Numero 24 del 15 giugno 2024

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Indice

SPIFFERI

Ma questi qui, chi li schioda?

La Caporetto totiana – al tempo etica ed estetica (il miserevole abito morale dei nostri amministratori, coniugato con un lessico da foro boario, che le intercettazioni hanno messo in piazza) – secondo buon senso imporrebbe che questa banda di avidi spudorati si facesse da parte. Eppure segnali ricorrenti svelano la loro volontà di resistere. A partire dalla cozza gigante Giovanni Toti, abbarbicato alla poltrona come i mitili agli scogli.

Per ora saltano solo i pesci piccoli: lo spicciafaccende Matteo Cozzani, quello che teneva i contatti con gli elettori a tassametro, che si è dimesso; la zarina della cultura intesa come chiacchiera imbonitoria – la reggiqualcosa Jessica Nicolini – dirottata altrove. Ma i loro mandanti resistono, in attesa del pronto soccorso politico. Imminente?

Cafonal internazionale a Portofino

Verecondia, o il suo sinonimo decenza, significa rispetto, onore. La sua mancanza produce irrispettosi conati. Di questo dovrebbe tenerne conto la prona amministrazione di Portofino, diventata l’umile serva di due miliardari indiani che l’hanno ghettizzata a lungo, impadronendosene. Per poi risalire a bordo di una nave da crociera appositamente noleggiata che ha quindi tenuto svegli gli abitanti della zona di San Teodoro davanti alla quale si era ormeggiata. Il cafonal globale è costato 139 milioni, tra giullari illustri. Basta pagarli: Bocelli, Backstreet Boys, forse Rihanna e Katy Perry. Portofino non è una vetrina, come quelle delle signorine del distretto a luci rosse di Amsterdam. Onore e rispetto sono belle parole e concetti sani, che in alcune amministrazioni il denaro cancella.

Ci vorrebbe un federatore

In democrazia un governo sgradito si scalza creando alternative credibili, in grado di intercettare i consensi necessari. Dunque, un’aggregazione civile e la sua leadership. Di questo dovrebbe discutere il dibattito pubblico ligure, alla luce di quanto l’azione giudiziaria ha fatto emerge sull’affarismo totiano. Ma mentre l’opposizione sociale (movimenti, associazioni e circoli) persegue un sempre più stretto coordinamento, non altrettanto si può dire dell’opposizione politica, chiamata a rappresentare il dissenso nelle sedi istituzionali. A partire da un candidato capace di sfidare l’anatra azzoppata Toti o un suo clone senza dover sottostare ai vincoli imposti dal curatore fallimentare ligure Andrea Orlando, il cui unico intento palese è sabotare minacce al proprio cadreghino romano.

Riceviamo dal Professor Palidda:

La Genova dei mastrussi si riproduce

Chi conosce Genova non si stupirà per la notizia del nuovo scandalo. I mastrussi (termine genovese per: imbrogli, truffe, magagne) sono sempre stati abituali. Il presidente della Regione predecessore dell’attuale arrestato è stato forse più furbo perché mai inquisito, anche se tutta Genova nutre sospetti non infondati sui suoi mastrussi con due celebri armatori genovesi – Spinelli e Messina – e l’arcivescovado. Si racconta che tale ex-presidente (ex-sinistra, cioè PD) insieme a questi armatori e altri aveva l’abitudine di ritrovarsi al ristorante Europa per giocare a carte e imbastire qualche intesa (nel senso del mastrusso). E si sa bene che il famoso Berneschi dello scandalo Carige aveva fatto una straordinaria carriera e, infine, era stato sempre rieletto presidente della banca da un CDA in cui sedevano di diritto i presidenti di regione e provincia, il sindaco, il presidente di Confindustria e – con particolare peso – il rappresentante dell’arcivescovado. Dalla fine degli anni ’60 tutti gli affari economici – grandi opere e sanità, porto e altro ancora – sono sempre stati concordati fra queste stesse personalità economiche e politiche. Di fatto s’è configurata una perfetta intesa fra arcivescovado (che detiene, in quanto Opus Dei – di cui fu fautore il cardinale Siri – una parte importante del potere nella sanità e nell’immobiliare, oltre che nella finanza), le destre e l’ex-sinistra. L’ex-sinistra fu anche tanto abile da dilapidare tutto il patrimonio del movimento operaio, del PCI e del PSI. L’astensione dal voto è quindi aumentata sino a toccare il 60% alle ultime elezioni regionali e comunali. Le destre ne hanno allora approfittato e hanno vinto, ma con neanche il 22% degli aventi diritto al voto.

Tronfi del successo, Toti e Bucci si sono “gasati” credendo di poter fare e sfare senza alcun impedimento. I numerosi illeciti e reati attribuiti agli arrestati il 7 maggio 2024 mostrano a che punto l’arroganza li abbia indotti a illegalismi sfacciati. Tuttavia non è escluso che tanti altri mastrussi non siano stati scoperti. E c’è chi aspetta un secondo tempo che potrebbe riguardare il sindaco e altri. Ma è illusorio pensare che la “via giudiziaria” possa garantire un effettivo risanamento di Genova e della Liguria; come peraltro dell’Italia. L’ex-sinistra ha spianato la strada a questa destra fascista, arrogante e corrotta; l’effettivo cambiamento potrà realizzarsi solo con una nuova grande mobilitazione.

Salvatore Turi Palidda

FUORISACCO

Da Fatto Quotidiano del 9 giugno

La legge di Primocanale: per Bucci spot pagati, zero inviti allo sfidante

«Da un lato ci sono le contestazioni dei pm: attraverso l’emittente tv locale Primocanale – sovvenzionata in modo generoso dalla Regione Liguria guidata da Giovanni Toti – sarebbero passati finanziamenti illeciti erogati da Esselunga per sostenere la lista civica di Toti a favore della rielezione del sindaco Marco Bucci. Dall’altro c’è il trattamento, all’apparenza ben diverso, riservato al candidato dell’opposizione Ariel dello Strologo: ‘L’editore Maurizio Rossi mi disse che un candidato sindaco per far passare i suoi spot elettorali avrebbe dovuto pagare 50 mila euro – racconta lo stesso Dello Strologo – Io non li avevo, così, forse ingenuamente, dissi che avrei potuto mettere una cifra inferiore, e che eventualmente mi sarei accontentato di interviste e ospitate in programmi. La risposta che mi diede Rossi però mi sorprese: mi disse che, nella sostanza, anche l’assiduità di presenze di quel tipo erano legate ai contributi che avrei dato. E infatti in quella tv, durante la campagna elettorale, ci sono andato molto poco’».

Marco Grasso

ECO DALLA RETE

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Chi sono - Luca Garibaldi Mercoledì 29 maggio il consigliere regionale PD Luca Garibaldi ha postato nel suo sito Fb questo intervento sul “caso Liguria” di cui riportiamo ampi stralci.

Un “sistema Liguria”, altro che modello Genova.

