Numero 21 del 30 Aprile 2024

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Indice

SPIFFERI

Sanremo: Toti nomina Amadeus "Ligure Doc", pesto e mortaio anche per il  conduttore del Festival - Telenord.it Un Governatore inquartato tipo mortaio

Toti sul bateau-mouche: una soluzione risparmiosa

Nonostante la pagliacciata del mortaio gonfiabile, in navigazione promozionale del pesto, abbia sforato il budget con un raddoppio dei costi (un milione di euro), Toti vuol riprovarci a Parigi. Sicché, stante che il Governatore nel dolce far-niente in Regione ha dilatato la propria stazza tanto da assumere una silhouette analoga a quella del tradizionale arnese della nostra cucina, potrebbe risparmiare assumendo personalmente questo ruolo sul barcone in navigazione lungo la Senna. Di certo Ferruccio Sansa sarebbe disponibile a fungere da pestello per pestare ben bene i mazzi di basilico sparsi sul governatore-mortaio, mostrando ai parigini come si ottiene la nostra salsa più pregiata. E regalando pure un po’ di buonumore ai liguri, in crescente scivolamento sotto la soglia di povertà.

Lo scudo della privacy vale anche per il molestatore di minori?

Ci risiamo con la privacy a sproposito. Si fanno i nomi di mafiosi o stupratori lontani, ma quando qualcosa di veramente grave accade vicino, parte l’omertà. Un professore cinquantacinquenne del ponente ligure è stato di recente condannato a 11 anni e 3 mesi per violenza sessuale su una studentessa. Si è difeso dicendo che era un rapporto consenziente. Non è stato creduto; ma anche se ci fosse una parvenza di verità, la pressione psicologica del docente su un allievo o allieva è pesante e si tratterebbe comunque di violenza. Ma quello che voglio sapere è il nome, per evitare magari che un domani, tra qualche anno, questo figuro torni a insegnare e mia figlia o mia nipote se lo trovino davanti. Il chi sia probabilmente circola in zona, ma sussurrato. Invece io vorrei fosse gridato. Sbaglio?

Carige - Bper, migrazione avvenuta con successo - Primocanale.it - Le  notizie aggiornate dalla Liguria

Sede ex-Carige in svendita, Genova in liquidazione

Pare che Biper intenda trasformare la sede ex Carige in un albergo. Insomma, le forze di occupazione bancaria venute da Modena dimostrano ancora una volta di ignorare cultura e tradizioni della città conquistata. D’altro canto le principali responsabilità in questa vicenda vanno suddivise con chi tale patrimonio non ha saputo tutelare. Stampa compresa. È ci si ricorda la mega-marchetta dell’uomo forte di Repubblica-Genova Minimo Girella che 6 o 7 anni fa (scandalo rimosso dal web) precettò l’ex poeta di corte berlusconiano, il già ministro Sandro Bondi, a scrivere il peana in cui invitava i liguri al pellegrinaggio sotto casa Malacalza, presunta salvatrice di Carige. Sappiamo come poi è andata. Così come l’uso che i ben noti premi Pulitzer di Bargagli fanno dello spazio di cui dispongono.

C’È POSTA PER NOI

La nostra Maura Rossi ci invia questa riflessione sull’accoglienza, che è anche la testimonianza di un’esperienza genovese encomiabile (il trionfalismo marchettaro odierno direbbe enfaticamente “eccellente”) di coinvolgimento attraverso la didattica rivolto “ai nuovi e alle nuove genovesi”: la Scuola Media Don Milani. Ci ritorneremo.

Scuola è dove ci si sente a casa (specie se vieni da lontano)

Quanti di noi possono dire in quali luoghi e momenti si sono sentiti a casa? E che cosa rende possibile questa esperienza fatta di accoglienza ospitale e andare incontro da ospitati?

Ci sono luoghi sconosciuti che fanno sentire a casa e luoghi ben conosciuti che fanno sentire fuori posto. Forse la cura o l’incuria dell’ambiente, il ritmo lento o troppo veloce.

Rientrare a Genova è spesso doloroso, sempre più spesso doloroso. Ma questa è la mia città, ci vivo da quando ho spalato il fango della mia prima alluvione, e non vorrei sentirmi una straniera. Sono venuta per prendere (nozioni all’università), ma il mio approccio è cominciato col dare.

Quando si parla di persone provenienti da altri luoghi, quando si tira fuori il termine integrazione, è facile dimenticarsi della propria esperienza di essere stranieri e di che cosa la sostanzia.

La domanda è: è possibile sentirsi a casa anche stando lontani da casa?

Un espediente è disporsi nello stato d’animo di chi ospita a sua volta, di chi è accogliente e ospitale anche con chi ci sta ospitando. Penso sia un recupero della soggettività quello che ci fa sentire a casa. Se mi muovo con rispetto e curiosità, ma anche con atteggiamento accogliente verso chi incontro, mi sento a casa.

Forse ognuno di noi si sente a casa quando sente se stesso come casa che può accogliere e offrire qualcosa, quando sente di essere un portatore di doni: esperienza, conoscenza… e non solo richiedente qualcosa, asilo, cibo, lavoro, che è una posizione umiliante. E credo sia questo lo spirito che anima i docenti della Scuola Media don Milani di corso Carbonara a Genova nei confronti di chi, in giovane età o adulto familiare, arriva da lontano: attivare nell’ospitato la sensazione di avere qualcosa da dare e da scambiare con ciò che riceverà. Dal punto di vista organizzativo la scuola si è dotata di una struttura dedicata a chi viene da lontano, prevede azioni e pratiche per l’inserimento degli alunni stranieri e attività interculturali. Siamo ben lontani dalle semplicistiche rappresentazioni scolastiche che declinavano l’integrazione con esibizioni canore stile We are the world, lodevoli in mancanza d’altro. Tanto impegno, tanta dedizione, ma, la cosa più importante, tanta curiosità. Perché, come dicono questi docenti illuminati, è il desiderio di trovare vie di comunicazione e conoscere il diverso dal consueto che rende bello l’insegnare.

Maura Rossi

Riceviamo dall’amico Getto Rinaldo Simonetti – Cucciolo – Val Trebbia In ricordo di una breve primavera

Questo 25 aprile desidero ricordare Rinaldo Simonetti. Il suo nome di battaglia era “Cucciolo”. Un nome lieve, descrittivo di un corpo minuto e di una giovanissima età. Durante uno spostamento della formazione fu catturato e condotto in carcere a Chiavari. Sarà condannato a morte e chiese al comandante del plotone un foglio di carta per scrivere ai suoi cari. Scrisse sul foglietto di un taccuino poche parole di saluto, ma anche: “Muoio per la salvezza dell’Italia” e, con splendida ingenuità, tracciò in alto, sull’angolo della paginetta, una listerella nera, come certo aveva visto in qualche biglietto di lutto. Poi, dopo aver consegnato il foglio al cappellano, riprese posto tra i suoi compagni e si accasciò con loro, dopo la lunga scarica atroce, tra le foglie d’oro dei castagni che ricoprivano il terreno. Così cadeva Cucciolo.

