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Numero 6, 1 settembre 2023
Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
- LA LINEA GENERALE
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- SALUTE E SANITÀ
- FATTI E MISFATTI
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- PASSEGGIATE D’ARTE
- GENOVA MADRE MATRIGNA
SPIFFERI
Marco Bucci, Santi Bailor al basilico
Chi ha il coraggio di dirlo al sindaco Marco Bucci? Chi oserà scatenare una tempesta psichica di tale portata nella mente basica del nostro “americano a Genova”, clone al basilico del personaggio dell’americano romanesco (Nando Meniconi, in arte Santi Bailor) immortalato da Alberto Sordi nel film del 1954, informandolo che siamo agli sgoccioli del secolo stelle-e-strisce? Questo perché sull’americanismo come pensiero unico l’uomo di Tursi ha costruito l’intero apparato concettuale che guida la sua personale interpretazione del ruolo di primo cittadino: la trovata che assicura il lieto fine. Del resto l’happy end è la vera ideologia made in USA. Come Bucci se ne convinse da impiegato della Kodak a Rochester. L’azienda morta e sepolta che riteneva l’innovazione una trovata.
La cura dei fanghi per il porto di Genova, secondo l’assessore Giampedrone
L’Azzeccagarbugli era un dilettante. Interrogato dalla consigliera d’opposizione Selena Candia sull’autorizzazione regionale allo spargimento di 700mila metri cubi di fanghi inquinanti sul fondale del porto di Genova per fare un favore a Msc Crociere, l’assessore Raul Giampedrone risponde con l’abituale sfacciataggine “da gioco delle tre carte” che alla “movimentazione di sedimenti in ambito portuale” non si applicano i divieti ministeriali e le norme secondo cui la raccolta di tali rifiuti tossici va fatta in vasche impermeabilizzate. Infischiandosene della giurisprudenza. Vedi la sentenza 2019 della Cassazione, a cui in casi analoghi due mesi fa si sono attenute le Autorità portuali di Civitavecchia e Livorno.
Fino a quando i liguri tollereranno l’arroganza distruttiva di tali personaggi?
Franco Cozzi nelle fauci dei Saturni piddini?
Lo spiffero è molto preoccupato per Franco Cozzi, il valoroso magistrato che ha virato il processo Morandi in una saga secolare, su cui piovono improvvisamente benemerenze dal cielo. Non sarà che il PD vuole ancora una volta vampirizzare la visibilità altrui per surrogare la sua immagine inesistente, nella logica di Saturno che fa i candidati e poi se li mangia? Magari per le prossime Regionali. La solita storia che in questi anni ha disseminato di cadaveri politici le istituzioni liguri: Sansa, Doria, Massardo, Dello Strologo… Attento Cozzi, quelli vogliono far leva sulla vanità, la virtù prediletta del diavolo versione Al Pacino, e così condannare la propria vittima all’Inferno. L’autogol in cui i diavoletti PD sono abilissimi. I re Mida alla rovescia della politica, locale e nazionale.
il Diavolo tentatore di magistrati
C’È POSTA PER NOI
Riceviamo dall’amico Guarino, già ingegnere di Italimpianti e Techint
A proposito del viadotto San Giorgio post Morandi: fino a quando in piedi?
L’articolo dell’8 agosto di Repubblica a proposito del Ponte del Papa a Genova riporta un’interessante informazione tecnica: “…che consentiranno il corretto trattamento del cemento nei 28 giorni di stagionatura”. Ecco, questo è il tempo giusto per il drenaggio dell’acqua e l’esaurimento dell’esotermia della reazione è almeno di 4 settimane. Mi piacerebbe che qualcuno spiegasse come hanno fatto a colare le pile del nuovo ponte San Giorgio aspettando pochissimi giorni tra una colata e l’altra per…fare presto. L’escamotage “sfuggì” in una intervista al direttore della ditta che fornì il cemento: “abbiamo aggiunto un additivo speciale che ha ridotto i tempi di stagionatura”. Peccato che questi additivi riducano drasticamente la vita operativa utile del cemento. Invece dei mille anni promessi dovremmo accontentarci di una ventina. Comunque allora il commissario-sindaco sarà da qualche altra parte.
Roberto Guarino
Gli fa eco il nostro Carlo A. Matigli
Per non dimenticare…pure 8,1 miliardi
A cinque anni quasi esatti dal crollo del Ponte Morandi, vorrei solo ricordare la damnatio memoriae (di giornali, televisione e internet, ma soprattutto di tutti i politici) degli 8,1 miliardi che lo stato ha regalato ai Benetton. Durante il Conte Uno la revoca a costo zero della concessione era pronta, con decreto interministeriale a firma congiunta Toninelli – Tria (che tentenna). Nel Conte Due Toninelli non viene riconfermato e in Borsa Atlantia fa il boom. Evidentemente c’è stato un accordo: fate fuori il ministro che vuole la revoca a costo zero (lo ripeto per chiarezza) e siamo tutti felici e pieni di soldi. Che abbiamo pagato noi: così ogni volta che passate sul ponte, pensate che oltre ai terribili 43 morti, Autostrade-Benetton si è portata via anche 8,1 miliardi dei nostri soldi.
Catlo A. Martigli
Invito a un appuntamento da non perdere
Esiste una Genova marginalizzata che reclama attenzione
Gentile Redazione, mi permetto di sottoporvi una breve riflessione sulla qualità di vita dei cittadini genovesi, soprattutto alla luce dei continui, roboanti annunci di apertura di nuovi cantieri che dovrebbero ingombrare la città di ulteriori infrastrutture che si vanno ad affastellare sul già fragile e caotico tessuto architettonico urbano; peraltro nella città di una Regione e di un Paese connotati da una forte contrazione demografica. Sono ormai anni che l’Amministrazione comunale, di qualsiasi colore politico, si fa promotrice di progetti e ristrutturazioni di interi quartieri, la cui utilità pare sia quasi sempre a beneficio di poche consorterie e solo raramente sembrano essere pensate per migliorare la qualità di vita dei cittadini. A mia conoscenza, nessun partito politico candidato a dirigere la città si è mai posto il quesito sulla quotidianità infernale che tanti abitanti vivono, in particolar modo coloro che abitano in collina. Dal dopoguerra a oggi, a parte il momento della speculazione edilizia che ha visto nascere come funghi palazzacci e quartieri dormitorio su un territorio idrogeologicamente critico, delle circoscrizioni collinari nessuno si è più preoccupato. Mentre ci si agita intorno alla Genova fronte-mare, adornata dai soliti centri commerciali ed ennesime residenze per abitanti che non esistono più, i bambini di via Sant’Alberto, di via Coronata, via Berghini, via Sapeto, via Casartelli (giusto per fare qualche nome, ma la situazione è generalizzata a tutti i quartieri collinari) non hanno un marciapiede su cui camminare in sicurezza per andare a scuola. In questi anni nessuno ha pensato fornire a questi agglomerati residenziali una viabilità decorosa, ad aprire nuove strade istituendo sensi unici con circuiti ad anello, ad agevolare il trasporto pubblico liberando il percorso dei bus dagli intralci del traffico veicolare. Tantomeno ci si è posti il problema dei posteggi in queste zone: non mi pare sia mai stata ideata nessuna agevolazione per convertire i fondi dei palazzi di collina in garage o posti auto al fine di liberare la sede stradale. Parrebbe che i cittadini siano ospiti indesiderati: l’Amministrazione si preoccupa di più degli interessi privati piuttosto che di quelli della comunità. Eppure, Genova ha conosciuto il magistrato dei Padri del Comune: possibile che di quella istituzione non sia rimasto più nulla in eredità?
