Numero 27 del 31 luglio 2024

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Numero 27, 31 luglio 2024

Indice

SPIFFERI

Un batrace in doppiopetto al Ministero di Giustizia

Nordio desnudo

Il Guardasigilli Carlo Nordio va compreso quando gracida risentito contro l’Ordinanza del Riesame nel Totigate genovese: “l’ho letta con grande attenzione ma non ho capito nulla”. Certo: nessuno aveva informato il povero ex magistrato che corruzione e concussione continuano a essere reati. Questo bel principe cultore di Hegel (il filosofo ruffiano, giustificazionista di corte: “tutto il reale è razionale in quanto pensato”), che non riuscì a trattenersi davanti alla seduzione del potere e baciò Silvio Berlusconi. Così l’assecondamento delle sue più segrete pulsioni lo trasformò immediatamente in un grosso rospo. Malefizio da cui cerca di liberarsi slinguando tutti i ricconi affaristi che gli girano intorno. Quale slurp riporterà a sembianze umane chi sguazza nella palude del diritto?

Dagli agli untori! Canterini

Finalmente il Comune di Genova ha risolto il problema delle bande che in periferia si accoltellano e degli spacciatori che offrono la morte nei vicoli. Come? Impedendo agli artisti di strada di esibirsi. Sono loro gli untori del degrado urbano. Con un recente provvedimento il Comune ha infatti ghettizzato le loro performance, gradite alla gran parte dei cittadini e ai turisti, dividendo le zone della città in basso, medio e alto impatto acustico, con l’obbligo di esibirsi in postazione da prenotare su Internet chiedendo il permesso. Di fatto abolendo questa forma di piacere e di musica. A chi giova? A nessuno. Provvedimento senza senso, in spregio delle oltre 3.000 firme raccolte in pochi giorni. Solo per il gusto di proibire un’altra forma di libertà. Resistere, resistere, resistere.

Genova venduta a trance – Invito a una discussione

Chi ci segue sa che uno dei temi ricorrenti di Controinformazione Ligure è “il chi comanda”: la struttura del potere nelle nostre quattro province. Con particolare attenzione (non ce ne vogliano amici e amiche a Levante e Ponente) per la situazione genovese, stante che qui c’è il massimo accumulo di risorse e la sede dell’istituzione di governo regionale. Sappiamo che nel secolo scorso i soggetti dominanti erano il lavoro organizzato, specie portuale, e l’aristocrazia finanziaria; identificati dopo la guerra nel nucleo storico del PCI e nel city-boss Taviani. Diarchie ad oggi sparite, sostituite da schiere di sensali in cerca di acquirenti per la città a trance. Se chi ci legge vorrà fornirci un quadro d’insieme meno semplicistico, saremo lieti di ospitarne il contributo alla riapertura.

Care amiche ed amici, dopo l’uscita del 31 luglio Controinformazione Ligure si prende una pausa. Riprenderà le proprie uscite il 1 di settembre prossimo. Arrivederci.

C’È POSTA PER NOI

Riceviamo da un nostro affezionato lettore e amico di La Spezia   

Addio Michele 

Ho letto nell’ultimo numero di Controinformazione della morte di Michele Marchesiello con il quale, quando esercitava la funzione di Pretore a Spezia, avevo una assidua frequentazione e amicizia. Veramente indimenticabile come persona per cultura, intelligenza ed etica.

Pier Luigi Agostinelli

A cosa serve un altro forno crematorio inquinante? Ma l’assessore tace

Riportiamo il recente Comunicato stampa de La Rete Genovese, benemerito soggetto costituito da 42 associazioni, movimenti e circoli operanti sul territorio cittadino. Testo che ci offre una testimonianza altamente indicativa delle modalità (inquietanti) con cui siamo amministrati

«18 luglio 2024 – Ieri è andata in scena la Commissione I – Affari Istituzionali/Generali e la Commissione V – Territorio e Politiche dello Sviluppo, per trattare il progetto del nuovo Forno Crematorio di Staglieno. Incontro atteso da oltre un anno. Tra gli auditi della Rete Genovese erano presenti il Comitato Cittadini Banchelle, il Comitato per la difesa dei forti e delle mura di Genova, il Comitato di Via Vecchia e Strade Limitrofe, il Circolo Nuova Ecologia, Italia Nostra e Isde Medici per l’Ambiente. Come sempre grande assente l’assessore all’ambiente Matteo Campora, come l’assessore ai servizi cimiteriali, Marta Brusoni. Era presente in loro sostituzione il vicesindaco e assessore al bilancio Pietro Picciocchi, apparentemente disponibile a rispondere alle domande dei consiglieri presenti e degli auditi. Numerosi gli interventi, tra cui anche quello del Difensore Civico della Liguria, che ha messo in evidenza le criticità del progetto, la necessità di sottoporlo a Vas e il rischio elevato per la salute pubblica. Da tutti gli interventi è emerso non esservi alcuna necessità di un secondo forno crematorio. Né a Genova e né in Liguria, come esplicitato dallo stesso Piano di Coordinamento Regionale sui crematori. Ma uscito tatticamente solo a cantiere avviato, quindi non valido per i progetti già autorizzati.

Illuminante la presa di posizione del Presidente del Municipio dove sorgerà l’impianto, Maurizio Uremassi che, come Ponzio Pilato, non prende posizione; perché il progetto era già presente prima della sua elezione; però è talmente attento alla salute dei cittadini, che si preoccuperà di far monitorare le emissioni quando l’impianto sarà in funzione. Per altro in una zona già invasa da servitù inquinanti.

La domanda unanime è stata: perché vi ostinate ad andare avanti? Già a gennaio erano noti i risultati del Piano di Coordinamento, e l’amministrazione si è affrettata ad aggiudicare la gara. Nell’interesse di chi? Non certo dei cittadini, che avranno un secondo inutile crematorio con emissioni superiori a quello esistente gestito dalla Socrem; ente morale, che in quanto tale opera attivamente nel sociale.

Volete sapere cosa ha chiarito l’assessore Piciocchi? Anche noi!

Tra uno sbadiglio e una battuta, l’unico assessore referente in sala non ha risposto a nulla e la seduta è stata aggiornata al 24 luglio ore 9, sempre che la commissione sia convocata. E sempre ci sia qualche referente presente, in grado di rispondere alle nostre domande. Scomode».

La Rete Genovese

ECO DALLA RETE

Muove i primi passi la seconda fase della nuova diga di Vado

In un porto del sistema sotto la sua amministrazione, Genova, l’Autorità di sistema portuale del Mar ligure occidentale conta di impiegare due anni e mezzo per fabbricare e posizionare i 103 cassoni mancanti alla realizzazione degli oltre 6,1 km della nuova diga foranea. In un altro, Vado Ligure, per 8 cassoni componenti un nuovo braccio di 230 metri del molo di protezione la stima è grossomodo similare, 26 mesi.

Il dettaglio emerge dalla documentazione che l’ente ha appena depositato al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Si tratta del progetto di fattibilità tecnico-economica (elaborato internamente) per la seconda fase della nuova diga di Vado Ligure. I lavori della prima fase – complessivamente pensata per adeguare l’infrastruttura di protezione dello scalo alla piattaforma Apm entrata in funzione un paio di anni fa – sono iniziati nel dicembre 2021 e dovrebbero terminare nel maggio 2025.

A eseguirli l’accoppiata Fincosit-Fincantieri (entrambe nel consorzio che sta realizzando anche la diga di Genova). La prima fase consta sostanzialmente nel salpamento dei cassoni della diga esistente, nella loro traslazione a mare con differente angolazione, e nell’aggiunta di 4 cassoni di nuova produzione, per uno sviluppo di circa 450 metri di lunghezza totali.