Getto Viarengo

FUORISACCO

Foto e commento inviati da Andrea Agostini

Invasione delle alghe a Nervi

Nervi, porticciolo ancora invaso dalle alghe, M5S: chi paga? - Liguria Oggi

Questo spettacolo di alghe putrescenti a Nervi è gentilmente fornito dalla giunta Bucci, che di persona, sostenuto dall’allora responsabile tecnico, ha dichiarato che con i nuovi lavori per la sistemazione del porticciolo e la distruzione della piscina il problema delle alghe non si sarebbe più posto. A questo punto visto che l’ultima volta portare via quel marciume è costato 58.000 euro, e altre decine di migliaia costerà portare via quelle che ci sono ora, non si capisce perché la Corte dei conti e la Procura non facciano pagare questa schifezza a chi ha firmato il progetto e al sindaco che l’ha pubblicamente sostenuto ad una pubblica assemblea al teatro Emiliani. Io c’ero. E anche altri potrebbero testimoniare.

ECO DELLA STAMPA

Festa per il primo anno del Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano

Pubblichiamo un ampio stralcio dell’articolo apparso su il Fatto Quotidiano del 20 aprile, a firma Vincenzo Bisbiglia e Valeria Pacelli, sull’ennesima strizzata d’occhi al Potere di Roberto Cingolani, scienziato in carriera a capo dell’azienda pubblica Leonardo (Aerospace, Defence an Security. Tradotto: armamenti). L’A.D. parla di “attacchi fisici” degli studenti universitari filo palestinesi a dipendenti dell’azienda che all’Ateneo non risultano. E chi fosse Cingolani, ras di Iit, in Liguria l’avevamo già capito da mo’. Ne riparliamo anche nella sezione “I fatti del giorno”.

Proteste, da Cingolani assist a Bernini: “negli atenei minacciano Leonardo”

«Roberto Cingolani, fa un assist al governo in video-collegamento per la seconda giornata del Festival dell’economia in corso a Napoli. “Mi scuso di non esserci ma purtroppo ci sono stati problemi di sicurezza. Anche ieri in un’altra università, nostri tecnici e ingegneri sono stati attaccati fisicamente da gruppi di manifestanti che esprimono il dissenso in una maniera riprovevole, quindi abbiamo deciso come Leonardo di sospendere le visite in centri accademici perché non è sicuro”. Il riferimento è al Career Day 2024 di Palermo. Erano invitati alcuni dipendenti di Leonardo Spa che investe oltre 2 miliardi nelle università per ricerche e progetti anche militari. Presenza che gli studenti non hanno gradito: alcuni si sono presentati davanti allo stand del colosso con una bandiera della Palestina e hanno manifestato il proprio dissenso al grido di “Fuori Leonardo dall’Università” o “Leonardo fabbrica di morte”. Il dissenso, secondo quando ricostruito al Fatto dall’Università e da fonti di polizia, non è mai sfociato in azioni violente o aggressioni. “Scontri non ce ne sono stati. Quello che hanno fatto è stato protestare”. E neanche l’azienda avrebbe preso iniziative legali. Intanto è riunita l’unità di Security di Leonardo che ha sospeso per almeno un mese gli incontri con le università. Indicazione che non è rimasta sottotraccia: è stato lo stesso Cingolani a parlarne pubblicamente. Forse anche per dare un segnale dopo qualche mal di pancia che c’è stato ieri dopo alcune sue affermazioni in un’intervista al Foglio. Al giornalista che, parlando di armamenti europei, chiedeva se fossero “arrivate indicazioni particolari dal governo”, l’A.d. ha risposto: “Come Leonardo siamo sempre in contatto con il ministero della Difesa. Crosetto è una persona estremamente preparata, un ministro tecnico oltre che politico. Ma non ci sono arrivate particolari richieste, se è questo che mi sta chiedendo”. Frase letta da alcuni come una sorta di diminutio rispetto all’impegno italiano. E così dopo il buco è arrivata la toppa sull’università. Ben gradita dagli uffici del ministero di Anna Maria Bernini, che ieri hanno espresso sconcerto parlando di “vicinanza alle persone aggredite”. Le parole di Cingolani bastano però a dimostrare “l’utilità del Comitato ordine e sicurezza del 24 aprile”. Un altro appiglio per puntare il dito contro le proteste (anche non violente) degli studenti».

Vincenzo Bisbiglia e Valeria Pacelli

ECO DALLA RETE

Genova24

Il 24 aprile Genova 24 ha pubblicato una relazione a firma F. C. sul come in Regione si proceda a scelte che dividono, in assenza del doveroso dibattito pubblico. Ne riportiamo un’ampia sintesi. Compresa la reazione iattante alle critiche dei rottweiler di Toti Cavo e Bruzzone. Emblema del disprezzo di chi ci amministra verso i propri concittadini.

Ipotesi termovalorizzatore a Scarpino – in Regione si accende la protesta

«Adesso per i cittadini della Val Chiaravagna, nell’entroterra di Sestri Ponente, torna la preoccupazione per l’ipotesi di un impianto per la combustione dei rifiuti. Insieme alla consigliera Selena Candia Lista Sansa, oggi una delegazione si è presentata in Regione Liguria con uno striscione eloquente: Inceneritore no grazie. Esposto al termine della conferenza stampa aullo studio del Rina sui siti idonei a ospitare un impianto per la chiusura del ciclo dei rifiuti. Tra cui figura proprio Scarpino, già oggetto di una lettera inviata da Amiu alla Regione Liguria in cui si manifesta la disponibilità a realizzarlo.

“Stiamo assistendo a una farsa senza fine – attacca la consigliera Candia -. Anziché commissionare studi e organizzare presentazioni alla stampa, senza dati, la Regione abbia il coraggio di dire ai cittadini che è già tutto deciso, e che si vuole procedere con la costruzione di un inceneritore a Scarpino”. Oltre alle questioni di merito e di metodo, per la consigliera della Lista Sansa resta un grande problema di visione e strategia in tema di gestione dei rifiuti: “L’inceneritore rappresenta la cosiddetta ‘chiusura del ciclo’ in un sistema di economia lineare in cui si produce e si getta via senza riciclare e senza riutilizzare nulla. Da anni ormai sappiamo che l’unica strategia sostenibile, indicata anche dalle direttive europee, è l’economia circolare: ridurre i rifiuti a monte, rendere gli oggetti sempre più riciclabili, incentivare la raccolta differenziata e il riuso dei materiali e degli oggetti”. Anche dal Pd arriva una nota critica: “La Regione racconta l’ennesima favola: sulla chiusura del ciclo dei rifiuti in Liguria di definitivo non c’è nulla. Solo un ulteriore progetto sbandierato come realizzato, che però non si sa con certezza né dove sorgerà, né che tecnologia userà”. scrivono Davide Natale, segretario Pd ligure e Roberto Arboscello, consigliere regionale.