Paola Lugaro
Domanda: ma Genova 2023 non era la Capitale del libro?
ECO DELLA STAMPA
Una nuova minaccia incombe sui genovesi: Big Data applicata alla rumenta per scopi poco chiari. Motivo per cui pubblichiamo l’ampio stralcio di un articolo – apparso su Genova24 dell’8 aprile 2023 – sul tema dei cosiddetti “cassonetti intelligenti”, rapidamente sottratto all’attenzione del pubblico dibattito (con l’eccezione di un’intervista trionfalistica ed elusiva della dirigente comunale Merlino, apparsa il 25 agosto). Una rimozione che questo numero del nostro magazine intende contrastare dedicandogli anche due commenti nella sezione “La linea generale”.
Cassonetti intelligenti in tutta Genova. Obiettivo 2024
L’obiettivo è sostituire i 26mila cassonetti della città con i nuovi modelli elettronici entro il 2024, per poi passare all’uso “intelligente” vero e proprio, con l’apertura comandata da un badge personale o direttamente da un’app sullo smartphone, nel corso del 2025. Amiu non cambia strategia sulla raccolta dei rifiuti e conferma la tabella di marcia che, dopo l’introduzione ormai consolidata del nuovo sistema in Valbisagno, prevede le prossime tappe nel Levante entro l’estate, poi in Castelletto a settembre e in Oregina a ottobre.
“Il progetto attualmente prevede di coprire l’intero territorio genovese entro marzo 2025, ma noi vorremmo accelerare e completare il lavoro entro il 31 dicembre 2024 – spiega il presidente di Amiu, Giovanni Battista Raggi. Il problema è rappresentato dalle difficoltà del settore automotive, perché i nuovi cassonetti non si possono installare senza avere i camion apposta per svuotarli”.
Il vantaggio atteso dei nuovi contenitori è duplice: da un lato aumentare la quota di raccolta differenziata, dall’altro arrivare alla in base alla quantità di rifiuti prodotti. Risultato che si potrà conseguire solo con una definizione della Tari puntuale per ogni residente. Step successivo: “Oggi basta premere il pulsante e il cassonetto si apre, in futuro sarà possibile farlo con una tessera elettronica o un’app”.
Secondo gli ultimi dati forniti da Amiu in commissione consiliare a Tursi, nelle nuove postazioni bilaterali il differenziato raggiunge il 58,9% del totale (31% di carta, 11,4% di misto plastica-metalli e il 16% di organico) contro il 41,1% di indifferenziata. Con i bidoni tradizionali, invece, il differenziato raggiungeva il 22% del totale. Il tutto vetro escluso, visto che la raccolta di questo materiale è stata da tempo esternalizzata. Il programma ora prevede di estenderli in Albaro, poi Quarto alta, per poi proseguire con Nervi, Quinto, Sant’Ilario, poi Sturla e Quarto bassa, Valle Sturla e San Martino. Quindi sarà il turno delle alture del centro. “Ma i programmi potrebbero cambiare a seconda delle richieste del Comune”, precisa Raggi.
Fabio Canessa
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
Il cassonetto in arrivo: intelligente o solo furbo?
Sono pronto per i nuovi cassonetti intelligenti: mi chiedo tuttavia se tali siano quelli che li stanno acquistando. Non certo quelli che li vendono: loro lo sono di certo. Anche perché un cassonetto veramente intelligente costa circa 20.000 euro. Pertanto, Amiu e Comune di Genova con i 26.000 in programma per Genova (v. Genova24 dell’8 aprile scorso) potrebbero spendere 520 milioni. Ma più facilmente vogliono installare quelli c.d. smart (furbi) che costano soltanto 1.500 euro l’uno, ovvero soltanto 39 milioni di euro. Mica pizza e fichi, comunque. Poi ci sarebbe il mantenimento, la sostituzione, il guasto e via dicendo: centinaia di migliaia di euro l’anno. In Cina usano già gli intelligenti: ti guardano, ti riconoscono e così si aprono. In cambio sanno chi sei, a che ora sei in quel punto, quanto consumi e via dicendo: il Grande Fratello. Quelli smart un po’ meno, perché sono più furbo io: produco 10 chili di spazzatura alla settimana che getto a capocchia nel furbo, per strada, alla mercé di topi e cinghiali. Ma con il mio tesserino in mano, sorrido e ne metto solo un chilo. Così pago per un chilo anche se ne butto per strada altri dieci. In questo modo pagherò di sicuro meno di adesso. Il senso civico? È morto, seppellito da una montagna di delusioni. Qualche settimana fa nella piazzetta di Camogli cercavo di mettere della carta nell’apposito bidoncino blu, che però gli incaricati Amiu stavano svuotando insieme ad altri. Chiedo allora cortesemente dove posso buttarla. E mi indicano direttamente il camioncino: raccoglievano la differenziata e mettevano tutto in un unico calderone… Ora sono pronto a restare indifferente quando troverò per strada una bottiglia di vetro o di plastica o qualunque altra cosa. Mica raccolgo più niente, come facevo prima. Non sono così scemo da farmi riconoscere con il badge e andare a pagare di più per cose non mie. Valga il caso Capannori, in Toscana. Qualche anno fa – 2018 – aveva fatto bingo con la raccolta porta a porta: davano lavoro a una trentina di ragazzi che raccoglievano la spazzatura e, una volta riunita, la portavano – differenziata – alle aziende compratrici. Il comune era in utile e praticamente non si pagava più la spazzatura: economia circolare attiva e pure ecologica. Qui invece si spendono 39 milioni (magari qualcosa rimarrà attaccata alle mani di qualcuno), per quella che il mitico Fantozzi definiva “una cagata pazzesca”: visto che alla fine tutti, furbi o meno, pagheremo di più.