“Attendere il lavoro della magistratura”, come sostiene il centrodestra, non significa rimandare il giudizio politico su quanto sta emergendo. Cioè l’uso sfacciato delle istituzioni, occupate in maniera predatoria per costituire una rete di potere in cui si definivano intese e scambi fuori dalle sedi istituzionali. Il “sistema Liguria” è figlio del “modello Genova”, tanto decantato dai corifei di Toti e Bucci, dalle macchine comunicative che ruotavano attorno. Non una degenerazione nella psicologia dei personaggi in campo, bensì l’evoluzione di ciò che tale modello ha sempre rappresentato. Il sistema Genova è figlio del “modello Genova”, basato su principi nati con la vicenda del Ponte e poi generalizzati.

Il Sindaco (o il Presidente di Regione) non governa, è un capo. Anzi, un commissario, che non deve confrontarsi con nessuno. Perché l’obiettivo è “fare presto”. Perciò il commissario opera senza confronti e con leggi “sue”; al di là di quelle ordinarie. Sicché è suo potere non solo decidere “cosa” si fa, ma anche “chi farà cosa”, trattando direttamente con i soggetti beneficiati dalla scelta. Dunque: il confronto descritto come fastidio, le leggi come ostacolo, le procedure di assegnazione come rallentamento.

Un’impostazione padronale praticata, anno dopo anno, sia da Toti che da Bucci; in cui alcuni soggetti – senza alcun confronto con le istituzioni delegate – decidono in maniera privatistica. Vale per il porto, vale per le tante partite infrastrutturali; ma anche per la sanità, l’ambiente, il rigassificatore, la Palmaria, i Depositi Chimici. Esempi di flop politici clamorosi, perché dietro la retorica del “modello Genova” ci sono solo ritardi, fallimenti. E ora pure l’ombra della corruzione.

Toti ha trasformato Palazzo De Ferrari in un comitato d’affari per favorire le proprie megalomanie senza fondamento: la Liguria come un trampolino per Roma o per accumulare potere. Per farlo ha usato la visibilità del ruolo, con staff faraonici e spese enormi in comunicazione/eventi; ha scelto la strada di una pressione fortissima sull’informazione locale per omologare la “narrazione”. Non ci sarà riscatto di questa regione, gettata nel fango dalla destra, senza riannodare i fili della partecipazione democratica alle scelte; un modo differente di intendere la cosa pubblica rispetto a quello di questi anni, in cui Toti e Bucci sono stati accomunati dagli stessi obiettivi di personalizzazione estrema del potere.

Luca Garibaldi

Festa per il primo anno del Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano

Su il Fatto quotidiano del 3 giugno. E ci asteniamo da ogni ulteriore commento.

I found my love in Portofino

Non si capisce bene se è peggio il contenuto del messaggio o il modo scelto per veicolarlo: “L’Amministrazione Comunale di Portofino è lieta di annunciare la realizzazione di un esclusivo evento privato – che si terrà sabato 1 giugno 2024 – nel cuore del Borgo”, si poteva leggere sul profilo Facebook del Comune ligure. L’evento in questione è il matrimonio di Anant Ambani, terzogenito dell’uomo più ricco dell’India (e dell’Asia), con l’ereditiera Radhika Merchant (piove sul bagnato). Dopo il primo ricevimento prematrimoniale a marzo nella città di Jamnagar, nello stato occidentale del Gujarat, a cui avevano partecipato tutte le famiglie più ricche del mondo e con Rihanna in concerto ingaggiata per 8 milioni di euro, questo di Portofino è stato il secondo, ma prima del matrimonio che sarà probabilmente a Londra in luglio: la star ingaggiata è Andrea Bocelli (non si sa a quanto ammonta il cachet). La storica piazzetta è stata riservata ai festeggiamenti dalle 17,30 alle 22,30, ed erano autorizzate a solo quattro categorie di persone (“gli aventi diritto” secondo l’amministrazione del Comune): gli invitati, i residenti, i lavoratori, e gli ospiti di alberghi e ristoranti con una prenotazione. Il sindaco Viacava (lo stesso che accusava il Fatto di aver inventato l’indagine – verissima – sulle borse taroccate vendute nella sua tabaccheria) ha spiegato alla Stampa: “Il mio cuore, che di solito non sbaglia, dice che questa è una cosa molto buona per Portofino e che manderemo un’immagine stupenda. Quando mi hanno confermato il concerto di Bocelli, ho capito che era giusto fare questa esperienza”. L’esperienza sarebbe privatizzare un luogo pubblico, impedendo ai cittadini di circolare liberamente: l’articolo 16 della Costituzione prevede due eccezioni (“salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”), tra cui non figurano matrimoni miliardari. A Venezia i cittadini devono pagare per entrare, a Portofino i miliardari pagano per tenere fuori gli altri.

Bel Paese siamo diventati.

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

La strategia di Toti è uno schiaffo all’accertamento della verità

Nel maggio scorso, quando esplose la Tangentopoli in Regione Liguria, se avessi dovuto fare una previsione avrei pronosticato elezioni anticipate entro il prossimo novembre. Oggi non ne sono più così sicuro. Questo perché la linea difensiva di Giovanni Toti rivela una pervicace volontà di resistere ad ogni costo. Difatti la strategia adottata è quella classica di Bettino Craxi e del suo ufficiale pagatore Silvio Berlusconi poi messosi in proprio (e talent scout – si fa per dire – del presidente di Regione Liguria finito ai domiciliari): quando un giudice inizia a frugare nei tuoi affarucci, appellati alla priorità della politica. Insomma, se da mezzo millennio il costituzionalismo occidentale persegue l’equilibrio dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) ponendoli su un piano paritario quale reciproco bilanciamento, in questa fase post-democratica si sancisce la primazia dell’esecutivo in quanto consacrato dal voto popolare. Infischiandosene dei contrappesi “da perdigiorno”, legalità compresa. In fondo Toti è solo l’ultimo dei picconatori della cultura giuridica liberale per il totale controllo della società da parte del ceto politico. Quella politica politicante che pretende l’impunità all’insegna dell’immortale “io sono io e voi non siete un …”. Visto il trend è possibile che costui se la sfanghi. Intanto la maggioranza in consiglio regionale ha respinto la mozione di sfiducia delle opposizioni (con il non necessario contributo degli “entristi” di Azione, rappresentati dalla rude tempra intransigente di Pippo Rossetti). Insomma, la parola d’ordine è “fare finta di niente”; tanto il patto di scambio tra la destra faccendiera (perfezionatrice delle politiche da sinistra faccendiera) e un pezzo di società locale (che in questa indecenza si riconosce) è destinato a reggere fidando sulla smemoratezza altrui. E sull’inesistenza di una opposizione politica capace di andare oltre il vittimismo piagnucoloso. Se poi così non fosse, i messaggi del sedicente prigioniero politico Toti lasciano intendere che costui si è premunito di un dossieraggio con cui intimidire chi volesse attaccarlo davvero. E prevenire eventuali cedimenti della sua stessa maggioranza.