Immediata la replica della Lista Toti: “Ci preoccupano molto i giudizi del consigliere Natale sul piano dei rifiuti di Regione Liguria. La sua esperienza, d’altra parte, è ampia e variegata. Con tanta esperienza di cattivi esempi, ora che non può più darne, siamo certi sia il più blasonato a dare buoni consigli. D’altra parte, si dice, l’esperienza insegna. Avendo praticamente sbagliato tutto il possibile, come non pensare di aver compreso dai propri errori potendosi ergere a “saggio” del ciclo rifiuti?”, scrivono Ilaria Cavo, e Alessandro Bruzzone.

F.C.

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Se i sogni muoiono all’alba, per la Liguria è ancora notte fonda

“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano” (Antonello Venditti).

Purtroppo – dalle nostre parti – certi innamoramenti politici imperversano a lungo, per poi scomparire senza lasciare traccia: Fate Morgane illusorie: sogni creati ad arte per occultare incubi. Per ritrovarci beffati. Eppure in questo mezzo secolo di declino ligure gli atti di fede consolatori (ovviamente “a tempo”), poi rivelatisi solenni turlupinature, si sono succeduti più volte. Ma ci se ne dimenticava, perché rimpiazzati dall’atto di fede successivo; ogni volta miracoloso e teologicamente “certo”. Nel corso degli anni Ottanta, quando fu consumata la liquidazione delle Grandi Fabbriche partecipate dallo Stato, che costituivano l’ossatura del sistema d’impresa in tre delle nostre province su quattro, a livello nazionale imperava il mantra del “piccolo è bello”; officiato dai sociologi democristiani del Censis di Giuseppe De Rita e da economisti prestati alla politica tipo Romano Prodi. Poi ci si rese conto che le fabbrichette a pelo d’erba dei vari distretti (persino in Liguria ci fu la Legge Gatti che doveva promuoverne lo sviluppo; anche se di cluster di piccola impresa nel territorio non ce ne furono, a parte gli ardesiaci della Fontanabuona) morivano o si trasferivano all’estero, inseguendo l’abbattimento del costo della manodopera. Poi gli annunci delle nostre sorti magnifiche e progressive si indirizzarono a vaticinare meraviglie d’area, cambiando mantra: l’industria della conoscenza. E nel 2003 fu varata l’operazione immobiliare camuffata da Scientific and Tecnological Hub, che per vent’anni ha suonato il gingle del parco tecnologico sulla collina abbandonata, irraggiungibile e martoriata dai venti degli Erzelli. Eppure ad oggi non c’è traccia di una tecno-city alla Sophia-Antipolis. In sincrono si giocava un’altra partita delle tre carte sul colle inselvatichito di Morego: l’Istituto Italiano di Tecnologia, che avrebbe fertilizzato il tessuto d’impresa locale grazie al trasferimento tecnologico. Finché a dirigerlo ci fu il fumista Cingolani, gli annunci di mirabilie in arrivo erano ininterrotti; ora, con la sua uscita di scena, tutto tace. Mentre cosa facciano i 1.500 ricercatori a spese dello Stato resta un mistero. Adesso ci distrae la narrazione futuribile del porto; con i suoi investimenti miliardari per le mega-navi, mentre l’epoca del gigantismo è agli sgoccioli.

La politica degli annunci fasulli come alibi all’accettazione del declino senza fare nulla?

Pierfranco Pellizzetti

Alloggiare il turismo in crescita. E salvare la quadreria di Carige

Col 49% di incremento registrato nel 2022 Genova si consacra città turistica e deve fare i conti con decenni di inerzia progettuale, correndo ai ripari. È d’obbligo a questo punto attuare una programmazione su ampia scala, coinvolgendo tutti i settori correlati da rapporti di reciprocità funzionale, a partire dal disperante aeroporto. È ben chiaro infatti che non si può pensare ad uno sviluppo dei voli, per lo più low-cost, se non si programmano parcheggi e alberghi low-cost, totalmente assenti in città. Il turismo ha perso la connotazione elitaria ed è diventato di massa (famiglie attratte per lo più dall’acquario), o di affari, legato al porto, attività fieristiche e produttive. Esiste quindi un corto circuito che non fornisce agli stakeholder le informazioni indispensabili per una seria programmazione turistica, dal momento che gli unici alberghi realizzati a Genova negli ultimi dieci anni sono esclusivamente lussuosissimi hotel de charme o 5 stelle, a prezzi proibitivi e bassa frequentazione. Vedi il Cicala, l’ex Italsider di Carignano, Piazza delle Vigne e, buon ultimo, il sofisticato palazzo Cattaneo Adorno di via del Campo. Leggo ora sul Secolo che l’imponente edificio della Cassa di Risparmio verrà trasformato in albergo. Ottima notizia, purché diventi un albergo 3 stelle, funzionale, low cost, dotato di ampie sale per conferenze, briefing e riunioni aziendali e, magari, uno spettacolare ristorante panoramico all’ultimo piano. Nulla trapela in merito al progetto, per cui non resta che augurarci che questa operazione sotto traccia comprenda accurati confronti con tutte le parti in causa per divenire, vista la dimensione, un concreto passo avanti nella risoluzione delle carenze strutturali che frenano l’efficienza produttiva del settore turistico. Resta da domandarci con una certa apprensione che fine farà l’imponente collezione artistica, che sarebbe interessante arricchisse il patrimonio dei nostri musei, rimanendo a Genova. Un vero tesoro che comprende quadri, dal ‘600 al ‘900 -De Ferrari, Fiasella, Procaccini, Van Dyck, Strozzi, Piola ecc, fino a Fontana, Merello, Scanavino e Borella. E poi ceramiche, stampe antiche, sculture, preziosi documenti d’archivio. E la collezione numismatica più importante al mondo. Anche su questo ci auguriamo sia stato attivato un confronto con gli organi preposti alla conservazione dei beni culturali, e che questo patrimonio non venga bruciato come i miliardi che hanno decretato il triste epilogo di Carige.

Marina Montolivo Poletti

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

Nei numeri scorsi, sul tema “tram in Valbisagno” abbiamo pubblicato i contributi dell’ing. Roberto Guarino (ex Italimpianti) e Rinaldo Mazzoni (Comitato “Si tram”). Oggi proponiamo un testo dell’ex vice-sindaco di Roma (1993-2001) Walter Tocci, grande esperto di mobilità urbana.

