Numero 25 del 1 luglio 2024

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Indice

SPIFFERI

Fuori dal fango. Parla Raffaella Paita | Il Foglio

E adesso, povera Lella?

Il voto alle europee ha riproposto un personaggio che se non esistesse andrebbe inventato, quale icona della politica politicante in fase terminale: Raffaella Paita, inarrestabile nel dragare i bassi fondali di raccolta dei consensi; in stato confusionale dovendo orientarsi nel campo alto dell’impegno pubblico. Difatti la nostra te spiezzo in due anche stavolta intercetta un mucchio di preferenze (14.500), disperse da una lista che non fa quorum. Ennesimo autogol intellettuale dell’iscritta a 14 anni al PCI della Spezia, poi funzionario comunale con pretese di protagonismo blairiano. La si ricorda candidata alla presidenza di Regione Liguria sconfitta dall’outsider Toti. Lei prometteva una Regione “Rock”. Citazione del suo maestro Adriano Celentano. Noto anche come “il re degli ignoranti”.

Caruggiadi, di chi il merito

Farsi belli con il culo degli altri: vecchio aforisma che calza a pennello, con tutto il rispetto e lungi dall’essere espressione sessista, all’assessore (aborro l’idiota neologismo assessora. Perché allora non generala e genia?) allo sport Alessandra Bianchi a proposito delle Caruggiadi. Questa sorta di Olimpiadi aperta a ogni tipo di sport e giochi per bambini, adulti e disabili che si svolgerà in autunno nel centro storico di Genova. Uso tale birbante locuzione perché questa nobile e interessante iniziativa, volta anche a valorizzare piazze e vicoli del centro, è a totale carico della Fondazione Carige. Avrei gradito che da parte della signora vi fossero lodi doverose alla Fondazione. Invece, sembra che se ne prenda il merito. Preciserà che le sue parole al solito sono state travisate?

Pietà l’è morta. E pure la solidarietà

Chi percorre la passeggiata alla Lanterna di Genova, incontra una serie di bacheche a testimonianza di un lascito dimenticato dei carbuné, i carbonai del porto: l’altruismo fatto mutuo soccorso e quindi mutualismo. L’impegno a sostenere con l’autotassazione il compagno ferito, la vedova e i suoi figli. Mentre di questi tempi abbiamo avuto l’assessore che si vantava di prendere a calci un affamato che rovistava nei cassonetti della spazzatura. Il viscido piano inclinato che conduce dritto all’orrore disumano di Latina: il bracciante indiano Satnam Singh vittima di una mutilazione sul lavoro e lasciato morire dissanguato dal titolare dell’azienda, che invece di soccorrerlo l’abbandona in strada (e l’inqualificabile ministro Lollobrigida si preoccupa solo che “non si criminalizzi l’impresa”).

C’È POSTA PER NOI

Riceviamo dal Professor Palidda questo contributo sul tema politica e legalità di cui si è discusso nel corso del convegno del 14 e 15 giugno nell’auditorium Montale.

La storica collusione fra amministratori malaffare e mafie

Per un verso è vero che la Liguria è stata all’avanguardia nelle pratiche di collusione fra amministratori, corruttori, malaffare e mafia (si ricorda sempre la vicenda Teardo e dopo le collusioni di Bulando e infine di Toti. Ma, secondo ilfattoquotidiano.it “sono 45 i governatori (di regione) finiti sotto inchiesta dopo Tangentopoli”. È peraltro noto che Milano e provincia sono fra le zone del nord con più numerosi casi di affari delle mafie, fenomeno diffuso anche in Emilia Romagna, oltre che a Roma e altrove. Dopo la ricerca con Donatella Della Porta e Alessandro Pizzorno su Lo scambio occulto (del 1992), Alberto Vannucci ha continuato i suoi studi anche sulle mafie.

Ma la tesi che “Il mondo si divide in due: ciò che è Calabria e ciò che lo diventerà”. è in realtà una boutade di mafiologi appassionati di scoop alquanto fuorvianti. Come mostra sia la storia di Cosa nostra negli Stati Uniti, sia la cosiddetta diffusione delle mafie al Nord, nonché la vicenda ligure da Teardo a oggi, le mafie trovano possibilità di imbastire affari di ogni sorta solo laddove ci sono personaggi e condizioni favorevoli.. Teardo è veneto come lo era il suo mentore Gianni De Michelis, e come il Graziano Verzotto che in Sicilia diventò presidente dell’Ente Minerario Siciliano, testimone di nozze del boss Giuseppe Di Cristina e amico del boss catanese Calderone. In altre parole, corruzione, affari loschi, collusione con le mafie si riproducono sempre dove attori politici e uomini e donne d’affari mirano ad aumentare il loro potere e i loro profitti “a tutti i costi”. E gli illegalismi dei “colletti bianchi”, in genere dei dominanti a livello nazionale e locale (come a livello europeo), hanno possibilità di espandersi ancora di più nel contesto del trionfo del “meno Stato più mercato”.

Forse è errato pensarlo, ma gli affari in cui è coinvolta la ‘ndragheta in Liguria sembrano ben poca cosa rispetto per esempio a quanto ha realizzato a Milano o in Emilia. I riesini Testa si erano spostati a Milano e in realtà sarebbero accusati di voto di scambio che riguarderebbe qualche centinaio di elettori della loro stessa origine (ma non certo complici di associazione mafiosa).

In realtà la questione cruciale sta negli intrecci fra corruzione e collusioni con le mafie che sono insiti in tutti i diversi meandri fra economie considerate legali, economie sommerse e anche criminalità organizzata.

Salvatore Turi Palidda

L’amico Caprioni ci ha girato questo suo sfogo (altamente condivisibile) per le clamorose sgrammaticature istituzionali di un personaggio fuorigioco, che rifiuta la presa d’atto di essere stato smascherato.

Casa Toti ad Ameglia: riunione di Giunta con arrestato

Via Pisanello, una piccola strada tranquilla nel verde, a poca distanza dal mare di Bocca di Magra. Davanti al cancello bianco di una villa stazionano auto dei carabinieri, della Guardia di Finanza, fotografi e giornalisti.

Accade un paradosso. Alla spicciolata arrivano tre assessori della giunta regionale: Alessandro Piana, presidente facente funzioni della giunta regionale, Marco Scajola e Giacomo Giampedrone, il braccio destro di Toti che abita a pochi passi.

Una giunta regionale che va avanti, nonostante il suo presidente sia agli arresti domiciliari da più di un mese e che contro di lui pendano imputazioni estremamente gravi.

Le informazioni fatte filtrare dagli amministratori, che sono soggetti pubblici e avrebbero il dovere della chiarezza e della trasparenza verso i cittadini, sono poche e contradditorie. Si parla di una riunione istituzionale, ma in realtà non c’erano tutti i membri della giunta regionale; solo i tre espressi da “Cambiamo” la lista personale di Toti.

Di cosa hanno parlato? Le risposte sono vaghe. Non si sentono in dovere di riferire al consiglio regionale. Se hanno parlato di problemi della regione è un loro obbligo di legge riferire al consiglio. Giampedrone, con l’arroganza che lo contraddistingue, liquida la faccenda con “è una questione politica”. Dunque, una concezione della politica, che dovrebbe essere “cosa pubblica”, come “detenzione di potere”. Le decisioni che contano si prendono sugli Yacht di Spinelli, o nelle ville di Ameglia. Gli organi eletti dai cittadini sono umiliati e visti come elemento di fastidio.