Infatti – extrema ratio – si può sempre ricorrere a quella politica dei veleni che infetta il nostro Paese dall’unificazione: data 1889 lo scandalo della Banca Romana, archetipo di questo genere di misfatti. E fu messo a tacere da Giovanni Giolitti. Secondo Gaetano Salvemini “il ministro della Malavita”.

Pierfranco Pellizzetti

Politici liguri d’opposizione: lo capite perché l’elettorato vi abbandona?

L’ex PG Scarpinato all’Assemblea nazionale dell’ANM: «Molte riforme del governo Meloni sono la calligrafica trascrizione del manifesto della P2. Le forze politiche dell’attuale maggioranza sono eredi e continuatrici di quelle stesse forze politiche che dall’inizio della storia repubblicana hanno manifestato la propria avversione alla Costituzione del ‘48… una sorta di organico work in progress che ha come meta finale la transizione storica verso una nuova forma di Stato una ‘democrazia illiberale autoritaria’ (Zagrebelsky) che di democratico ha poco se non la faccia elettorale e che è funzionale agli interessi delle strette oligarchie Il Piano di Rinascita democratica di Licio Gelli, saldando affari, politica, servizi e mafia intendeva indirizzare la vita sociale e politica del Paese.

Sullo scandalo ligure Scarpinato dice: «Ha portato alla luce la progressiva normalizzazione in campo nazionale della commistione tra corruzione e malapolitica, ventre molle delle infiltrazioni mafiose” mentre “i partiti della maggioranza hanno impresso una accelerazione alle riforme per correre ai ripari non contro la diffusione della metastasi nella corruzione, ma, al contrario, contro il pericolo che altre vicende analoghe vengano alla luce». Il “modello Genova” non è tipico della Liguria, è diffuso e radicato nel Paese.

Forse la “piazza” di Genova è stata scelta come “banco di prova” come già nel ‘60?

In quell’anno l’obiettivo di escludere la Sinistra dal governo portò il premier Tambroni a reggersi coi voti dei fascisti e la città medaglia d’oro della Resistenza vide celebrarvi il congresso nazionale del MSI come una provocazione inaccettabile. Banco di prova, come dissero i i camalli, “perché se passava a Genova, passava in tutta Italia”. Genova disse No.

Nel tempo complicità economiche e politiche hanno consolidato un aberrante modello di sviluppo nella nostra regione. Genova è stata di nuovo scelta come banco di prova e saprà ancora dire No? Genova non è “vecchia” come dice Pater-loro (ma basta!), anche nel silenzio non dimentica la sua storia e chi l’ha calpestata ha ricevuto disprezzo e perdita di consenso. Quindi, forze politiche democratiche, desiderose di recuperare una tradizione svenduta a un modernismo senza onore, chiedetevi perché la Liguria e il suo capoluogo astenendosi si sono arresi a chi li sta calpestando e correte ai ripari. E chi dovrà farlo si emendi da quelle scelte che hanno portato allo scempio di oggi.

La “polis” c’è ed è viva: ascoltatela.

Maura Rossi

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Il capitalismo benevolo sulla rotta di Colombo e un remake genovese

In questi giorni la televisione manda in onda un messaggio pubblicitario di una nota marca di pneumatici che ha realizzato una vela retrattile, già installata su una barca a vela e su una nave cargo. Prende forma l’idea che si possa tornare a navigare utilizzando l’energia del vento. Tipico esempio di capitalismo woke, inteso come pratica di marketing e pubbliche relazioni con cui le grandi imprese sperano che, associandosi a cause politiche più che giuste, otterranno il favore dei clienti e, in ultima analisi, un guadagno commerciale. Insomma, un diversivo ipocrita derivato dalla filantropia primonovecentesca e dalla “responsabilità sociale delle aziende” in auge negli anni ‘60; cioè da un impulso del capitale a legittimarsi. Oggi appare bizzarro che si possa navigare senza utilizzare combustibili fossili, peraltro con pesante impatto ambientale, ma per millenni, fino a duecento anni fa, è stato il modo più comune per spostare da un paese all’altro, da un continente all’altro, quantità immani di merci, uomini, animali, eserciti, materiali, spezie…

Sfruttando come forza motrice solo una fonte energetica rinnovabile, discontinua e instabile come il vento e solo energia solare per sintetizzare il biopolimero (legno e fibra vegetale) necessario per la costruzione delle imbarcazioni e delle sue velature, Cristoforo Colombo in trentasei giorni ha attraversato l’oceano Atlantico; Magellano e i suoi compagni, in poco più di due anni, hanno fatto il giro del mondo.

Il segreto era che questi uomini non avevano fretta, sapevano aspettare e sfruttare con intelligenza le opportunità offerte dalla meteorologia e dalla sua conoscenza.

È un segreto che dovremmo recuperare per entrare vincenti nella nuova rivoluzione industriale in atto, quella del passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

L’avventura che nel piccolo ho realizzato anch’io, nella traversata a vela da Genova a capo Corso, con partenza a sera inoltrata, all’innalzarsi delle brezze di terra che, senza nessun motore a combustibile fossile, ci hanno portato, soffiando per tutta la notte verso sud, fino alla meta, prefissata dalla rotta tracciata con precisione sulle carte e seguita, stando al timone, con l’occhio alla bussola. Un’esperienza in controtendenza, mentre la transizione energetica è in via di costante cancellazione dalle agende pubbliche (insieme all’altra questione correlata degli imballaggi plastici), dopo il Covid-19 e il riacutizzarsi delle pulsioni belliche ai confini dell’Europa.

Federico Valerio

Andrea Agostini ci riferisce dell’ultima assemblea pubblica in Bassa Val Bisagno: kafkiana