Carlo A. Martigli
Pubblichiamo l’intervento di Federico Valerio, già Direttore del Laboratorio di Chimica Ambientale dell’Istituto Nazionale Ricerca sul Cancro di Genova, che riferisce esperimenti innovativi di raccolta spazzatura messi in atto dalla giunta del sindaco Marco Doria (2012-207). Come spiegato nel suo sito, di cui riportiamo l’indirizzo.
Differenziare a Genova: cassonetti “intelligenti” o “porta a porta”?
Nel 2021, in base al rapporto di ISPRA, il Comune di Genova ha raccolto in modo differenziato un imbarazzante 39,9% dei suoi scarti urbani; in quanto l’obiettivo nazionale prevedeva che, a partire dal 2012, avremmo dovuto differenziare il 65% dei nostri avanzi e anche perché, nello stesso anno, Milano differenziava al 62,5 %. Ma anche imbarazzante in quanto il mancato raggiungimento dell’obiettivo di legge pesa per 488.000 euro annui sulla TARI genovese: l’ecotassa regionale prevista per i comuni inadempienti. AMIU pensa di risalire la china puntando sui 19.400 cassonetti “intelligenti” che, a partire dal 2022, stanno sostituendo i tradizionali cassonetti “stupidi”, con un costo di 28 milioni di euro. La struttura a “isola”, con quattro cassonetti affiancati l’uno all’altro e fissati stabilmente al suolo, migliora il decoro urbano ed evita la visita dei cinghiali.
Gli aspetti positivi finiscono qui!
Nei social genovesi stanno comparendo immagini già viste in altre città, con l’arrivo degli “intelligenti” (Torino, Bologna, Grosseto…): sacchetti pieni e regolarmente legati con lo spago, ma abbandonati presso i cassonetti.
Di chi la colpa? Tutto fa pensare sia dei progettisti che hanno dimensionato i portelli con una sezione più piccola di quella del sacco pieno di scarti differenziati che una famiglia genovese mediamente raccoglie in casa; non hanno valutato che le consegne a domicilio stanno riempiendo le case di cartoni ingombranti, che non tutti sono disponibili a piegare. E costringere le famiglie a fare sacchetti più piccoli e scendere in strada più frequentemente non sembra una buona idea da proporre al cittadino elettore, già alle prese con una TARI tra le più care in Italia.
AMIU afferma che con questi cassonetti la raccolta differenziata sia aumentata, ma nulla dice sulla qualità dei materiali conferiti. Vedremo nei prossimi mesi. Nel frattempo può essere utile segnalare che le ottime prestazioni di Milano, come tante altre città con raccolte differenziate anche superiori al 75%, dipendono da un diverso sistema di raccolta definito “porta a porta”; con l’esposizione, nei pressi del proprio portone, di mastelli con codice identificativo, contenenti gli scarti che si prevede saranno ritirati la sera stessa.
La giunta Doria, aveva progettato di adottare questo sistema anche per Genova e in alcuni quartieri avviò il nuovo sistema; osteggiato dagli elettori di Bucci, ma con sorprendenti risultati, di fatto ignorati: stabilmente oltre l’85 %!
Federico Valerio https://federico-valerio.blogspot.com/search?q=porta+a+porta
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
Il 24 luglio scorso, all’età di 88 anni non ancora compiuti è morto l’etnologo Marc Augé, creatore del neologismo “nonluogo”. Cioè lo spazio mercificato, anonimo e stereotipato, privo di storicità e frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano; quanto avviene negli aeroporti, negli alberghi, sulle autostrade, nei grandi magazzini. L’apoteosi dell’estraneazione alienante che l’intero ceto politico nostrano recepisce come il non plus ultra della modernità, il paradigma-guida dell’organizzazione urbana. Nella Fiumara 1 di Burlando come nella Fiumara 2 di Bucci e Tot in zona Fiera. Stefano Fera ci guida nei meandri mentali di questi devastatori seriali.
Il non-luogo come mantra dei cretini digitali
Tratto comune alle società occidentali è la crescente complicazione tecno-burocratica a fronte di una costante semplificazione intellettuale. Da un lato, le nostre esistenze sono sempre più controllate da sistemi tecnologici sofisticati, pensiamo ad algoritmi e microchip; dall’altro, la vita collettiva è caratterizzata da un depauperamento intellettuale conseguente al rarefarsi dell’interazione umana, all’isolamento cui ci condanna l’individualismo di massa. La società degli individui si basa, infatti, sull’anomia programmata, sulla perdita di competenza sociale, sulla sostituzione dell’atto ancestrale di riconoscimento tra animali che si annusano, con la comunicazione virtuale mediata da schermi di computer e cellulare. Soprattutto tra i nativi digitali, ciò comporta inedite forme di cretinismo che si manifestano in alterazioni dei processi cognitivi, mnemonici e di concentrazione. Così il linguaggio deve semplificarsi, il vocabolario contrarsi, i codici comunicativi attenersi a modalità da social media, al paradigma dei like, al cosiddetto thumb up/thumb down rating system; in breve, al pensiero binario del: mi piace/non mi piace.
Alle forme di semplificazione intellettuale funzionali al sistema, contribuisce in vario modo ogni disciplina. Da architetto, mi limito a richiamare quanto osservato nel mio campo nella svolta di millennio. Un esempio di scorciatoia intellettuale è la banalizzazione e volgarizzazione del pensiero di Marc Augé, recentemente scomparso. Mi riferisco in particolare al neologismo per cui è ricordato: il non-luogo. Per la cultura architettonica dei cretini digitali il non-luogo è diventato una sorta di mantra. Quel che per Augé indicava una condizione epocale connessa alla globalizzazione, per molti si è tradotto in estetica urbana da esaltare e magnificare. Così non è in Augé. Sebbene non sia esente dal tipico autocompiacimento francese nel considerarsi artefice e arbitro della modernità, per lui concetto connesso a quello di surmodernità, da contrapporre alla postmodernità di Lyotard, è pur vero che nel suo pensiero l’idea di non-luogo non abbia valenza né positiva né negativa. Descrive uno status quo basato sulla mobilità estrema che tuttavia la pandemia e il conseguente modello di “città di 15 minuti” sembrano relegare ormai al passato. Ci rammarichiamo che Augé non sia più tra noi perché ci sarebbe piaciuto sentire come avrebbe definito questa nuova concezione di luogo urbano che tanto piace alla sindaca di Parigi Anne Hidalgo.
