SAPERE PER DECIDERE
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Numero 23, 31 Maggio 2024
Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- FUORISACCO
- ECO DALLA RETE
- ECO DELLA STAMPA
- LA LINEA GENERALE
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- BURIDDA
- SALUTE E SANITÀ
- SPAZIO E PORTI
- FATTI E MISFATTI
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- PASSEGGIATE D’ARTE
SPIFFERI
La Liguria, parco giochi per orsi e orsetti
Lo Yoghi Giovanni Toti si aggira furibondo nella gabbia dei domiciliari. Capisce che se non riparte il pic-nic ligure il suo futuro sarà da orso impagliato. Purtroppo tutte le sue furbate da plantigrado (finto) bonaccione sono fallite: la lista “Noi Moderati” non ha trovato visitatori e offrire Vado come sede di un rigassificatore in cambio del terzo mandato non ha smosso il cuore di pietra della capobranco Giorgia. Come sopravvivere senza cene a sbafo con l’orsacchiotta Elisabetta Canalis nel ristorante Vip di Portofino? O le trasferte a Londra con annesso mortaio gonfiabile alla modica cifra di 1 milione di euro? Il solo commosso è l’orsetto Bubu-Bucci. Presentando un libro in sala Sivori, dichiara compunto: se il ranger ci espelle “sarà un danno irreparabile per le future generazioni”.
Schiene dritte e schiene curve a Palazzo San Giorgio
Fuori di dubbio l’unico attore di classe, tra i guitti e i maneggioni all’opera sulla scena portuale genovese e smascherati tali dalle indagini della Procura, è Rino Canavese. Il consigliere del comitato di Gestione dell’Autorità Portuale di Genova-Savona che ha subito dichiarato inaccettabile la regalia del bene pubblico Terminal Rinfuse, sotto forma di concessione trentennale, e ha tenuto duro sino alla fine votando contro un provvedimento inquinato da ragioni illecite. Mentre i suoi colleghi si sono rapidamente liquefatti davanti alle pressioni di chi gli aveva donato la poltrona confidando nella loro “malleabilità”. E ora che si fa? Si propone un ruolo importante a Canavese nel repulisti delle stalle di Palazzo San Giorgio? O è nel vero se dice a se stesso “me la faranno pagare”?
L’Europa che ci raccontano
Non si direbbe che l’imminente consultazione elettorale europea stia scaldando i cuori liguri. Con quei messaggi precotti, senza attinenza alla nostra quotidianità. A cosa pensa Elly Schlein promettendoci “l’Europa che vogliamo”. Come? Cosa? E che ne sa di ciò che vogliamo? Lo stesso vale a destra, dove Giorgia incombe dai manifesti con uno slogan fuori di testa: “l’Italia cambia l’Europa”. Ma va là! A rischio di esplodere come la rana che voleva farsi bue. Concretezza promette il bidello in politica Francesco Bruzzone, terrore dei passeri dell’Appennino quale referente di doppiette libere: “più Italia e meno Europa”. Ossia? Forse lo spiega il suo collega Claudio Borghi, autore della geniale proposta di togliere la bandiera Ue dalle sedi istituzionali. Proprio ciò di cui avevamo bisogno.
C’È POSTA PER NOI
Riceviamo dalla nostra amica Maura:
Terrorismo verbale contro la libertà di parola
Tal sottosegretario Molteni (Lega), a Genova per sostenere la candidatura Bruzzone, a detta del Secolo XIX si produce in un assist alla linea dura contro i manifestanti con una frase che è tutto un poema sulla sua conoscenza delle regole democratiche: “Manifestazioni sempre concesse, ma la violenza non va tollerata”.
Vorrei far notare all’occupante, per insipienza, abusivo di una carica dello Stato che se la violenza non va tollerata, allora in questi giorni è proprio lo Stato a dover fare un passo, e un manganello, indietro; e che le manifestazioni non vengono “benignamente” concesse, sono un diritto. Poi salta fuori tal Iezzi (sempre Lega) con un emendamento al ddl Sicurezza in Commissione Affari costituzionali della Camera che prevede fino a 25 anni di carcere per chi si oppone alla costruzione di grandi opere “ritenute strategiche”. Il suo emendamento finirà “à la poubelle”, come dicono i francesi, “nella rumenta”, come diciamo noi, perché è anticostituzionale. Almeno per ora.
Maura Rossi
A tale proposito Riccardo Degl’Innocenti ci invia questa favoletta. Chi vuol capire, capisca.
BUCCI ZEN
Un uomo che camminava per un campo s’imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto ad un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto. Tremando l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, un’altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L’uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altro spiccò la fragola. Com’era dolce! (da: 101 storie zen, Adelphi)
FUORISACCO
Carlo Martigli ci invia questo memento:
Calamandrei scriveva
Settant’anni fa Piero Calamandrei, Costituente e fondatore del Partito D’Azione scriveva: “in questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezze e di corruzioni, di persecuzioni della miseria e di indulgenti silenzi per gli avventurieri di alto bordo,… che i giovani respirino l’aria pura delle montagne e risentano ancora i canti dell’epopea partigiana”. Sembra scritto oggi, in questo clima di neofascismo strisciante e corruzione che avvelena la nostra regione. Solo dieci anni prima, veniva compiuta la strage del Turchino, 59 persone uccise dalle SS, tra cui 22 appena scampati a quella della Benedicta, 75 partigiani uccisi dai fascisti. Solo per ricordare, oggi, che grazie a quel sacrificio, oggi possiamo scrivere su Controinformazione, liberi di essere apprezzati o detestati, ma sempre liberi di esprimere ciò che pensiamo.
Carlo A. Martigli
ECO DALLA RETE
Il consigliere regionale Roberto Centi (Lista Sansa) intendeva vederci chiaro sui pacchetti di voti messi in vendita da organizzazioni malavitose nell’ultima campagna elettorale in Regione. Questo la sua dichiarazione d’intenti:
Corruzione, Centi convoca la commissione regionale antimafia
«È mia intenzione convocare con atti concreti la Commissione Regionale Antimafia per approfondire, nell’ambito delle attribuzioni in nostro possesso, il tema dei sospetti legami tra politica e criminalità organizzata che stanno emergendo dalle indagini in corso. Ricordo che la Commissione Antimafia, che ho l’onore di presiedere, non ha competenze d’indagine e comunque non può e non deve interferire in alcun modo con le indagini in corso; aspetto, questo, ascrivibile esclusivamente all’operato della Magistratura e delle Forze dell’ordine. Invece rientra nelle nostre competenze approfondire gli aspetti utili a individuare il vulnus che permette, anche nell’ipotetico rispetto formale delle norme, atteggiamenti e comportamenti che politicamente abbiamo il dovere di condannare aspramente. Ricordo anche che come Commissione Antimafia in questi quasi quattro anni di attività abbiamo audito decine e decine di esperti ed associazioni che ci hanno aiutato a far emergere in modo netto e inequivocabile il quadro del radicamento della criminalità organizzata in Liguria. Stiamo esaminando la possibilità di convocare il presidente dell’Anac Giuseppe Busìa, che ricordo essere intervenuto già prima dell’esplosione pubblica delle indagini per i rischi del maxi appalto della diga di Genova. Con il presidente Busìa vorremmo approfondire la situazione poco trasparente degli appalti, partendo dai dati che la stessa Anac ha recentemente diffuso: in Italia 1 Comune su 4 (con più di 15 mila abitanti) ha verificato almeno un caso di corruzione tra il 2015 e il 2020 e parallelamente si è assistito ad un exploit degli affidamenti diretti, pari al 90% degli appalti totali sotto i 40 mila euro e al 49,6% per quelli di importo superiore. Insieme al tema degli appalti è nostra intenzione approfondire con esperti giuridici del settore anche l’attività di lobbying, in modo da avere un quadro chiaro su trasparenza, conflitti di interesse, tracciabilità dei finanziamenti e regolamenti interni alle singole regioni. Il nostro obiettivo è dare il prima possibile alla Liguria gli strumenti di legge per impedire che in futuro possano anche solo verificarsi le condizioni per i sospetti intrecci perversi tra politica, mondo imprenditoriale e criminalità organizzata di cui tutti stiamo leggendo in queste settimane».