Assi di Forza? Non se ne può proprio più

Il Comune è giunto alla conclusione che il progetto degli assi di forza nel trasporto pubblico non va ancora bene. Allora tira fuori un altro pacco di soldi da dare al Rina per sovrintenderne alla stesura definitiva. Insomma, dopo 4 anni di studi e contributi degli esperti di mezza Italia, dei tecnici dell’azienda metropolitana mobilità, di professori in economia dei trasporti dell’università di Genova, siamo ancora al Punto Zero: il piano degli assi di forza del trasporto pubblico non funziona, anche perché non c’è una sola assemblea in cui l’assessore ai trasporti non si sia trovato di fronte una vastissima maggioranza – possiamo dire il 90% della popolazione presente – che ha reagito negativamente alle proposte che, quartiere dopo quartiere, Matteo Campora è venuto a esporre. Senza che in tutti questi anni ci siano stati interventi migliorativi. Va da sé che anziché riflettere, pensando che effettivamente qualcosa si doveva cambiare, non si è prestato ascolto alle persone. Non solo un principio democratico, ma anche il dovere di un pubblico amministratore: tenere conto di quello che dice il quartiere. Anche se i rappresentanti municipali sono perfettamente allineati sulle posizioni della giunta, direi quasi prostrati, resta il fatto che nessun cittadino normale che partecipa a queste assemblee si è espresso a favore delle proposte dell’Amministrazione per il trasporto pubblico. Non c’è niente da fare: la storia è sempre la stessa, immodificabile. In particolare lo si è rifatto nell’ennesima assemblea – la quinta – in Bassa Val Bisagno. Ancora una volta, nonostante le puntuali opposizioni e le precise proposte presentate, Campora è rimasto esattamente sulle sue posizioni. In più i nostri amministratori garantiscono che questo meraviglioso autobus che corre sulle linee di forza viaggerà con una frequenza di 2 minuti e mezzo. Ora la science fiction è molto divertente, ma fare dalla fantascienza nel governo della città è qualcosa di assolutamente inaccettabile: solo chi sogna l’occhio aperti può pensare che ci sarà una partenza ogni due minuti e mezzo di un autobus qualsiasi in tutta Genova. Pertanto a conclusione dell’ennesima assemblea dove il 99% della popolazione si è espressa contro questa progetto di trasporto pubblico e la maggioranza degli eletti ha votato a favore, noi continueremo la nostra battaglia per un trasporto pubblico efficiente. Per il diritto a vivere una vita decente in qualunque luogo di questa città

Andrea Agostini

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Toti ai domiciliari vota sotto scorta e il suo schieramento mostra le prime crepe

Si discuterà se sul voto ligure abbia influito o meno “l’effetto Toti”; di non facile decifrazione, anche perché il centro del potere totiano in regione è rappresentato dalla sua lista – “Cambiamo” – assente dalla consultazione europea. Intanto abbiamo assistito al suo arrivo al seggio di Ameglia, dove è agli arresti domiciliari, scortato dalla Guardia di Finanza.

Però qualche dato già lo disponiamo, almeno come indice di tendenza. Il primo è che a livello regionale c’è un fotofinish tra Fratelli d’Italia e Partito Democratico, giunti sostanzialmente alla pari. Più netto il risultato di Genova (28,6% a livello provinciale e 31,9% nel comune) e La Spezia; dove in entrambi i casi il PD torna ad essere il primo partito. I 5 Stelle si fermano al 10,19%, contro il 16,5 delle precedenti elezioni, mentre notevole è il successo della lista Verdi-Sinistra che raccoglie un importante 7,68% (8,42% a Genova). A dispetto delle dichiarazioni di Salvini, la Lega ha un tracollo pauroso: dal 33,8% delle precedenti europee, quando era il primo partito a livello regionale, al 9,28% delle ultime politiche, sino al modestissimo 8,8% attuale. Invece falliscono, come nel resto d’Italia, sia la lista di Stati Uniti d’Europa della Paita e di Renzi, sia quella di Calenda, entrambe sotto la soglia del 4%.

Con questi risultati l’attuale governo regionale otterrebbe il 44% e non disporrebbe più della maggioranza; mentre l’opposizione, ipotizzando una non facile unità di tutte le liste di opposizione, otterrebbe l’identica percentuale del 44%.

Situazione molto diversa a Genova, dove il sindaco Bucci verrebbe clamorosamente sconfitto da un ipotetico schieramento di campo largo: Pd 31,09%, 5 Stelle 12%, Alleanza Verdi Sinistra 9,56%, Azione 4,43%, Stati Uniti d’Europa 4,11%, Pace Terra Dignità 3,15%. Un dato che andrebbe oltre il 60% e che, se depurato dai voti di Stati Uniti d’Europa, Azione e Santoro, assicurerebbe comunque un comodo 52%. Mentre i risultati delle destre non sono certo brillanti: Fratelli d’Italia 21,56%, Forza Italia 6,54% e la Lega crolla al 6,33%. Situazione analoga, anche se leggermente meno marcata, si regista a La Spezia: PD 29,26%, M5S il 9,91%, Alleanza Verdi Sinistra 6,79%, Stati Uniti d’Europa 3,63%, Pace Terra Dignità 3,46%, Azione 2,55%.

Ora si tratterà di analizzare anche i risultati delle elezioni comunali, che in Liguria riguardavano ben 125 comuni. Ma una cosa è certa: se fossi nei panni dei vari Toti, Bucci, Peracchini &Co. non dormirei sonni tranquilli.

Nicola Caprioni

Nel dopo europee, nostalgia di Nanni Moretti

Abbiamo votato. Si fa per dire, perché per la prima volta alle Europee siamo scesi sotto il 50% degli aventi diritto. Quindi, niente mugugno per chi non ha votato: non se lo può permettere. Siamo già sommersi di commenti; e quei pochi che hanno ammesso di aver perso, più che leccarsi le ferite stanno trovando le solite scuse; dando la colpa alla mancata affluenza, all’avversario con cui erano alleati (v. Calenda-Renzi) e alla congiunzione astrale sfavorevole. Una notizia positiva è invece il fatto che se tra i Fratelli d’Italia (ho letto un meme delizioso: preferisco essere figlio unico che avere dei fratelli d’Italia) e il PD c’è stato quasi un testa a testa, Genova è andata in controtendenza; con il 31,09 di Schlein rispetto al 21,56 dei meloniani. Ma ormai questo è il passato e vorrei guardare al futuro, ovvero alle prossime elezioni regionali, nel 2025, e alle Comunali del 2027. Se la prima data è dietro la porta, la seconda non è così lontana. Questa piccola onda di ritorno dovrebbe far ragionare l’opposizione per cominciare a lavorare sulla Regione. Ma, parafrasando un vecchio titolo di un film di Carlo Vanzina 1985 – Sotto il Vestito Niente – sotto questa mini-vittoria della sinistra c’è il vuoto pneumatico, o una fossa biologica, e non saprei dove sia meglio cadere. Può perfino succedere che, in caso di auspicate dimissioni di Toti, comunque fuori gioco come abbiamo già detto, e non solo noi, Genova possa andare al voto a ottobre. Si vis victoriam, para ducem. In senso di guida, non come piacerebbe a Vannacci & co. che non è manco riuscito a far crescere la Lega; che ormai prova a superare a destra FdI. E il nostro concittadino Rixi, che ne pensa? Sta a fare il pesce in barile, probabilmente aspettando gli esiti del redde rationem tra gli Zaia, gli imperituri Bossi, i Flavio Tosi e tutti quelli che erano partiti al grido di indipendenza del nord, Liguria compresa? Ricordo Salvini che gridava schizzando “chi non salta è napoletano”. E pensare che ora prendono più voti al sud che a nord. Il ritorno dei boia chi molla? Ma torniamo alla sinistra (evviva i termini destra-sinistra). Con l’appello all’attuale opposizione come il grido di Nanni Moretti nel film Aprile. Quello rivolto a D’Alema, quando faceva il politico prima di diventare un brasseur d’affaires border line (notare l’eufemismo): dì qualcosa di sinistra! E magari qualcosa di buono ne verrà fuori.

