reale, ma non vanno dimenticati il rissêu di Campo Pisano, il giardino di palazzo Montini in Albaro e quello di Villa Salvarani a Sampierdarena. Nell’entroterra le scoperte vanno dal sagrato del santuario di Tre Fontane a Montoggio al piazzale di Crocefieschi, da quello di San Martino a Calvari ai piazzali di Lorsica. Nel ponente il mosaico della parrocchiale di Albissola Marina e quello di piazza Sant’Ambrogio a Varazze. A Levante c’è solo l’imbarazzo della scelta: la chiesa di Santa Maria a Bogliasco, la Rosa dei Venti a Riva Trigoso, il sagrato della basilica di Camogli, il piazzale di Villa Durazzo e la chiesa di Santa Margherita D’Antiochia a Santa Margherita Ligure, la chiesa di San Giorgio a Portofino, il mosaico di Santa Margherita di Fossa Lupara a Sestri Levante e il convento dei Frati Francescani a Levanto. Da non perdere i mosaici in pietra di San Pietro a Zoagli e Santa Croce a Moneglia. (continua)

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

Quando le cronache radiofoniche dei ciclisti unificavano l’Italia

Quest’anno il nostro Capoluogo si fregia del titolo di Capitale Europea dello Sport. Negli ultimi tempi sono stati diversi i ruoli che Genova ha potuto ricoprire con preminenza nelle attività agonistiche. Come dimenticare il sindaco Bucci con tanto di cappellino con sponsorizzazione della Ocean Race, evento costato una somma ingente e della quale in pochissimi si sono accorti. Poi giunge l’importante assegnazione del riconoscimento di “Capitale Europea dello Sport 2024” da Aces Europa, la relativa Federazione. Sfogliando il programma si può verificare che il Giro d’Italia farà tappa a Genova come evento-premio del ruolo europeo cittadino. Occasione per verificare come la grande manifestazione nazional-popolare si sia evoluta nei suoi centoventi anni. Il Giro vede la prima edizione organizzata tra il 13 e il 30 maggio del 1909, la tappa Firenze-Genova prevedeva il transito nell’intera Liguria di Levante. La partenza avveniva nel cuore della notte, in questo caso intorno alle 5 del mattino, i 127 ciclisti iscritti dovevano percorrere 294 km, le strade erano in terra battuta e spesso sconnesse, vinse la tappa Giovanni Rossignotti della Legnano e ottenne il riconoscimento di “Bandiera d’Italia”. Il suo tempo per questa tappa 11h01’30”. Il Giro di quel tempo prevedeva una sorta di semitappa: la “Carovana” giunse a Chiavari alle 14,35, al transito della vettura della giuria. Il pubblico è in delirio; come detto i ciclisti erano partiti da Firenze alle cinque del mattino, il primo giunse in Chiavari alle 14,50. Scrive il cronista della Gazzetta di Chiavari: “taglia il traguardo Carlo Galletti, calorosamente acclamato dalla folla. Fatta la doccia, ripartì veloce quale il lampo”. Prima di ripartire costui è premiato con una medaglia d’oro donata dal Touring di Chiavari e altri premi predisposti dalle società cittadine. Ora si può ripartire verso Genova, la salita delle Grazie, poi la durissima Ruta, dal Passo si intravvede Genova. E qui prevale Rossignotti, seguito da Galletti e Ganna. Vista la durezza dei tracciati la tappa successiva prevedeva un riposo. Si ripartì il 27 maggio per la lunghissima Genova – Torino di 354,9 km. Erano davvero altri tempi e gli anni a seguire risentiranno del clima internazionale, in particolare delle tensioni politiche tra gli Stati europei: sono le prime avvisaglie del prossimo conflitto Mondiale. Di questa pagina di storia resta il mito del Giro, la Maglia Rosa e tanta pubblico ad applaudire il sibilo delle moderne biciclette.

Getto Viarengo