R.C.
Ma il 23 maggio è arrivata la doccia fredda da parte di questa screditata maggioranza regionale.
«Come Presidente della Commissione Regionale Antimafia sono stupito e amareggiato dal voto contrario espresso oggi dalla maggioranza di Centrodestra sulla mia richiesta di audire in Commissione un’ Associazione che si occupa a livello scientifico e culturale di lobbismo e trasparenza e che si avvale di studiosi di fama per analizzare anche il fenomeno del conflitto di interessi nelle procedure che vedono coinvolti attori pubblici e privati e soprattutto di verificare la disponibilità di ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) a intervenire nei lavori della nostra Commissione per analizzare quali possano essere le zone d’ombra della normativa vigente che consentano l’aprirsi di vicende come quella che tocca la Liguria, senza interferire in nessun modo nelle indagini, cosa che la Commissione Antimafia della Liguria non può e non vuole fare, come dichiarato più volte in ogni occasione pubblica, perché non rientra nelle sue attribuzioni. Ho ripetuto che la Commissione sarebbe rimasta nell’ambito delle sue mansioni, che tuttavia esistono, sono ampie e non si possono non vedere né trascurare, per semplice dovere di ufficio e rispetto dell’istituzione nella quale lavoro. Nonostante il primo voto contrario della maggioranza, tuttavia, il regolamento dà la possibilità al Presidente di procedere anche con i soli voti della minoranza e pertanto ho messo in votazione ugualmente la mia istanza e quella di altri commissari, ottenendo pertanto l’avallo per le audizioni da me richieste, oltre che per quelle richieste da altri partiti, ancora ANAC e Libera. Ritengo grave che una Commissione, che ha dato prova finora e sempre di rispettare sia il ruolo istituzionale che le competenze che ha, si sia divisa incomprensibilmente sulla possibilità di audire associazioni che studiano i temi della trasparenza e del lobbismo e soprattutto l’Autorità Nazionale Anti Corruzione, che è per funzione presidio essenziale a tutela della legalità».
Roberto Centi
ECO DELLA STAMPA
Shipping Italy del 15 maggio commenta il parere negativo del Ministero dell’Ambiente alla modifica del progetto relativo al cantiere necessaria, fra l’altro, a conferire più materiali ai cassoni della nuova diga. Un segnale che le megalomanie faraoniche di Bucci stanno per finire nel gorgo della Tangentopoli ligure?
Battuta d’arresto nel ribaltamento a mare del cantiere di Genova-Sestri
«Mentre il porto di Genova è terremotato dall’inchiesta giudiziaria, uno dei progetti simbolo della stagione di maxi-opere inaugurata sotto il coordinamento del commissario alla ricostruzione del ponte Morandi, Marco Bucci, rischia una battuta di arresto: il ribaltamento a mare del cantiere navale di Sestri Ponente, la cui Fase 2 langue, essendo arrivata al 10% a fine 2023.
Infatti la Direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell’Ambiente ha espresso parere negativo a una modifica progettuale che Port Authority aveva dovuto sottoporle dopo la parziale bocciatura di un precedente ritocco. In questa seconda occasione, l’AdSP aveva formulato un’ipotesi di “bilancio dei materiali e di modalità di loro gestione”, con previsione di portare da 140mila a 400mila metri cubi il quantitativo di materiali da conferirsi al riempimento dei cassoni della nuova diga. Diversi però i problemi rilevati: “Considerata l’entità delle modifiche proposte nella gestione dei materiali oggetto di movimentazione, rispetto al progetto sottoposto a procedura di Via; ritenuto pertanto necessario che il proponente fornisca ulteriori approfondimenti progettuali, con particolare riferimento agli aspetti di qualifica della qualità dei materiali oggetto di movimentazione, e la relativa gestione; vista la presenza di amianto in concentrazioni tali da non consentirne il completo riutilizzo; visto che il proponente richiama un trattamento al quale dovranno essere sottoposte le terre contenenti amianto per consentirne il riutilizzo, che però non è descritto, né è specificato il relativo iter autorizzativo; visto che la realizzazione del palancolato provvisorio sottrae una superficie di specchio acqueo non prevista dal Pfte (progetto di fattibilità tecnico economica), e che il progetto di realizzazione del palancolato non è stato adeguatamente descritto; visto l’incremento del fabbisogno di materiale esterno; considerato che le modifiche progettuali necessitano di un aggiornamento del Piano di Monitoraggio definito nel pfte” la direzione del Mase ritiene di “non poter escludere il verificarsi di potenziali impatti ambientali significativi e negativi correlati alla realizzazione della modifica proposta”. I tempi quindi si allungano: “il progetto dovrà essere valutato nell’ambito di un procedimento di Verifica di assoggettabilità a procedura di Via”, col coinvolgimento del pubblico, degli enti locali e delle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni»
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
Prendere sul serio la Tangentopoli totiana
Su Jacobin Italia del 18 maggio Riccardo Degl’Innocenti illustra le ragioni della corsa a perdifiato (e a mazzette spiegate) del “penombra” Aldo Spinelli; smaschera le responsabilità dell’Autorità Portuale e delle istituzioni di territorio. Da un lato l’esigenza dell’imprenditore ultra-ottantenne di aumentare gli asset sociali grazie alla concessione trentennale del Terminal Rinfuse, in previsione della cessione totale a qualche fondo miliardario della propria impresa. Dall’altro il venire meno per interessi personali (leggi regalie illecite di soldi e lussi vari) la neutralità nella concessione degli spazi portuali a cui l’authority sarebbe preposta. Dicesi “modello landlord”, istituito con la riforma portuale 1984, in cui gli spazi pubblici a gara sono affidati a privati che si impegnino a raggiungere obiettivi di interesse pubblico. La funzione di controllo che i vertici di AdSP hanno barattato con permanenze in alberghi di lusso e fiche al Casinò di Montecarlo. Al tempo stesso, con robuste erogazioni a Giovanni Toti, garante politico della connection, di somme di denaro gabellate per finanziamenti senza intenzioni di lucro. Un verminaio che la Destra cerca di circoscrivere e minimizzare a tutela di un appartenente al suo branco, quale il presidente di Regione Liguria (la logica salvacorrotti “oggi a te domani a me”): il tentativo acrobatico di sostenere che solo per caso tali finanziamenti avvenivano in concomitanza delle disposizioni vantaggiose per chi li sborsava. Sempre recitando il ritornello del garantismo peloso, che proclama la presunzione d’innocenza prima dei canonici tre livelli di giudizio: se le sentenze vanno lasciate ai giudici, alla politica spetta comunque il giudizio sulla liceità dei comportamenti; e le relative prese di posizione (leggi l’invito a farsi da parte a chi ha svenduto la propria credibilità).
Ma anche a Sinistra non si direbbe che il bisogno di pulizia sia così pressante. Sempre nella logica del cane non mangia cane? Claudio Burlando? I suoi allievi Terrile e Vianello? E poi indeboliscono l’impatto di questo scandalo, così rivelatore, pure le fregole a fare gli uomini di mondo. Persino dalle parti de il Fatto, che con le inchieste dei suoi Grasso e Moizo aveva colpito duro il sistema di potere in Liguria. Non giova alla causa della legalità bollare la Tangentopoli in corso “un cinepanettone”; buttandola in ridere con Antonio Padellaro nella parte dello scettico blu e con le spiritosaggini del blogger Mauro Barberis.