Magari una/un candidata/o che non si fuma gli Spinelli.

Carlo A. Martigli

La prima tutela in una regione che invecchia

Sanità, a qualcuno piace privata

In Liguria è in corso da anni lo spostamento dei servizi sanitari dal pubblico al privato; una politica bipartisan. Ora assistiamo sia al rafforzamento della tendenza che all’orgogliosa rivendicazione dell’esito. Privato è bello e il governatore Toti non perde occasione per ribadirlo. Anche nella sua memoria difensiva per la Magistratura, si sciorina il cosiddetto pensiero NeoLib: il privato sarebbe un valore aggiunto per la collettività. Oggi in Liguria le strutture sanitarie private sono circa 1000, di cui 600 “accreditate” e le restanti “private pure”. Il processo di accreditamento verifica la rispondenza della struttura a standard qualitativi fissati dalla Regione e permette di operare in convenzione col SSN. Le strutture private “pure” operano invece dopo una preliminare autorizzazione regionale, senza accedere al convenzionamento. La scusa con cui i fondi destinati al SSN vengono sempre più dirottati verso il privato è quella di coprire le carenze provocate dal de-finanziamento del pubblico. Se poi si è disposti a pagare di tasca propria l’intera prestazione, si ricorre al privato puro. Secondo i dati Istat del Gimbe (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) nel 2022 i liguri hanno speso per la salute 1.446 euro a famiglia, l’11,3% in più rispetto all’anno precedente. Nello stesso anno il 5,6% delle famiglie liguri ha rinunciato a prestazioni sanitarie. E le aree sopperite dal privato non coprono omogeneamente tutta l’assistenza. In Liguria l’area dell’emergenza e delle acuzie resta esclusivamente pubblica; a parte l’ospedale Saint Charles di Bordighera, primo ospedale pubblico con pronto soccorso gestito dal privato accreditato. Anche le RSA, i centri diurni, i laboratori di analisi sono in gran parte privati accreditati. Quindi la crescita del privato riguarda le prestazioni più redditizie, stante la sua tendenza a minimizzare i costi per massimizzare i profitti. I privati gestiscono le risorse interne in base alla “salute aziendale”, laddove il pubblico ha obiettivi gestionali imposti dalla Regione per perseguire la salute dei cittadini. Perciò la “buona competizione” tra sanità pubblica e privata, più che far crescere la qualità degli uni e degli altri, rischia di danneggiare il SSN. D’altronde, essendo ormai tardi per tornare indietro, si deve sperare nello sviluppo di una vera funzione integrativa e non sostitutiva del privato. Mentre incombe il rischio tracollo del SSN, che pure continua ad essere tra i più efficaci al mondo.

Nuccia Canevarollo

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Da il manifesto del 28 maggio: «‘Posa del primo cassone della Nuova Diga Foranea di Genova’, il titolo della conferenza stampa di ieri a Palazzo San Giorgio sede dell’Autorità di sistema portuale. Peccato però che dagli schermi collegati con il mare prospiciente Sampierdarena si è visto arrivare il cassone, rimorchiato dal porto di Vado, galleggiare ma non posarsi sul fondo del mare, nemmeno immergersi. Sarà per i prossimi giorni? Nessuna informazione ufficiale dalle autorità presenti». La metafora di un porto allo sbando?

Il cassone galleggiante. Ovvero l’allegoria del ballismo portuale

Giovedì 23 maggio, alla partenza del primo cassone gli ormeggi del terminal container di Vado erano deserti. Qui di solito le navi non superano i 5-6mila teu; sono “feeder” che fanno cabotaggio mediterraneo con capolinea Pireo, Tangeri o Algeciras, salvo un paio di servizi diretti con il Nord Europa e il Nord America per navi della stessa stazza. Traffici da porto sub-regionale. Nonostante il terminal sia stato inaugurato 4 anni fa per ospitare mega-navi grazie a un investimento statale di 400milioni, con cui sono stati cementati 211mila mq della riviera di Vado con la promessa di 900mila teu e relativi posti di lavoro. Invece, nel 2023 il terminal ne ha movimentato meno di 300mila; e le proiezioni al marzo 20024 sono a 200mila.

Venerdì il cassone è transitato davanti al terminal di Prà. Le navi ormeggiate erano quattro, di cui due 15mila teu, in attesa di una 20mila. Prà non solo può ospitare le mega-navi ma serve regolarmente linee da 20mila teu. Di 24mila, per le quali si sta spendendo un paio di miliardi nella nuova diga, a Prà nell’ultimo anno se ne sono viste due. Ma in Italia di tali dimensioni arrivano solo a Gioia Tauro.

Per aspettarsi le 20-24mila non basta avere la banchina grande o la diga larga, occorre che la quantità di container imbarcati e sbarcati ne giustifichino la toccata. Un problema economico domanda-offerta di trasporto, non di navi e infrastrutture. I traffici nei porti italiani da anni restano fra 10 e 11mlo teu/anno perché l’economia ristagna.

Per tornare a Prà, nel 2017 il terminal ha fatto 1,6mlo teu, nel 2023 è sceso a 1,4, anche se ci arrivano le mega-navi; così come l’intero porto genovese è sceso nello stesso periodo da 2,6mlo a 2,4. Altro che crescita infinita dei container, come scritto nei documenti della nuova diga. L’errore inammissibile del progetto è guardare solo alle navi e non alle merci, all’offerta portuale e non prima alla domanda di trasporto. Ma è davvero un’allucinazione economica? O il governo è al servizio (non sempre gratuito, vista l’inchiesta giudiziaria genovese) degli interessi delle imprese che regnano sulle grandi opere; che nei porti convergono con quelli delle imprese che dominano i trasporti marittimi? Queste ultime sono sempre favorevoli alle opere, tanto paga lo Stato e loro, per accaparrarsi una posizione di rendita pressoché certa, sborsano canoni infimi rispetto ai costi di locazione logistica e industriale fuori dal demanio. Che ne è dell’interesse pubblico?

R.D.I.

E anche Rixi si adegua al ballismo logistico

Nel suo intervento alla cerimonia di posa del cassone il vice ministro Rixi ha dato conferma della compromissione del governo dichiarando che la nuova diga «avrà la capacità di generare un aumento del traffico portuale di circa il 40%, con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro». Ossia passare dalle attuali 50mlo tonnellate di merce a 70 mlo? E quante migliaia di nuovi occupati? Dunque: «un incremento tra 2 e 3mlo teu per Genova». Cioè aumentare dagli attuali 2,4 a 4,5-5,5 mlo teu?