È inaudito che un presidente agli arresti continui a rimanere in carica. Il fatto che siano domiciliari non modifica il suo status di persona in stato di arresto. È inaudito che ci siano tre assessori “telecomandati” a distanza. È inaudito che un carcerato possa “telecomandare” le sue pedine come piccoli automi senza cervello. È inaudito che il consiglio regionale e i cittadini liguri non sappiano di cosa si discute, mentre la sanità ligure va a pezzi, i rigassificatori sono una minaccia, i territori ambientalmente pregiati sono oggetto di assalti speculativi e cementificatori.

La Liguria tutta rischia grosso. Per la difesa degli interessi politici di Toti e di quelli politici della maggioranza di destra; nonché per i ben noti interessi speculativi sinora messi in luce dalle indagini (ce ne saranno altri?). L’intera regione, con la crescita del PIL più bassa d’Italia rischia veramente grosso. Toti dimettiti!

Nicola Caprioni

ECO DALLA RETE

Genova 24

Siamo diventati tutti più cattivi? Più intolleranti? Di certo in questi anni, tra Covid-19 e disuguaglianze galoppanti, è aumentato il tasso di insofferenza collettiva. Da tempo si segnalano aggressioni di familiari dei pazienti nei pronto-soccorsi, contro un incolpevole personale paramedico. Qui riprendiamo la segnalazione del 18 giugno apparsa su Genova 24 a firma Andrea Bersanti sulle aggressioni agli autisti dell’Amt. Un altro fenomeno inquietante, che – tra l’altro – testimonia l’avvento virale del clima di violenza accreditata in questa stagione politica. Da qui il ripetersi delle intimidazioni di squadracce con pestaggi perfino in Parlamento. I nuovi bivacchi nell’aula sorda e grigia?

L’autobus si ferma prima per l’orario estivo, autista Amt preso a pugni

«Preso a pugni in faccia perché l’autobus che guidava, “tagliato” in virtù dell’entrata in vigore dell’orario estivo, ha cambiato percorso. È successo a un autista Amt che lunedì era al volante di un mezzo della linea 1 nel primo giorno del servizio estivo.

La denuncia arriva dai sindacati: “un nostro collega, appena sceso dall’ennesimo bus della linea 1 che non avrebbe raggiunto la sua naturale destinazione ma era ‘tagliato’ a Prà, si è visto sferrare due pugni in faccia. La sua colpa? Essere un tranviere e rappresentare in quel momento la sua azienda che ha continuato a essere sorda e cieca: due pugni sferrati da una persona violenta, che sfogava anche verbalmente la sua rabbia contro un servizio totalmente inadeguato. Negli ultimi anni, dopo la ripresa susseguitasi alla crisi pandemica, il tpl a Genova ha subito grandi mutazioni a causa del traffico congestionato, per l’avvento di nuove forme di mobilità che non sono facilmente coniugabili con il trasporto tradizionale, con i cantieri che sono sorti in molte parti della nostra città, e oltre a questi aspetti ci sono diverse abitudini della società che sono cambiate ed è cresciuto sia il traffico privato che la domanda di trasporto pubblico. Le scriventi organizzazioni sindacali hanno dapprima più volte sensibilizzato Amt riguardo alle condizioni di lavoro del personale viaggiante esasperate da tempi di percorrenza assolutamente inadeguati, per poi, in mancanza di risposte organizzative tangibili da parte aziendale, esortare affinché venisse programmato un servizio che prevedesse un’adeguata quantificazione dei tempi di percorrenza”.

Dunque, le criticità registrate su diverse linee urbane che mancano di regolarità contribuiscono a esasperare i cittadini “mettendo a repentaglio la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori aumentando le pressioni da parte della clientela e, con esse, il rischio di aggressione”. In particolare, la linea 1 risulta essere una delle linee su cui si registra il maggior numero di tensioni: “È in perenne e costante sofferenza (tagli necessari addirittura alle 6 della domenica mattina) abbiamo chiesto nuovamente, prima che le aggressioni verbali diventassero fisiche, tempi di percorrenza adeguati e che fosse convocata la commissione verifica percorrenze, per dare noi stessi il nostro contributo, abbiamo sottolineato quanto una direttrice principale come la linea 1 fosse in sofferenza in molte fasce orarie, e quanto di conseguenza fossero esasperati lavoratori e clientela”».

Andrea Barsanti

ECO DELLA STAMPA

Festa per il primo anno del Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano

L’articolo di Andrea Moizo, apparso su il Fatto Quotidiano del 14 giugno, ricostruisce l’ennesimo capitolo nell’inestricabile groviglio di manovre insensate prodotto dall’agitarsi scomposto del Commissario Bucci; il quale – sempre non emergano al riguardo illeciti penalmente perseguibili – si conferma un incredibile confusionista. Ormai impegnato soprattutto a coprire pasticci con nuovi pasticci.

Concenter: 30 Mln pubblici pretesi da Bucci, ma l’appalto lo paga Aspi

«Prima che deflagrasse l’inchiesta della Procura di Genova, il lavoro di ‘riempimento di Calata Concenter’ – una delle pratiche per cui Spinelli avrebbe corrotto Toti – è concretamente cominciato in sordina. Ma due giorni fa il ministero dell’Ambiente ha pubblicato alcuni documenti forniti dall’Autorità portuale per una diversa procedura ambientale. E lì c’è anche una tabella che indica quanto materiale di scarto produce ogni cantiere. Secondo questo elenco, datato 24 maggio, il riempimento di Concenter aveva cominciato a richiedere materiali già da aprile. ‘La stazione appaltante è Aspi (Autostrade per l’Italia, ndr), bisogna chiedere a loro’, ha replicato l’Autorità portuale in una risposta laconica ma rivelatrice di un’ulteriore novità. L’appalto è stato aggiudicato da un’altra inedita stazione appaltante. Contattata dal Fatto, Aspi ha smentito la tempistica (‘il riempimento di Concenter dovrebbe partire a luglio’) ma confermato il suo ruolo. Per il gestore autostradale ‘il ruolo di stazione appaltante scaturisce dagli impegni sottoscritti nell’ambito dell’accordo transattivo e riguarda un unico progetto, quello del tunnel subportuale, che prevede anche il riempimento di calata Concenter’. E a occuparsene sarà la controllata Amplia. Quindi Aspi sarebbe appaltante non di due ma di un appalto unico, quello del tunnel. L’opera, a suo carico fino a 700 milioni di euro, che nell’ottobre 2021 Toti e il sindaco commissario alla ricostruzione Marco Bucci scambiarono con la rinuncia allo sconto sui pedaggi locali fino al 2031, nell’ambito delle misure risarcitorie del Morandi. Aspi starebbe per avviare i lavori a Concenter perché funzionali per il tunnel. Però il problema è che dopo l’ottobre 2021 Bucci, che pure aveva firmato l’accordo in base a al quale il lavoro sarebbe stato a carico di Aspi, ha cominciato un pressing forsennato sui dirigenti dell’Autorità portuale per dare un contorno autonomo alla pratica Concenter, affinché fosse beneficiata di 30 milioni di euro di contributo pubblico. Aspi nega che queste risorse le siano destinate, ma allora i soldi per chi sono? E, dato che il riempimento è a carico di Aspi, finiranno invece all’allestimento del terminal portuale che vi sorgerà sopra, oggetto dell’accordo spartitorio fra Spinelli e Gianluigi Aponte (Msc), altro cardine dell’inchiesta? E perché Bucci per mesi si è speso per l’attribuzione dei fondi pubblici sapendo che non ce n’era bisogno? Il sindaco non ha risposto alle nostre domande».

Andrea Moizo

Insomma, “l’uomo del fare Bucci”

ha montato un ingestibile sarabanda. Da cui non si intravvede uscita. Come sottolinea il commento che ci ha fatto pervenire Riccardo Degl’Innocenti:

Un articolo importante quello di Andrea Moizo sul FQ. Non solo perché scopriamo che il famigerato riempimento di Concenter non è più un progetto ma un appalto avviato.