La seconda fase, che è quella che ora Adsp ha deciso di sottoporre a verifica di assoggettabilità a Valutazione di impatto ambientale, prevede sostanzialmente un allungamento di circa 230 metri, da conseguirsi attraverso la fabbricazione e il posizionamento di 8 nuovi cassoni. Come la prima fase e per alcuni tratti della nuova diga di Genova, il prolungamento della diga di Vado insisterà su fondali molto profondi, compresi fra -44 e -49 metri. Che però, a differenza di quelli genovesi, non appaiono secondo i documenti di Adsp bisognosi di consolidamento. L’ente prevede di procedere, una volta ottenuto il via libera ambientale, con un appalto integrato per progetto definitivo, esecutivo e lavori, ma prima occorrerà garantire la copertura finanziaria dell’investimento, il cui costo è stimato in 63,2 milioni di euro. Quanto al cronoprogramma, come detto, si prevedono complessivamente 32 mesi, di cui 6 per la progettazione.

Andrea Moizo

Commenta il nostro Riccardo Degl’Innocenti:

Chi dà i numeri a Palazzo San Giorgio, Bucci o Piacenza?

Secondo il documento ufficiale elaborato da Palazzo San Giorgio e rivelato dal giornalista Andrea Moizo nell’articolo di Shipping Italy qui condiviso, per il completamento della nuova diga a Vado, pari a 8 cassoni per uno sviluppo di 230 mt, ci vorranno 26 mesi. il commissario alla nuova diga di Genova Bucci afferma che per posizionare 103 cassoni per 6,1 km di mare ci vorranno 30 mesi. Le imprese che lavorano nei due cantieri sono le stesse (Fincosit e Fincantieri), l’altezza dei fondali più o meno la stessa. A Vado addirittura la situazione è più favorevole perché il fondale è stabile e non c’è quindi bisogno di consolidarlo. Se a Genova i lavori seguiranno il ritmo di quelli di Vado, ci vorranno 28 anni e si concluderanno nel 2072. Per concludersi quando ha detto Bucci, ossia tra 36 mesi, i lavori a Genova dovrebbero invece andare a un ritmo 10 volte superiore a quello di Vado. Vedremo se Bucci o Piacenza avranno il senso di responsabilità di rispondere pubblicamente ai dati rivelati dall’articolo di Moizo, correggendoli se errati (ma sono dati depositati dall’Autorità portuale al Ministero dell’ambiente) oppure spiegando ai cittadini qual è la differenza tra il cantiere di Genova e quello di Vado.

Riccardo Degl’Innocenti

ECO DELLA STAMPA

Questo numero di Controinformazione prosegue, con un testo del 19 luglio scorso, nella raccolta e riproposizione dei “parti” giornalistici di Andrea Moizo, che consideriamo una delle pochissime voci libere nel garden club dell’informazione ligure; in cui si affollano i “premi Pulitzer di Bargagli” e i “Brunivespa in sedicesimo”.

Soldi pubblici del Morandi per “aiutare” Esselunga

«“Dobbiamo dare una mano a Bucci”. Così diceva nel marzo 2022, a tre mesi dalle elezioni comunali, il consigliere di Esselunga Francesco Moncada a Toti, schierato per la rielezione del sindaco di Genova, commissario per la ricostruzione del Morandi. La catena dei Caprotti da tempo vuole aprire un supermercato nel popoloso quartiere di Sestri Ponente. L’area scelta però è inondabile e il Comune nel febbraio 2020 le comunica che mancano 3,67 milioni per la messa in sicurezza del torrente Chiaravagna. Ma c’è il Decreto Genova. Due mesi prima la finanziaria ha inserito fra gli interventi compensativi del crollo del Morandi anche la costruzione d’un bacino di carenaggio per lo stabilimento Fincantieri di Sestri Ponente, per 480 milioni. L’iniziativa, in odor di aiuti di Stato, è quindi declinata come “lavori di messa in sicurezza e di adeguamento idraulico del rio Molinassi e del rio Cantarena, di adeguamento alle norme in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, nonché di razionalizzazione dell’accessibilità dell’area portuale industriale di Sestri Ponente”. Molinassi e Cantarena sono rii di Sestri che sfociano nelle aree navalmeccaniche. Anche il Chiaravagna corre nel quartiere. Ma nemmeno sfiora il cantiere navale. È qui l’alchimia, con Bucci commissario che foraggia Bucci sindaco. Con un decreto commissariale dell’agosto 2020 reinterpreta il Decreto Genova e fa del Comune il “soggetto attuatore delle opere prioritarie e urgenti di messa in sicurezza idraulica dei torrenti che interessano l’area urbana portuale di Sestri Ponente”. E così accorpa alla messa in sicurezza di Molinassi e Cantarena, obiettivo della legge, anche quella del Chiaravagna, da essa non contemplata, stralcia 52 milioni e ne assegna ai lavori per quest’ultimo 9,4. Più che sufficienti a coprire l’intervento del Comune (dai cui fabbisogni infatti da allora sparisce) e pure gli extracosti che impedivano la riperimetrazione dell’area necessaria ad autorizzare la realizzazione del supermercato di Esselunga: la “mano” di Moncada è più che meritata».

Andrea Moizo

Annamaria Coluccia, sempre il 19 scorso. ci racconta sul XIX come ancora una volta agli “uomini del fare” – il duo meraviglia Toti e Bucci – la ciambella non sia riuscita col buco. Riportiamo ampi stralci del suo articolo.

Scolmatore del Bisagno si allungano i tempi: scadenze impossibili

«Data di fine lavori da riscrivere per lo scolmatore del Bisagno, la grande e travagliata opera in corso per ridurre il rischio di alluvioni nella vallata. E, benché il termine fissato da contratto per la chiusura dei canteri sia aprile 2025, uno slittamento dei tempi, con conseguente necessità di aggiornare di nuovo anche il crono-programma ufficiale dell’opera, è una prospettiva che adesso viene presa in considerazione anche in Regione, negli uffici della struttura commissariale che sovrintende alla realizzazione dello scolmatore. E che ora è guidata dall’assessore Giacomo Giampedrone, che ha assunto i poteri di commissario di governo dopo la sospensione del presidente Giovanni Toti, agli arresti domiciliari. La prospettiva di questo ulteriore ritardo è la conseguenza dell’allungarsi dei tempi di arrivo dalla Cina della talpa che dovrebbe dare un’accelerata alle opere di scavo della galleria scolmatrice. A tutt’oggi, infatti, non c’è una data certa per l’arrivo – slittato già più volte – del macchinario, anche se è atteso entro l’estate. Ma se pure questo avvenisse, il traguardo di aprile per la conclusione dei lavori sarebbe comunque ormai poco realistico. Dalla struttura commissariale fanno sapere che il crono-programma verrà aggiornato comunque solo dopo l’arrivo della talpa, e se ci saranno sforamenti rispetto al termine di aprile 2025, verranno applicate all’appaltatore le penali previste, proporzionate agli eventuali ritardi. E quindi, più i tempi si sposteranno in avanti e più salate saranno le penali per il consorzio d’impresa che sta realizzando lo scolmatore. ‘Secondo noi è impossibile che i cantieri finiscano entro la data prevista: non lo diciamo certo perché vogliamo gufare, perché saremmo ben contenti se, invece, questo accadesse, ma perché vediamo qual è l’andamento dei lavori’ dice Federico Pezzoli, segretario generale della Filea CGIL di Genova e Liguria, che definisce quello dello scolmatore un cantiere ‘ancora con criticità’. […] Il cantiere, però, aveva avuto fin dall’inizio un andamento a ostacoli e poi è inciampato più volte anche nell’altalena di interdittive, emesse e cancellate, nei confronti del consorzio Research, che aveva vinto l’appalto per la realizzazione dell’opera che vale oltre 200 milioni. Intanto, da qualche giorno il sito internet dedicato allo scolmatore, dove era possibile seguire l’andamento dei lavori, è fuori uso. ‘Stiamo effettuando dei lavori sul sito e torneremo a breve’, dice l’unico messaggio pubblicato».