Rixi si è scordato di verificare i numeri dell’Analisi costi-benefici (ACB) agli atti dell’opera; forse perché secondo il sodale Bucci, con la consueta boria dell’autocrate, «le opere non si fanno coi costi/benefici, io [l’ACB] non la considero». L’ACB agli atti del progetto prevede nel 2045 900mila teu aggiuntivi a Sampierdarena rispetto al 2026, raggiungendo il totale di 2,4mlo. Ma l’ACB stimava di partire nel 2027 da una quota di 1,5mlo, mentre nel 2023 (e il 2024 non sarà migliore) la quota di traffici a Sampierdarena è solo 1mlo, già in ritardo di 0,5mlo teu. Da dove ricava Rixi gli altri milioni di teu che promette? Addirittura, per fare il ministro di tutti e non solo di Genova Rixi, ne ha promessi 2mlo in più nel Nord Tirreno grazie alla diga di Genova, che vorrebbe dire oltre il 100% di aumento per La Spezia e Livorno. Altro che allucinazioni! Non dovrebbe piuttosto il vice Ministro pensare a come fare arrivare le merci a Vado e a Prà, dove invece di 2,9 mlo teu se ne movimentano 1,6 (il 45% in meno), nonostante le maggiori forze armatoriali e terminalistiche del mondo senza limiti per le mega-navi. Dove le giornate di lavoro diminuiscono e con esse i salari dei lavoratori e le speranze di occupazione dei giovani?

Rixi dica da quali fonti trae questi dati e si scusi di non averli controllati, oppure ammetta di avere mentito sapendo di mentire. Se così, non sarebbe il suo discorso anch’esso un atto di corruzione dell’opinione pubblica? Promettere reddito e posti di lavoro a vanvera per ricevere il via libera a spendere miliardi di soldi pubblici a favore di singoli privati, per un’opera tuttora non verificata sul piano tecnico, di possibile rischio di fallimento e incidente, di dubbio bilanciamento costi-benefici, di omessa considerazione degli altri scali del sistema, di contestata approvazione amministrativa, sicuramente riducibile per dimensioni e costo a parità di vantaggi. Infine, che ha avuto come commissario un imputato di corruzione come Signorini.

Riccardo Degl’Innocenti

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

La Liguria come un cinematografo

Non ne posso fare a meno: di fronte a certe vicende, certi atteggiamenti, certi linguaggi la mia mente corre subito alla cinematografia. Perché, se la realtà supera la fantasia (e questa frase si attaglia alla situazione ligure quanto ad altre mai) è pur vero che la rappresentazione che ne danno certi film conserva quel che di poetico che la squallida, misera, penosa realtà non ha né ha mai avuto. Un po’ come i film o i libri sui mafiosi che restituiscono ai malandrini un immeritato alone fascinoso, mentre Umberto Eco sottolineava che si sarebbero dovuti descrivere per com’erano realmente e quale vita da topi di fogna erano condannati a vivere togliendogli così ogni occasione per essere ammirati, quindi emulati. Poi ci ha pensato qualcuno a “sdoganarli” e a trasformarli in preziosi alleati politici.

Veniamo quindi alla recente vicenda totiana, che ci offre gustose occasioni da cineamatore.

La prima ci viene servita su un piatto d’argento dall’araldo Giampedrone, fanciullo comodo per ogni stagione dall’aria fintamente disponibile di chi sa, o spera, di avere le spalle coperte, almeno ancora per un po’. Dunque il nostro, in un’intervista a TGCom, incensando Toti, dichiarava che “terminare” il mandato è necessario per il bene della Regione. Sfido chiunque a non fare la mia stessa associazione: il sedicente governatore come il Terminator di Schwarzenegger, fisico a parte.

A un secondo livello, il commosso peana dei deprivati dell’amata (?) presenza in risposta al suo accorato appello dal confino di Ameglia – Addio Lunigiana bella! – mi evocava il ricordo di un altro capolavoro, per gli amanti del genere: la scena dei festanti ricconi danzanti, l’orchestra che continua a suonare, i poveracci chiusi in Terza classe mentre “il più grande transatlantico del mondo” stava schiantandosi contro un iceberg. E ditemi se il paragone non è azzeccato. Non parlo qui dei guai con la legge, parlo della gestione della Regione e del Comune, con tutte le millantate capitali di qualcosa.

E qui arriva l’ultima citazione, riservata al sindaco, cui auguriamo pronta guarigione, ma anche un rapido ripensamento, prima che lo schianto e l’affondamento siano inevitabili.

Ricordate Robert Duvall mentre pronuncia la fatidica frase: “Mi piace l’odore del Napalm al mattino”? Ecco, ora immaginate il nostro sindaco che, guardando con amore il plastico di tutte le opere che con magnanimità paterna vuole “donare” alla città, pronuncia: “Amo l’odore del cemento al mattino”.

E al pomeriggio, di notte…

Maura Rossi

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Pozzoli con Luigi Lucchini presidente Confindustria e Carlo Argilla (Cisita)

Sul DNA politico spezzino: Piero Pozzoli (1939-1997)

La notizia che tra i finanziatori di Toti ci fosse l’Edilizia Tirrena mi ha turbato. E indotto flussi di ricordi che riconducono a un civico della spezzina Piazza Verdi. Lo “scagno” dell’allora titolare di quella società di costruzioni, in cu si incontrava periodicamente un gruppo di figli di industriali. Il padrone di casa si chiamava Piero Pozzoli, l’unico spezzino mai asceso ai vertici di Confindustria: presidente nazionale del Movimento dei Giovani Imprenditori e poi vice di Gianni Agnelli per i senior. Gli anni in cui il quadro politico italiano post-68 provava ad andare oltre la democrazia bloccata; e pareva che persino la stessa componente padronale potesse svolgere un ruolo riformista. Piero fu uno dei protagonisti di quella stagione, con il suo particolare profilo un po’ vitellone e un po’ tribunizio. Quanti dei suoi concittadini ancora ricordano? Io lo frequentavo da responsabile dell’house organ del Movimento.

Tra noi si parlava di politica industriale e politica tout court, di cui Pozzoli era cultore ossessivo, con la sua doppia tessera repubblicana e radicale pannelliana. Difatti i suoi interessi erano altrove, rispetto all’impresa (allora guidata da una madre che i colleghi ammirati assicuravano dotata di “un grappolo di coglioni”), ma sempre con quel suo spirito del luogo che imparai a conoscere frequentandolo. Perché il Golfo dei poeti ospita un homo politicus di tipo particolare, connotato dal singolare mix di idealismo e cinismo. In cui l’esternazione ad alto tasso valoriale coesiste con pratiche d’assoluta spregiudicatezza, la serena convivenza con la doppiezza intellettuale. Nella terra di confine oltre il Bracco.

Difatti Piero si commuoveva citando l’Ernesto Rossi leader del non mollare antifascista mentre scompaginava le organizzazioni di rappresentanza, via, via presiedute, per raggiungere obiettivi meramente personali. La stessa mancanza di scrupoli che ritroviamo in ben note biografie di politicanti cresciuti all’ombra dell’Arsenale.