Stefano Fera
Il sogno della riqualificazione di Hennebique al servizio di una grande operazione culturale, mentre su questo lascito genovese di Art Decò incombe la concreta minaccia della dissipazione: lo sfregio a uno spazio civico prezioso per installarvi la banalità dell’ennesima speculazione bottegaia (negozietti, uffici, un albergo e qualche abitazione).
I had a dream
Amo i sognatori. Il sogno non conosce limiti e consente di volare alto, lontano dal rasoterra del pragmatismo che non osa. Ed ecco oggi il mio sogno di architetto: Hennebique. Alcuni dati: costruito nel 1901 come silos granario, primo progetto italiano interamente in calcestruzzo armato, con sorprendente facciata liberty, ricca di elegante grazia in contrasto con la destinazione industriale e la mole mastodontica. 7155 mq di base, 45000 mq di superficie, dimensione 76 ml x 293 x 40 di altezza. Specchiato sul mare del porto di Genova. composto da una torretta centrale e due ali laterali, quasi due grandi braccia aperte sul Mediterraneo, pronte ad accogliere le diverse culture che dal mare approdano sulla nostra terra. Il senso più profondo di quello che è un approdo: accoglienza e arricchimento culturale. I have (had) a dream: Hennebique grande “Institut du Monde Arabe”, come il bellissimo edificio progettato a Parigi da Jean Nouvel. Una magnifica moschea, un museo di arte islamica, biblioteca, ristoranti etnici, expo permanente di tutto l’artigianato africano; Hennebique che diventi polo di vera aggregazione e crocevia delle diverse culture provenienti dal mare. Un abbraccio, integrazione vera e strutturata. Mi ha sempre scandalizzato la sfrontatezza con cui le amministrazioni “democratiche” hanno sistematicamente eluso le richieste di ottenere una moschea degna di questo nome, che pur otterrebbe il controllo dei fanatismi religiosi oggi incontrollati sul territorio. Così come mi stupisce il non capire l’enorme ricaduta economica e turistica che un’esposizione permanente del più interessante artigianato d’oltremare produrrebbe sulla città. Siamo un porto di mare ed io sognerei l’Hennebique quale sintesi intelligente e proficua fra le due culture oggi più presenti, seppur mal rappresentate, a Genova.
Marina Montolivo Poletti
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
La Shoa è out in Regione Liguria
Una vecchia canzone di Elio e Le Storie Tese s’intitolava La Terra dei Cachi. Testo ironico e sarcastico dove per terra dei cachi s’intendeva l’Italia delle contraddizioni. Da ridere. Lo stesso potrebbe dirsi relativamente a un fatto di poche settimane fa, che ha per oggetto la Regione Liguria e la Shoa (chiamiamola con il suo nome, Sterminio, e non Olocausto che significa offrirsi in sacrificio). Ma qui c’è poco da ridere, in questa vicenda in parte incredibile e in parte vergognosa. Da anni, a Palazzo Ducale, nel mese di gennaio viene organizzata dalla Art Commission di Virginia Monteverde una commemorazione della Shoa. A proprie spese. Per non dimenticare, perché magari molti, giovani e non, si ricordino di quanto è accaduto, perché certi orrori non si ripetano. Succede anche che personaggi dal passato equivoco di estremista nero, come il già carcerato Marcello de Angelis, neghino la strage di Bologna, verità giudiziale innegabile. Come sia finito, dopo essere stato trombato alle elezioni a fare da portavoce di Regione Lazio (!) è un mistero. Da qui al negazionismo il passo è breve. Il che ci porta ai fatti liguri. La regione Liguria concede il gratuito patrocinio (molto gratuito perché non ci mette un soldo) per l’iniziativa “Segrete Tracce di memoria. Alleanza di Artisti in memoria della Shoah” sempre alla Art Commission: firmato Giovanni Toti, onore a lui. Virginia prova tuttavia a chiedere (sarà la volta buona?) un minimo contributo e scrive alla Regione. La quale risponde più o meno che l’iniziativa “non è coerente con i programmi della giunta”. Lettera firmata da una funzionaria, specificando però non trattarsi di farina del suo sacco, ma che tale decisione è stata presa su indicazione del Presidente della Giunta regionale. Quindi sempre Toti: disonore a lui. A questo punto i casi sono due: o la mano destra (proprio destra) non sa quello che fa la sinistra (più che sinistra diciamo centro, al massimo), o c’è un sottile scivolamento verso il razzismo/fascismo. Oppure Toti non ne sa nulla, e allora vorremmo sapere da lui cosa significa che la commemorazione della Shoa non è coerente con i programmi della giunta. Meglio: vorremmo una smentita. Non vorremmo ritrovarci a dover assistere a Genova alla celebrazione dei fascisti di Salò. Ah, no, questo ci fu già nel 2018, quando il consigliere comunale Gambino andò a Staglieno con la fascia tricolore a commemorare i caduti repubblichini.
La Liguria è proprio la terra dei cachi.
Carlo A. Martigli
Proudtown o Prideland. In quale città abitiamo?
La città Superba, già conosciuta nel mondo come ‘Proudtown’, si è consegnata, legata mani e piedi, a una cricca di avventurieri che ne occupano i principali centri di potere, distribuendo quelli ‘minori’ ai loro accoliti. Il municipio, le delegazioni, il porto e suoi annessi, i trasporti e l’energia, la cultura (anche se nelle loro mani quel lemma perde significato), i parchi e i giardini, la stessa immagine di quella che era una volta Proudtown si è deformata nella maschera di cera che – esposta alla fiammella di una candela – va sciogliendosi in una smorfia di disgusto e insieme compassione di sé. Maschera tragica, da teatro greco. Allo stesso tempo, comica?
L’immagine della nuova Proudtown è ora quella di un clown in disarmo continuamente richiamato sul palcoscenico a far ridere – e spendere – un pubblico altrettanto grottesco.
‘Città della cultura’, ‘Capitale del libro’, ‘Capitale delle nanotecnologie’, magari del formaggio. Capitale di qualsiasi cosa venga in mente a quelli che la comandano – o meglio – dominano. Comandare e dominare, infatti, non sono la stessa cosa. Il comando implica responsabilità, avvedutezza, capacità di resistere alle pulsioni dominanti nel pubblico. Il dominio invece – per dirla schiettamente – se ne f…e della responsabilità e dell’avvedutezza. Quanto alla capacità di rischiare l’impopolarità, beh, quella è stata rimpiazzata dal suo contrario. Paradossalmente, è proprio la frenesia della popolarità a dominare chi pretende di dominare Pridetown. Sarà questo paradosso, molto timidamente osiamo sperare, a rivolgersi contro la camarilla che è arrivata, non si sa come, non si sa per quanto tempo, a dominare la vecchia, assopita Dominante?