Pierfranco Pellizzetti
“Che l’inse”: il grido di rivolta da Portoria arriva a De Ferrari.
L’11 maggio si è svolta a Genova la manifestazione delle associazioni e dei comitati di tutta la Liguria. La prima chiamata di massa durante il ciclo di governo del centro-destra, con la partecipazione di alcune migliaia di persone. Difatti “il metodo Genova” ne ha fatto di tutti i colori in tutta la regione, violando ogni legge possibile e immaginabile. E i cittadini sono stufi di andare a protestare nei luoghi deputati e sentirsi dire: ci avete votato, noi abbiamo la maggioranza, stiamo applicando il programma e questo è tutto.
La partecipazione è la negazione di una destra che pone il capo al comando e tutti gli altri a obbedire. Le istituzioni rappresentative sono ridotte a luoghi di ratifica di decisioni prese in altra sede. Anche le agenzie di controllo – Arpal. Corte dei Conti. Sovrintendenza – sono messe in condizione di non poter fare nulla.
In tale situazione ai cittadini non resta che ribellarsi; e stavolta ci sono riusciti. Mettere insieme un voltrese un nerviese, un savonese e un genovese sembrava impossibile. Ce la si è fatta grazie al coordinamento che ha promosso la mobilitazione per la trasparenza, la partecipazione, la difesa dell’interesse pubblico e dei diritti costituzionali più volte calpestati dai politici. Non ché i loro predecessori avessero fatto meglio: al posto di Esselunga c’era la Coop, cemento c’era e cemento c’è, il verde non interessa mai a nessuno. Men che meno il diritto alla salute. Però adesso siamo arrivati al limite: presidenti dell’autorità portuale che fanno il giretto a Montecarlo con le amanti pagati da terminalisti del porto; presidenti della regione che favoriscono indagati per mafia. Nelle precedenti elezioni questa caduta verticale di credibilità delle istituzioni determinò una gran massa di elettori del centro-sinistra che non andò più a votare. Così il centrodestra vinse limitandosi a prendere i voti di prima. Oggi la credibilità di istituzioni e dei rappresentanti sul territorio è tutta da ricostruire. E occorre ripartire da uomini e donne credibili. Le proposte ci sono, quelle proposte sempre ignoratele dalle istituzioni. Oggi è il momento di cambiare scegliendo chi effettivamente intende proporsi per governare la regione e i comuni in un modo diverso, con programmi costruiti con la partecipazione dei cittadini, dei comitati e delle associazioni Questo per il futuro. Speriamo. Quanto è successo e sta succedendo in questi giorni è un punto di non ritorno.
Andrea Agostini
L’importante successo dell’11 maggio riferito da Andrea Agostini, trova tra le sue motivazioni principali l’aggiornata occupazione a mezzo social (e su cui qui di seguito scrive Maura Rossi) di uno spazio pubblico ibrido creato dal rapporto tra piazza e internet, virtuale e tangibile. Il docente emerito di Berkeley Manuel Catells lo definisce “rendez-vousing”. Un effetto mobilitante sperimentato con successo nel 2011, anno dell’indignazione, in piazza Tahir al Cairo, nella madrilena Puerta del Sol come nel Zuccotti Park di New York e altri 800 quartieri nel mondo: «pur se in genere i movimenti sono radicati nello spazio urbano tramite occupazioni e manifestazioni di piazza, la loro continua esistenza si manifesta nello spazio libero di Internet. Essendo una rete di reti, possono permettersi di non avere un centro identificabile e assicurare al contempo le funzioni di coordinamento e il processo deliberativo grazie all’interazione fra una molteplicità di nodi» (Reti di indignazione e di speranza, Bocconi Ed., Milano 2012, pag. 184).
Le tecnologie ICT al servizio della partecipazione democratica ligure
L’11 maggio a Genova la prima manifestazione regionale della Rete dei Comitati contro grandi opere e “svendite al peggior offerente” del territorio. Migliaia di cittadini lungo le vie del centro fino alla sede della Regione provenendo dalle quattro province.
Com’è stato possibile costruire comitati coesi e agguerriti e una loro Rete regionale?
Taluno sibila che fosse una manifestazione a orologeria contro il presidente di Regione.
Ma molti comitati lavoravano da anni e da tempo pensavano a una grande manifestazione unitaria. Non servivano arresti per conoscere lo stile amministrativo del soggetto, bastava leggersi gli atti pubblici emessi sotto la sua reggenza.
L’uso virtuoso dei social ha lanciato nell’agorà virtuale tematiche collettive vitali e fatto incontrare cittadini attivi, sfruttando competenze di alcuni in campo giuridico, trasportistico, urbanistico, idrogeologico, ambientale, sociologico e sanitario. Una task force pronta a ribattere colpo su colpo ai balbettii di amministratori abituati a imporre evitando il confronto. Questi alcuni dei gruppi presenti alla manifestazione:
Acqua Bene Comune, contro le maramaldate di Rivieracqua; No al rigassificatore, capace di dar vita a una catena umana lunga chilometri; Noi di Prà – Gruppo spontaneo per il benessere del ponente di Genova, che si oppone alla progettanda mega diga; Con i piedi per terra, contro lo skydoppione per i Forti, devastante per il Lagaccio; Ecoistituto Reggio Emilia Genova, che monitora l’inquinamento da grandi navi da crociera in collaborazione coi cittadini di San Teodoro; Opposizione Skymetro-Val Bisagno sostenibile, contro l’ecomostro e a favore del tram, come pure Un tram per la Val Bisagno e Genova; Amici di Pontecarrega e Comitati di via Vecchia, contro lo skymetro, le nuove servitù e l’aggiunta di un forno crematorio; Cambiamo aria Val Bisagno, sentinella dell’inquinamento in valle causato dai numerosi siti inquinanti in atto e futuri; No Basi blù, contro ampliamento della base navale di Spezia e devastazione/sfruttamento di Palmaria. Poi ci sono gruppi impegnati a segnalare e prevenire il degrado: Genova contro il degrado, Nervi basta degrado: “Soprintendenza delle brutte arti” sul maltrattamento del nostro patrimonio artistico. Mentre fans delle grandi opere “sempre e comunque” ogni tanto fanno incursione nei gruppi della Rete contrapponendo slogan stile tifo da stadio ai dati documentali: rimediando figuracce.
Maura Rossi
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
Dalla difesa del Parco, un nuovo rapporto tra cittadini e politica
La vicenda del Parco di Portofino, riportato dal TAR ai confini originari comprendenti 11 comuni tracciati nel 2021, riveste un’importanza ben superiore a quella – pur significativa – del provvedimento in sé. Infatti la difesa della dimensione nazionale e non meramente regionale del Parco è stata ottenuta grazie a tre circostanze concomitanti: un’iniziativa ‘civica’ non inquinata dalla politica locale, ben guidata sul piano giuridico e – infine – fondata su una visione non miope e provinciale, quale quella secondo cui si voleva disporre di un bene pubblico. Non è un caso che – proprio grazie a un’altra decisione del TAR pronunciatosi contro il trasferimento a Sampierdarena dei depositi chimici di Multedo – si sviluppi un movimento civico che contrappone sindacati, municipio e Compagnia Unica alla scelta caparbiamente sostenuta da Autorità Portuale e Comune.
Al di là degli scenari penali che coinvolgono in questi giorni i principali attori della vita pubblica locale, si manifesta un’inedita e finalmente positiva alleanza tra scelte genuinamente popolari e ragioni ‘di diritto’, riconosciute dalla magistratura.