Però mi disturbava pensare che la famiglia Pozzoli si fosse sporcata nell’operazione miserevole dell’obolo a Toti (mille euro) per un affaruccio in porto. Visto che a questo ragazzaccio col ciuffo da Gianni Morandi e le mani come badili si finiva per volere bene. Un pezzo d’uomo che quando un male cattivo se lo portò via mi dicono pesasse 40 chili. Che preferisco ricordare per le battaglie ideali e non per i maneggi.

Ho apprezzato scoprire che i figli di Piero avevano ceduto per tempo la società paterna.

Pierfranco Pellizzetti

ASL V, la Cenerentola della sanità ligure

I dati sono impietosi. La ASL V Liguria, corrispondente a quasi tutta la provincia della Spezia, subisce una discriminazione gravissima, che mina seriamente le possibilità di un’assistenza sanitaria decente. Manca il personale, mancano medici, mancano infermieri. Questi i dati per mille abitanti: ASL I 5,6; ASL IV 6; ASL II 7,1; Genova 8,3. (il dato di Genova comprende oltre al personale dell’ASL III quello delle amministrazioni speciali del San Martino, Galliera e Gaslini).

Forse l’assessore Grattarola non sa che a giugno 2015, varo della Giunta Toti, gli infermieri del SSN in Liguria erano 10.500 (fonte “libro bianco” Assessore Viale), pari al 6,75 per 1.000 abitanti. Non tantissimi, ma da allora sono diminuiti di 155 unità. Altro che “importante piano di assunzioni”. La media europea di infermieri è di 8 per mille abitanti. Grattarola gioisce per il dato ligure, che è 6,5 e collocherebbe la Liguria al terzo posto tra le regioni italiane. In realtà parliamo di uno Stato che ha una media più bassa di quella comunitaria. E non capiamo di cosa ci sia da gioire.

Se poi analizziamo il dato per territori, constatiamo la discriminazione contro la provincia della Spezia; e, in misura minore, anche contro Imperia.

È curioso che il massimo responsabile di questo squilibrio sia un eletto proprio nel collegio spezzino: niente meno che il presidente della Regione Giovanni Toti, che è ha ostentato tale sicumera da pensare che nel suo “feudo” potesse fare ciò che voleva. Sicché, viste le sue ambizioni “imperiali”, convenisse cercare di accattivarsi la concentrazione più importante di elettori e magari anche le lobbies che ruotano intorno all’affare sanità.

Oggi Toti è agli arresti domiciliari nella sua casa di Ameglia. Forse la sua carriera politica è compromessa. Sicuramente non ci sarà un terzo mandato. Sino ad oggi il vaso di Pandora della sanità non è stato ancora aperto e i temi sanitari nelle accuse della Procura sono, per il momento, abbastanza marginali; come quella di aver truccato i dati del Covid.

Nel frattempo i bilanci della ASL liguri e delle aziende speciali di San Martino, Galliera e Gaslini presentano gravi deficit. La ASL V, non fornendo prestazioni, non avendo personale, chiude invece con un bilancio attivo di 3 milioni e 500mila euro. Ebbene, questa cifra non viene reinvestita nel territorio per cercare di rimediare alle gravissime carenze della sanità pubblica locale, ma le viene sottratta trasferendola al San Martino per mera estetica contabile.

Nicola Caprioni

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Imperia, una partita giocata tra due Destre

In una Sanremo che alle Europee esprime un voto politico tutto a destra (35,81% a FdI, 12,51 Lega e 10,42 Forza Italia, per un totale del 58,74%; seppure con votanti ridotti a meno della metà), le contemporanee elezioni comunali (con una partecipazione al 55%) sanciscono il ballottaggio tra i due candidati del centrodestra, speculari e intercambiabili: Gianni Rolando con i partiti ufficiali (42,37%) e Alessandro Mager mascherato da civico (32,31%). Quest’ultimo aggrega presenze di ispirazione totiana (che in effetti si ritrovano nei due schieramenti, nonostante la corsa alla presa di distanza per le note vicende giudiziarie del governatore) e la benedizione di Claudio Scajola in persona, confermata anche dopo il primo turno.

Il Sindaco uscente, quel Biancheri dal multiforme agire politico che nel corso dei due mandati lo ha portato dal centro sinistra al centro destra, passando da Toti a Scajola a Renzi, in attesa di una propria collocazione ha piazzato Assessori e Consiglieri in una lista civica a supporto di Mager. Il giudizio politico sul suo operato gli è stato dato dalla città: la lista con cui aveva vinto nelle due tornate precedenti e nella quale erano presenti i suoi maggiorenti ha raccolto un misero 7%!

Insomma, si cambia pelle; ma ancora una volta – in questa città conservatrice dai rari sussulti ideali – hanno prevalso vecchie logiche di potere, intrecci di convenienze e voti clientelari, dove ciò che è interesse pubblico o bene comune va marginalizzato.

Una città che negli anni ha sostituito la speculazione edilizia delle seconde case (ricordate Italo Calvino?) col culto delle grandi opere, dei mega investimenti privati, del project financing che svende pezzi di territorio (il porto vecchio, ad esempio); dove manca completamente la cura ordinaria, l’attenzione alle periferie, la “manutenzione” sociale, dove l’ambiente è depredato e la memoria storica perduta.

Una nota positiva: il centro sinistra, finalmente unito senza i 5Stelle, arriva al 20%. Un risultato apprezzabile perché costruito dal nulla, che può rappresentare un buon punto di partenza con Fulvio Fellegara (già segretario provinciale CGIL). Il polo su cui costruire ancora di più e meglio, sperando che non si disperda (o faccia scelte sbagliate e incomprensibili …anche questa è storia!), dove i valori “diversi” esistono e possono smuovere qualche coscienza, coinvolgendo persone nuove. Il futuro è tutto da vivere, compreso conoscere il prossimo Sindaco di Sanremo tra una settimana!

Daniela Cassini

Ex voto marinari dalle chiese savonesi in mostra a Genova - Diocesi di  Savona-Noli ex voto savonese

Savone pays du Roi, l’idioma contenitore di storia (6)