Un ragazzo del popolo, molto tempo fa, dette luogo all’insurrezione contro chi pretendeva di spadroneggiare in città.
E oggi che succede a Proudtown? Tutto tace, la città agonizza tranquilla. Il disordine è diventato il nuovo ordine. L’abbandono del pubblico coincide con l’ignobile trionfo del privato. L’ingiustizia più clamorosa e impunita diventa la nuova giustizia. La diseguaglianza la nuova eguaglianza. Siamo tutti eguali, ciascuno nella rispettiva condizione: ricchissimi e poverissimi. Eppure… Eppure, basterebbe poco, non occorrerebbero gesti plateali contro questo Golem dai piedi d’argilla. È Hans Christian Andersen a suggerircelo. Basterebbe la fragorosa, squillante, inarrestabile risata di un bambino a svelare la patetica nudità di un potere fasullo che pretende, intrattenendoci, di dominarci.
Michele Marchesiello
Per dire, alla nostra redazione piacerebbe conoscere quali sono i generici “poteri forti” le cui oscure minacce ora inducono l’ingegner Piero Silva, già responsabile di progetto della diga nel porto di Genova, dimessosi denunciando che si sta costruendo su banchi di sabbia, ad annunciare il proprio silenziamento volontario. “Al fine di preservare la propria salute e la serenità della sua famiglia”. Siamo a Genova o Chicago anni ‘30? O a Feartown?
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
Un governo incapace taglia il Pnrr: quanto ci rimette la sanità ligure
Il taglio per la Liguria è di 60 milioni di euro. Saltano progetti importanti quali lo scolmatore del Bisagno, la ciclovia europea nel tratto ligure, il rafforzamento delle difese marine di Rapallo, il polo scolastico del ponente, la sistemazione idrogeologica del territorio e – per l’ennesima volta – la sanità.
Appunto, la più colpita è la sanità pubblica, per oltre 600 strutture: una su quattro verrà tagliata. Che ne sarà di quelle 60 previste in Liguria? Il Governo assicura che le esclusioni saranno rifinanziate con altri fondi. Ma è una furbata, perché così si cancellano finanziamenti sanitari previsti da anni e già ottenuti.
Da noi il taglio ai fondi per la sanità si aggiunge a quello di oltre 15 milioni previsto da Regione Liguria per aver sbagliato i conti nei progetti di case e ospedali di comunità. La destra non solo taglia il fondo sanitario nazionale ma pure gli investimenti. Lo stesso vale per gli altri settori: solo su Genova rischiano oltre 167 milioni di progetti, alcuni già all’affidamento lavori, che ricadranno su Comuni senza risorse. Si parla dei Fondi di Sviluppo e Coesione, ma non sono ancora stati stanziati. Così le mirabolanti promesse di Toti e di Bucci rischiano di tradursi in bolle di sapone, in una regione dove la sanità pubblica sta franando totalmente.
In particolare spicca la posizione altalenante di Toti. Prima si è detto “sorpreso” scoprendo che tra i progetti saltati ci sono 30 milioni per la ciclovia tirrenica e oltre 30 milioni di opere sul dissesto idrogeologico, di cui Toti stesso è commissario governativo. Poi si dichiara “tranquillo” non volendo disturbare il centrodestra nazionale, a cui il Nostro chiede un terzo mandato in Regione. Difatti, si è chiuso in un rigoroso silenzio quando la Conferenza delle Regioni, a maggioranza di centrodestra, ha lanciato l’allarme sui cantieri a rischio con l’invio di un documento unitario al ministro Fitto; chiedendo garanzie per le coperture finanziarie dei progetti entrati nella fase esecutiva. Il ministro risponde che le coperture giungeranno da altri fondi. Ma le Regioni ne dubitano: il Fondo di Sviluppo e Coesione non può essere utilizzato in maniera sostitutiva per coprire progetti che rientravano nel Pnrr. Intanto chi prende le distanze dalla protesta degli altri presidenti di regione? Toti; che, quando è in Liguria si dichiara amareggiato, ma se parla a Roma ribadisce che “i progetti strategici sono stati salvati”. Per non scontentare chi deve tutelargli il posto.
Nicola Caprioni
Le crescenti aggressioni nei nostri ospedali non sono solo problemi di polizia
Le dimensioni assunte dalle aggressioni ai sanitari in servizio presso ospedali e ambulatori liguri, con 331 episodi di violenza solo nel primo semestre 2023, hanno portato all’adozione di parziali rimedi a livello centrale e locale. É del 2020 la Legge n.113 “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, che inasprisce il quadro sanzionatorio, prevedendo la procedibilità d’ufficio per reati con lesioni e percosse. Il più recente Decreto Bollette estende vieppiù il quadro regolativo. In Liguria si stanno riaprendo i posti di polizia presso i Pronto Soccorso, eliminati in passato, e all’affissione di cartelloni in nove lingue con cui si informa che aggredire un sanitario è reato. Pochi e tardivi rimedi, di efficacia limitata e non di natura preventiva. Mentre sono pesanti gli effetti del fenomeno su un sistema sanitario al collasso, da cui le violenze traggono in parte origine. Conseguenze economiche e sociali che ricadono come sempre sulla qualità delle cure. Se le aggressioni producono infortuni, i già carenti organici di medici e infermieri vengono sovraccaricati dalle relative assenze conseguenti. Il trauma della violenza genera stress con effetti psichiatrici da burnout: disturbi d’ansia, depressivi e dell’umore, che talvolta portano al ritiro dal lavoro. Le violenze, sia fisiche che verbali, talora indotte dal trattamento in corso nella struttura sanitaria, sono a volte scatenate anche dai parenti del paziente, indubbiamente esasperati da liste d’attesa estenuanti, come da spazi inadeguati nei luoghi di cura e da personale stremato. Occorre intervenire sia sul piano della prevenzione e della sicurezza, della formazione degli operatori alle emergenze, sia agendo su quello dell’informazione ai cittadini, per far comprendere meglio l’immenso valore del servizio sanitario; da non percepire come un genere di consumo, bensì quale valore sociale da condividere. Ma per rendere credibile un tale messaggio non si può prescindere da un forte sostegno economico e di rifinanziamento delle attività, delle strutture e delle risorse umane. Poi, se gli utenti riscontreranno l’azione di salvataggio del sistema sanitario pubblico al centro delle agende politiche e un chiaro segnale di stop alla deriva verso un sistema privatistico di dubbia gestione, ritroveranno il necessario rispetto per quanto attua il diritto fondamentale alla salute sancito dalla Costituzione.