Ma soprattutto perché Aspi svela che già da ottobre 2021 aveva concordato con Bucci e Toti che si sarebbe fatta carico del riempimento. E allora perché Bucci nei mesi successivi si spende fino a piegare la ritrosia degli uffici dell’autorità portuale per garantire 30M pubblici a Concenter? A chi sono destinati quei soldi dato che l’appaltatore del riempimento dice che non sono per lui? In attesa delle risposte di Bucci.

R.D.I.

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Il 14 e 15 giugno si è svolto il convegno genovese “Genova bene comune – quale futuro per la città”

Considerazioni a margine di una discussione pubblica

Un luogo comune vanamente consolatorio elegge “Genova laboratorio del futuro”. Ma le analisi esposte nell’auditorium Montale non annunciano dinamiche sottotraccia e cambiamenti in corso, confermano in sede locale processi ben più vasti. In particolare l’avvenuta ascesa a Occidente della post-democrazia e il suo imperativo semplificatorio “non disturbare il manovratore”. Con i corollari “eliminare fastidiosi contrappesi” (i controlli di legalità in primis) e “tecnocrazia al potere” (la manipolazione del voto come unzione sacrale dei nuovi controllori). Lo strombazzato “modello Genova” post-Morandi, riproposto monomaniacalmente in diverse versioni (dighe sulla sabbia, skymetro invasivi, funivie e tapis roulant superflui), ne ha fornito l’icona. In linea con la restaurazione meloniana in atto: il combinato disposto di autonomia differenziata per la spartizione del bottino-Italia, abolizione dell’abuso d’ufficio per sanare i pasticci dei pubblici amministratori “amici”, divisione delle carriere per sottoporre la magistratura inquirente al controllo della politica, premierato, per cristallizzare i rapporti di forza vigenti. Semmai – come ci ricordava Christian Abbondanza – il contributo laboratoriale genovese era riscontrabile nelle aggregazioni funzionali all’operazione di potere: il rito savonese promosso da Alberto Teardo (collusione politica e malaffare) poi diventato rito emiliano con Claudio Burlando (scambio partito-sindacato-cooperative), infine il rito ambrosiano di Giovanni Toti (mix concussione-corruzione alla Formigoni). E sempre con la presenza attiva della criminalità organizzata. Il punto d’arrivo al “liberi tutti” dei manovratori, che porta il cacicco PD Andrea Orlando a criticare Toti solo per non aver coinvolto i partiti nelle trattative con Aldo Spinelli. Nell’orrore fisiologico della Casta per la messa in discussione del potere come ricambio democratico. Ma i relatori al meeting avevano da contro-proporre solo la sterile via della protesta. Magari accompagnata dalla ritualità dei soliti tavoli e degli osservatori per scoprire l’umidità nei pozzi. Sicché è parsa una voce nel deserto quella di Dario Rossi che proponeva la ricerca di uno sbocco elettivo alla denuncia. Ossia creare una soggettività liberata dal controllo locale dei politicanti: la collusione tra destra di occupazione e sinistra di presidio. Mentre si profila un dialogo post Toti/Bucci sull’asse Torriglia-Spezia. Tra il redivivo Claudio Burlando e il recidivo Andrea Orlando.

P.F.P.

Cosa Nostra al basilico

L’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato usa il neologismo “massomafia”: «una mafia a bassa intensità di violenza che si occupa soprattutto di offrire beni e servizi – dalla cocaina allo smaltimento illecito dei rifiuti – a un mondo di cittadini normali. E in questo modo crea accettazione sociale e rende inservibili le armi del sistema giudiziario. A un livello ancora più alto, élite criminali che affiancano pezzi di classe dirigente nelle cabine di regia in cui si fanno leggi ad hoc e si decidono grandi affari, come le privatizzazioni di energia e acqua. […] Gli strumenti giuridici che abbiamo sono stati costruiti per la mafia dei brutti, sporchi e cattivi. Ma i mafiosi non sono più così: stanno diventando persone che ci assomigliano sempre di più».

In altre parole, stiamo assistendo alla legittimazione della malavita organizzata e dei suoi colletti bianchi, ormai a loro agio nelle cattedrali della finanza internazionale. Resi sempre più rispettabili dai volumi valutari che movimentano.

La Liguria meravigliosa non vuole restare indietro anche in questo ambito, per il retro-pensiero di molti nostri amministratori che il suo nuovo modello di sviluppo deve basarsi sull’intercettamento dei petroldollari di sceicchi e mafiosi russi. Se ne è parlato nel convegno dell’auditorium Montale. Dove sono state ricordate coincidenze nel circuito “promettente” politica locale e malavita. Quale primo sperimentatore della lucrosa collusione malavitosa troviamo il presidente di Regione Liguria Alberto Teardo (1981-1983), arrestato per associazione a delinquere in area savonese, da cui risultavano legami con Peppino Marciano, boss della ‘ndrangheta e suo grande elettore. I contatti pericolosi ritornano con la presidenza di Claudio Burlando (2005-2015). A Genova si diceva che quando arrivano dalla Calabria personaggi dal collo taurino e cranio rasato la loro seconda visita era ai fratelli Mamone, ma la prima al boss del porto. Difatti Aldo Spinelli figura con i Mamone tra i soci del club burlandiano Maestrale, di cui era grande elemosiniere. Ruolo che conferma la continuità di frequentazioni del successore Giovanni Toti: un passaggio dal burlandismo al totismo che evolve dal livello artigiano a quello industriale.

Il sociologo di Berkeley Manuel Castells commenta: «le sempre più grandi necessità finanziarie dei candidati e dei partiti politici rappresentano un’occasione d’oro per la criminalità organizzata». Così Liguria meravigliosa diventa pure internazionale.

Pierfranco Pellizzetti

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

La riapertura delle miniere liguri, un rischio incombente

Il progetto riguarda una vasta area dell’entroterra ligure a cavallo della città metropolitana di Genova e la provincia della Spezia. Già nel 2021 si era parlato dell’apertura di nuove miniere o di riattivazione di vecchie miniere abbandonate da decenni per la ricerca di materie prime come il litio, il nickel e il cobalto, ma anche oro, argento e altri minerali.

Allora una forte mobilitazione popolare, la contrarietà delle amministrazioni locali e la lotta di un gruppo importante di associazioni ambientaliste e di difesa del territorio sembrava avesse arrestato il pericolo. Il comune di Sestri Levante, Ne, Casarza Ligure, Castiglione Chiavarese e Maissana avevano anche presentato un ricorso al TAR per le operazioni che riguardavano il loro territorio, ma non sono gli unici comuni che potrebbero essere interessati alle ricerche minerarie. Un tempo in zona erano presenti diverse miniere per l’escavazione di manganese. Oggi la vocazione del territorio è verso la valorizzazione della natura, dell’ambiente, della sostenibilità ambientale e della riscoperta delle tradizioni e dei prodotti caratteristici di un territorio, che non sarebbe compatibile con attività minerarie e il conseguente traffico di mezzi pesanti in un territorio con una viabilità che faticherebbe molto a sostenere un affollamento di mezzi ingombranti e inquinanti. Con la scusa di adeguare la normativa italiana a quella europea il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin dichiara che per il litio, indispensabile alla produzione di batterie, servirà avere «contezza dei giacimenti», mentre sul cobalto «abbiamo una parte rilevante sull’Appennino tra Piemonte e Liguria».

Curioso che un governo sempre pronto a criticare ogni decisione europea, pronto a opporsi a ogni direttiva, e sostenitore di una linea casareccia, in questo caso e solo in questo, strumentalizzi l’Europa per ridare il via al pericolo dell’apertura delle miniere nell’entroterra del levante ligure.