Visitare Lisbona in tram - Info e Tariffe (2020) | VIVI Lisbona La riscoperta del tram

Il tram costituisce un sentiero interrotto nel Novecento e una reinvenzione nel nuovo secolo. Ciò lo carica di sentimenti collettivi antitetici, sia di avversione, sia di nostalgia. L’avversione al tram la fase prometeica del miracolo economico, quando l’automobile prometteva il riscatto delle masse popolari e gli spazi urbani si modellavano in funzione del suo primato. La nostalgia parla del disincanto di questa avventura e del ritorno pensoso all’identità urbana. Il tram funziona cioè come una sorta di condensatore dei sentimenti collettivi e finisce per rappresentarne i cambiamenti. Nel raccontare se stesso il tram racconta la sua città. Così si spiega il rapporto intimo che è riuscito a instaurare, ad esempio, nel caso di Lisbona: una perfetta assimilazione nella vita quotidiana ne ha fatto un segno inconfondibile del centro storico, con quella tipica tecnologia di ferro e legno da cui scaturisce un’aria gentilmente démodé. In nessun altro luogo al mondo questo mezzo di trasporto ha così profondamente caratterizzato il paesaggio urbano; perfino il nome eléctricos, rivela le peculiarità rifiutando la denominazione internazionale. Proprio i vicoli stretti e i forti dislivelli, ritenuti dal senso comune ostili al tram, ne hanno obbligato il mantenimento fermando il piccone demolitore. Infatti, in quanto modo meno staccato dal pedone realizza un’adesione perfetta a quella sinuosa morfologia urbana, fino al punto, come dice Saramago, che «siamo talmente vicini ai negozi da poter quasi prendere con le proprie mani una scatola di sardine dallo scaffale». Negli ultimi anni la città si è modernizzata con un coraggioso programma di infrastrutture, ma non ha rinunciato al vecchio tram, che continua a essere il suo narratore. Proprio Fernando Pessoa ha colto un meccanismo sottile della narrativa tranviaria: «Su un tram in movimento sono in grado, con un’analisi continua e istantanea, di separare l’idea di auto dall’idea di velocità, le separo completamente fino a farle diventare due realtà del tutto reali e distinte. Allora sento che il mio corpo non viaggia più su un tram, ma solo sulla sua velocità».

Nella descrizione del viaggio l’autore usa due termini ambigui, auto e velocità, che vanno interpretati come distinzione fra la funzione e l’immaginazione dello spostamento. La forte adesione al tessuto urbano consente al tram quasi di far dimenticare l’aspetto meccanico del viaggio e di lasciare libera la fantasia nel costruire relazioni con lo spazio circostante.

Walter Tocci (“La città del tram”, in Aa Vv Avanti c’è posto, Donzelli 2008)

Le politiche genovesi del trasporto pubblico (per tenerci chiusi in casa)

Nel disastro della mobilità cittadina avanzano minacciosi “assi di forza”: l’incremento del trasporto pubblico finanziato dallo Stato con centinaia di milioni di euro. Questa l’idea, non la realtà. Difatti il piano di mobilità del comune di Genova prevede la diminuzione dei passaggi su bus di un milione di persone. Consuetudine in ottica risparmio già di tutte le giunte precedenti. Prendiamo ad esempio l’asse di forza della Valbisagno: un servizio bus che da Corso Sardegna raggiunga Piazza G. Ferraris. A fronte della percorrenza di un mezzo da 18 metri, si prevede la soppressione di quattro linee collinari dirette al centro (37, 82, 353 e 47). Nell’idea folle dell’amministrazione tali linee saranno sostituite da un trasbordo: si scenderà in Piazza Ferraris per salire sul bus della linea di forza. Ovviamente la somma dei fruitori di questo servizio, specie in ora di punta, non corrisponde minimamente alla portata dell’unico autobus. Inoltre i nostri pianificatori della distruzione civica promettono la rarefazione delle linee collinari per circolazione e frequenza. Con il risultato di creare ghetti in aree urbane già ora poco vivibili, peggiorate dalla difficoltà di muoversi. Mobilità dai costi fortemente ridotti per casse comunali interessate a investire nelle case di lusso dell’ex Fiera. A questo si aggiunga il taglio di centinaia di posti macchina; il delirante riempimento dei residui spazi vuoti per piazzarci scatole a motore anziché persone; che secondo i nostri amministratori devono rimanere chiuse in casa. In sostanza, una politica contro la qualità della vita: prendere soldi da Roma a danno della mobilità pubblica per incentivare quella privata. Soldi che dovrebbero essere usati per la città. Per una programmazione della mobilità leggera, degli spazi di quartiere. Nel miglioramento di comfort e velocità di percorrenza dei mezzi pubblici; ridando centralità a molti non-luoghi, non-quartieri, non-spazi attualmente intasati. Sono note utili esperienze italiane ed europee nel trasporto urbano che lo razionalizzano rendendolo perfino profittevole. Su questo tema le associazioni ambientaliste hanno già raccolto 1800 firme a Marassi. Si prevede un bel numero di abitanti del quartiere che andrà a dire ciò che pensa di queste scelte balzane appena qualche amministratore passerà in zona. L’ultima volta ci sono state delle belle contestazioni. E l’assessore disse che ne avrebbe tenuto conto, dando appuntamento al 4 marzo. Da allora se ne perdono le tracce.

Andrea Agostini

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

1945, il momento in cui veniva alla luce un ceto politico ben diverso dell’attuale.

Ricordare i giorni della Liberazione – l’avvento del 25 aprile 1945

Ormai i segnali dai CLN indicavano sempre più vicina l’ora dell’insurrezione generale. Via radio giungeva il messaggio decisivo “Now the left flot flew” (ora volò il pugno sinistro). Poche parole per annunciare lo sfondamento sulla linea Gotica. Era ormai aprile da una settimana e l’occupazione nazifascista aveva le ore contate. Il CLN genovese si preparava al momento cruciale. Un progetto che impegnava da mesi l’avvocato Federico De Barbieri, il prof. Ettore Marchesini, l’avvocato Pertusio e il collega Averame, Aurelio Pareto e Ariodante Borelli. Le riunioni si tenevano in punti strategici, sempre col fiato sul collo della polizia politica. Le emergenze erano quella alimentare, la ripresa del lavoro, l’apertura delle scuole, il riavvio delle attività bancarie e dei trasporti. Un dato per tutti: durante l’insurrezione fu assicurata la distribuzione del pane in tutta la città.