Annamaria Coluccia

FUORISACCO

L’amico Getto Viarengo ci trasmette questo documento chiavarese del 27 luglio 1943:

Una memoria da non cancellare

Riceviamo da Rinaldo Mazzoni del Comitato SiTram

La bocciatura dello skymetro fa bene alla città

Circola in rete e sui giornali il lodo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, l’organo del Ministero che fornisce pareri non vincolanti (purtroppo) su progetti di infrastrutture come quello di Val Bisagno; bocciato in quanto carente sotto molti punti di vista, elencati in 20 pagine! Benvenuta bocciatura perché skymetro è un errore trasportistico: l’investimento enorme per una linea che non incentiva l’uso del trasporto pubblico. Così i residenti avrebbero a disposizione una linea di bus depotenziata oppure una metropolitana lontana e a tre piani di altezza: un pasticcio!

Ma al di là di ciò, la critica forse più forte a questa soluzione è la scelta di puntare sulla metropolitana per dare a Genova una “dorsale” su cui innestare il trasporto urbano. Possibile che politici, tecnici, architetti (e ci possiamo mettere pure Renzo Piano col suo affresco anni ‘80) nelle varie proposte abbiano toppato? Sì, perché una metropolitana costa 100 milioni di euro al Km (prezzi pre-covid) occorrono mesi se non anni per costruirla. Se si sceglie di sopraelevarla si finisce con uno skymetro al modico costo di 80 milioni di euro al Km. Ma perché toppano? Perché ritengono che l’unica soluzione sia aggiungere spazio per il traffico privato con posteggi di interscambio e togliere dai piedi i bus che intralciano. Così lo spazio resterebbe dominio di auto e moto anche nel futuro. Oggi, nelle città meglio governate si è compresa questo tendenza e viene ostacolata: in giro per l’Europa ormai è un florilegio di zone a traffico limitato, centri città senza auto, quartieri verdi e così via. Il paradosso che riducendo le corsie delle strade, allargando i marciapiedi, creando zone a traffico limitato e altri provvedimenti di moderazione del traffico, si riduce traffico e congestione. Un paradosso che il cittadino comune e il politico a caccia di voti, non capiscono. È questa la “magia” delle corsie riservate: sottraggono spazio al privato e fanno viaggiare veloce e con tempi certi il pubblico. Per questo motivo il bus o, meglio, il tram deve passare in una corsia già esistente oppure attraversare le zone pedonali o semipedonali, come nelle città straniere che riescono a gestire il traffico. Questa la proposta per Genova, città allungata formata da tanti ex-comuni, ciascuno con un centro, piazze e zone pedonali, negozi di vicinato: servita da un tram che assicura viaggi comodi ed efficienti per tutti, come una normale città europea.

Rinaldo Mazzoni

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Claudio Burlando il “rieccolo”: si salvi chi può

L’intervista rilasciata dal Cincinnato di Torriglia al Secolo XIX del 14 luglio, tradisce palesemente una smania di rientrare nel gioco politico ligure dopo un digiuno decennale; da cui si sente richiamato visto il vuoto di potere creatosi in Regione. Anche se ancora va appurata la modalità: da protagonista in prima persona o kingmaker del dopo Toti? L’ipotesi che circola sarebbe quella di ergersi a promoter della candidatura di Marco Russo, il “nipote d’arte” attuale sindaco di Savona con passionaccia per le operazioni bipartisan (gli accordi con Toti sugli assetti provinciali savonesi); ossia gli scambi negoziali di potere con la controparte politica secondo la spregiudicata lezione del “cattivo maestro” Burlando; dalemiano migliorista già al tempo degli ultimi bagliori del PCI. Anche se la sua ben nota ansia di protagonismo ci fa propendere per un gioco in proprio, come confermerebbe l’utilizzo dell’uscita giornalistica per promuovere la propria immagine di “uomo del fare”, secondo gli stilemi retorici imposti in questi anni dall’egemonia Toti-Bucci: la mitologia “grandi opere” a uso dimostrativo. Così Burlando si mette subito in competizione con i propri successori sostenendo la tesi che tutti i progetti della Destra ora al governo erano stati anticipati dalla sua leadership. Con un puntiglioso auto-attestato di benemerenze in materia dell’oggetto misterioso Gronda, di cui si parla da una vita ma nessuno ancora ci ha spiegato a cosa serva davvero (a maggior ragione oggi in una città che si contrae in tutti i coefficienti di sviluppo). C’è chi è arrivato a definire la fantomatica infrastruttura una merce di scambio progettuale per accontentare l’archistar Calatrava, imbufalito per l’assegnazione senza gara del post-Morandi a Renzo Piano.

Difatti il fenomenale Burlando ha mostrato da tempo che la sua vera attitudine è l’illusionismo. Quando il Fatto Quotidiano del 20 gennaio 2010 gli rivolse in campagna elettorale nove domande, la cui ultima era sulla “sanità ligure alla canna del gas”, il noto Gerundio rispose a stretto giro di posta che erano tutte insinuazioni malevole: due settimane dopo la rielezione confermava in conferenza stampa il buco milionario del settore. E come dimenticare la cessione all’agenzia regionale ARTE del patrimonio delle ASL per un mutuo presso Carige e poi il ridicolo viaggio a vuoto in Russia per esitarne gli immobili? Se gli attuali governanti sono dei magliari professionali, chi li ha preceduti lo era a livello amatoriale.

Pierfranco Pellizzetti

I cinefili conoscono ‘Helzapoppin’, film americano del 1941. Il nome nasce dalla somma di tre parole Hell (inferno), zap (esplosione), pop (popolare) e indica il coacervo di situazioni paradossali. Un film che consiglio di vedere come alternativa consolatoria ai cinepanettoni estivi (ossimoro), che in questo momento di ferie e vuoto di programmazione imperversano sulle tv commerciali e broadcaster vari. Doverosa premessa per permettermi di spaziare tra vari argomenti, appunto paradossali, prima che Controinformazione chiuda per la meritata (?) pausa agostana. Il primo riguarda la bella spiaggia di Paraggi, a ridosso di Portofino. Traggo la notizia dalla newsletter di Federico Rubini, riportata dal Corriere e ignorata dai media locali. Si riporta il listino prezzi dei Bagni Fiora dove un ombrellone di terza fila costa 200 euro al giorno e uno terrazza mare 350, con 48 euro al giorno di posteggio. Il canone dell’intero stabilimento pagato allo Stato (relata refero) è 5.840,25 euro l’anno. Tutto regolare, siamo nella scia del Twiga di Briatore, ma è dal 2006 che l’Italia non applica la direttiva europea Bolkenstein (da non confondersi con Frankenstein) che di fatto metterebbe all’asta le concessioni balneari, rendendo equi gli affitti rispetto ai ricavi. Altro argomento: l’apertura di un nuovo supermercato a Sestri Ponente, un discount di 600 mq. Bella notizia? Mica tanto: ogni posto di lavoro in più ne comporta almeno due in meno per i piccoli commerci, oltre ai danni per l’indotto. A parte il fatto che quando chiudono questi megastore i licenziamenti in massa recano danni irreversibili al territorio e alle famiglie. Poi non si può non parlare del toto-Toti: che fine farà? Promoveatur ut amoveatur: che sia promosso purché si levi dalle balle, la traduzione più corretta. Un posto al Parlamento: come se la decisione non fosse presa dagli elettori ma dai suoi compagni (pardòn camerati, compari, etc etc) di pasti (merende è troppo poco). E sicuramente non in un collegio ligure: rischierebbe la trombatura. Sia che venga assolto o sia condannato, una bella cadrega da onorevole: tanto sono ben quaranta i nuovi eletti che hanno pendenze con la gi