Nuccia Canevarollo
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Giornalismo ligure: prima dei Pulitzer di Bargagli, i Brunivespa in sedicesimo
Tra i vanti liguri c’è quello di essere stata fucina di grandi giornalisti, da Giovanni Ansaldo a Piero Ottone, da Gandolin a Paolo Murialdi.
Consapevoli di questa nobile tradizione, avevamo proposto l’istituzione del Premio Pulitzer di Bargagli per segnalare le nuove “schiene dritte dell’informazione”, che se cucinano le notizie nei modi graditi ai potenti locali, lo fanno solo per puro convincimento disinteressato. Che diamine! E dietro di loro si staglia l’ombra veneranda dei patriarchi ancora sulla breccia: i “Brunivespa in sedicesimo”, specialisti dell’intervista da salotto all’insegna della lusinga; la cui caratura rispetto all’originale è pari alla distanza d’audience che intercorre tra RAI 1 e Primocanale. Sicché a fine luglio abbiamo potuto ammirare – proprio sull’emittente genovese – le performances dei due massimi esponenti del genere: Ciuffettone e Birignao. Il primo nel suo rapporto conflittuale con i congiuntivi, l’altro nell’ininterrotta pratica della condiscendenza.
In una ripresa vista mare sulla terrazza di casa Scajola, Ciuffettone, con la confidenza consentita dalla comune militanza alla corte del vecchio city boss Taviani, può incalzare il quattro volte sindaco di Imperia con le sue domande puntute. Non il “rompicoglioni” dell’allora ministro degli interni diretto a Marco Biagi, che lo assillava con fantasiose richieste di protezione dai terroristi, o le case di fronte al Colosseo “a propria insaputa”. Altro che bagatelle, questioni a muso duro: “di quale periodo della sua lunga carriera è più orgoglioso?”. In modo da far dire all’intervistato: “la collaborazione con Berlusconi”. “E dell’altro Claudio [Burlando] che ne pensa?”. “Mai frequentato”. Neppure in quella cena genovese in cui chiedeva ai capi del PCI sostegno per la sua rielezione a primo cittadino imperiese? Dubbio che Birignao potrebbe sciogliere nel suo speculare colloquio con il Cincinnato di Torriglia. In cui l’aspirante rieccolo esprime piena sintonia con la Destra di potere, da Bonaccini a Toti; speranzoso in una poltrona di recupero. In porto o altrove. Per cosa? Qualche affare tipo nuova svendita della sanità?
Dialoghi in cui parrebbe che il tempo non sia mai passato. Mentre proseguiva il declino ligure, accompagnato dalle interviste anestetiche dei simil-Vespa. E a richiamarci al presente è solo l’immagine di costoro, su cui lo scorrere degli anni incide segni impietosi; che ripetono la favola del migliore dei mondi possibili: la Liguria dei loro boss preferiti.
Pierfranco Pellizzetti
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
Il potere a Spezia, che nasce altrove e ricerca un altrove
La classica chiave interpretativa “follow the money” sottolinea l’interdipendenza tra comando e capitale, il ruolo dominante del denaro, anche nel caso spezzino di una città cresciuta attorno a un arsenale. La storia dell’espansione di un paese del Golfo dai 3.500 abitanti del 1861 agli oltre 90.000 del 1891. La Spezia come città moderna nasce quindi solo dopo metà 800 e certo non per spinta locale; nel segno militare: l’importante base della Marina. La stessa industria locale mostra la forte impronta del settore armamenti. Se da un lato l’arsenale è ancora una presenza importante nel tessuto socio-economico locale, molte sono le industrie dell’armiero: Leonardo (ex Oto Melara), lo stabilimento di Muggiano che con il gemello di Riva Trigoso costituisce il polo militare di Fincantieri, MBDA produttrice di missili, Intermarine a Sarzana specializzata in cacciamine, c’è poi da considerare la sede spezzina di Selex e una serie di imprese di minori dimensioni che in parte lavorano su progetti e prodotti specifici del settore, un’altra parte è impegnata in subfornitura e indotto.
A La Spezia si svolge annualmente Sea-Future, la più importante rassegna dell’armiero navale europea; vero mercato dell’usato, in particolare per Paesi del terzo mondo.
Ovvio che un punto nodale del controllo politico d’area sia proprio il settore militare e il rapporto con la Marina. Con un’ulteriore conseguenza: la natura eterodiretta del modello che ne emerge, in cui prevale la relazione verticistica tra interessi extraterritoriali e loro agenti/presidiatori sul territorio. Inconfessabile. Mentre la politica democratica funge da convitato di pietra: la conseguente emarginazione della partecipazione civica alle scelte strategiche, controllate e gestite da rappresentanti che ripongono le proprie segrete aspettative di carriera extra moenia e tendono al notabilato.
Emblematico il caso di Lorenzo Forcieri, senatore per quattro legislature, a lungo capogruppo del PD in commissione difesa, sottosegretario sempre alla difesa nel governo Prodi I e membro del “parlamento” NATO, prima di diventare presidente dell’Autorità Portuale spezzina. Sempre praticando quella segretezza dei disegni personali che diventava trasversalità. Infatti negli ambienti locali si è più volte vociferato di un rapporto intenso con Luigi Grillo, parlamentare Forza Italia per sette legislature e uomo molto legato al potere bancario; in particolare alle ex CariSpezia e Carige.
NC
Un golfo troppo affollato
Più recentemente sono circolate “strane” voci – sarà vero? – su nuovi incontri trasversali al Bagno San Marco a Fiumaretta, vicino a casa di Giovanni Toti, cui avrebbe preso parte lo stesso Governatore col fido Giampedrone, l’ing. Sammartano, ex A.D. di Termomeccanica, ex presidente di Confindustria e Camera di Commercio ed ex sindaco di Lerici, oggi alla guida di un colosso del trading energetico, con importazione di metano dalla Russia, e – guarda caso – sempre Forcieri e alcuni suoi fidati.
Quel Forcieri che continua a farci da guida nel labirinto spezzino e che, dopo il ruolo svolto di interfaccia dell’italica lobby delle armi, ha ricoperto per due mandati la presidenza della Port Authority cittadina. Scelta non a caso per un rabdomante del business politico.