Ormai non basta più indignarsi e gridare la propria scontentezza per le scelte politiche, non di rado scellerate, di amministratori e operatori privati: occorre organizzarsi, dare sostanza legale alla propria voce e difenderla, ove occorre, davanti ai tribunali della Repubblica. In questo anche la professione legale trova la ragione profonda di una vocazione civile che non guarda solo all’interesse economico.
Ma – e in questo consiste la vera novità dell’iniziativa per il Parco di Portofino – la visione che abbiamo definito ‘civica’ della funzione del Parco è straordinariamente lungimirante, consapevole del valore inestimabile di un bene che non può essere lasciato alle golosità locali. È successo, forse sta succedendo, che la cultura civica sopravanzi quella strettamente politica, ancorata a un meschino gioco di interessi localistici e all’acquisizione con ogni mezzo di anche troppo facili consensi. Così i cittadini hanno mostrato di vedere meglio dei loro politici quale sia il futuro culturale ed economico del Parco ‘allargato’: in termini sia di finanziamenti che di richiamo per un turismo non drogato. Il Parco, ha detto bene l’avvocato Daniele Granara, ispiratore con Marco Delfino dell’Associazione Amici del Monte di Portofino, non può essere vissuto come un vincolo, ma come una inestimabile – allo stato addirittura incalcolabile – opportunità.
Michele Marchesiello
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
Per una volta vogliamo provare a “pensare bene”: l’iniziativa del Comune di Genova di censire e acquistare ville storiche abbandonate e/o palazzi degradati da destinare a uso pubblico potrebbe creare, oltre ad attività promozionali, il network di luoghi “dedicati” per garantire alle nuove generazioni preziosi spazi di socializzazione: le “case dei giovani in rete” dove incontrarsi, discutere, connettersi e fare musica: Marina ci spera.
Capitalizziamo i nostri beni: Marina apre un credito all’amministrazione
Finalmente: monitoraggio delle ville storiche da inserire in un progetto di rilancio turistico, acquisto di palazzi degradati dei centri storici da destinare ad uso pubblico. L’assessore al patrimonio Francesco Maresca illustra il piano di riuso: ostelli per accoglienza turistica low-cost, housing sociale, spazi per mostre e conferenze, attività culturali per giovani, parcheggi, impianti sportivi, case rifugio per donne maltrattate, strutture per famigliari di ricoverati ospedalieri. Il tutto a seconda di tipologia, localizzazione e valore architettonico. Coi soldi del PNRR. Ci sembra un’ottima occasione per affrontare in modo strutturato, al di là dei semplici ed utili servizi, i settori che rappresentano un vero e proprio investimento produttivo per la città, così restia ed incapace di programmazione ad ampio raggio. Vale a dire turismo e giovani. Il turismo, che ha subito una fortissima accelerazione, è ancora privo di una reale organizzazione che ne faccia il motore trainante della nostra economia. E’ per lo più un turismo povero (famigliole all’acquario), sgangherato (greggi sbarcati dagli ecomostri da crociera) o spaesate coppie straniere alla ricerca di un vicolo dal nome improbabile. Ricordo con ammirazione il maestoso centro di accoglienza turistica nel centro di Dublino, dove ti vendevano pacchetti organizzati, da tre ore a tre giorni, che ti conducevano alle destinazioni scelte. Ore piacevolissime, per vedere poco più che nulla, sappiamo che l’Irlanda è fatta di prati, pecore e poc’altro. Ma il turismo culturale è l’industria trainante del paese, attira giovani da tutta Europa per imparare la lingua e si è dotata di tutto quanto necessario per offrire più di quanto possa dare. Sarebbe bello che la loggia di Banchi potesse diventare il nostro centro di accoglienza e programmazione turistica, anziché l’ennesimo inutile museo. E troverei necessario investire sui giovani, creando centri di aggregazione che costituissero un’alternativa ad alcol e droghe. Punterei su tre elementi di attrazione culturale mirata: musica, internet e patrimonio storico/ artistico. Veri laboratori formativi finalizzati a trasformare i giovani in mediatori culturali presso i coetanei, attraverso la responsabilizzazione e socializzazione creativa: strutture in grado di intercettarne e decodificare i bisogni, rendendoli protagonisti attivi anziché vittime di un sistema che li esclude.
Marina Montolivo Poletti
BURIDDA
Lupus in fabula: mentre il numero fine maggio di Controinformazione andava in chiusura, sabato 25 pomeriggio ricevevamo la notizia di una mobilitazione in corso contro lo sgombero da ex Magistero in corso Monte Grappa del centro sociale “Buridda”, che lo aveva occupato dopo lo sfratto dall’ex sede di Economia in via Bertani una decina di anni fa (ormai abbandonata e finita in totale degrado). Mentre questa volta la Regione promette una destinazione d’uso dell’immobile sgomberato come residenza universitaria. Alle 18, sotto lo striscione “Toti di fogna”, si era raccolto un popolo della notte di qualche centinaia di persone, in larga misura giovani e giovanissimi con marchiati sulla pelle i segni della marginalità (tatuaggi e piercing a cancellare i connotati). Un popolo triste, nonostante la gaiezza ostentata, tra musiche e saltimbanchi sui trampoli. Su cui incombe la cancellazione in mancanza di mediatori sociali, sotto i colpi di un’amministrazione il cui mantra è prendere a calci chi fruga nei cassonetti per un po’ di cibo. I poveracci come bruttura intollerabile alla vista per i benpensanti. Difatti siamo alla cancellazione degli ultimi centri sociali come luogo di aggregazione (per ora sopravvivono lo Zapata, il Pinelli e pochi altri). Una dissipazione umana che suona ad azzeramento di democrazia. PFP
Il Buridda di Corso Monte Grappa
Fenomenologia dei nostri amministratori
Cosa accomuna il trio Bibì, Bibò e capitan Cocoricò al centro della vicenda portuale genovese? Facile a dirsi: avidità accaparrativa. Ma con bulimie psicologiche divergenti: Giovanni Toti si concentra sull’intercettare quattrini, Marco Bucci è ingordo di opportunità per mettersi in mostra e Paolo Signorini privilegia il lusso in tutti i suoi status symbol. Dunque, motivazioni apparentemente diverse, che possono essere ricondotte a unità considerando l’estrazione sociale come tratto connotativo comune alle rispettive biografie: quello di risultare tre “social climber”, come direbbe il sindaco americanofono. Dei palesi arrampicatori sociali.
Un sentiment ammesso dall’estroverso Bucci, confessando l’emozione che gli procurano le poltrone a Tursi e nei vari cantieri genovesi in quanto viatico alla frequentazione di maggiorenti che altrimenti neppure avrebbe potuto avvicinare. Mentre Toti privilegia vippumi, magari marchiati Biscione (dalla Canalis ai residuati del parco show-man/women Mediaset per serate di capodanno), e Signorini luoghi in passato inaccessibili a un mezzemaniche (alberghi e ristoranti stellati, roulette e tavoli verdi del Casinò). Sempre e comunque attestati dimostrativi dell’avvenuta cooptazione nel salotto del privilegio. Come disse un grande analista dell’élite del potere – Charles Wright Mills – «i gruppi installati al gradino più alto sono orgogliosi, quelli non ancora arrivati sono soltanto vanitosi. Gli orgogliosi non si curano affatto di quanto pensa la gente al disotto di loro; i vanitosi dipendono dalle lusinghe altrui e ne sono spesso ingannati». Da qui il permanente sgomitare esibizionistico del succitato trio, oggi per due terzi sotto la lente della magistratura. Anche perché l’ansia possessiva non presta attenzione alle regole, è insofferente ai controlli e produce dissipazioni che possono virare a reato. Ma questi sono i tempi. In cui la genia degli arrampicatori si è impadronita della cosa pubblica e sente il bisogno confermativo/rassicurante di esibire il proprio successo attraverso la possessività. Tipo le ville milionarie delle odierne donne in carriera; dalla ex borgatara Meloni alla rifatta Garnero (alias Santanché).