Naturalmente il grande assente in questo problema è la Regione Liguria, che, come si sa, ha il presidente agli arresti domiciliari e quindi ha ben altre priorità cui pensare.

Nicola Caprioni

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

Il messaggio implicito dei numeri: le istituzioni liguri sono contendibili

Il dato saliente delle europee: la Destra non ha vinto, se analizziamo i dati reali del voto.

Fratelli d’Italia e la Meloni vendono un’illusione, un semplice giochino di prestigio con i numeri. Forniscono infatti solo la loro percentuale sul numero dei votanti. Se analizziamo più attentamente il voto, vediamo che FdI è passata da 7.301.303 a 6.704.423 voti, con una perdita netta di circa 600.000 elettori. Mentre il PD inverte finalmente la tendenza dopo il secco calo fatto registrare tra il 2019 e il 2022. Ha ottenuto un risultato in risalita non solo percentuale ma guadagnando 255.670 voti reali.

Il risultato di gran lunga migliore tra tutti i partiti in lizza lo ha realizzato l’Alleanza Verdi/Sinistra. La crescita reale in termini di voti è stata di oltre 500.000 voti in più, quella in percentuale dal 2, 22 al 6,37% (più 4,15%)

Un vero fallimento è stato quello della proposta centrista finto-riformista di Stati Uniti d’Europa e di Azione, non solo perché non arrivano al quorum del 4%, ma perché le due formazioni sono ormai relegate a un ruolo del tutto marginale e di scarsissimo peso elettorale, pari rispettivamente all’1,76% e all’1,57% del corpo elettorale.

La Liguria conferma questo trend nazionale. Il partito della Meloni, che alle politiche del 2022 aveva ottenuto 176.907 voti, alle europee scende a 167.508; con una perdita che si avvicina a 10.000 voti. Molto più grave il risultato di Salvini che scende da 68.086 a 55.560. In controtendenza nella destra, Forza Italia passa da 48.121 voti a 52.734. Un piccolo calo lo registra anche il PD da 166.347 a 164.470. Semmai il vero crollo è quello dei 5 Stelle.

Il partito che ottiene il maggior incremento in assoluto anche il Liguria è Alleanza Verdi Sinistra che passa dai 31.850 voti agli attuali 48.069, con un salto di oltre 16.000 voti.

Anche in Liguria falliscono i sogni di Renzi e Calenda, confinati in un ruolo del tutto marginale. Per loro sarà difficile trovare spazi a sinistra, perché l’elettorato di sinistra non perdonerebbe intese con loro; e in particolare con Renzi. Difficile anche andare a destra, dove i posti sono già occupati e il ruolo di partito più moderato della coalizione lo gioca già Tajani con Forza Italia.

Nicola Caprioni

Amici obiettano all’analisi di Caprioni sul dopo elezioni europee il dato che la vittoria di Bucci alle comunali genovesi fu assicurata dalla presenza di liste civiche, ora assenti nell’attuale consultazione di riferimento. A sostegno della tesi di Nicola sulla contendibilità di Tursi alla Destra va tenuto conto che le indagini della magistratura con i domiciliari per Toti hanno lesionato un sistema di potere. Dunque, possono aver bloccato l’effetto inquinante della fondazione totiana Change, finanziatrice delle liste civetta in questione.

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Guerre tra poveri mentre incombe la catastrofe umanitaria

Lo sfascio della Sanità ligure ha radici antiche, ma oggi ci dobbiamo confrontare con lo “sfascio” dei sanitari. Quello che sta accadendo da tempo nelle aree calde della Sanità denuncia una situazione gravissima con un aumento della conflittualità ormai al calor bianco fra cittadini che ricorrono alle cure e operatori. Dunque, una Sanità sempre più kafkianamente burocratizzata: liste d’attesa che vengono letteralmente “chiuse”, benché sia illegale, medici di base a far da passacarte, servizi territoriali erogati a spizzichi e bocconi, livello di competenza in caduta libera, per i numeri, per l’impiego di personale poco formato assunto anche tramite sedicenti cooperative, comparto paramedico in appalto. Quando in Sanità aumenta la burocrazia e non si cura la formazione degli addetti, costretti a comportarsi come se trattassero con “una merce” e non con esseri umani in difficoltà sia fisica che psicologica, il risultato non può che essere esplosivo.

Da inizio anno, oltre 400 operatori aggrediti sul posto di lavoro; nel 2022 oltre 500. La Regione non prende provvedimenti, ma “è vicina agli aggrediti”. Nel 1994 e nel 2009 vengono uccisi due psichiatri in servizio a Sampierdarena. Violenze sfruttate per attaccare la Basaglia, ma atto d’accusa contro la mancata piena attuazione della legge per numero incongruo di strutture e personale formato a lavorare in équipe, a vigilare e prevenire. Strutture sanitarie man mano sguarnite, o mai fornite, di Forze dell’Ordine.

Perché un rapporto che dovrebbe basarsi sulla fiducia del cittadino e la competenza e comprensione del sanitario diventa una colluttazione ai danni di quest’ultimo con conseguenze anche mortali? Si costringe l’operatore a rispettare un certo livello di “produttività”, come in fabbrica, lavorare in condizioni di rischio senza vigilanza e senza figure di supporto che curino l’accoglienza del paziente abbandonato per ore o trattato frettolosamente perché “non c’è tempo”. Il tutto sotto una patina di efficienza. Accendi la miccia e aspetti che esploda la dinamite. Pazienti che si sentono abbandonati, una continua frustrazione per gli operatori che vorrebbero fare bene e con umanità il loro lavoro. In questo incontrarsi e scontrarsi di anelli deboli cova ed esplode la rabbia, che non tutti sanno contenere nell’attesa snervante di ricevere o veder ricevere cure, nella perdita del senso di comunità sostituita dalla sensazione di trovarsi in una giungla dove ciascuno è nemico dell’altro e sopravvive il più forte.

M.R.

Sanità: Ilaria Cavo ci sfotte buttandola sull’anglomanageriale

Leggo su Genova 24 del 21/6 una trionfante dichiarazione di Ilaria Cavo: “I cittadini promuovono il sistema sanitario ligure”, sottotitolo: “Il report raccoglie il giudizio degli stakeholder della sanità, di chi la vive e di chi ne fruisce”.

Cavo non riferisce chi, su cosa e come è stata prodotta la statistica, perché mica deve dare comunicazioni scientificamente fondate, no, lei deve perorare la causa pro domo eorum: un po’ di pubblicità ingannevole, un po’ di anglo fuffa che fa figo, un attacco all’opposizione sbandierando dati che nessuno spiega come sono stati aggregati ma farebbero assurgere la Liguria a livelli di efficienza mai prima d’ora esperiti.

Eh, ma quello “stakeholder” mi sta un po’ qui e voglio svelarne il mistero: sono i “portatori di interesse, giocano un ruolo importante nella definizione del futuro dell’azienda… in grado di determinare il successo di un progetto fornendo supporto, informazioni e risorse preziose sia dall’interno che dall’esterno dell’organizzazione”. Fuffa livello Pro!

Capisci Rosetta, non sei tu che col tuo femore rotto puoi andare in Pronto soccorso per essere curata, no, tu sei una stakeholder, perciò sei tu che devi aiutare l’”Azienda”, cioè kennedyanamente chiederti “cosa puoi fare tu per lei”, non il Pronto soccorso per te.

A discorsi così fuffosi si può assistere solo se lo spirito del tempo è espresso da facce alla Lollobrigida o discorsi alla Sangiuliano sulla nascita a ritroso di Galileo per dare a Colombo lo spunto a circumnavigare. Una volta sdoganati simili “minestri”, chiunque può dire qualunque corbelleria fiero di non essere smentito.