Difatti, oggi il settore militare non è più l’unico motore dell’economia e del potere spezzini. Tre sono le novità più importanti. La prima è l’esplosione dell’industria della nautica da diporto con la costruzione di lussuosi yacht, destinati per oltre il 90% all’export. Così sono cresciuti i cantieri San Lorenzo, Riva, Baglietto, Ferretti, Perini e altri; creando non solo nuove opportunità di lavoro, ma anche fenomeni di precarizzazione e occupazione a termine. Poi abbiamo il porto, con le sue aree retro-portuali a Santo Stefano Magra, cresciuto in questi anni e – last but not leas – il turismo, in cui un ruolo importante lo gioca il mondo delle crociere; seppure non particolarmente amato dai cittadini, visto i quasi nulli ritorni economici per il territorio e il pesante inquinamento dei fumi dei colossi del mare.
Mentre la costante natura eterodiretta d’area, tanto per l’economia che per la politica, ritorna anche nella presunta riappropriazione del mare. Ossia il disancoramento delle scelte relative, acuito dalla riforma Del Rio, con la creazione del monstrum di un’autorità portuale che accorpa Spezia e Carrara, spostando il baricentro decisionale dalla società locale al dominus romano, preposto alla designazione del presidente dell’Ente: il ministro.
Nicola Caprioni
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
Un bell’esempio di politica guidata dai valori (all’incontrario)
Monica Giuliano, eletta dal PD in era renziana a sindaca di Vado Ligure, ha guidato per una legislatura e mezza l’importante comune del Savonese. Ma alle ultime regionali – a sorpresa di tutti – se ne esce con la dichiarazione di voto a favore di Giovanni Toti e della maggioranza di destra. Ora, arriva la ricompensa di tale voltafaccia; Il Presidente di Regione Liguria – che nel frattempo ha inventato l’agenzia regionale dei rifiuti, un inutile carrozzone con l’unica funzione di garantire lucrose remunerazioni ai propri fedelissimi – ha nominato Monica Giuliano presidente di questa nuova agenzia regionale, con una remunerazione di 140.000 euro l’anno. Niente male! 2Insomma, la rumenta val bene una genuflessione (e ci scusiamo dell’aver storpiato la celebre sentenza attribuita a Enrico IV di Borbone, diventato re di Francia grazie all’abiura).
Nel frattempo – guarda caso – il comune di Vado Ligure accetta di ospitare la nave rigassificatrice che – giustamente – è stata cacciata via da Piombino dall’insurrezione della sua cittadinanza. Mentre Toti – all’ansiosa ricerca di benemerenze governative che gli assicurino prospettive di carriera, dopo che lascerà la poltrona in Regione Liguria (speriamo presto!) – anche grazie all’appoggio dell’ex sindaca ha potuto consentirne l’attracco nel Ponente Ligure; nell’unica regione che di rigassificatori ne ha già uno – al momento l’unico in Italia – nella baia di Panigaglia, presso La Spezia.
Insomma, qui ci troviamo davanti all’ennesimo esempio di persone per le quali non conta l’adesione ideale a uno schieramento politico, la serietà e la fedeltà al voto degli elettori, lo spirito di servizio verso una comunità, ma solo e unicamente la concezione della politica come strumento di ascensione sociale ed economica; come mezzo per sistemarsi, costruirsi una carriera e assicurarsi una buona rendita. Al tempo stesso, la plateale ostentazione tradotta in comportamento della vecchia lezione con cui Berlusconi ha infettato l’Italia intera, ben oltre la sua area politica. Salvo prova contraria, la bieca dimostrazione che qualunque persona – si tratti di parlamentare, sindaco, giudice o prostituta – può sempre essere asservita grazie al denaro.
Comunque – per un paradosso della vicenda – Monica Giuliano si ritrova nell’unico posto dove meritava di andare a finire: nella rumenta.
Nicola Caprioni
PASSEGGIATE D’ARTE
Le bellezze dimenticate da riscoprire
Girovagando per il Centro Storico: Piazza Invrea e le sue suggestioni
A pochi passi dalla Cattedrale di San Lorenzo si erge Palazzo Squarciafico, incastonato nella piccola Piazza Invrea che prende il nome dagli ultimi proprietari e già appartenuto anche ai Doria. Il palazzo risale alla metà del XVI secolo e venne edificato sulle rovine di una torre in pietra, di cui conserva elementi a vista come alcune colonne.
Basta alzare la testa per ammirare una meravigliosa facciata ricca di affreschi opera di Ottavio Semino, raffiguranti figure singole entro motivi architettonici o scene più complesse come il famoso “Ratto delle Sabine”. Al primo piano vi sono colonne binate con figure policrome su alti basamenti, mentre al secondo le figure si trovano negli intercolumni. Un po’ come per le vestigia dell’antichità che siamo abituati a vedere prive di colore, differentemente dall’aspetto multicolore che avevano in origine, così avviene per i palazzi genovesi: erano letteralmente coperti di affreschi magnifici, a completare in esterno la bellezza delle stanze e dei saloni interni. Purtroppo rimangono solo lacerti di queste decorazioni. Ma si racconta che Giulio Cesare Procaccini, genio barocco della scuola lombarda, ammirando gli affreschi di Palazzo Squarciafico nel loro primitivo splendore, li avesse addirittura attribuiti a Raffaello!
Il portale si presenta in marmo con semi colonne doriche scanalate e fregi di clipei e bucrani, ossia scudi e teschi di bue spesso usati come elementi decorativi nell’arte antica greca e romana; tornati in voga dal Rinascimento. Di pregevole fattura è il portone in ferro borchiato su cui poggia un curioso batacchio la cui forma si potrebbe dire con malizia richiami l’aver ospitato per un certo periodo una “casa di piacere” per clientela altolocata. Nella zona prosperavano, fino alla loro abolizione con la Legge Merlin del 1958, diversi bordelli: oltre a quello del Palazzo ne risulta un altro, assai più a buon mercato, nell’attiguo Vico Ragazzi; molto conosciuto poiché consentiva l’accesso ai minorenni previo adeguato compenso. Ultima curiosità: proprio in Vico Ragazzi, al numero 7r si intravvedono vestigia di un lontano passato. Si tratta dei residui di un portale in pietra di Promontorio risalente addirittura al XIII secolo, di cui rimane solo il trave in pietra nera che rappresenta in rilievo una Madonna con Bambino racchiusa in una corona di fiori sorretta da due angeli. E sul lato destro dello stipite notiamo un medaglione imperiale…in una sola piazza la storia di Genova dal XIII al XX secolo.
Orietta Sammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga
La profezia di Santa Brigida
Era nata in Svezia nel 1303. Nel 1346 intraprese un pellegrinaggio a Roma per supplicare papa Clemente VI di riconoscere la comunità religiosa cui aveva dato vita a Vadsena. Si chiamava Brigida. Fondò chiese e conventi. Per le sue profezie di ispirazione divina ascese agli altari. Il lungo itinerario per gettarsi ai piedi del pontefice la portò a passare per Genova, nei pressi delle mura delle Chiappe, sul colle del Peralto. Guardando la Superba ai suoi piedi, accennando lontani cumuli di macerie, enunciò: “Un giorno il viandante che passerà dall’alto di questi colli dirà amaramente ‘laggiù era Genova’”.