Un tempo le/li si definiva “parvenu”, gente che non ha imparato nulla, non ha dimenticato nulla, e si aggrappa al nuovo benessere detestando “i poveracci”; da cui proviene e da cui vuole disperatamente mantenere le distanze. Con politiche punitive. Mentre si premiano evasori e banche a suon di sgravi fiscali.
Pierfranco Pellizzetti
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
Inquinamento acustico in Val Bisagno. Skytram o tram?
Come noto la giunta Bucci vuole realizzare uno skytram (metropolitana sopraelevata) in Val Bisagno, invece di una tramvia a terra; quanto propugnato dai quartieri. Le motivazioni per la preferenza del tram sono molte: minori costi, maggiore fruibilità sia per il più alto numero di fermate possibili sia per l’accessibilità: l’accesso in quota avverrebbe tramite ascensori o scale mobili; tra l’altro, con conseguenti problemi di manutenzione.
Su richiesta del Comitato “no skytram, si tram” ho esaminato lo Studio di Impatto Ambientale (SIA) nell’ambito della procedura VIA, relativamente agli aspetti legati all’inquinamento acustico. Proprio le misure fonometriche realizzate mostrano l’attuale sofferenza. In molte zone si superano i limiti di rumorosità previsti dalla zonizzazione comunale, per cui in base alla normativa vigente occorrerebbe realizzare un piano di risanamento acustico della valle. Poiché il rumore in ambito cittadino deriva nel 90% dei casi dal traffico veicolare, tale piano andrebbe necessariamente a coincidere col piano del traffico, nel senso di una sua drastica riduzione.
Il tram è la soluzione sia perché offre ai cittadini una alternativa veloce e confortevole di trasporto (i tram moderni hanno poco a vedere con i vecchi modelli) sia perché dovendo viaggiare prevalentemente in corsia riservata “allontanano” le auto dal loro percorso, riducendo quindi anche l’inquinamento acustico (e quello atmosferico). Ed è questo il vero oggetto del contendere: lo skytram viaggiando in quota non “disturba” il traffico veicolare che resterà sostanzialmente lo stesso, anche perché lo skytram non è una valida alternativa all’auto. Ritornando al rumore avremo una situazione in cui a quello esistente, già oltre i limiti, si sommerebbe il rumore dello skytram. E qui giunge una perla degli uffici tecnici comunali, più bucciniani di Bucci: “trattandosi di una nuova infrastruttura metropolitana di superficie non è soggetta ai limiti previsti dalla Classificazione Acustica Comunale ma ai limiti previsti dal D.P.R. n. 459 del 18/11/1998” Solo che proprio tale DPR chiarisce che al di fuori dalla fascia di pertinenza ferroviaria (250 m) valgono i limiti previsti dalla Classificazione Acustica Comunale. Quindi, pur di dare una valutazione positiva dell’opera i tecnici comunali accantonano il loro stesso strumento di pianificazione vigente.
Cosi è se vi pare.
Mauro Solari
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
Le cronache del sistema corruttivo imposto dalla banda Toti alle istituzioni liguri, trascina fuori dalla penombra la figura misteriosa di un orfano, giunto a Genova ancora bambino dalla Calabria e con un livello scolastico non oltre la quinta elementare, che nel giro di pochi anni diventa il ras della logistica portuale. Mentre sono avvolti nel mistero i metodi (certamente “sbrigativi”) e la provenienza delle risorse (mai chiarita) con cui tale successo clamoroso è stato conseguito. Sembrerebbe quasi il pendant di una vicenda milanese, in cui un quasi coetaneo del nostro, di grandi ambizioni quanto di modeste origini, trovò non si sa dove i capitali per diventare il costruttore di un intero quartiere meneghino (Milano 2), trampolino di lancio dei successi a venire. Qualcuno parlò di imprese lavanderia e di imprenditori coperture di finanziatori inconfessabili. C’era (c’è) anche a Genova un’analoga lavanderia?
Aldo Spinelli, un affarista balzato fuori dal nulla
L’inchiesta sulla tangentopoli genovese e i primi arresti (Signorini, Toti e Spinelli) rivelano che a dettare i modi e i tempi delle decisioni di Signorini a Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità di sistema portuale di Genova e Savona, non era il potere delle multinazionali, ma un singolo imprenditore: Aldo Spinelli. Spinelli è l’ultimo rappresentante sulle banchine del padronato locale, le cosiddette “famiglie genovesi”. Tutti gli altri hanno già ceduto le proprie aziende alle multinazionali. Anche Spinelli era su questa strada, stante l’età avanzata. Allora perché avrebbe corrotto Signorini e perché Signorini si sarebbe fatto corrompere da un attore minore della scena portuale, ormai alle soglie dell’addio? Perché pure Toti e Bucci avrebbero acconsentito ai disegni di Spinelli?
Qualche passo indietro: nato nel 1940 da una modesta famiglia di marittimi, Spinelli tra il 1965 e il 1985 accumula capitali trasportando con i semirimorchi gli ingombranti container che stanno cambiando i porti e riempiendo gli spazi. Un periodo in cui, grazie a un giro di società e ai contratti con le agenzie marittime internazionali, diventa estremamente ricco, tanto da comprarsi il Genoa. Da allora, grazie al trampolino del calcio, sarà al centro delle cronache e degli affari locali.
Scampa alle manette di Mani pulite confessando al giudice una tangente da mezzo miliardo di lire alla Democrazia Cristiana. Abbandona la protezione del ministro Prandini che gli era valsa la presidenza della società del traforo del Frejus, avendo capito che gli appalti delle grandi opere pubbliche erano affari troppo grandi e rischiosi per lui.
È un self-made man, non ha vere amicizie con nessuno, è dominato dall’opportunismo e dal proprio tornaconto. Cura assiduamente i rapporti politici, prima con la Dc, poi con il Psi di Craxi e infine con il Pds-Ds di Burlando. Eletto consigliere comunale nella maggioranza di centro sinistra del sindaco Pericu realizza uno dei suoi colpi, acquisendo la proprietà della collina di Erzelli. Un terreno privo di valore se non per la sosta dei container vuoti. Rivenderà la spianata per dieci volte il suo costo alla società Genova High Tech, perché lassù, seppure sia senza servizi e infrastrutture, il Comune di Genova ha deciso inopinatamente di fare sorgere un polo tecnologico tralasciando le centinaia di ettari di aree industriali dismesse valle. In più otterrà dal centro-sinistra la concessione di aree pubbliche nel porto per trasferirvi i suoi container.
R.D’I.
King Spinelli e le origini sottotraccia del suo regno portuale
Ora Spinelli vuole far parte del giro che intercetta banchine. Ci riesce nel 2000 con la privatizzazione di Ponte Etiopia, ottenuta come terminalista. Qui comincia la sua seconda vita, accolto delle famiglie genovesi del porto, con l’obiettivo comune di ottenere benefici privatistici dall’amministrazione pubblica. L’obiettivo diventa allargare la sua concessione per trasformarla da banchina a pettine vecchio stile in una lineare per container: ormeggi veloci e spazi per movimentare grandi volumi. Dunque l’acquisizione delle banchine confinanti, oltre al tombamento delle calate intermedie. Per oltre dieci anni Spinelli pressa Palazzo San Giorgio, ottenendo nuove aree al confine del Terminal Rinfuse, eliminando concorrenti e la possibilità di trasferirvi depositi chimici in attesa da quarant’anni di ricollocazione. Poi compra con Msc (però mantenendo il controllo) il Terminal Rinfuse, Palazzo San Giorgio consenziente: due volpi nel pollaio, intenzionate a dividersi lo spazio per i rispettivi terminal contenitori. E le condizioni ci sono tutte: con Toti, Bucci e Signorini al potere. Nel 2020, ricostruito il ponte dopo il crollo del Morandi, il decreto Genova esteso alle opere portuali riversa un fiume di miliardi pubblici sulla città, da spendere in deroga alle norme sugli appalti, a cominciare dalla nuova diga foranea. È allora che Spinelli vede la grande occasione: realizzare in tempi brevi un terminal lineare da Ponte Etiopia sino alla metà delle Rinfuse (l’altra sarebbe andata a Msc), con le calate tombate e allungate grazie alla diga spostata al largo.