ustizia. Secondo la Stampa, che non fa parte dei media comunisti trozkisti rivoluzionari, tra questi 29 sono nel centro destra, 5 nel PD, 4 (bella maggioranza) in Italia Viva e 2 fra i pentastellati. Quando ci risentiremo a settembre, sapremo che fine avrà fatto T, ma sicuramente molto più ricca e serena di molti di noi.

Carlo A. Martigli

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Sentinelle dei fumi dal porto: allerta? “allerta stiamo”.

Dopo un mese dall’avvio del progetto di sorveglianza sulle esalazioni fuori norma delle navi, le Sentinelle dei Fumi dal Porto, come vi avevamo riferito nello scorso numero di Controinformazione, sono ancora tutte “all’erta” con risultati sorprendenti.

I Rapporti giornalieri pubblicati su FaceBook nel Gruppo “Sentinelle dell’aria” ad oggi – 25 luglio 2024 – sono arrivati al numero 36 e con un coordinamento che migliora di giorno in giorno: poche fumate nere, o meglio di grado 4 e 5 secondo la Scala Rigelmann, sono sfuggite ai loro cellulari. Dal 19 giugno al 19 luglio 2024 sono stati documentati dalle “Sentinelle” ben ottantasei episodi di “fumate scure”, presunte fuori norma, di cui cinquanta attribuiti, con nome e cognome, a solo quattro traghetti, giustamente messi sotto stretta sorveglianza dalla Capitaneria. La stessa Capitaneria, nel recente incontro dell’Osservatorio Salute e Ambiente voluto dal Sindaco Bucci e convocato dall’Assessore Maresca, ha confermato l’utilità delle segnalazioni delle “Sentinelle”, che hanno permesso di individuare le navi più problematiche in tema di esalazioni e di intervenire in vario modo per farle rientrare nella norma. E con loro piacere e sorpresa le “Sentinelle” hanno documentato come un traghetto tunisino, “Carthage”, che nei primi giorni di sorveglianza attraccava emettendo vistosi fumi scuri, dopo la segnalazione questi sono costantemente scesi alla scala Rigelmann più bassa, da R5 a R1.

Infine la sorveglianza ha permesso di documentare come non siano pochi i natanti che operano in porto senza emettere fumi scuri: si tratta- in particolare – di alcune navi da crociera di nuova generazione, alimentate con Gas Naturale Liquefatto (LGN),e una nave RoRo ibrida che entra in porto utilizzando grandi batterie al litio che ha caricato con pannelli fotovoltaici e i generatori di bordo durante la navigazione. Non mancano imbarcazioni con un po’ di anni sulle spalle ma che per tutto il tempo che sono state ospitate nel nostro porto non hanno “levato nessun fil di fumo”; e ci piace citarne una: è l’Azamara Pursuit, battente bandiera Maltese, con una linea trattamento fumo, a livello di un termovalorizzatore, e con campionamento continuo a camino per controllare in diretta la qualità di fumi. Per molti, fantascienza. Invece – se si vuole – una realtà possibile, economicamente compatibile con i bilanci dell’armatore.

Federico Valerio

La vicenda serissima dell’ennesimo ritardo nello scolmatore del Bisagno ci è stata illustrata dettagliatamente da Annamaria Coluccia sul XIX del 19 scorso: il solito cantiere-flop di questa amministrazione. Che ancora una volta offre il destro a narrazioni tipo opera buffa. Ad opera dell’amico Andrea.

Cercasi talpa disperatamente

Eh sì, a Genova abbiamo bisogno di una talpa per la messa in sicurezza del Bisagno, che già è costata alla città morti e devastazioni. In Italia di talpe ne abbiamo tantissime, ma c’è un problema. Animaletti bravi ed efficaci ma protetti in quanto fauna di pregio. Allora le menti eccelse dei nostri amministratori si sono rivolte alla Cina. E pare abbia funzionato: c’è stato un ordine, qualcuno ha recuperato la talpa, si è occupato di caricarla su una nave. Sta di fatto che è sempre in arrivo da un anno a questa parte. Ma non arriva. Si sarà persa? Si sarà buttata in mare? i cinesi la usano per fare buchi e invadere Taiwan? Nessuno sa che fine ha fatto. Per la verità nessuno ha mai visto neppure il contratto: non si sa quanto costa. chi la dovrebbe pagare né come. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che la talpa sta per arrivare: domani, la prossima settimana, il mese prossimo, arriva ad aprile, fra 3 mesi. E non arriva mai. Allora la domanda sorge spontanea: non è che la talpa anziché essere una talpa è una bufala, come quelle che regolarmente ci propina questa amministrazione? In particolare il Sindaco Bucci. Perché va bene che rimandiamo una volta, due volte, tre volte. Ma qui passa il tempo, di talpe non se le vedono, si avvicinano le grandi piogge autunnali e rischiamo un altro autunno-inverno a rischio alluvioni. La cosa più incredibile è che gli organi di informazione – alla faccia di tutte le loro dichiarate benemerenze al servizio dei cittadini – non abbiano mai fatto una verifica. Basterebbe semplicemente prendere il telefono e chiamare la fabbrica cinese che dovrebbe fare queste talpe. E digli: “aho c’è o non c’è, ve l’hanno pagata o no, ve l’hanno pagata, il contratto esiste e con che tempi di consegna?” Domande semplici, nell’abc del giornalismo. E invece continuano a propinarci veline dell’amministrazione, della regione, di tutto il resto. Per cui restiamo nel buio più totale, nell’ignoranza di quando il bravo animaletto arriverà a fare il buco fino a Corso Italia. Eppure ci sarebbero genovesi disponibili a finanziare la famosa telefonata e offrire l’assistenza linguistica indispensabile per la conseguente conversazione.

Nel frattempo si potrebbe chiedere al WWF una licenza strategica per catturare un consistente numero di talpe in giro per l’Italia. Senza fargli male, solo mettendole al lavoro a ‘sto benedetto tubo. Poi, una volta arrivati in fondo a detto tubo…pappa buona e coccole. Come ha diritto una bellissima talpa italiana.

Andrea Agostini

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Gli spudorati e i conniventi

Luciano Canfora ricorda che Jonathan Swift – secentesco papà letterario di Gulliver e dei suoi viaggi – scrisse un libello contro i giornalisti, denunciandone l’attitudine ingannevole. Da qui il commento del filologo barese: «non ce l’abbiamo con i giornalisti in quanto tali, ma sappiamo che per campare assecondano il potere». Quasi a prefigurare recenti situazioni all’ombra del Totigate.