Passati i secoli dall’infausta profezia, nella Superba sono avvenute molte cose. Genova fu una specie di pianta che, pur connessa a mercantili fervidi affari e a traffici di moneta sonante, per gratificare la propria importanza agli occhi del mondo si ramificò anche per orgoglio, edificando la propria bellezza con l’attenzione all’eleganza delle piazze, di certe strade, la spettacolarità degli edifici simili a regge, di eleganti parchi e giardini. Un culto che rappresentava intelligenza e anche un gusto. Per sottintendere la propria potenza materiale ed anche per godere vivendo una esibita estetica, emanando il piacere del bello coniugato alla cultura.
Un giorno, con l’amico Cesare Fera, si passeggiava in una mostra dove erano esposte le vedute della città “in un tempo prefotografico”, che mostravano Genova in panoramiche sorpendentemente eleganti. Raffiguravano la città al tempo neoclassico. Fera estasiato non si negò il commento: “era il tempo in cui Genova giunse alla sua maturità estetica”. Non un rimpianto, una stizza. “Abbiamo perso il piacere dell’eleganza… Per poi lasciare il destino di quella bellezza nelle mani di incolti che progressivamente, fino al nostro tempo, hanno cancellato il culto del bello, imponendo miserie da fiera paesana”.
G.P.M.
Quando Genova era bella
Da allora, rincorrendo una visione personalistica della loro ignoranza, i reggitori del pubblico, specialmente quelli del tempo nostro, inebriati di se stessi, hanno presuntuosamente mutato la città in un mercato rionale inseguendo imitazioni esterofile da “filmpanettone”: “Siamo la Maiami del Mediterraneo”. É sufficiente qualche metro di carpet rosso (linguaggio da reggitori) steso sui marciapiedi per illusoriamente sentirsi cittadini di Hollywood. E gli ombrellini multicolori sospesi a festone per le strade del centro tipo Nashville? Intanto disboscando gli ombrosi viali… Costruendo centri commerciali…Con il perverso piacere di esibire la volgarità dichiarando che bisogna fare, anche se i risultati saranno al di sotto delle previsioni… Esaltazione da imbonitori tipo Dulcamara d’accatto.
Goduta dai cittadini e scoperta progressivamnete dai viaggiatori stranieri la nostra città fu ammirata. Qualche marginale esempio? “Genova la bella”, De Musset; “Genova una bellezza che strazia l’anima”, Flaubert; “A Genova le più belle strade del mondo”, Stendhal…. Saranno queste le manie di un ammalato cultore di libri, aggravatesi in più dalla catastrofica presunzione di alcuni autofregiati dalla risibile “Genova capitale del libro 2023”. Coniugabile con la profezia di Brigida: Genova andò mutando in una città dove non si leggeva più nessun libro, votata (secondo gli attuali supremi sindacatori) alle sagre paesane dei festival del pesto, della focaccia – adesso pure “città del formaggio” – distribuita a cittadini inebetiti che vanno progressivamente immiserendosi dal punto di vista estetico per farsi incantare anche con il blu dei jean, denominazione di calzoni da lavoro imbandita con il clangore maniacale anglofono dove jean non ha per nulla a vedere con Genova. Se non per un corrivo modo di dire.
Il termine jean corrisponderebbe a una storpiatura derivata dall’antico termine jeneo jannes, brache da lavoro, utilizzato per imitare la pronuncia inglesizzata del più recente intarsio linguistico genes (che con Genova non c’entra): la forma plurale jeans standardizzata nel XX secolo entrata nello sgangherato e catastrofico linguaggio dei tempi nostri.
La profezia di Santa Brigida che si avvera?
Giuseppe Pippo Marcenaro
Braveheart in Tigullio?
Al varo della legislazione per le Città Metropolitane si aprì un dibattito sul come evitare la sudditanza a Genova del Levante tigullino. Non si trattava di cancellare la “vecchia Provincia” ma della “democrazia di secondo grado”: la legge Del Rio avviava una nuova forma di governo dell’ente territoriale, dove “presidente Metropolitano” era d’ufficio il sindaco del capoluogo. Si discusse di un governo capace di ascoltare la voce dei comuni, ma fu tutto inutile. Presto i nodi vennero al pettine: politiche scolastiche carenti, con rinvio della creazione di un “Campus” nel Tigullio, sempre promesso; una dura polemica sulla realizzazione del “depuratore comprensoriale”: opera inizialmente prevista da Castiglione Chiavarese a Chiavari, con il trasferimento dei liquali attraverso i comuni a est di Sestri, sino alla costa.
Mentre Iren, gestore unico delle acque, teorizzava l’impattante soluzione, popolazioni e sindaci ricercavano soluzioni alternative. Dopo mesi di scontri si giunse a nuove proposte: un impianto a Sestri Levante per trattare i comuni viciniori e un impianto di valle per quelli dell’Entella e Zoagli. Ancora nuove polemiche, con Chiavari già sede di un impianto in funzione nel quale confluiscono i comuni di Leivi e Zoagli. Così risultava evidente l’incapacità Metropolitana di interpretare i bisogni del territorio: perché azzerare strutture già funzionanti, adeguabili a costi decisamente più contenuti? La ragione sta negli interessi di Iren, che pone i costi dell’operazione a carico degli utenti. In più libera la zona pregiata di Preli, oggetto di appetiti speculativi. Si giunge così in conferenza dei servizi a una ulteriore ipotesi. Il nuovo impianto utilizzerebbe la “Comata del Porto di Chiavari”, estesa e pianeggiante sul mare, attuale parcheggio-interscambio con la ferrovia. L’area è stata acquisita al demanio comunale e destinata a progetti turistico-residenziali. Oggi una delle zone chiave per lo sviluppo del Tigullio: posizione strategica, spazio omogeneo, interamente pubblica. Quindi sprecata per depurare le acque fognarie. Esempio di come il governo metropolitano allontana i residenti da istituzioni che non li tutelano. Di recente Piazza Levante ha organizzato un convegno a Chiavari, con Marco Bucci più volte incalzato dal pubblico su questi temi. Un po’ stizzito ha risposto: “dite al sindaco di Chiavari di fare un’ordinanza che impedisca l’opera”. Forse dimenticando che è lui il sindaco metropolitano competente!
Getto Viarengo