La storia della Resistenza di Roberto Battaglia riconosce il ruolo determinante del complesso resistenziale di Genova e Liguria: “la prima insurrezione, quella di Genova, può considerarsi, l’insurrezione modello tra quelle attuate sotto il giogo nazifascista non solo in Italia, ma in tutta l’Europa. Insurrezione perfetta sotto ogni punto di vista, sul piano militare e sul piano politico”. Giunse il tardo pomeriggio del 23 aprile e il CLN, il Comando Militare e quello di Piazza si riunirono in plenario nel Collegio di San Nicola in Circonvallazione a Monte: iniziava l’insurrezione generale. L’intero piano si conclude il 27 aprile. Sono le 17,30 quando si arrende il presidio di Monte Moro. La relazione del 10 maggio, firmata dal generale Enrico Martinengo, Giovanni Trombetta e Carlo Farini, riporta la cattura di 6.000 prigionieri in città e 12.000 in montagna. Le perdite sono di circa 150 uomini e 800 feriti. Ora si avviava la nuova amministrazione: Vannuccio Faralli, liberato dal carcere, sarà il sindaco della Liberazione col compito di riavviare la vita pubblica di Genova: libere elezioni amministrative entro 12 mesi. Risultò eletto Giovanni Tarello. Il 2 giugno del 1946 si votò per la Costituente e il referendum istituzionale. A Genova si recarono alle urne in 410.152 (81,97%), le bianche furono 3.229, le nulle 9.996; il PCI prevalse con il 31% dei voti, seguito dai Socialisti col 28,60; la DC ottenne il 25,50, il Partito d’Azione 0,6. Il referendum riportò la schiacciante vittoria della Repubblica col 73,65% dei voti. Ora la Lotta di Liberazione era terminata davvero.

Getto Viarengo

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Con l’articolo di Nuccia Controinformazione inizia ad affrontare un problema di estrema gravità, quale la minacciata “autonomia differenziata”. Un disegno inquadrabile come “secessione dei ricchi” (le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia); con un aspetto inquietante: formalmente il decreto Calderoli attua la disposizione costituzionale del 2001 (modifica del Titolo V) che prevede l’attribuzione alle Regioni di “forme e condizioni particolari di autonomia” (governo Amato II di centro-sinistra, ahinoi).

Autonomia differenziata e sanità, alla faccia della solidarietà

La legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario poggia su tre principi: universalità dell’assistenza, solidarietà del finanziamento tramite fiscalità generale; equità d’accesso alle prestazioni. Certamente lo stato di attuazione dei tre principi lascia oggi alquanto a desiderare. Ma la portata dei principi fondanti resta tale da avere garantito comunque alla sanità italiana la realizzazione di primati in termini di salute pubblica e aspettativa di vita. Stupisce che il governo centrale e alcuni governi regionali vadano in direzione opposta, perseguendo l’autonomia differenziata in 23 materie, tra cui la sanità; autonomia che ormai risulta essere una secessione. La Liguria, che ha già aderito alla modifica, spicca tra le Regioni i cui amministratori ne perseguono l’attuazione. Eppure, come riportato da Left, solo il 19% degli italiani sa cosa sia esattamente. Il punto chiave del Ddl Calderoli risulta il trattenimento del gettito fiscale dove è maggiore. Dunque, le Regioni più ricche potrebbero assicurare ai propri residenti una erogazione dei servizi pubblici essenziali migliore, alla faccia del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini. La SVIMEZ stima «un surplus tra i sei e i nove miliardi a favore di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna». La Liguria è l’unica regione del Nord-Ovest che riceve di più di quanto incassa. La giunta Toti ha varato pochi giorni fa la manovra di bilancio per coprire un disavanzo di 63 milioni di euro sulla sanità. Quasi il doppio dell’anno scorso. La spesa per i medici “gettonisti” ha raggiunto cifre preoccupanti e la mobilità “passiva” dei liguri fuori regione continua a salire, mentre le liste d’attesa stanno producendo i previsti effetti nefasti. Ma Toti continua ad autocelebrare le performance della regione in sanità. A seguito della recente elezione dell’Assessore alla salute Gratarola nel CDA di AIFA, ha dichiarato alla stampa che questo sarebbe un riconoscimento alla qualità della sanità ligure. ANAAO, il sindacato dei medici e dirigenti del SSN ha promosso un evento lo scorso 19 aprile a Bologna dal titolo esplicito: “AutoNOmia differenziata. Quali rischi per il servizio sanitario nazionale?”; in cui il Segretario nazionale Pierino Di Silverio, ha espresso le preoccupazioni delle parti sociali in sanità. Visto che il provvedimento di decentramento, nel mettere a rischio di disgregazione il servizio sanitario, perseguirà l’evidente obiettivo di una privatizzazione che imporrà gravi rinunce ai cittadini.

Nuccia Canevarollo

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

tappeto volante

Il tappeto magico per volare in crociera (con MSC, ovviamente)

Il previsto tapis roulant che collegherà la nuova stazione ferroviaria di Erzelli all’aeroporto di Genova sarà lungo 640 mt e capace di muovere 6000 persone nei due sensi: totale 12000 passeggeri (px) all’ora. Per servire un tale flusso sono previsti treni ogni 15’ con la stazione di Principe-Marittima adiacente al terminal crociere. Infatti l’opera è destinata ai croceristi, per sfruttarne il numero crescente a favore del traffico dell’aeroporto da sempre carente. Si dice che l’idea sia del neopresidente dell’Aeroporto Alfonso Lavarello, manager di lungo corso e fidato amico di Gianluigi Aponte, il re delle crociere nel Mediterraneo pronto a entrare nella proprietà dello scalo e conquistarsi un posto di primo piano anche nel trasporto aereo. Alla conferenza stampa di presentazione del progetto, tutti d’accordo; compresi i giornalisti che purtroppo non avevano con sé la calcolatrice. Allora facciamo due conti noi. Nel 2023 l’aeroporto di Genova ha movimentato 1,3 mlo px, numero pari a un flusso medio di passeggeri di 220 px/ora. Anche se tutti usassero il tapis roulant per prendere il treno, crocieristi o meno, risulterebbe uno scarto abissale (1,6%) rispetto alle 12mila persone di capacità oraria del nuovo impianto. Sappiamo d’altro canto che nel 2023 i crocieristi che hanno usato il porto di Genova come home port, per l’imbarco o lo sbarco, sono stati 625mila, pari a un flusso medio potenziale di 107 px/ora sul tapis roulant (0,9% dei 12mila di capacità); sempre se tutti costoro decidessero di raggiungere e lasciare Genova con l’aereo e tutti usassero il tapis.

Vogliamo essere ottimisti come i nostri amministratori e pensare che le crociere aumenteranno, che l’aeroporto crescerà. Nel 2023 hanno toccato Genova 340 navi da crociera (258 di MSC), con a bordo 1,7 mlo di pax. Verosimilmente cresceranno nei prossimi anni, occuperanno più banchine, Calata Sanità probabilmente andrà a Costa Crociere. Insomma, la città si riempirà vieppiù di crocieristi alla giornata. Ma qualcuno ha riferito a Lavarello, che peraltro di crociere se ne intende, il target realistico di navi/anno dal punto di vista commerciale sostenibile dal porto e – di conseguenza – il numero di passeggeri sostenibile dalla città? Per salire da 1,6% a un accettabile 20% (per dire il minimo) di coefficiente di riempimento (load factor) del tapis roulant dovremmo decuplicare le toccate delle crociere sino a 3/4mila annue. Ossia, almeno 10 navi e 40mila crocieristi che sbarcano giornalmente.