Sa di non avere le spalle finanziarie per reggere tale impresa, per cui l’obiettivo conseguente è cedere la società a una multinazionale del settore e chiudere in bellezza. Bucci, con Toti e Signorini, sarebbe stato l’acceleratore di una impresa che in tempi ordinari e secondo le regole avrebbe richiesto anni. Per assicurarsi questo risultato a Spinelli non basta la consueta opera sottobanco. Ossia “infilare i soldi in tasca alla gente”. Pretende un’accelerazione per prorogare a trent’anni la concessione del Terminal Rinfuse e accrescere la plusvalenza sulla vendita della società. Da qui la grossolanità della vicenda corruttiva: per la “sprescia” (fretta in genovese) di Sciô Aldo e il “risveglio” della Procura di fronte a un corruttore senza scrupoli e a corrotti senza dignità. Risultato: invece di un porto moderno, lo scalo da tre soldi in mano alla banda di un Mackie Messer.
Riccardo Degl’Innocenti
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
La fortuna politica di Toti rischia di finire dove è iniziata
Nel 2015 poche persone, tra chi non guardava le TV berlusconiane, conoscevano Giovanni Toti. Del resto lui non conosceva la Liguria, dove abitava da poco tempo. Famosa è la sua gaffe al debutto, quando citò Novi Ligure tra le città liguri; ignorando che si trova in Piemonte. Giovanni Toti è di Massa. I giornali erroneamente lo definiscono viareggino. In realtà è solo casualmente nato a Viareggio, ma è di una nota famiglia massese, proprietaria di un albergo. Iniziò da giovane come bagnino, rampante craxiano approdò grazie alla moglie alla corte di Berlusconi, conquistandone la fiducia.
In quel periodo il centrodestra ligure se la passava male, non riusciva a trovare un candidato presentabile. Il centrosinistra, dopo feroci contrasti interni e discutibili “primarie” aveva candidato Raffaella Paita, molto molto vicina al presidente uscente Claudio Burlando. Costei affermava in un’intervista al Secolo XIX “Mi spiace vincere a man bassa per mancanza di avversari”. Difatti perse le elezioni e la regione passò al centrodestra. Sino ad allora il solo merito di Toti era la conquista di due piccoli comuni dello spezzino. Uno era Portovenere dove, approfittando delle divisioni della sinistra in più liste, fu eletto Matteo Cozzani; poi nominato da Toti suo capo di gabinetto con tanto di auto blu e attualmente indagato, forse con le accuse più pesanti tra i coinvolti nell’”affaire Toti” (voti di scambio con la malavita organizzata). L’altro comune era Ameglia, dove Toti vive. In questo caso vinto con un giovanotto rampante, Giacomo Giampedrone, poi nominato assessore regionale ai lavori pubblici e vero braccio destro del presidente (il titolo di governatore è solo fantasia dei giornalisti).
Più tardi Toti avrebbe completato il quadro dei comuni sottratti alla sinistra nello spezzino, piazzando i suoi a dirigere le amministrazioni di Sarzana (Cristina Ponzanelli), Lerici (Paoletti) e La Spezia (Peracchini).
Ora questo sistema scricchiola. Le indagini che hanno travolto Toti e si suoi partono proprio da un’indagine sulla Palmaria, comune di Portovenere. Con grande sorpresa di tutti, alle ultime elezioni il centrosinistra si è ripreso il Comune di Ameglia. I vari Peracchini, Ponzanelli e Paoletti sembra sperduti. Tacciono, come hanno sempre taciuto sulle malefatte di Toti in campo sanitario e ambientale. Si direbbe che il loro castello di carte stia per crollare. Di certo un sistema di potere giunge a fine corsa.
Nicola Caprioni
Notizie (più o meno) buone
Questo è l’anno delle buone notizie: non parlo della messa allo scoperto delle birichinate dei vari Toti e Signorini, che tra l’altro sono solo gli ultimi presi con il cerino di una mano di un sistema che andava avanti (e non sono convinto che si fermi) da venti e più anni. Lo sa bene il Sciù Aldo, che quando non riusciva a fare gli affari a modo suo a Genova, lasciò la squadra del cuore (mi viene da ridere, comunque il cuore sta vicino al portafoglio, nelle giacche dei signori)) e andò nella mia Livorno, facendo faville. E quando la situazione ligure tornò, come dire, manipolabile (?), tornò anche lui in patria. Non è una novità: qualcuno si ricorderà che nel 1983 il socialista presidente della Regione Alberto Teardo fu condannato a dodici anni di carcere per una serie non indifferente di reati: concussione e peculato per arrivare all’estorsione e all’associazione a delinquere. Toti è un dilettante. Ma ancora prima nel 1974 un giovane trentenne pretore, che non aveva certo le phisique du rôle di un gigantesco de Magistris, iniziò a fare una serie di accertamenti che andarono a scoperchiare tutta una serie di malaffari che andavano dal petrolio all’inquinamento, arrivando perfino a vietare (apriti cielo) la balneazione. Ovviamente la procura avocò a sé il dossier e lo revocò, alla faccia della salute. Un po’ fa venire in mente i provvedimenti dei nostri giorni con lo spostamento dei depositi chimici a Sampierdarena, vicini alle case della gente, ma quella più povera e meno conscia dei propri diritti. Peccato che non abbiamo più quel pretorino gentile che si chiama Adriano Sansa, che arrivò a dire: “Siamo troppo severi con i poveracci: io devo dare quindici giorni di carcere a una mamma che ruba un litro d’olio alla Standa, e non ho quasi strumenti per perseguire coloro che frodano milioni alla collettività”. Al di là dei risultati processuali dell’affaire Toti/Signorini/Spinelli dubito che vedremo applicata una giustizia sostanziale, anche se sicuramente una legge formale. D’altra parte, lo stesso avvocato di Toti ha recentemente dichiarato (fonte: Corriere della Sera 22/5/24) “Questa vicenda deve essere letta sapendo come vanno da secoli le cose in porto”. Cioè avvocato? Che cos’è, una giustificazione al sistema mazzettaro, io do una cosa a te e tu dai una cosa a me? Basta, diamo il via alle buone notizie, quelle che appassionano veramente l’opinione pubblica, ovvero che l’abbronzato Carlo Conti sarà il nuovo conduttore del Festival di Sanremo. W la Rai!
Carlo A. Martigli
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
Riceviamo questa accorata testimonianza da Giorgia Lombardi, consigliere comunale e provinciale di Spezia, impegnata nel gruppo LeAli, fondatrice e portavoce del movimento Palmaria Si, Masterplan No.