Con questo non accuso gli attuali amministratori di aver portato al disastro la Sanità in Liguria, al massimo li accuso di aver messo il coperchio a un vaso di Pandora destinato a esplodere, o implodere, secondo del punto di vista.

Lo sfascio della Sanità ligure ha radici antiche. Gli inizi del disastro sanitario risalgono ai primi anni ‘80, quando irruppero sulla scena le Aziende Sanitarie Locali e il trionfante esercito dei “managers”, che inaugurò appunto la non ancora conclusa stagione di figure che arrivano, tagliano, in genere dove non dovrebbero e non dove dovrebbero, non si preoccupano del risultato e se ne vanno con copiose buonuscite.

Ciò non significa che un amministratore odierno si possa permettere di ignorare la realtà dei fatti, di non conoscere la storia dei disastri fatti anche da chi l’ha preceduto e di proseguire lungo la china verso la prevedibile catastrofe.

Maura Rossi

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Il futuro del porto di Genova

Il porto di Genova ha un futuro? I dati degli ultimi 20 anni mostrano che – sotto il profilo dei traffici, primo parametro della tendenza – il porto si è faticosamente rialzato dopo la crisi 2008-09, dal 2017 ha smesso di crescere e oggi appare per molti versi in regressione. Tendenza rilevata dal confronto con le performances degli altri porti del Nord Tirreno (NT): Savona-Vado, La Spezia, Marina di Carrara e Livorno-Piombino.

Nel periodo tra il 2007 (ultimo pre-crisi) e il 2023 il traffico totale di merci nel NT è diminuito ovunque fuorché Carrara: -13,5%, pari a -18,5mlo tonnellate (tons) perse, di cui la metà a Genova. Ha pesato il declino del petrolio, infatti -13mlo sono “rinfuse liquide” scese del 31%. Altra perdita ingente è quella nelle “rinfuse secche” a causa dell’abbandono delle produzioni industriali: – 75% pari a -15mlo tons, di cui oltre 2/3 a Genova e Livorno. Perdite scontate, a fronte delle quali era atteso l’aumento verticale e costante dei traffici di merce varia (semilavorati, beni durevoli e di consumo), imbarcata sopra i semirimorchi nei ro-ro (traghetti) e dentro i container sulle navi portacontenitori.

La crescita delle merci varie c’è stata solo sino al 2017: +15,2%. Negli ultimi 7 anni la tendenza si è rovesciata: -2,1%, a causa delle perdite di Genova e La Spezia, col risultato che nell’arco dei 17 anni il tasso medio annuo di crescita nel NT si è ridotto a 0,8%. Genova in particolare era cresciuta del 19,8% sino al 2017, da allora è scesa a -6,4%. Nello specifico, il traffico ro-ro è aumentato più di ogni altro: +50% per merito di Livorno e Savona, mentre Genova ha registrato un modesto +6%.

Veniamo ai container, considerati l’emblema dello sviluppo dei porti. Anch’essi sono cresciuti, ma molto meno delle attese: +15,4% (0,9% medio annuo) pari a 620mila teu, con Genova in evidenza +29% e + 540mila. Ma negli ultimi 7 anni il trend si è invertito: -1% e -270mila teu (con La Spezia – 335mila e Genova -273mila). Parzialmente positivo solo Savona: + 300mila. Se invece dei teu guardiamo le tonnellate di merce il quadro peggiora. In 17 anni la crescita è stata solo di +3,6% (+0,2% medio annuo), pari a +1,5mlo tons, con Genova in evidenza: +3,6mlo, ma a danno di La Spezia: – 3,3mlo.

La tendenza degli ultimi 7 anni mostra Genova e La Spezia perdere insieme addirittura 7mlo tons, di cui solo 3mlo recuperati da Savona. A questa perdita va aggiunta quella delle merci varie “breakbulk” (in pallet o sacchi o fuori misura) scese di 5mlo tons.

R.D.I.

La decrescita genovese

Ecco perché il porto di Genova non cresce: dagli ultimi 7 anni lo scalo presenta un segno positivo solo per ro-ro e breakbulk. Tutti gli altri traffici, container compresi, hanno un chiaro e ripetuto saldo negativo. Una situazione che non è drammatica solo perché il porto di Genova ha spalle forti, derivate dal primato nazionale e dalla multi-specializzazione che consente di distribuire i deficit e mantenere voci attive, ma che stride con gli irresponsabili proclami autocelebrativi delle istituzioni locali e delle imprese, che evitano di riconoscere i problemi e cercare nuove vie di sviluppo. Le istituzioni sono concentrate a salvaguardare il proprio consenso elettorale e il budget di spesa pubblica in appalti per infrastrutture dimensionate in base a scenari inattuali. Le imprese appaiono indifferenti alla crisi sinché possono recuperare redditività e garantirsi profitti agendo sullo sfruttamento della produttività del lavoro, sulle rese di sosta delle merci nel demanio in concessione e sul soccorso sempre generoso delle provvidenze pubbliche; come del resto confermano i lucrosi bilanci dei terminalisti portuali.

“Il futuro del porto non è il porto” ha affermato tempo fa Zeno D’Agostino, allora presidente dello scalo triestino. In un’altra occasione ribadì il paradosso invitando a immaginare quando i container non esisteranno più: «A Genova c’è una grande corsa alle infrastrutture, io ritengo che invece ci debba essere prima di tutto un grande lavoro di organizzazione, di ottimizzazione, di efficienza, di sviluppo e di individuazione di quelli che devono essere i modelli di business». D’Agostino invitava ad affrancarsi dall’unico destino quantitativo dei traffici per cercare nuove fortune dentro e oltre i confini portuali: promuovendo investimenti e alleanze innovative lungo i corridoi logistici e nelle aree industriali gravitanti sulle banchine. Sempre mantenendo una salda guida della autorità pubblica sulla molteplicità degli interessi privati in gioco.

Invece Genova pare un Narciso specchiato nell’immagine trita di “Capitale del Mediterraneo” grazie al primato di traffici chimerici, mentre le idee per uscire fuori dal porto o per portare nel porto nuovi business e nuova occupazione, non risultano oggetto di alcuna visione strategica; né sono agite dall’Autorità portuale, privata di sovranità e prestigio da un commissario straordinario invadente e intrigante. Soprattutto, con il proprio futuro rimesso direttamente nelle mani degli interessi privati.

Riccardo Degl’Innocenti

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Una regione in caduta libera – l’economia

Nel 2023 la crescita del PIL italiano non è sostenuta forte come si sperava. Emergono comunque segnali importanti da un lato di tenuta dell’economia e dall’altro di aumento dei divari interni. La Liguria si distingue nettamente tra tutte le regioni italiane. Ha una crescita molto debole. La più debole di tutte le aree del Nord Italia, pari alla media di quelle meridionali. Il prodotto industriale lordo del Nord Italia cresce infatti in media dell’1,1%, mentre quello ligure è pari alla media del sud d’Italia, con un mediocre incremento dell0 0,8%. Il dato è impressionante se si considera che per tutto il periodo che va dall’unità d’Italia alla seconda guerra mondiale la Liguria era la regione più ricca d’Italia (oggi è al 10° posto) con il PIL più alto di tutti.

La politica ha assistito passivamente a un pauroso processo di deindustrializzazione, senza pensare a una politica industriale alternativa. Manca completamente il ruolo della cultura d’impresa. Mancano i top manager perché si è sempre premiato il criterio di fedeltà rispetto a quello di competenza. L’Università non è riuscita a giocare un ruolo di stimolo alla nascita di nuove imprese ad alta tecnologia. Non parliamo di realtà come l’IIT, che invece di diffondere tecnologia, fertilizzando il tessuto imprenditoriale locale, si divertiva a fare robottini sorridenti. Se la crisi ha radici storiche, queste risalgono almeno agli anni ’70 del secolo scorso. Ma hanno subito una drammatica accelerazione nei tempi più recenti. Le classi politiche hanno pensato che la soluzione ai problemi fosse di puntare solo sul binomio porti e turismo. Così si sono dirottate da un lato tutte le risorse sulle infrastrutture e dall’altro si è sfiorato (e non solo) il ridicolo pensando al turismo come distribuzione di tappetti rossi ovunque (presto lerci) o di far navigare sul Tamigi un gigantesco pallone gonfiabile a forma di mortaio col pesto.