R.D.I.

Si direbbe che il nostro sindaco sia ossessionato dai tapis roulant. Nell’incontro con l’allora preside di Ingegneria Aristide Massardo, che gli esponeva motivati dubbi circa lo spostamento a Erzelli della facoltà, già per difficoltà evidenti di accesso (“si rischia di perdere allievi per la concorrenza di Torino e Pisa: attualmente sono 9mila, più il personale amministrativo e docente, da far salire contemporaneamente la mattina”) Bucci rispose che non c’era problema. La soluzione era il solito tapis roulant smista moltitudini. Massardo fu visto uscire da Tursi scuotendo la testa davanti alla morte annunciata del fiore all’occhiello accademico di Genova: la Scuola Politecnica.

E Bucci pretende che il tappeto magico si chiami Sky Way

Nessun esperto del settore si pronuncia allibito di fronte a un tale progetto? Tutti tacciono perché sono d’accordo? Tanto paga lo Stato? Mentre, guardando al trasporto aereo, negli ultimi 15 anni i passeggeri degli aeroporti italiani sono aumentati del 30%, ma a Genova rimangono più o meno gli stessi. Anche da quando sono raddoppiati i px delle crociere. Solo perché mancava il tapis roulant di collegamento?

La domanda per Lavarello è scontata: in quale dei suoi precedenti incarichi, in cui i soldi da investire e spendere erano quelli dei suoi azionisti privati, avrebbe proposto un’ipotesi di trasporto con tale, risibile, “load factor”? Anche se si tratta di un servizio pubblico, dovrebbe sapere bene che esiste la necessaria congruità tra costi e benefici, anche al netto delle manie da faraone del Sindaco Bucci, o delle ambizioni politico-elettorali dei suoi sponsor Toti e Rixi. Un pietoso velo di silenzio sulla comparsa nella commedia del maggiore azionista dell’aeroporto, il presidente-commissario del porto Piacenza in trepida attesa di nomina. Così – si dirà – ecco l’ennesimo NO a una bella iniziativa. Dite voi se non siamo di fronte invece a un ennesimo SI, pregiudiziale e privo di qualsiasi ragione di sostenibilità. Si tende a ripetere il “modello Genova” della diga megalomane: là si narra la favola delle navi da 24mila teu e qui quella dei flussi di migliaia di passeggeri aerei diretti alle crociere. La diga è un’opera che ha certamente motivi di sicurezza di navigazione e di accessibilità alle banchine di fronte all’aumento delle dimensioni delle navi. Ma l’attuale progetto megagalattico non è affatto commisurato a queste esigenze, esclude a priori ogni alternativa, oscura i dati e le evidenze contrarie, elude il confronto pubblico nelle sedi istituzionali e sociali. Pensa solo a alimentare per un verso il budget miliardario a favore degli appaltatori di turno (ma alla fine sempre gli stessi) e per l’altro l’ambizione personale e politica di un autocrate baciato dalla fortuna, che per tanti altri è stata invece una tragedia. Analogamente, non si discute se occorra migliorare l’accessibilità dell’aeroporto, bensì se questa sia la sola soluzione. Non c’è altro modo più razionale e economico (qui si parte con 30mlo euro pubblici, in avvio, poi si vedrà) per consentire a qualche centinaio di persone, in media ogni ora, di collegarsi con l’aeroporto, con il Terminal crociere e il centro città, posti a 7 km di distanza tra loro, via terra o via mare?

Riccardo Degl’Innocenti

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Un intervento – quello della nostra Maura Rossi – da leggere accompagnandolo con gli antichi versi di Bertolt Brecht: “Non sarebbe in tal caso/ Più semplice se il governo/ Sciogliesse il popolo/ E ne eleggesse un altro?”.

In memoria della legalità e dei cinghiali desaparecidi

Avrei potuto intitolare il pezzo “incongrugnanze”, ma, in realtà, l’argomento cinghiali è solo una delle tante incongruenze di cui giornalmente si fregiano gli amministratori locali da bravi “Rommel de noantri”! I cinghiali sono “troppi”, ma dal Bisagno sono spariti “a causa della Peste suina africana” (come ci sia mai arrivata qui è ad oggi un mistero della fede, un po’ da Sud, un po’ da Est) da un giorno all’altro, come un rapimento di massa ad opera di una civiltà aliena.

Prima incongrugnanza: troppi anche se vengono decimati dalla Peste suina?

Quando erano visibilmente troppi, quale ne era la causa? Su questo non si pronunciano, ma ci pensano gli zoologi ed etologi: sono troppi quando vengono abbattute le matriarche, che sono quelle che regolano l’estro delle femmine più giovani (controllando così le nascite). Ma fanno gola al cacciatore, che della regolazione se ne sbatte, persino quando è coinvolto negli “abbattimenti selettivi” (termine molto “scientifico”). E, ancora una volta, l’indicazione implicita dell’amministrazione è: uccidere i capi più grandi. Come altro leggere gli 80 euro offerti invece dei 40 per gli esemplari più piccoli? Quindi fanno un’ordinanza che favorisce l’abbattimento proprio dei capi che potrebbero esercitare una naturale regolazione delle nascite?

Altra incongrugnanza… oops, incongruenza: il nostro simpatico pestellante presidente di Regione si vanta del fatto che, dopo ben due interdittive antimafia, i lavori dello Scolmatore del Bisagno possono proseguire l’attività “in Amministrazione giudiziaria”. È orgoglioso, il nostro, naturalmente non si perita di spiegare cosa voglia dire “amministrazione giudiziaria”. Eh, sì, non è proprio una cosa “immacolata” su cui intrattenere gli elettori. Quindi si vada avanti lo stesso col piglio del decisionista a oltranza!

Ultima incongruenza, non dal punto di vista del suo protagonista, sempre fedele a se stesso. Ecco quindi il nostro, a sua volta, orgoglioso sindaco dichiarare che farà ricorso contro le Osservazioni dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione al grido di “Questa è una brutta storia, dimostra che come Paese non stiamo lavorando nella stessa direzione”.

Forse non abbiamo capito, non sono Lorsignori a non lavorare nella direzione della legalità, è la legalità che non ha ancora capito “come va il mondo”!

Sapesse, contessa, la legalità… roba da sciocchi che si oppongono al progresso, alla vision, alla mission e… Cioè tutto il bestiario delle definizioni celebri di questi tempi.

Maura Rossi

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Continua la nostra ricostruzione dell’antica rivalità al centro dell’arco ligure.

Genova nell’XI secolo

Savone pays du Roi, l’età delle catastrofi e delle rifondazioni (3)

Genova e Savona, ovvero l’incrocio altamente conflittuale tra la vicinanza fisica e l’inevitabile rotta di collisione dei rispettivi disegni strategici.