La Palmaria è la Palmaria, non una Capri in sedicesimo
Il ‘sistema Toti è una faccenda gravissima, senza bisogno di attendere l’esito delle indagini dei magistrati per riconoscerlo: ha messo le mani nei servizi alle persone, ha predato un territorio fragile, ha minato la già poca fiducia nella politica. Non è solo una questione di illeciti giudiziari, ma di dubbie finalità e interessi personali. Lasciare la politica, le istituzioni e quindi la cura del territorio a chi non ha avuto paura di scrivere delibere illegittime, a chi va a fare affari pubblici sugli yacht ci rende vulnerabili a una predazione del territorio. E la Palmaria ne è il paradigma. Il Parco naturale regionale di Portovenere. Ebbene, il Parco aveva uno statuto che escludeva gli interventi scritti nel Masterplan. Allora hanno cambiato il Piano del parco per adeguarlo al Masterplan: il ‘Modello Liguria’ è miserabile e dannoso, giustificato dal paradigma del ‘fare’ a tutti costi.
Il modello di sviluppo proposto da Cozzani e Toti è il turismo di elite, e il Masterplan parla chiaramente di fascia medio-alta, è il turismo dei biglietti a 10 euro a tratta nelle 5 Terre, sono il 70% di spiagge private, è una ‘Liguria da spremere’.
E se siamo stati accusati da Toti & Co. di essere sempre quelli del NO, siamo orgogliosi di essere quelli del NO alla mafia, alla corruzione, alla vendita del nostro territorio. I movimenti e le associazioni, i singoli cittadini e cittadine… noi siamo l’antidoto al sistema Cozzani e Toti. Siamo quelli che continuavano a lottare quando ci dicevano che era una guerra ai mulini a vento. E la nostra determinazione ha dato risultati. La cittadinanza ha alzato la voce mostrando coraggio. Ma il civismo non basta. C’è bisogno di una politica che sia dalla nostra parte, partecipi con idee e azioni, che non metta il cappello sulle battaglie dei movimenti ma li affianchi e li sostenga. Perché – in effetti – siamo sempre stati e sempre saremo soprattutto quelli del SI. Abbiamo organizzato manifestazioni, abbiamo promosso giornate di pulizia dell’Isola, passeggiate naturalistiche, visite storiche, abbiamo prodotto un film e un’asta d’arte, abbiamo organizzato un concorso fotografico, abbiamo studiato, ci siamo confrontati anche con studiosi e specialisti. Insieme abbiamo elaborato un’idea progettuale quale punto di partenza per una nuova visione dell’isola come paradiso naturalistico. Perché siamo quelli del SI alla Palmaria fruibile da tutti, senza snaturarla perché diventi una “Capri ligure”.
Giorgia Lombardi
Cene a Bocca di Magra
Lo scandalo Liguria su tangenti, finanziamenti illeciti, collusione tra imprenditoria e politica ha riportato al centro del dibattito pubblico i temi irrisolti della politica italiana, dalla “questione morale” alla necessità di una “buona politica”.
Un certo disorientamento serpeggia tra i cittadini, anche in quell’area che, frettolosamente, i giornali definiscono “di sinistra”. In passato la sinistra ha avuto diverse coniugazioni, socialiste, anarchiche, comuniste, laburiste, socialdemocratiche, azioniste, ecc. L’elemento comune di questo arcipelago era l’anticapitalismo. Si è di sinistra, si è contro lo sfruttamento capitalista e i guai che la esasperata ricerca del profitto senza scrupoli crea agli umani e all’ambiente nel quale vivono.
Quindi che confusione vedere esponenti, che si dichiaravano o magari continuano addirittura a dichiararsi di sinistra, confondersi con i personaggi degli scandali.
Che impressione scoprire le numerose cene riservate in un rinomato locale di Bocca di Magra, cui partecipava Toti in un’allegra e “trasversale” compagnia con esponenti politici di primo piano della parte “avversa”, avvocati e faccendieri, che, almeno sul piano teorico avrebbero dovuto essere degli avversari. Che impressione cogliere gli stessi gruppi, sull’altra riva del fiume nel bagno-ristorante amico di Toti.
Ecco, questo è il confine, questo è il discrimine. Chi fa politica per accrescere le proprie fortune personali e lo fa disinvoltamente non solo con avversari politici, ma con personaggi, che al di là di ogni indagine della magistratura, tutti abbiamo ben soppesato, porta solo scoramento e disillusione. Per una nuova sinistra non può esserci con loro nessuno spazio di confronto.
Nicola Caprioni
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
Assedio di Antiochia
Savone pays du Roi, l’Iliade dei baroni, l’Odissea dei mercanti (5)
A detta degli storici patrii, l’evoluzione di lingua e cultura nella parte centrale dell’arco ligure subirono profonde influenze da concorsi esterni, non sempre pacifici: la presenza bizantina nei due porti di Savona e Genova, di durata quasi secolare, è determinante per la formazione della coscienza di una Liguria nettamente distinta dal retroterra padano; la reazione conseguente agli attacchi saraceni e l’incredibile ripresa delle due città, immiserite anche perché tagliate fuori dai traffici che si spostavano a oriente – verso la Cisa e Luni, la via Francigena – assume il significato di una vera e propria riscoperta del mare. Identità ligure e vocazione mediterranea, dunque.
Uno spirito che influenzerà la stessa partecipazione alle crociate in Terrasanta: non a caso gli arabi distinguevano i loro invasori in “Franchi” e “Genovesi”; i secondi molto meno interessati agli aspetti religiosi dei primi e sempre disponibili a concludere buoni affari con gli “infedeli”. Determinante per l’ascesa genovese è la partecipazione alla prima crociata, con un contingente guidato dai fratelli Embriaco – Guglielmo Testa di maglio e Primo – formato da dodici galee e da un “sandalo”. Ottenuta la presa di Antiochia dopo un lungo assedio, alla fine del giugno 1098 i vincitori si spartirono il bottino. Ma mentre i baroni franchi, secondo la mentalità feudale, pretendevano terre, i ben più lungimiranti genovesi ottennero una piazza, un pozzo, un palazzo e il diritto di mercatare. È questa la nascita del primo nodo della rete di fondaci che avvolgerà l’intero mediterraneo orientale e che Fernand Braudel chiamò “l’impero fenicio dei genovesi”: quando “all’Iliade dei baroni si sovrappose l’Odissea dei Mercanti” (come scrisse lo storico Roberto Sabatino Lopez); una vicenda destinata durare per cinquecento anni, fino all’avanzata dei turchi. Al tempo stesso anche la propensione savonese a solcare il Mediterraneo viene fatta risalire dagli storici all’influenza delle crociate e alle prime opportunità di avventurarsi in Terra Santa. In costante parallelismo e accesa rivalità con l’espansione commerciale genovese. Anche se indizi circa l’antichità dell’interesse savonese nei commerci d’oltremare sono forniti dagli studi archeologici che, nei loro scavi, hanno costatato la presenza di residui di legno di dattero carbonizzato, importato dai paesi dell’Africa o del Vicino Oriente, e di ceramiche di fabbricazione tunisina o bizantina databili a partire dal IX e X secolo. (Continua)
Pierfranco Pellizzetti
PASSEGGIATE D’ARTE
Bellezze dimenticate da riscoprire
I rissêu, storia di una decorazione ligure
Anche se questo tipo di mosaico è molto antico (esempi del neolitico si possono trovare sull’isola di Creta e stupende composizioni nel lV secolo a.C. In diverse città greche), a Genova si afferma alla fine del XVI secolo Giardini, fonti rustiche, e grotte artificiali di numerose ville signorili sono decorati a risö ma l’uso più esteso in Liguria risale sicuramente al Seicento, trasformandosi cosi in una caratteristica architettonica importante per la nostra regione. In alcuni sagrati prevale il gusto barocco, in altri si avvertono analogie formali con lo stile ispano moresco mentre in altri ancora si preferisce il simbolismo geometrico. Sono manufatti prodotti da un’arte povera nel materiale, ma raffinata nel gusto, con profonde radici popolari. Alcuni motivi decorativi derivano direttamente dalla vita quotidiana e dalle attività lavorative rurali e marinare (arnesi da lavoro, rosa dei venti), ma non mancano scene di chiara ispirazione mitologica o di pura rielaborazione fantastica. Nelle due riviere l’aspetto di questi acciottolati può variare per cause dovute soprattutto al gusto del periodo storico, al territorio e all’ approvvigionamento dei sassi. A Genova e nel levante si trovano numerose pavimentazioni eseguite con grande rispetto del senso di simmetria, con diverse varietà di tipologie compositive (naturalistica, figurativa, simbolica, barocca, geometrica) e con frequente uso, oltre al bianco e al nero, di ciottoli di altre colorazioni. Nel Savonese, nell’estremo ponente e anche in alcuni centri del basso Piemonte si ha un significativo numero di realizzazioni, curate e costituite da composizioni con decoro per la maggior parte di tipo geometrico. I colori dei sassi utilizzati sono limitati al bianco, grigio e nero e solo in qualche raro caso troviamo l’uso del rosso e del verde scuro. In passato costruire ed abbellire una chiesa era un’iniziativa che coinvolgeva l’intera comunità dei fedeli, specialmente nei centri minori. Gli ignoti autori delle pavimentazioni seguivano probabilmente un progetto concordato con la committenza, malgrado fossero molte volte semplici muratori che avevano imparato i segreti del risö dai colleghi più anziani ed esperti. Nasceva quindi all’interno della loro attività prevalente e secondo le richieste del mercato, la particolare tecnica decorativa capace di trasformare l’umile ciottolo nell’elemento fondamentale di un manufatto di interesse artistico l risseu (traduzione dal genovese ciottolo, forse dal francese ruisseau che significa ruscello) è un tipico mosaico acciottolato dei sagrati delle chiese e dei giardini delle ville e dei palazzi della Liguria. Ispirata forse dai mosaici greco-romani che i mercanti genovesi avevano potuto ammirare nelle loro peregrinazioni nel mar Mediterraneo, la decorazione delle pavimentazioni nota come risseu nasce intorno al XVII e XVIII secolo.