Claudio Magris descrive la sedimentazione nel linguaggio di scambi e contaminazioni longue durée di cui le etimologie sono la spia da riattivare per (ri)trovare pezzi importanti di storia materiale dimenticata. Nel nostro caso un’antichissima parlata mediterranea: «il mondo, la realtà, i gesti e il vociare delle persone, l’indefinibile trapassare della natura nella storia e nell’arte, il prolungarsi della forma delle coste nelle forme dell’architettura, i confini tracciati dalla cultura dell’ulivo, dall’espandersi di una religione o dalla migrazione delle anguille, i destini e le storie custodite nei dizionari nautici e nelle lingue scomparse, il linguaggio delle onde e dei moli, i gerghi e le parlate che mutano impercettibilmente nello spazio e nel tempo. Chiacchera, ciacola e cakula; scirocco, silok e siroko; barca, barcon, barcosa, barcusius, bragoc». Nella storia immobile del mare “tra montagne”, in cui il tempo cronologico si sovrappone al tempo sociale, questa parlata mediterranea è – per dirla musicalmente – il “basso continuo” di assonanze ed etimologie, sonorità e cadenze che si intrecciano, creando un ordito inconfondibile per l’orecchio. Lungo le piste marine descritte da Magris: inseguendo i traffici dell’ambra o le peregrinazioni degli ebrei sefarditi, i linguaggi si sono succeduti e parole appartenute a lingue scomparse si ritrovano in quelle vive. Ne avevamo già accennato nel lascito custodito dal vocabolo mandillu (fazzoletto), greco mandili, derivato dalla permanenza per novant’anni della flotta bizantina nei porti di Savona e Genova. Anche per questo, con “dialetto savonese” (savoneise, o generalmente zeneise) ci si riferisce alla varietà ligure parlata nel centro di Savona, che le odierne classificazioni identificano come sub-varietà all’interno delle parlate centrali della regione; del tutto affine a quella parlata nel capoluogo regionale. Anche per le già rilevate specularità nell’evoluzione storica, economica e politica tra i due centri urbani. Operazione di antiquariato linguistico che si potrebbe spingere ben più a ritroso; magari tradotta in spericolate congetture: il toponimo “Acquasola”, per l’attuale parco genovese, deriverebbe da Akka, romanizzata in Acca-Solis, dea della fertilità con un centro di culto su quella collina? L’intercalare locale belin originerebbe dal culto del dio semita Baal, diffuso nella costa occidentale e accolto nel pantheon capitolino come Juppiter Baalinus (munito di un grande fallo)? (Continua).

Pierfranco Pellizzetti

PASSEGGIATE D’ARTE

Bellezze dimenticate da riscoprire

La pietra di Luna, i marmi di Luni e l’impero romano

Si è aperta il 18 maggio e resterà in visione fino al 29 settembre una mostra davvero interessante, non solo per la collocazione sempre seducente e suggestiva del Teatro del Falcone di Palazzo Reale, ma perché finalmente mostra una verità troppo spesso ignorata; ossia che una parte importante delle bellezze di Roma, iniziando dal periodo di Augusto, è stata creata utilizzando il marmo di Luni. Quanti sanno, ad esempio che la Colonna Traiana o l’Ara Pacis, opere di sconvolgente bellezza, sono fatte con questo marmo? Come stupirsi in un Paese dove in uno spot pubblicitario (per un salume) una bimba guardando il Colosseo esclama “Ho visto cose che avevano più di mille anni”! Il marmo di Luni, estratto dalle cave apuane che in epoca romana facevano parte del territorio della colonia di Luna venne utilizzato per esaltare il ruolo della citta Caput Mundi, abbellendola e facendone un modello da ammirare in tutto l’impero.

La mostra, articolata in varie sezioni tematiche, parte da un inquadramento geologico che svela l’esistenza di vari marmi bianchi estratti fin da tempi remoti, poi incentra l’attenzione sui marmi apuani, composti principalmente dai bianchi e da un marmo di colore grigio-azzurro, noto come bardiglio. Interessante è la parte dedicata al trasporto con l’utilizzo di navi lapidarie, addirittura illustrandone la vita a bordo. Importante spazio è dedicato a Luna, la città di marmo che, per questa sua particolarità, colpì poeti come Rutilio Namaziano (V secolo d.C.). La mostra ricostruisce il contesto ambientale evidenziando la presenza del porto, oggi interrato, segue poi la presentazione dei principali edifici pubblici tramite una selezioni di reperti e ancora si possono ammirare elementi architettonici, statue e iscrizioni che testimoniano la molteplicità degli impieghi del marmo lunense, dell’abbondanza con cui era utilizzato e dell’elevato livello artigianale raggiunto. Uno spunto di riflessione è dato poi dalla sezione dedicata al legame che, come detto dall’età augustea, si crea tra Luna e Roma che diventa così l’acquirente privilegiato del marmo di Luni, usato come efficace strumento di propaganda. Come ha scritto Marcella Mancusi, archeologa e conservatrice del Museo nazionale e parco archeologico di Luni, la mostra diventa così «un’occasione per un viaggio nel tempo e nello spazio tra cave affacciate sul mare, trasporti marittimi, città che si rivestono di marmo, in un intreccio di bellezza e giochi di potere». Da non mancare.

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

L’analisi del voto tra statistica e memoria: il caso Lavagna.

Era il giugno del 1983 e si rivotava per le elezioni politiche dopo lo scioglimento delle camere del 4 maggio. Nella legislatura appena interrotta si erano succeduti diversi governi: i primi due con a capo Cossiga, poi Forlani, la doppia novità Spadolini, infine il più classico dei governi democristiani a guida Fanfani. In quella primavera si iniziava a prefigurare un governo “balneare” che superasse l’estate; ma il presidente della Repubblica, l’indimenticabile Sandro Pertini, mandò tutti a casa e chiamò gli italiani al voto.

La campagna iniziò nel più classico dei modi: volantinaggi, diffusione dei giornali di partito (esistevano ancora), manifesti, gli indimenticabili comizi in piazza con megafoni strombazzanti e pubblico plaudente! Poi la Tv, con le Tribune Politiche e i duelli tra segretari di partito e giornalisti, colpi di fioretto e sciabolate. Ma ecco la novità: le redazioni spostate a Lavagna per lo scrutinio in diretta. Come mai? La scoperta che il trend di quel comune anticipava quello dell’intero paese.

Si votò il 26 giugno, alle urne 44.526.357 di elettori italiani (88,01%), a Lavagna 11.350 (88,06). I maggiori partiti raccolsero il frutto della loro campagna con un 32,5 della DC nazionale e un 32,9 a Lavagna; i comunisti raggiunsero il 29,6 nell’intero paese e identica cifra a Lavagna; stesso risultato per socialisti, repubblicani, liberali e socialdemocratici. Idem per il partito di Giorgio Almirante, con un 6,01 nazionale e un 5,99 a Lavagna. Ultimo dato per comporre il quadro complessivo con il risultato di Democrazia Proletaria, alla sinistra del PCI: raggiungeva un 1,4 nazionale, a Lavagna 1,3.

Ora, in occasione delle europee, ho provato a fare una verifica della specularità Lavagna-Italia scoprendo che ormai la simmetria è andata perduta.

A Lavagna si è votato anche per il rinnovo dell’amministrazione comunale, senza ballottaggio e con due sole liste a sfidarsi: la prima quella uscente del sindaco Mangiante, lo sfidante Lapetina con un raggruppamento molto eterogeneo. Le urne hanno confermato Mangiante con uno scarto di cento voti. Ma oggi – ecco lo scostamento dal passato – questo è uno dei tanti comuni in cui più di metà elettori preferisce andare al mare. Quanto tempo è passato dai lusinghieri risultati di cinquanta anni orsono: quel novanta per cento di votanti che facevano di Lavagna una città campione. La singolare coincidenza premonitrice che ormai rimane soltanto una curiosità storica.

Getto Viarengo