Come si era già visto, il loro antagonismo pronto a esplodere in scontro aperto aveva avuto la sua prima manifestazione durante la seconda guerra punica (218/202 a.C.), quando un contingente composto da savonesi e cartaginesi mise a ferro e fuoco la città rivale. Dando traduzione bellica a differenze congenite; come già ne offrono riscontro le etimologie delle rispettive denominazioni: punica quella savonese (dal nome del comandante cartaginese Sago o Sagone), celto-ligure quella genovese (al di là della favolistica derivazione da Janua, il richiamo alla radice indo-europea sen, mandibola, probabile riferimento alla conformazione del golfo sottostante l’insediamento). Nella singolare quanto costante alternanza di comunanze e opposizioni.

Alla sconfitta di Annibale costretto ad abbandonare l’Italia e la definitiva romanizzazione della penisola, per Savona si prospettò il declassamento per essersi schierata dalla parte perdente. Ossia la valorizzazione della vicina Vada Sabatia (odierna Vado Ligure), punto di incontro della via Aurelia con quella transalpina per Acqui Terme e Tortona. Solo con la decadenza di Vado e l’elevazione al rango di contea da parte di Carlo Magno, a seguito della conquista franca del regno longobardo, Savona riacquisterà la primazia territoriale. In precedenza, dopo la caduta dell’impero romano, la città aveva conosciuto ripetute devastazioni; da parte di Visigoti, Vandali e Ostrogoti. Solo nel VI secolo Savona rifiorirà per un breve periodo sotto la protezione della flotta bizantina, ritornando a essere un centro economico e militare. Fino alla completa conquista dell’intera costa ligure da parte del re longobardo Rotari, nel 643 d.C. In quell’alternanza di fioritura e poi decadenza assolutamente speculare alla vicenda genovese.

Infatti anche Genova sarà home port e avamposto dell’impero bizantino tra il 553 e il 643 a. C., di cui troviamo il lascito nel lessico locale: àngeo per angelo, gexa per chiesa, praeve per prete. È probabile che la voce mandillu per fazzoletto, derivi dal tardo greco matélion, attestato nel medioevo nella forma mandili.

La messa in fuga dei contingenti militari dell’Impero Romano d’Oriente prelude – dopo quello di Rotari – ad altri saccheggi; ad opera dei saraceni insediati a Frassinetto e della flotta dei Fatimiti magrebini. Genova ne sarà vittima nel 934. (Continua)

Pierfranco Pellizzetti

Nostalgie di Ponente: Bice e Paolo o il profumo dell’extravergine?

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Ogni tanto si leggono notizie che fanno piacere. È di qualche giorno fa quella che riporta il salvataggio di una storica azienda ligure: l’Olio Dante. Chi ha i capelli bianchi o se li tinge di nero può ricordare la pubblicità che veniva fatta su Carosello da Paolo Panelli e Bice Valori, la coppia regina del varietà televisivo degli anni Sessanta e Settanta. Qui i due, sulla riviera ligure di ponente recitano un loro sketch che finisce magnificando l’olio extra vergine Dante e l’olio di semi Oio, della stessa compagnia. Salvataggio, dicevo, di un marchio nato nel 1898 come Ditta Giacomo Costa fu Andrea di Genova. Peccato che, ormai di ligure non sia rimasto che il ricordo. Un po’ come la Compagnia di Navigazione Costa, ora tutta americana. Salvataggio, ripeto ancora, da parte di Illimity, una banca che fa un po’ di tutto nel settore aziende, fondata e guidata da Corrado Passera, già ministro e prima CEO di Poste e banche varie. Ora lo stabilimento si trova a Benevento. E nel sito della ditta si legge che occupa “50.000 metri quadrati, con un frantoio (250.000 kg di olive / giorno), 2 raffinerie (olive e semi, 250.000 kg / giorno), 20 linee di imbottigliamento (fino a 1.000.000 lt / giorno) e un laboratorio di controllo qualità di alto livello. Alto livello, e noi ci crediamo. Peccato che qualche mese fa siano state sequestrate proprio lì 502 bottiglie di un condimento, per una dimenticanza trascurabile: non avevano indicato la percentuale di olio. Però qualcosa mi puzza (non sarà l’olio) dopo aver letto sul Corriere che attualmente l’Olio Dante produce 20 milioni di litri con 60 milioni di ricavi. C’è qualcosa che non torna, perché vorrebbe dire che vendono olio extra vergine di oliva a 3 euro il litro: impossibile. Oggi, secondo la borsa dell’olio, a causa dei bassi raccolti, l’extra vergine non può essere venduto dalla fabbrica a meno di 10 euro al chilo, altrimenti sarebbe in perdita. Una ventina di anni fa, una grande azienda olearia del ponente ligure mi spiegò che che quando una nave parte dal Marocco, dalla Grecia o dalla Tunisia parte l’asta. Con l’aggiunta di un po’ di giallo, l’olio era venduto come ligure e con un po’ di verde come toscano. Extra vergine, naturalmente. Ora non sarà più così, ma l’odore non mi convince. E compro il mio extravergine da un paio di piccoli produttori amici. E i loro questo profuma.

Carlo A. Martigli

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

I liberatori dimenticati della Resistenza nel Levante

Quando ragazzo accompagnavo a Cavi di Lavagna mio zio Ugo “Cartuccia” per incontrare i suoi vecchi compagni della Divisione Garibaldi Coduri, ricordo di averli sentiti ripetere all’infinito “ci hanno disarmato una volta, la prossima glielo impediremo”. Amarezze da reduci. Che – tuttavia – nel tempo ho riconsiderato alla luce delle biografie che lo zio (entrato nella Resistenza sedicenne, al seguito di suo fratello “Scoglio”) mi fece conoscere. Perché nella guerra di liberazione emersero personaggi coraggiosi quanto generosi, che fruirono di una grande popolarità destinata a durare lo spazio di un mattino.

Un patrimonio umano lasciato deperire scriteriatamente (ma non casualmente).

Penso ai ragazzi della “Squadra Matta”, celebri per la loro temerarietà. Come il bel Aldo Valerio “Riccio”, di cui erano innamorate un po’ tutte le ragazze della Riviera, che ho incontrato uomo maturo schiantato dalla vita, ridotto a fare il piazzista di camice nelle boutiques del Tigullio. O Paolo Castagnino “Saetta”, capo della brigata “Longhi” e decorato al valor militare, finito in un’orchestrina folk per sagre di partito e tournée nell’Est europeo. Combattenti indomiti, tenuti a bada confinandoli in compiti insignificanti; tipo consigli comunali di provincia: A Chiavari Saetta, a Sestri Levante e Lavagna Riccio, l’inafferrabile “primula rossa del Tigullio”. Ed Eraldo Fico “Virgola”, l’indiscusso leader della “Coduri”, insignito della Bronz Star? Dopo la guerra tentò invano di riciclarsi come autotrasportatore per poi ritornare al mestiere di calderaio nei Cantieri del Tirreno. Morì il 22 dicembre 1959, travolto da un camion mentre andava al lavoro. Ironia della sorte, l’investitore era un ex partigiano della brigata “Muccini”.