Difatti, allo scoppiare dello scandalo che ha portato all’arresto dell’ex presidente di Autorità portuale con il primo imprenditore logistico genovese, oltre ai domiciliari per il leader di Regione Liguria, non si può certo dire che l’informazione locale – cartacea e televisiva – abbia ottemperato al ruolo prescrittole da Beniamino Franklin di “cane da guardia della pubblica opinione”: notizie frammentarie, mutismi sospetti (se non fosse stato per un outsider quali Andrea Moizo, chi avrebbe denunciato il naufragio silenziato del battello davanti alla diga dello scandalo?) nel costante omaggio vassallatico ai soliti potenti (vedi certe interviste in ginocchio dei brunivespa in sedicesimo di Primocanale, in trasferta a Torriglia e Imperia; il crollo d’immagine della prima emittente locale, disponibile a “coprire” finanziamenti elettorali occulti). Ovviamente tutte le malefatte della politica ligure – dalla svendita di sanità, ambiente e beni comuni vari, fino al mercimonio sulle rendite portuali – sono diretta responsabilità di una classe dirigente avida quanto di infimo conio. Però la condiscendenza – per usare un eufemismo – del sistema informativo, nei confronti di tali disdicevoli comportamenti, ha di certo contribuito a favorire il formarsi di un clima di impunità; tale da incentivare la corsa al malgoverno. E pure a giustificarlo.

Né – francamente – ha dato segni di estraneità all’incanaglimento della vita pubblica la stessa società civile – business community compresa – che pure ama rappresentarsi vergine e incontaminata. A partire dai membri del comitato di controllo dell’Autorità portuale (Canavese a parte), che dopo essersi espressi contro concessioni trentennali di favore del Terminal Rinfuse si son messi sull’attenti, proni ai voleri di chi li aveva designati alla carica. Specchio di una società sintonizzata sull’affarismo e disponibile alla liquidazione delle regole di buon governo. Con il proprio silenzio, con il proprio voto.

Per i giuristi romani era culpa in eligendo e in vigilando. Più semplicemente, connivenza oltre le soglie della spudoratezza.

Pierfranco Pellizzetti

Genova, un’antica signora deturpata da un maquillage pesante e volgare

La Vecchia signora, di juventina memoria, è un’immagine che mi piace per Genova: una vecchia, antica Signora che vorrei rispettata e trattata come tale. Ma in questi giorni mi chiedo quale senso estetico sottenda certe scelte urbanistiche dell’amministrazione comunale e ho avuto un’illuminazione. A suon di luminarie e fuochi d’artificio, alla fine ce la facciamo anche noi oppositivi e rosiconi a capire la magnifica sorte e progressiva che ci è toccata, se pur in tarda età, restandone folgorati.

L’immagine della bellezza femminile nel tempo è cambiata, oggi sempre più rimaneggiata da Photoshop e punturine per le più povere e chirurgia estetica per le più ricche. Ed è cambiato il relativo immaginario maschile, il quale, pur conservando quel non so che di pecoreccio già presente ai tempi delle prime Miss Italia, ha raggiunto le più infime bassezze ai tempi del Caro estinto, il quale amava selezionare per il suo harem le più disponibili e rifatte. Però quest’immagine dell’aggiungere artefatto a quanto esiste già non è sufficiente a spiegare le radici dell’estetica del cemento e delle luminarie.

Ci dev’essere una radice più antica.

Quanto si truccavano gli egizi faraoni e come riuscivano a venerare come generato dal Dio Sole il corpo fragile e deforme dell’adolescente Tutankhamon negando l’evidenza sotto panni regali e mitologie! E che dire della prassi di corte di camuffare olezzi e imperfezioni con profumi e belletti e impresentabili calvizie con parrucconi di vertiginose altezze?

Oggi Genova giace nell’immondizia, che non viene nemmeno nascosta più di tanto con trucchi (riservati piuttosto alle “transazioni”): qualche spatolata di asfalto qua e là a mo’ di cerone, non solo su buche a centro strada in perenne partenogenesi, ma anche laddove si richiederebbero pietra e porfido. Però la si vorrebbe maggiorata e sfigurata con gigantesche protesi e iniezioni di cemento, in una rincorsa affannosa e illusoria a farla sembrare “più giovane”, cioè l’opposto dell’omaggio che una Antica signora come lei meriterebbe: cure minuziose e puntuali, non ritocchi, ma restauri di qualità, riduzione proprio di quegli elementi di becera modernizzazione che hanno nascosto la sua qualità di Superba, devastando insieme la sua solenne maestosità e la storia umana di antichi quartieri popolari per arrivare oggi a confondere la fierezza di chi ha una storia con l’arroganza di chi la vuole negare. Sogno una Genova un po’ Montalcini un po’ Hack: austera, colta, ma anche ironica e scanzonata.

Maura Ross

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

In questo articolo doppio Nicola Caprioni analizza una svolta politica importante avvenuta in via Fieschi

Miracolo in Regione! L’opposizione unita per la sanità

Dodici consiglieri regionali, appartenenti a diversi gruppi politici di opposizione, hanno sottoscritto un documento unitario sullo stato della sanità in Liguria. Il documento porta la firma di Luca Garibaldi, Davide Natale, Roberto Arboscello e Enrico Ioculano (PD) Roberto Centi, Adriano Sansa e Selena Candia (lista Sansa), Giovanni Battista Pastorino (Linea Condivisa) Sergio Rossetti (Azione), Paolo Ugolini e Fabio Tosi (5 Stelle).

Le novità principali del documento sono due. La prima è che le opposizioni in consiglio regionale si siano per la prima volta coalizzate, dopo che in passato non erano mancati momenti di tensioni e polemiche tra i vari gruppi. La seconda sta nel contenuto: un documento che non si limita ad analizzare le mancanze e i danni apportati dalla politica sanitaria diretta dalla giunta Toti, ma indica soluzioni e avanza proposte.

Il punto di partenza è il contrasto tra il calo della popolazione della Liguria, diminuita del 6% dal 2016 ad oggi, e il contemporaneo aumento della spesa del 15%. Considerando la diminuzione del personale sanitario, la mancata erogazione di prestazioni, i ritardi paurosi delle liste di attesa sorge spontanea la domanda: “dove li hanno spesi?”

Dato preoccupante nel confronto con altre regioni. La Liguria ha un punteggio tra i peggiori per l’indice di erogazione e qualità dei servizi; eppure con la spesa pro-capite più Sanitario Integrato e Universalità del servizio. Veneto 2042. Mancano 853 medici. Particolarmente grave la situazione di reparti come Medicina d’Urgenza, Anestesia, Rianimazione, Pediatria. Quanto a numero di medici la Liguria è in fondo alla classifica per regioni con 15,1 medici su 10.000 abitanti, contro i 16,3 del Veneto, 18,2 dell’Emilia, 19,3 del Piemonte, 21,8 della Toscana Lo stesso per gli infermieri. Insomma, Toti ha fallito su tutta la linea. Non solo ha peggiorato la situazione generale, ma segna il passo persino nella sbandierata propaganda sui nuovi ospedali. È la prima giunta che nel corso del suo mandato non ha realizzato neppure un nuovo ospedale. Nel caso del Filettino alla Spezia è riuscita a perdere il contributo nazionale e ha scelto di farsi finanziare dai privati con un costo insopportabile per la comunità. Lo stesso sembra voglia fare con l’ospedale agli Erzelli, nonostante vi fossero a disposizione fondi appositi stanziati da INAIL.

N.C.