I tristi fatti di cronaca di questi giorni hanno messo in mostra una classe dirigente di un livello imbarazzante per qualità di governo e non solo, le cui priorità strategiche sono l’aggressione all’ambiente naturale, lo smantellamento del servizio sanitario o l’apertura di nuovi supermercati Esselunga. Parlano a vuoto di “modello Genova”. Ma cos’è il “modello Genova? L’aggiramento di qualsiasi norma legale per costruire. Vi sembra questo un possibile modello di sviluppo industriale per l’economia del terzo millennio?

Nicola Caprioni

Una regione in caduta libera – le istituzioni

Un libro fresco di stampa, “La Liguria è (ancora) una regione del Nord?” (Erga Edizioni), scritto dal professore ordinario di Economia Politica dell’Università di Genova, Maurizio Conti, traccia il declino dell’economia e della società ligure rispetto al resto del Nord Italia, in cui la città di Genova primeggia in misura marcata. In mezzo alla voluminosa serie di dati statistici che illustra questa realtà mistificata ogni giorno dalla propaganda politica, c’è anche lo spazio per un nuovo indicatore economico: la qualità istituzionale. Quanto basta per mostrare come la Liguria risulti di gran lunga la regione con il più basso livello qualitativo nel Centro-Nord. Tra i sotto-indicatori in cui la Liguria è più bassa, oltre alla presenza di criminalità, efficienza della giustizia e presenza di economia sommersa e evasione, c’è anche l’efficienza della pubblica amministrazione, in particolare circa la qualità della regolazione, l’imparzialità, la corruzione.

L’Autorità di sistema portuale di Genova-Savona (AdSP) è sicuramente protagonista in negativo di questi ultimi indicatori, vantando l’ex presidente in carcere per casi di spregevole corruzione e il segretario generale indagato. Ma ora – purtroppo – abbiamo avuto un esempio di questa cattiva qualità anche sotto il profilo della capacità di imparzialità e regolazione da parte della nuova struttura direttiva.

Da tre giorni i lavoratori di uno dei principali terminal, GMT del gruppo olandese Steinweg, e della controllata società CSM, sono in sciopero 24 h al giorno, per protestare contro le precarie condizioni sulla sicurezza più volte segnalate (una nave con un carrello precipitato in stiva è ancora ormeggiata nel terminal), le insufficienti relazioni sindacali e infine gli atteggiamenti ostili e vessatori della direzione, che per alcuni lavoratori “scomodi” sono sfociati in licenziamenti illegittimi. Il clima in azienda secondo i lavoratori è diventato insostenibile, pure avendo questi stessi contribuito in modo decisivo, nonostante le problematiche di questi anni, ai record produttivi aziendali: l’ultimo bilancio disponibile di GMT (2022 su 2021) riporta che i traffici di merce nel terminal genovese sono aumentati del 22%, il fatturato lordo del 28%, l’occupazione dello 0,7%, i profitti netti di Steinweg del 107%. Mentre il Commissario del Porto, interpellato dai lavoratori per esporre i motivi dello sciopero, dichiara di non essere informato sui fatti.

Riccardo Degl’Innocenti

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Chi comanda a Spezia?

Il nostro amico, consigliere regionale Roberto Centi, ritiene che Alessandro Manzoni si riferisse a questo tema scrivendo gli immortali versi dell’Adelchi “il forte si mesce col vinto nemico,/ col novo signore rimane l’antico;/ l’un popolo e l’altro sul collo vi sta./ Dividono i servi, dividon gli armenti;/ si posano insieme sui campi cruenti/ di un volgo disperso che nome non ha.”?

Deep Spezia

Il potere spezzino? Dal vecchio dominio dell’armiero statale e di un notabilato politico, operante grazie ad accordi spesso sottobanco e oliate cinghie di trasmissione col potere romano, si è passati a nuovi padroni.

Nelle crepe del duopolio, che tra qualche sede di partito e qualche salotto “occulto” si spartiva enti pubblici, banche, sanità e influenze, penetrano i tentacoli del sistema di governo Toti: un soggetto che ora dialoga con la nuova cantieristica della nautica da diporto, ora con importanti multiutilities, ora con l’impresa, ora con il porto. Se si atteggiava a contropotere dell’amministrazione comunale al tramonto del centro-sinistra, ancora oggi si disinteressa del suo Sindaco; con cui dialoga – anche per responsabilità di costui – poco e male. Un groviglio di interessi e interlocuzioni che sfugge ipso facto alla trasparenza dei controlli dovuti.

I tavoli dove discutere le sorti della città o non esistono, come nel caso Basi Blu, con la Marina che cala sul territorio un progetto faraonico senza coinvolgere l’amministrazione, o si attivano per dettagli, come nel caso dei grandi players della crocieristica o la straordinaria opportunità dell’area Enel in dismissione. Del tutto trascurabile rispetto ai decenni passati il ruolo della borghesia locale, delle banche e delle istituzioni d’area, da quando CariSpezia è finita sotto le ali robuste ma eterodirette di Credit Agricole; da quando Genova ha sguainato gli artigli predatori di sanità, infrastrutture, trasporti.

Caso particolare il turismo, in cui il sistema tentacolare totiano attua colpi di mano nelle Cinque Terre e sull’ala occidentale del Golfo, specialmente Porto Venere; ottiene via libera in quella orientale dove governa a Lerici: la solita convinzione lericina di essere una città nella città, con un notabilato che opera dietro le quinte.

Permane la sgradevole sensazione diffusa che molte decisioni avvengano in una sorta di deep Spezia; una Spezia profonda, dove resiste un potere meno forte del passato ma tuttora convinto di poter ancora determinare carriere, fortune e concessioni. Nel tramonto della sua egemonia: un fritto misto di massonerie variegate, notabilati ereditari, borghesi in cerca di blasone, politica rampante e cafona. Solo chi l’ha sempre visto, subìto o combattuto lo riconosce all’olfatto. E se propone scelte alternative, in questa provincia di confine tra diversi imperi contrapposti, gode di vasta stima. Ma non ha vita facile.

Roberto Centi

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Sanremo: urne deserte, vince il centrodestra civico

In questa battaglia all’ultimo sangue nella destra sanremese, vince al ballottaggio il centro destra civico, in continuità con l’Amministrazione uscente dell’ex Sindaco Biancheri; che

-per quanto lo riguarda- ha ottenuto già al primo turno una sana bocciatura col risibile risultato della lista di sua ispirazione.

L’avvocato Alessandro Mager è il nuovo Sindaco di Sanremo, con l’aiuto all’ultimo minuto utile del PD e del candidato sindaco del centro sinistra Fulvio Fellegara. Una scelta non condivisa e che ha portato il fronte della sinistra a spaccarsi. Mager vince superando l’avversario Rolando (destra partitica) di soli 460 voti. Ma il dato più preoccupante è un altro: il Sindaco è stato eletto con una partecipazione al voto del 43,23% dei votanti, cioè con 19.493 partecipanti al voto sui 46.071 sanremesi aventi diritto: 9.977 voti (51,18%) per l’eletto, 9.517 voti (48,82%) per lo sconfitto. Con ben 342 schede annullate!