Vicende esemplari del triste destino dei ragazzi scesi dalla montagna, sacrificati alle logiche di una normalizzazione consociativa nel dopo Jalta, inconciliabile con il “Vento del nord”; metafora di chi sognava dopo la guerra civile il cambiamento sociale.

Come le donne della Resistenza, tanto magnificate da un’agiografia poco attenta al loro confinamento nei ruoli subalterni della cura domestica deposte le armi.

Nel Genovesato, la prima cooptazione femminile nella politica al maschile, dopo un lungo black-out, risale al 1970; con Eugenia Levaggi eletta a Chiavari.

Nel dopo Liberazione delle donne e dei ragazzi trasformate/i da reduci in reiette/i.

Anche la loro sorte andrebbe ricordata nelle celebrazioni del 25 aprile.

Pierfranco Pellizzetti

PASSEGGIATE D’ARTE

Bellezze dimenticate da riscoprire

Le architetture di Jan van Eyck a Genova

Jan van Eyck Trittico di Dresda. Scena centrale: Madonna col bambino, 1437,  21×27 cm: Descrizione dell'opera | Arthive

Jan van Eyck (Maaseik 1390- Bruges 1441) fu un artista di fama internazionale e il suo stile, incentrato su una resa analitica della realtà, ebbe un importantissimo influsso sulla pittura, non solo quella a lui contemporanea. Fu il vero e proprio perfezionatore della tecnica della pittura ad olio, che piano, piano sostituì in Europa l’uso del colore a tempera. Genova all’epoca iniziava il periodo del suo massimo splendore com’è testimoniato dal Trittico di Dresda, chiamato anche Trittico Giustiniani, in quanto commissionato proprio dalla famiglia di mercanti genovesi, databile al 1437 e conservato nella Gemaldegalerie Alte Meister di Dresda. Come si può notare, al di là dell’ovvia considerazione che si tratta di un’opera assolutamente strepitosa per la qualità stilistica e la resa pittorica, quello che colpisce è la straordinaria capacità di dipingere le colonne e gli elementi architettonici, abilità che lascia letteralmente estasiati. Questo effetto venne fin da subito particolarmente apprezzato anche a Genova e Van Eyck venne utilizzato come una sorta di “paradigma” anche da molti altri artisti, tra i quali Giusto da Ravensburg (pittore tedesco tra i principali esponenti della pittura parietale in stile Gotico fiorito) che nella sua meravigliosa Annunciazione, situata nel secondo chiostro in Santa Maria di Castello e datata 1451, pare abbia preso proprio da un disegno di Van Eyck l’ispirazione (e forse anche qualcosa di più) per dipingere l’ambientazione del momento in cui Dio dimostra di amare talmente tanto l’Uomo da sacrificare il suo stesso Figlio per la redenzione dal peccato originale.

Giusto d'Alemagna - Wikipedia

Indubbiamente non siamo ai livelli dell’assoluta sublimità di Van Eyck, ma si tratta pur sempre di un capolavoro di grazia e di armonia, che nella cura dei numerosi particolari, di una precisione certosina, ci restituiscono un mondo che in realtà conosciamo ancora assai poco, quasi avvolto ancora da una nube leggera di fiaba. Peccato che i colori siano ormai poco vividi: l’esposizione proprio di fronte al mare ha prodotto danni ormai irreparabili, ma con calma ed attenzione si possono fare delle vere e proprie scoperte e ritrovarsi, almeno per un po’, in una dimensione onirica di bellezza e serenità.

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

Erbe e profumi ingredienti di una metafisica gastronomica, nella celebrazione del genius loci declinato nei nostri fornelli che stavolta ci regala Bruno Morchio. Lasciando a noi il piacere di celebrare il ventennale del suo personaggio più famoso: Bacci Pagano.

La cucina ligure, arte povera

E se la focaccia è come una sonata e il pesto un quartetto d’archi, il cappon magro è la grande sinfonia della cucina genovese. Un piatto ricco da ricchi, infarcito di ingredienti pregiati e costosi che per secoli sono stati prerogativa esclusiva dell’aristocrazia. (La crêuza degli ulivi, Garzanti 2017)

Così si esprime l’investigatore genovese Bacci Pagano a proposito di quello che è probabilmente il più anomalo piatto della nostra cucina. Anomalo perché fuori dalle coordinate d’un ricettario i cui requisiti basici sono ingredienti poveri quali le verdure, i legumi, gli aromi, le erbe, l’olio di oliva (sempre un filo, largito con genovesissima parsimonia) e la fantasia. Del resto, il sito della coltura ligure non è il campo, ma la fascia. E coltivare sulle fasce, “gradini” strappati alla montagna metro dopo metro, tenuti su da muri a secco costruiti con infinita fatica e infinita pazienza, è un’impresa che non lascia troppo spazio ad altro che alla fantasia. Dalla focaccia alla panissa, dal pesto alla farinata, dalle verdure ripiene alle torte di verdura, è difficile trovare una cucina più “mediterranea” della nostra. Perché le fasce comportano, tra l’altro, una difficoltà ad allevare il bestiame; l’esiguità del terreno non consente di indulgere al pascolo, ogni angolo di terra va sfruttato all’osso. Così la carne latita, quella bovina ma anche quella ovina, e i liguri, molto prima che si affermassero le filosofie animaliste e vegetariane, hanno sempre avuto chiaro che per produrre un chilo di carne bisogna sacrificare una quantità spropositata di nutrimento vegetale. Unica eccezione il coniglio (cucinato alla ligure, in bianco, senza eccessi di condimento), animale abbastanza piccolo, che si nutre con poco, allevato negli spazi angusti delle conigliere.

Quanto al mare e alla pesca, il pesce azzurro, in particolare acciughe e sardine, sembra esaurire il repertorio insieme al polpo e alla frittura di scoglio, con un addendo storicamente significativo: lo stockfish, il merluzzo essiccato importato dal Nordeuropa e cucinato nelle due versioni classiche: accomodato e bollito con le patate. Quello salato, ovvero il baccalà, così diffuso nell’area veneta, da noi non ha conosciuto vasto impiego, anche se nel Ponente vanta una ricetta che rappresenta un vero e proprio colpo di genio: il brandacujun.

Insomma, una cucina che garantisce l’equilibrio proteine-carboidrati, il tasso di colesterolo tenuto sotto controllo e la soddisfazione del palato assicurata in forza del sapiente, quasi “alchemico” impiego di erbe e aromi (più qualche spezia, come noce moscata e chiodi di garofano) che conferiscono ai piatti un sapore inconfondibile. Per fare un esempio: la maggiorana, che noi chiamiamo persa, dà alle torte di verdura e al polpettone genovese un gusto unico al mondo.

Bruno Morchio