Proposte per contrastare la malapolitica sanitaria

  • Abolizione di Alisa. La super ASL che avrebbe dovuto governare il sistema regionale si è rivelata un carrozzone costoso e inutile.
  • Nuovo Piano sanitario integrato e universalità del servizio. Rimuovere le diseguaglianze in materia di salute e cura garantendone i livelli essenziali; eliminando le discriminazioni che penalizzano l’entroterra e le “ali” (La Spezia e Imperia), i soggetti cronici e marginali.
  • Centralità della prevenzione. La medicina preventiva di territorio è stata di fatto cancellata. Ma rimane fondamentale per assicurare salute ed evitare gli ingolfamenti.
  • Priorità ai servizi territoriali e di prossimità. Ricostituire i servizi territoriali per garantire un servizio vicino alle persone e facilmente accessibile. Creazione dei CAU – Centri di Assistenza e Urgenza – dislocati sui territori.
  • Governo delle liste d’attesa. L’attuale Piano regionale non elimina le cause strutturali delle attese. Propone solo di acquistare prestazioni dai privati (una delle cause del deficit).
  • Emergenza personale: formazione e commitment degli operatori. Stante la grave carenza di medici e infermieri, in peggioramento nelle “ali”, occorre un Piano dei fabbisogni di personale e politiche di orientamento dei corsi di laurea, specializzazione e formazione dei nuovi medici. Necessari maggior riconoscimenti economici.
  • Anzianità, non autosufficienza, disabilità e ruolo dei caregiver. Nella regione più anziana d’Italia è fondamentale un piano per i servizi di assistenza domiciliare, l’uso della tele-medicina, particolare attenzione alle aree interne e periferiche. Pianificazione delle RSA.
  • Salute mentale, neuropsichiatria infantile e malattie rare. Istituzione della nuova figura di psicologo territoriale. Task force per neuropsichiatria infantile e riattivazione del Piano Nazionale Malattie Rare.
  • Consultori e medicina di genere. No alla presenza di associazioni pro-vita nei consultori. Attuazione della medicina di genere. Legge regionale sull’endometriosi.

Dunque un documento vasto e articolato, che costituisce un buon punto di partenza. Al contempo radicale e propositivo affrontando il tema centrale della sanità: un’alternativa alla politica di pura liberalizzazione privatistica di Toti, che discrimina i cittadini poveri e marginali imponendo il ricorso a cure private a pagamento.

Nicola Capri

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria li

Bucci, the untouchable?

Tre giorni prima che il sindaco Marco Bucci presentasse ai media l’arena progettata da Renzo Piano all’interno del Palasport di Genova in corso di ristrutturazione, un operaio egiziano di 31 anni si è infortunato cadendo da oltre 3 metri. Portato in codice rosso all’ospedale, per fortuna la prognosi è risultata di soli 10 gg.

Nel suo discorso Bucci ha ringraziato “tutti coloro che hanno lavorato instancabilmente per realizzare questo progetto”. Non ha citato il lavoratore infortunato né il sequestro dell’area adiacente incriminata. Allo stesso modo, alla cerimonia dell’arrivo del primo cassone della nuova diga, Bucci non aveva menzionato il lavoratore rumeno Alexandru Ciuciurea, 23 anni, ricoverato per gravi ustioni subite nel cantiere di Vado per quella fabbricazione. E Bucci, che si vanta uomo di mare, nemmeno ha citato i due lavoratori, della stessa ditta di Ciuciurea, impegnati nelle indagini geotecniche per la nuova diga su un battello colato a picco a fine gennaio, di fronte al bacino di Sampierdarena e salvati da un’altra imbarcazione. Di costoro, fortunatamente salvi, non sappiamo nulla.

Dell’incidente al Palasport i media sono stati avvertiti dopo la cerimonia. La Procura che pure ha messo i sigilli, ASL e Ispettorato che hanno in corso le indagini, tacciono. E i sindacati? Per non turbare la cerimonia di Bucci l’intoccabile?

E il senatore e architetto Piano, secondo cui negli incidenti sul lavoro la fatalità non esiste, adesso non ha niente da eccepire?

Solo il giorno dopo la cerimonia si è saputo che il lavoratore egiziano (sinora senza nome) dipende da una ditta in subappalto di un subappalto. L’appaltatore è Cds Holding, la società da cui il Comune ha ricomprato l’arena sportiva per 23 milioni dopo avergli venduto l’intero palasport per 14 milioni (sic!). La quale peraltro si è subito tutelata preannunciando una lettera di richiamo al lavoratore per comportamento imprudente. Subappaltatore è Atir spa, che a sua volta ha subappaltato il lavoro a Ecogess srl, da cui dipende l’operaio infortunato. Quest’ultima è una ditta artigianale (capitale 1 euro) di proprietà di un cittadino egiziano che usa manovalanza edile non specializzata. Dalle carte, più una agenzia interinale che una impresa di appalti. Per cui ci si chiede a che titolo i suoi dipendenti prestino lavoro a terzi e di chi sia la responsabilità della sicurezza. Aspetti su cui attendiamo che la magistratura faccia chiarezza. A Bucci chiediamo senso civico e responsabilità: decenza minima.

Riccardo Degl’Innocenti

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Una classe politica di buffi naturali. Però pericolosissimi

Non passa giorno senza che qualche amministratore locale elargisca materiale per un pezzo di costume. Eppure il loro frasario si riduce spesso a quattro proclami pubblicitari e altrettante invettive contro chi mostra di non capire la loro vision e apprezzare la loro mission, che, a quanto pare sta diventando sempre più impossible. Ci si chiede se come massima fonte di ispirazione abbiano i personaggi della commedia all’italiana tratteggiati da nostri memorabili autori e resi vitali da altrettanto memorabili interpreti, i quali peraltro pensavano di stigmatizzare certi comportamenti, non di ispirarli. Ma, si sa, al ridicolo non c’è mai fine e, quando un’intera classe politica fa del ridicolo la propria cifra stilistica, allora commedia e tragedia si fondono in un unico paradossale effetto.

Veniamo dunque ai nostri eroi, che, a fronte del rifiuto del Tribunale del riesame di concedere la revoca degli arresti domiciliari a Toti, non fanno che ripetere orgogliosi che il Tribunale ha riconosciuto che non c’è il rischio di inquinamento probatorio. E lo ripetono quasi fosse qualcosa di cui andar fieri o che, almeno in parte, dimostra l’innocenza del suddetto. Cotanta ecolalia mi ricorda un film di Francesco Nuti, Donne con le gonne, in cui il protagonista si ritrovava in un consesso new age durante una seduta di gruppo i cui membri si passavano l’un l’altro uno spinello, esaltando la concentrazione di principio attivo con la frase: “c’è l’olio, c’è l’olio”. Nuti, perplesso e imbarazzato, tenta di glissare, ma è caldamente invitato a non interrompere il rituale. Alla fine, cede, fuma secondo le indicazioni ricevute e, passando lo spinello alla persona alla sua destra, ripete pedissequamente con aria compunta: “c’è l’olio, c’è l’olio”. Ora, non è dato sapere se questa pappagallaggine degli epigoni totiani sia frutto di inconsapevolezza o convincimento della dabbenaggine dei cittadini, ma qualcuno dovrebbe compassionevolmente dirgli che la non sussistenza di pericolo di inquinamento probatorio non è conseguenza del fatto che il loro eroe di grossa caratura mostra pentimento, tutt’altro, ma che le prove sono talmente schiaccianti che neanche il Mago Houdini potrebbe farle sparire. Per quanto la storia della Repubblica sia densa di sparizioni di prove schiaccianti e l’uomo dal fiasco facile abbia deciso di abolire uno dei reati più odiosi, quello di chi ha in mano il potere e lo usa come cosa propria contro chi non ne ha e ora farà molta più fatica a difendersi.