Orietta Sammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga e laconica
Il nuovo saggio storico del nostro Getto, in uscita ai primi di giugno.
Cento anni dall’assassinio di Giacomo Matteotti
La “Marcia su Roma” ha segnato profondamente l’avvento del Fascismo nel nostro Paese e, come tutti gli avvenimenti importanti, con conseguenze evidenti anche nel territorio in cui viviamo. Per ricostruire quelle vicende abbiamo riletto i giornali locali e regionali di questa parte di Liguria, trovando conferma dei tentativi delle forze politiche democratiche per arginare il dilagare dello squadrismo. Infatti l’incarico di governo non bastava a Mussolini, occorreva una maggioranza tale da cambiare l’ordinamento dello Stato. La legge elettorale giunse grazie a uomini di provata fede fascista, con un orizzonte temporale ben preciso: il Duce desiderava rivotare non più tardi della primavera 1923, con lo scioglimento della camera “in bianco”. Così il clima politico era tornato incandescente, il risultato del voto alla riforma aveva scatenato lo squadrismo più violento, sin ad allora tenuto a bada per essere riattivato al momento opportuno. Ora l’obiettivo era il mondo cattolico e le sue organizzazioni popolari: si liquidava il povero Don Minzoni tra le blande proteste del mondo ecclesiale. Si voterà nell’aprile del 1924 e il Fascismo otterrà la maggioranza assoluta. Mentre le sole voci dissenzienti giungevano dall’opposizione. Tra loro un deputato socialista forte e intransigente, grande avversario dalla dittatura: Giacomo Matteotti. La sua voce non era più tollerabile, per questo si giunse al suo assassinio. Un crimine progettato dal Fascismo e realizzato per zittirlo definitivamente.
Nella storia italiana troviamo solo due casi simili: l’assassinio di Giacomo Matteotti e quello di Aldo Moro. Non è possibile liquidare con facili comparazioni le due vicende, ma rimangono le uniche riguardanti l’assassinio di un parlamentare.
Tornando a Giacomo Matteotti troveremo ragioni storiche e particolari eventi che legheranno la sua famiglia a Chiavari e all’intero territorio. Una ricostruzione doverosa per ridare solida memoria a cento anni dalla sua tragica morte violenta. Rileggeremo tutte le fonti storiche disponibili, per verificare e ricostruire le reazioni di questa comunità davanti a quella vicenda, prima diffusa come rapimento, il 10 giugno del 1924, per poi confermarsi, tra inutili speranze e depistaggi da parte del Regime, come un effettivo assassinio il giorno del ritrovamento del cadavere alla periferia romana il 16 agosto.
Il prossimo 12 giugno presenteremo il nuovo libro, una memoria legatissima alla Liguria.
Getto Viarengo
Paradossi liguri: territorio di mare, cucina di terra
La cucina ligure non si basa sul pescato, in un mare troppo profondo per essere pescoso. Infatti se si pensa ai piatti più noti, dal pesto, ai ravioli, pansoti, cima, coniglio, verdure ripiene, ecc. troviamo in prevalenza piatti di terra. L’eccezione è rappresentata dal pesce conservato. Lo stoccafisso è una tradizione di tutta la Liguria. Le ricette sono diverse. Alcuni abbondano col pomodoro, altri lo fanno in bianco. Anche le acciughe sotto sale sono presenti sulle tavole liguri, sia per essere consumate direttamente, dissalate e condite con olio, sia come ingrediente di molte ricette. Il baccalà è presente soprattutto nelle frittelle, ma può sostituire lo stoccafisso nel Brandacujon.
Non molti ristoranti oggi offrono gli stecchi fritti. Una vera leccornia. Un fuso dorato, fritto attorno a uno stecco di legno e farcito con carne di vitello, cervella, animella, uova, formaggio e pane bagnato nel latte. Una ricetta simile è il fritto nell’ostia. Conosco alcuni indirizzi e consiglio a tutti di cercare i luoghi giusti dove trovare queste e altre prelibatezze. Il coniglio in bianco con olive e pinoli si trova abbastanza, più rara è la proposta del coniglio fritto. Eccezionale il fritto misto alla genovese. Le tomaxelle hanno diverse interpretazioni. C’è chi le cuoce nel sugo e chi le cucina in bianco. Altro dato curioso è la quantità di salse a crudo. Ovviamente il pesto, poi la salsa di noci, l’aggiada odiata dai milanesi; meno noti sono il marò (salsa di fave), il machetto (pesto di acciughe dissalate), e la salsa di pinoli, ottima per condire i croxetti (quelli di Levante e Val di Vara).
Per chi pensa che i liguri parsimoniosi non amino i dolci, si ricredere scorrendone l’elenco. Iniziando dal pandolce nelle due versioni alto e basso, la torta Zena (la migliore era da Klainguti), la sacripantina, la Torta di Chiavari e quella dei Fieschi, i gobelleti, i vari amaretti (i più noti a Sassello) e i canestrelli, la curiosa stroscia, la spungata di Sarzana, la pinolata, la Paners gelato dei genovesi, il latte fritto dolce, i quaresimali, le cubaite di Ventimiglia, la crescente, la pasta reale, le frittelle dolci di mele, di uvetta o di riso, la crescente e i chinotti canditi di Savona. In Italia si chiama Pan di Spagna la preparazione che in Francia è “Pain de Genes” o “genoise”. Infine va ricordata Genova piccola patria del cioccolato, che onora il vanto di primo porto europeo dove sbracò il cacao con una serie di straordinari cioccolatieri artigianali.
Nicola Caprioni