Molto meno della metà degli elettori e delle elettrici ha scelto il prossimo Sindaco di una città importante come Sanremo, complessa e difficile. Numeri risicati, rispetto ai quali il grosso della città è rimasta silente. Con questi dati non c’è da essere contenti per la evidente disaffezione al voto, anche in ambito comunale, l’elezione più vicina a noi.

Disinteresse o scarso impegno civico, poca attrattiva delle proposte in campo, consapevolezza della mancanza di un vero cambiamento, percezione di una politica distante dalla gente e vicina solo alle élites? Ora staremo a vedere in cosa si concretizzerà l’accordo ufficioso siglato in extremis tra il centro destra civico (il “meno peggio”, a detta dei promotori e così percepito dall’elettorato) e Fulvio Fellegara del PD, quali le contropartite in termini di spartizione di potere. Una prima conseguenza certa è che non vi sarà opposizione in Consiglio Comunale, in parte assorbita dalla maggioranza, in parte contigua per estrazione politica e per condivisione di interessi e progetti.

Speriamo, fuori dal Palazzo, nell’attività dei movimenti civici e nell’associazionismo impegnato; che tanto avranno da lavorare per portare avanti le loro istanze, a partire dall’acqua pubblica e dal consumo di suolo, all’aggressione all’ambiente, alle privatizzazione del beni pubblici: il 1 luglio partirà la gara indetta da Rivieracqua per la ricerca del partner privato, operazione fortemente voluta e gestita con determinazione dal Presidente della Provincia Claudio Scajola, sponsor di Mager, nuovo Sindaco di Sanremo!

Daniela Cassini

Briatore impazza tra Ventimiglia e Varazze: viva Toti

L’Italia è davvero un bel paese: abbiamo Sangiuliano, il ministro della cultura che spiega come la via delle Indie sia stata suggerita a Cristoforo Colombo da Galileo Galilei. Abbiamo Lollobrigida, ministro dell’agricoltura, cui devono piacere i campi di marijuana avendo ha detto che se uno se deve fa’ na canna, se la faccia bene. E abbiamo un plurindagato e un pluriassolto, fuoriuscito dall’Italia, residente a Montecarlo, pronto a sostenere che un altro plurindagato e per ora ai domiciliari, presidente di Regione Liguria, sia un perfetto gentiluomo: Toti. Ora i casi sono tre: che il cuneese Briatore, che da giovanotto senza un soldo chiamavano “tribula”, abbia un’ignoranza dei fatti direttamente proporzionale ai milioni che ha fatto. Che faccia il furbetto: visto che ha da poco aperto due locali in Liguria, un altro Twiga a Ventimiglia e una Crazy Pizza a Varazze, i resort dove i gonzi pagano per dire di esserci stati, scommette ancora su Toti pensando al futuro. D’altra parte, la sua arroganza di neoricco gli fa dire delle cose che, se fossi la Magistratura, andrei subito a fare un controllo in quel comune. Ha infatti dichiarato (fonte Ansa): “di Ventimiglia mi ha colpito il sindaco, qui abbiamo avuto tutta la burocrazia all’incontrario, perché normalmente la burocrazia non ti permette di fare. Invece qui abbiamo trovato un’amministrazione fantastica, che con il sindaco in particolare ha aiutato ad abolire tutti questi passaggi, che normalmente fanno scappare gli imprenditori”. Come? Il Sindaco ha abolito la burocrazia, leggi la regolarità delle concessioni? Qualcosa puzza, no? Terzo: che il nostro inquisito presidente abbia tanti di quei dossier segreti, pure su Briatore, che questo lecca e l’altro sta tranquillo. E ciò spiegherebbe da una parte la levata di scudi di molti e dall’altro la prudenza dei meloniani dal buttarlo giù dalla torre. Va ricordato cosa fece Giolitti quando era ministro del Tesoro del governo Crispi e poi Presidente del Consiglio all’epoca dello scandalo della Banca Romana, alla fine del XIX secolo. La sua concione di difesa in Parlamento consistette nel portare un fascicolo di fogli minacciando apertamente che se fosse stato condannato avrebbe consegnato quei fogli alla stampa, con i segreti di tanti parlamentari. Risultato: fu assolto. La storia insegna, e insegna anche che la verità purtroppo sarà molto difficile conoscerla: ci sarà, prima o poi, la verità legale, ma che questa coincida con la giustizia è tutta un’altra storia.

Carlo A. Martigli

Cultura a Genova - Wikipedia

Savone pays du Roi, il genovese-savonese come lingua neo-latina (7)

La formazione del ligure romanzo si protrasse nei secoli senza soluzione di continuità. Già nel XII secolo, con i primi documenti definibili “volgari” a tutti gli effetti, possiamo affermare l’avvenuto abbandono del latino nell’uso parlato. Una delle prime conferme è rappresentata dal testamento di tale Raimondo Pictenado genovese, databile attorno al 1156, in cui le espressioni in volgare evidenziano già una loro autonomia. Mentre a Savona l’uso del latino nelle pratiche notarili proseguirà fino al XIV secolo.

Intanto, alla fine del XII secolo compaiono le prime opere letterarie espressione della lingua parlata (vedi Lucchetto: “E tanti sun li Zenoexi/ e per lo mondo si destexi/ che und’eli van o stan/ un’atra Zena ghe fan”). Una parlata che mantiene ancora caratteri galloitalici ma in costante trasformazione: il passaggio dalla û alla ü (düu per duro e lüge per luce), la trasformazione del “ct” latino in “it” (faitu per fatto, laite per latte).

In più compaiono nel dizionario zeneise nuovi vocaboli veicolati dalle invasioni barbariche: gianco, bianco, e mòtto, zolla, sono di origine genericamente germanica; fada, gonna, è probabilmente gotico mentre magun, tristezza, e treuggio, lavatoio, sono longobardi. Come è di origine longobarda il termine italiano “boa”, da bauga (anello).

L’ascesa di Genova nell’area determina la notevole forza attrattiva dei modelli linguistici del centro urbano sull’intero arco rivierasco, con evidenti effetti unificanti. Così si possono individuare diverse parlate liguri ma sempre all’interno di una lingua comune; con caratteristiche che sulla costa si estendono da Bergeggi a Moneglia e penetrano all’interno fino al Trebbia: l’emergere di una sorta di Stato regionale genovese (conseguente a politiche territoriali a partire dal 1113 con l’occupazione di Portovenere, a spesa dei signori di Vezzano), mentre nel resto d’Italia è in formazione il ben diverso modello delle città-Stato. Sicché lo scarto linguistico tra il zeneise e l’Italiano-Toscano rivela l’elevata specificità di questa parlata. «Paragonabile allo scarto tra due lingue romanze universalmente considerate autonome, quali Catalano e Spagnolo-Castigliano».

Ossia, l’identità ligure si esprime non attraverso un semplice dialetto (“sottoprodotto linguistico di un sistema dominante”), bensì grazie a un vero e proprio idioma (“linguaggio di una comunità”). Una lingua romanza, come altre fiorite sul ceppo latino; un idioma mediterraneo: il volgare della Natio ligure (Continua).