Maura Rossi

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

L’autunno del Totismo, un’opportunità che nasce a Levante

Da due mesi si consuma il crepuscolo di un decennio. Nella distesa tra il Cafaggio e Bocca di Magra l’andirivieni dei maggiorenti della destra ligure, in visita a un presidente recluso ma non ancora dimissionario. I retroscena si sprecano: trattativa, negoziato politico, lasciti ed eredità, la volontà degli elettori, l’equilibrio tra i partiti. L’estate sottolinea questa atmosfera di inerzia e sospensione. C’è da augurarsi che il cortocircuito del sistema Toti possa riaprire la strada, anche qui nell’estremo Levante, a una fase politica diversa: la deriva amichettistica e glamour del Totismo ha nascosto sotto il tappeto il dramma di un territorio che non riesce a fare i conti con “lo scandalo del contraddirsi”, incerto tra un passato industriale, la crescente vocazione turistica e la fragilità socio-ambientale. Il presidente e i suoi adepti hanno rinunciato a governare, barattando qualsiasi ambizione strategica di pianificazione con la gestione delle influenze più spicciole: si veda il caso di Portovenere. L’ex roccaforte rossa della Liguria, lo spezzino, è stato il banco di prova più coerente dello “specifico” totiano proprio in forza di questa sua relativa verginità, o comunque di una sostanziale estraneità rispetto alle principali tradizioni di potere conservatore regionale. A maggior ragione è da qui che un nuovo modello di governo della Liguria dovrà trarre spinta. Un modello che possa fare leva su alcune urgenze programmatiche e metodologiche evidenti: la recuperata centralità dei partiti come momento organizzato e democratico della vita civile, perfettibile ma insostituibile alternativa alle piccole e grandi consorterie; un riallineamento della sinistra alle istanze sociali che emergono nel mondo del lavoro (a Spezia “brillano” le contraddizioni insite nel boom della nautica da diporto, la crisi della grande distribuzione e del commercio in genere, la crescita di un’economia turistica precaria e stagionale, una rinnovata tensione tra gli interessi della proprietà immobiliare e il diritto alla casa); una rilettura del ruolo delle aree interne e marginali, dei centri urbani minori; negli ultimi tempi e ancora adesso brodo di coltura ideale delle degenerazioni trasformistiche del centrodestra di governo: meno filiere e notabilato, più presidi sociali ed economici, a partire dalle scuole e dagli uffici postali da difendere non come retaggio del bel mondo antico, ma come antidoto allo spopolamento. Insomma, ci sono grandi margini di miglioramento.

Marco L

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Vaccarezza incontra Giampaolo Pansa sulla via di Damasco

Delle bravate del Vaccarezza Angelo, consigliere di Regione Liguria e già presidente della Provincia di Savona, avevamo contezza fin da quando si esibì, ignaro di essere ripreso o forse ben conscio di esserlo, mimando un coito televisivo per inneggiare alla vittoria elettorale dell’unto del Signore. Eleganza e indipendenza concentrate in un’unica “macelleria al galoppo”. Ecco che, per non smentire il suo stile, ora lo vediamo fascia tricolore regionale in resta (quella che dovrebbe rappresentare tutti noi e non solo tutti loro) partecipare alla commemorazione di un mai avvenuto eccidio di repubblichini ad opera dei partigiani sul monte Manfrei nel Savonese, giustificandosi con un vago riferimento al rispetto che si deve a tutte le vittime innocenti.

Chiara la manovra elettorale pro domo sua, preceduta da un fugone dal Toti in tempo massimo: il nostro eroe fa cialtronate, ma forse, allevato alla corte del Re solo, ha fiuto e mettersi del buono coi, manco tanto post, fascisti può sempre far comodo.

E lo si fa senza risparmio di mezzi: la fascia, come il suo lauto stipendio, è pagata da tutti noi, ma le spese di trasferta le ha pagate di tasca propria. Un galantuomo! Ma il, si fa per dire, capolavoro per giustificare la cialtronesca manovra (that’s politics, honey!) riesce ad abbinare un falso storico con la ribaltata lettura della Storia, per cui i repubblichini, in questo caso “non vittime” dei partigiani, sarebbero state vittime innocenti. E lo afferma dicendosi folgorato sulla via di Damasco dalla lettura di Giampaolo Pansa.

Ora, nessuno che abbia avuto almeno un partigiano in famiglia si sognerebbe di negare che fra le file dei partigiani ci potessero essere teste calde o personaggi vendicativi, tant’è che i Comandanti partigiani erano costretti a fare molta attenzione nel reclutamento e ai comportamenti, soprattutto perché delle teste calde o vendicative i primi a non potersi fidare erano i partigiani stessi, ben sapendo che chi combatteva per motivi personali non ci avrebbe messo molto a passare dall’altra parte per trarne profitto.

Un po’ come coloro che, partiti inneggiando a un padrone, scappano quando cade in disgrazia avendo a disposizione molte casacche per molte stagioni e un disperato bisogno di mantenere le chiappe al caldo a spese dei contribuenti.

Maura Rossi

Leon Pancaldo, navigatore savonese

Savone pays du Roi, tra diaspore e incontri (9)

L’idioma come contenitore-rifugio di antichi retaggi; che si rinnoveranno nell’Ottocento con l’oceanizzazione della flotta mercantile, adibita al trasporto degli emigranti. I cui sbarchi prevalenti si indirizzano verso le terre bagnate dal Rio della Plata. Il cui primo navigatore italiano che vi giunse fu un savonese: Leon Pancaldo (Savona 1482 – Buenos Aires 1540). Come narrano le storie patrie, “a quell’epoca la Riviera di Ponente, con perno Savona, aveva assunto un ruolo fondamentale nelle grandi esplorazioni geografiche. Proprio da questa costiera furono esportati miriadi di tecnici legati alle attività marittime, personaggi di valore tanto straordinario quanto finora relativamente poco studiato”. Questo è il caso di Pancaldo, nocchiero della Trinidad di Ferdinando Magellano, di cui assumerà il comando alla morte del comandante portoghese; in un viaggio salpato il 10 agosto 1519 da Siviglia con l’obiettivo di compiere la circumnavigazione del globo. Il vascello toccherà le sponde del grande fiume il 26 dicembre, inaugurando un flusso dalla Liguria che produrrà straordinarie contaminazioni. Prima fra tutte il tango, versificato in quello slang della malavita porteňa denominato “linfardo”, le cui iniziali influenze occitane sono venute integrandosi con l’idioma zeneize delle successive ondate migratorie. Va comunque ricordato che tre secoli dopo Pancaldo, avevano trovato rifugio nel quartiere bonearense de la Boc de los naviosa patrioti liguri, in fuga dopo il fallimento dei moti mazziniani. Spiriti ribelli che – secondo una tradizione orale – per un certo periodo proclamarono la Boca Repubblica indipendente dal resto della nazione argentina. Ma ulteriori sono le tracce linguistiche di questa ininterrotta serie di diaspore e incontri. Se besugo nel lessico ligure si riferisce a una persona poco sveglia, in quello iberico corrisponde al pagaro d’altura. A la biscöchinn-a (maldestro) deriva dal provenzale arcaico bisquayer (incoccare male la freccia), mentre bò e tribò sono la traduzione dal francese babord-tribord. Lasciti di intense frequentazioni con l’area occitana, tra i golfi di Biscaglia e Leone: l’erica della macchia mediterranea in Liguria è brügubruc in provenzale e bruga in catalano. Interdipendenza linguistica che prosegue nel ‘900. Manuali inglesi di inizio secolo segnalano un gergo franco marittimo denominato savvy, la cui matrice è genovese. E i nostri portuali chiamavano ü bestia il primo rimorchiatore della flotta: the best (continua).

Pierfranco Pellizzetti

SUGGESTIONI DI LIGURIA

Bellezze dimenticate da riscoprire

La saggezza delle epigrafi di un tempo

Villa Chiossone in Corso Italia

Virgilio Cipollina è un nome che a molti genovesi non è familiare, ma sarebbe opportuno che invece ne venisse fatta menzione più spesso: era una persona ricca ed affermata, non apparteneva a una famiglia nobile o altolocata, ma era un commerciante di pesce che aveva fatto fortuna, schivo e riservato e che viveva con la moglie in una splendida villa in stile Coppedè in Corso Italia a Genova.

Questo magnifico edificio, che richiamava lo stile del gotico fiorito fiorentino, letteralmente baciato dal mare e dalla luce, fu lasciato in eredità da Cipollina all’Istituto per Ciechi David Chiossone, voluto dal medico che nel 1868 cambiò radicalmente l’approccio alla cecità con il celebre detto “istruire, non nutrire”.

Cipollina accompagnò il lascito con una dedica assai precisa “Perché il sole ne scaldi le spente pupille”. Che meraviglioso esempio di generosità e di empatica sensibilità! Due persone così diverse, eppure così simili che insieme riuscirono a realizzare, in grande anticipo sui tempi, una modalità di gestione della disabilità visiva, concreta e funzionale, ma sempre pervasa di autentica generosità e di delicato rispetto. Poco distante da Villa Chiossone, sempre in Corso Italia, praticamente di fronte ai Bagni San Nazaro, è scolpita un’altra scritta, che ben si accompagna a questo mirabile esempio di filantropia illuminata; recitando infatti “Pecunia si uti scis, ancilla est, si nescis domina”: quanta verità in poche parole! Il danaro se lo sai usare è utile e può aiutare a realizzare grandi (o anche piccole, ma importanti) imprese, ma se non lo maneggi con saggezza ne diventi schiavo. Cipollina e Chiossone nel solco di quella tradizione di munifica filantropia che muovendo dall’Albergo dei Poveri e arrivando a Pammatone ritroviamo in tutti gli Ospedali della città ed in mille istituzioni, magari meno note, ma significative. Perché se è vero che la carità è muta, Genova ne è da sempre attenta custode.

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

L’economia del mare non è solo genovese

Il dibattito sull’economia del mare riguarda solo in apparenza Genova, col suo sistema portuale e la fame di spazi, o Spezia e Savona con le loro aspirazioni diverse. Attiene pure al resto della costa ligure, disseminata di marine, porticcioli e approdi nautici. Da qui i dibattiti sul tema delle città minori; se siano reali zone portuali o fruiscano della collocazione senza velleità marinaresche. L’esame storico ci permette di verificare che il Tigullio, tra Portofino e Sestri Levante, non vanta tale cultura; semmai episodi e piccole economie che hanno tratto vantaggi da questa vicinanza. Portofino gode di un’insenatura naturale che garantiva protezione e scali, ebbe una certa fortuna con la pesca del corallo, ma deve la sua fama recente come approdo del vippume mondana. Santa Margherita oltre alla specializzazione corallina, insieme a Sestri contava su una flotta d’imbarcazioni da pesca. Con una folta presenza di armatori e barcaioli; questi ultimi garantivano i trasporti nel Tigullio e gli scambi con Genova. Nella seconda metà dell’800 riguardavano più di mille addetti ai convogli giornalieri. Con un rapido declino, dopo l’avvio della linea ferroviaria che collegò i comuni costieri. Nell’immediato dopoguerra ci furono nuove spinte economiche: l’assalto al territorio a mezzo politiche edilizie forsennate. Il triste appellativo “rapallizzazione”. In questo contesto si inserirono i progetti di nuovi porti, dipendenti da un nuovo problema: l’erosione della costa.

La politica, soprattutto DC, sosteneva che l’antidoto anti-erosione fosse la difesa costiera attraverso la realizzazione dei porti. In una logica speculativa: interventi pubblici a Chiavari, privati a Lavagna e Rapallo. Scelte che non hanno fermato l’erosione, anzi hanno cancellato metri quadrati di arenile; con sempre maggiori concessioni e la perdita di spiagge libere. Negli anni ‘80 la ferrovia lungo Lavagna pagò un prezzo altissimo: durante una forte libecciata i binari si trovarono “sopraelevati sul mare”. Nell’ottobre 2019 un’analoga burrasca fece crollare la diga foranea del porto di Rapallo. Esempi che indicano l’emergenza continua per incapacità di governare il rapporto col mare. In questi mesi a Chiavari si stanno rimuovendo le storiche dighe per costruire nuove protezioni “soffolte” delle spiagge, con una spesa di circa 30 milioni di euro. Eccoli i problemi marittimi del Tigullio: non abbiamo porti commerciali né container da movimentare, ma i milioni di euro li spendiamo alla grande.

Getto Viarengo

Quante sono le salse liguri a crudo

Tutti, ovviamente, conoscono il pesto. Sino a non molti anni fa questo condimento era conosciuto solo in Liguria; al massimo in limitate aree contermini. Oggi è un prodotto diffuso in tutta Italia, anche se spesso sarebbe bene verificare la qualità di molti prodotti commerciali che di pesto hanno solo abusato il nome.

Oltre a questa, ci sono altre salse tradizionali? Un buon livello di notorietà la guadagna la salsa di noci, inscindibilmente legata al condimento dei pansoti. A me piace con un’abbondante spolverata di parmigiano. Un po’ meno conosciuta è la salsa di pinoli; delicata e, a differenza delle prime due, non si trova confezionata. Quindi occorre procurarsi la ricetta o assaggiarla in uno dei pochissimi ristoranti che la presentano nel loro menù- Si realizza con i pinoli (meglio una leggera tostatura prima dell’uso), poca prescinseua (quagliata di latte), mollica di pane bagnata nel latte. È l’accompagnamento tipico dei croxetti, piccoli dischi di pasta realizzati con uno speciale strumento che incide stemmi o iniziali sulla pasta. Sono tipici del Levante, del Tigullio e dell’alta Val di Vara. Da non confondersi con i corzetti, a foma di 8 e tipici della Val Polcevera.

L’aggiada è sicuramente un antenato del pesto. Originariamente aglio, olio e formaggio. Nella versione attuale resa un po’ più accettabile dall’aggiunta di pinoli. Non viene prodotta industrialmente e la sua diffusione si è molto ridotta. Oggi la si può trovare solo nella località di Pentema.

La pasta d’acciughe (Machetto) è tipica del Ponente ligure. Ma è conosciuta anche a Levante. Si può fare con acciughe ma anche con sardine, pestate e mescolate con olio d’oliva e sale grosso. Ingrediente indispensabile per la Sardenaira o pizza all’Andrea.

Il Marò, a dispetto del nome non ha attinenza con i marinai. È un pesto di fave, con olio, aglio, formaggio, sale e pepe. Infine il pesto rosso è una salsa a crudo realizzata con l’utilizzo di pomodori secchi, basilico, aglio, pinoli, olio e formaggio grattugiato.

In totale – quindi – possiamo contare ben sette salse che non hanno bisogno di cottura e realizzate soprattutto con prodotti disponibili localmente.

Nicola Caprioni