Pierfranco Pellizzetti

SUGGESTIONI DI LIGURIA

Bellezze dimenticate da riscoprire

Un percorso d’arte: La collegiata di Sant’Ambrogio

Il Ponente della Liguria è ricco di opere d’arte, anche di grande pregio, spesso poco conosciute anche dai suoi stessi abitanti, e Varazze ne è il tipico esempio con la Collegiata di Sant’Ambrogio; posta nell’omonima piazza e svettante sul sagrato caratterizzato da un risseau di ciottoli di mare bianchi e neri. Questa Chiesa, all’interno delle mura medievali del centro storico, permette al visitatore attento un percorso d’arte tra i secoli: da notare subito la torre campanaria, cuspidata a cinque piani con tre ordini di bifore, a mattoni rossi in stile romanico-gotico, risalente al primo impianto del XIV secolo; che dopo un intervento del 1535, venne completamente modificato nel 1655 con lo spostamento della facciata verso est e nel secolo scorso con quella attuale in stile neorinascimentale progettata da Luca Guglielmo Camogli (ma nato a Varazze). Ma è all’interno della Chiesa che è possibile un vero e proprio tour di arte, non solo ligure, nel corso dei secoli: nella quarta cappella della navata destra spicca un polittico su tavola a fondo oro del XVI secolo di Giovanni Barbagelata con “Sant’Ambrogio, santi e angeli musicanti” di notevole fattura, mentre nella seconda cappella della navata destra si può ammirare un’”Annunciazione” di Francesco da Milano del 1535, a cui fa pendant nella prima cappella una Madonna dipinta da Bernardo Castello, risulta invece di difficile fruizione nella cappella a destra dell’altare maggiore una tela del Maestro Luca Cambiaso, “Madonna in trono tra San Giovanni Battista e San Francesco”, in quanto purtroppo la visuale è in parte impedita da una sezione dell’organo. L’impronta decisamente barocca si coglie non solo nella struttura degli altari laterali settecenteschi, ma soprattutto nella strepitosa tela ”Apparizione di Gesù a San Gregorio” di Orazio de Ferrari nel transetto della quarta cappella destra e nelle statue, in primis quella sull’altare maggiore raffigurante “Assunzione di Maria” di Francesco Maria Schiaffino del 1740. Infine, nella terza cappella di sinistra, la veneratissima (e patrona di Varazze) “Santa Caterina da Siena” di Anton Maria Maragliano. Le restanti decorazioni che impreziosiscono l’interno sono pressoché tutte posteriori ed opera di autori ottocenteschi, quali Giuseppe Isola e Antonio Quinzio. Una Varazze d’arte tutta da scoprire.

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

La Decima Mas: da Chiavari, per non dimenticare.

Ci si ricorda del ruolo criminale di questa formazione “repubblichina” guidata da Junio Valerio Borghese; con sede operativa nel porto della Spezia e che dopo l’8 settembre si legò ai nazisti occupanti. Fu allora che lo stemma della formazione assunse la X del numero romano. Particolare rilevante per i recenti riferimenti al voto del generale Vannacci: “fate una Decima sul simbolo della Lega”. Un clima ispirato al giuramento di questi fascisti in divisa tenutosi nella Caserma di Caperana a Chiavari; con il discorso del Tenente Colonnello Giannettini. Discorso che proponeva il parallelo tra Mazzini e Mussolini: il primo si affiancò all’eroe popolare Garibaldi, come al Duce si era affiancato un altro eroe come Graziani. “Oggi come allora gli sforzi dei capi tendono a risollevare il Paese dal marasma nel quale è stato gettato. Avevamo giurato fedeltà al Re facendo dono di noi stessi. Questo Re ci ha traditi. E noi che ci sentiamo italiani, dobbiamo, con la simbolica manifestazione di oggi, impegnarci solennemente a dare tutti noi stessi per la salvezza dell’Italia”. Questa la formula: Giuro di servire e difendere la Repubblica Sociale Italiana nelle sue Istituzioni e nelle sue leggi, nel suo onore e nel suo territorio, in pace e in guerra, fino al sacrificio supremo. Lo giuro dinanzi a Dio e ai caduti per l’unità, l’indipendenza e l’avvenire della Patria.

Così la mattina di domenica 14 maggio, sempre nella Caserma Giordano Leone di Caperana, ci fu il giuramento dei marinai della Marina Repubblicana e della X Mas. Durante la cerimonia fu benedetta la bandiera del battaglione, confezionata dal Fascio Femminile di Chiavari. Massime autorità presenti il Comandante di Fregata Julio Valerio Borghese, il Vice Com. Federale Faloppa, Il Comandante della Marina Repubblicana di Genova Com. di Fregata Lowenberg (in seguito assassinato per attività antifascista), il Com. della Caserma di Caperana Vagliasindi e Vito Spiotta. Durante la manifestazione prenderanno la parola sia Borghese che il Capo della Provincia Basile.

A inizio giugno ’44 il reparto “Lupo” della Decima Mas fu trasferito nella zona di Aulla-Fivizzano. Aulla era semidistrutta dai bombardamenti alleati che avevano mancato l’unico obbiettivo militare: il ponte ferroviario. Ai primi di luglio il reparto venne inviato a presidiare il tratto della strada Parma Chiavari, tra Santa Maria del Taro e Borgo Valditaro, poi in zona Centocroci. E in tutte queste zone la X Mas si macchierà di vere efferatezze.

G.V.

È dagli anni ‘60 che gli studiosi di musica popolare valorizzano l’uso del canto nell’immaginario partigiano della Resistenza. In particolare il repertorio della Liguria di Levante conservato da Paolo Castagnino “Saetta”, già comandante della brigata Longhi della Coduri, costituendo il “Gruppo Folk italiano”.

Nel Cui repertorio non poteva mancare “Bella ciao”.

A proposito di Bella ciao

Spesso la cultura popolare, che comprende a buon diritto il canto partigiano, utilizza partiture musicali già note adattate alle nuove esigenze. Come nel caso di “Bella Ciao”.

In una lunga intervista ai cultori di musica popolare Giovanna Daffini e Vittorio Carpi, in cui si chiede notizie della canzone, se ne evoca la versione di risaia, quando le mondine cantavano “Alla mattina appena alzata, o bella ciao…, alla mattina appena alzata, laggiù in risaia mi tocca andar”. Dunque un’ambientazione esplicitamente riconducibile all’ambiente di lavoro e alle sue lotte. Ma come si arriva alla versione odierna? Nonostante i materiali raccolti non è chiara l’evoluzione di “Bella Ciao” a canto resistenziale. E la sua carica provocatoria. Come nel Festival dei Due Mondi di Spoleto 1964, quando andò in scena lo spettacolo musico-teatrale “Bella Ciao”, che presentava il mondo della canzone popolare nell’interpretazione de il Nuovo Canzoniere Italiano. E fu scandalo: le proteste del pubblico fecero volare le sedie, i giornali ne parlarono; e riprese la ricerca sulla canzone.

29 aprile 1965. Sulle pagine de L’Unità esce allo scoperto Vasco Scansani, “amico di risaia” di Giovanna Daffini. Scansani si riferisce all’esibizione scandalo di Spoleto e precisa: “Non è per spirito di polemica che scrivo queste righe, ma per ragioni di giustizia a cui non posso sottrarmi: la canzone delle modariso diventa la canzone partigiana“Bella Ciao”… dette parole sono state scritte e cantate alla festa della mondina nel luglio del ‘51 dal sottoscritto”. L’11 maggio 1965 il ricercatore Gianni Bossio incontra Vasco Scansani per una registrazione, in cui ribadisce di aver appreso il testo nella versione tuttora cantata ascoltandolo nei giorni della Liberazione. La ricerca non si fermò, tornando sul campo per recuperare altre informazioni in merito. Nel 1975 Cesare Bermani ripropone il tema, documentando che la canzone di risaia risale agli anni Trenta. Molto più complessa resta tuttora l’evoluzione resistenziale. Ma non stupisca il fatto che il canto popolare spesso adatti a nuove circostanze canzoni già esistenti (leggere i Quaderni dal Carcere di Antonio Gramsci). Il 30 giugno 1960 si tenne in Genova una grande manifestazione antifascista e molti cantavano la canzone partigiana.

“Bella Ciao” rimane una colonna sonora simbolo, una lezione per tutti i democratici.

Getto Viarengo

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