SAPERE PER DECIDERE
CONTROINFORMAZIONE LIGURE
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Numero 7, 15 settembre 2023
Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- ECO DELLA STAMPA
- GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
- LA LINEA GENERALE
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- SPAZIO E PORTI
- SALUTE E SANITÀ
- FATTI E MISFATTI
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- PASSEGGIATE D’ARTE
- GENOVA MADRE MATRIGNA
SPIFFERI
Piazza Corvetto non è la Boston del Tea Party
Vogliamo eleggere Mr. Jefferson Rossignotti, titolare della presumibile miniera d’oro nota come pasticceria Mangini a Corvetto, detta anche caffè della menopausa e storico punto di ritrovo della Genova benestante, a campione della nostra libertà minacciata da carte di credito e bancomat; accreditati dalla legge ma messi all’indice in tal lussuoso covo di sovversivi? Vogliamo solidarizzare con gli allergici all’emissione dello scontrino per ragioni libertarie e pure di evasione fiscale? Fare comunella con gli amanti del cartaceo: i cultori del “nero”, di cui la malavita organizzata è la massima espressione? I Padri Fondatori americani promossero la rivolta anti-tasse proclamando no taxation without representation. Che in democrazia diventa anche l’inverso: no representation wihout taxation.
La cultura secondo Giovanni Toti
Eravamo rimasti alla definizione dell’antropologo Clifford Geertz di “cultura come rete di significati”. Per cui restiamo a bocca aperta davanti al formidabile exploit filosofico del Presidente ligure e assessore dedicato, secondo cui “la cultura mescolata alla vita di tutti i giorni diventa turismo”. Illuminazione comunicata al Secolo XIX, basito davanti a cotanto ingegno. Un altro passo trionfale verso quella mercificazione ininterrotta che ora si avvale di una nuova risorsa proveniente dal gineceo di Piazza De Ferrari: la promozione di Jessica Nicolini, già portavoce di Toti, alla pomposa carica di “coordinatrice delle politiche culturali”. Subito gratificata da Primocanale quale “grande professionista”. In questo ambito; tra il trionfalistico e l’imbonitorio. Come da annuncio sul XIX.
La diga di Genova come un film giallo
Poteva essere la sceneggiatura di un grande thriller ambientato nel nostro porto: il cittadino onesto (perfetto nella parte Humphrey Bogart) in lotta contro interessi speculativi potenti quanto irresponsabili (magari rappresentati dalla maschera ghignante di Rod Steiger ne “Le mani sulla città”), che si apprestano a virare in catastrofe l’appalto milionario di una diga costruita su fondali sabbiosi. Ma ora il cittadino onesto è sparito e tutto rischia di finire nel dimenticatoio. Quale minaccia lo ha ridotto al silenzio? Non vorremmo pensare a qualcosa di poco drammatico, tipo una licenza negata. Perché allora la parte del cattivo, invece che al luciferino Rod Steiger, spetterebbe all’italo-americano buffo e un po’ sul mafioso Al Lettieri; quello del film con il commissario Piedone.
C’È POSTA PER NOI
Riceviamo dall’amico Guarino questo grido di dolore, per fatti che in larga parte hanno riguardato la società ligure
Cronaca di una catastrofe annunciata
Bisogna mettere gli eventi in sequenza e non meravigliarsi. Da quando, a partire da Prodi Presidente dell’IRI, ben prima dei suoi Governi, fu deciso di abdicare al controllo di importanti settori alienando o regalando ai privati gli italiani saranno sempre sotto ricatto. Tanto per ricordare:
– autostrade: 43 morti e 5 anni di cantieri a spese Anas: i Benetton preferivano fare utili che manutenzioni;
– disastro Alitalia, Meridiana, Itavia ecc. e ora ci si meraviglia che Rynair tagli le rotte su cui i decreti contro il caro biglietti gli impediscono di guadagnare. E qui si inserisce la boutade governativa del possibile richiamo di MSC come nuovo Capitano Coraggioso perché “il piano Lufthansa (con cui le trattative sono molto avanti) ridurrebbe ITA ancillary di LH” e cosa ci si aspettava? LH si prende debiti e addetti e si pretendeva pure che ITA fosse trattata pariteticamente?
– disastro ILVA: un settore strategico in mano indiana e l’Italia senza acciaio;
– SME il settore alimentare strategico regalato a cordate private che ora fanno i prezzi che vogliono;
– privatizzazione dell’impiantistica con connesso regalo ai privati di un patrimonio di eccellenze tecnologiche. La “trasparenza” di questa operazione è testimoniata dal fatto che AD di Italimpianti/Iritecna in vendita fu nominato l’alto dirigente (Alberto Lina) di una società potenziale acquirente (Techint) che poi si aggiudicò la società e i suoi assets;
– energia: Ansaldo regalata ai privati, segnalamento ferroviario regalato ai giapponesi, progettazione e fabbricazione treni regalata a Hitachi e Bombardier;
– chimica di base: Montedison ecc. regalata anch’essa a Ferruzzi & Company.
È ironico (e tragico) pensare che queste alienazioni dei gioielli di famiglia avvenivano “per fare cassa” in concomitanza con le varie Leggi Finanziarie; per stare in piedi con le stampelle senza risolvere i problemi di base del Paese. Ora siamo alle solite: si rilancia l’edilizia con i bonus ma non ci sono i soldi per pagare i crediti di imposta e si pensa a un rimborso tramite Titoli di Stato. Supponendo che vada avanti l’ipotesi: al momento di rimborsare i titoli, i soldi dove li prendiamo?
Roberto Guarino
Invito a un appuntamento da non perdere
A proposito del cassonetto Grande Fratello
Spettabile “Sapere per Decidere Controinformazione Ligure”, ho letto con preoccupazione la notizia dell’imminente trovata del Comune che imporrà una tessera per l’accesso ai bidoni della spazzatura di nuova generazione, da tempo installati in tutta Genova. Lo scopo è quello di addebitare un costo per ogni utilizzo. Da qui il mio dubbio: in quanto cittadina attenta ai valori del civismo (in una città indifferente già alla cura dell’arredo urbano), sono solita raccogliere spazzatura abbandonata per le strade da nostri concittadini incivili e immetterla negli appositi contenitori. Con il sistema in arrivo, questa operazione che reputavo meritoria si tradurrà in un balzello a mio carico? È così che si incoraggia l’impegno civile da parte di un’amministrazione che considera i suoi cittadini un popolo bue da tenere alla cavezza?
Maura Galli
ECO DELLA STAMPA
Piazza Fontane Marose, allora e ora
Come si devasta una delle più belle piazze genovesi. Abstract dal XIX del 6 settembre 2023
Muro di cassonetti a Fontane Marose, scatta la protesta “manca una regia”
“Sono vent’anni che aspettiamo una soluzione ai cassonetti in mezzo alla piazza e da un giorno all’altro ci troviamo un blocco di alluminio davanti alle finestre. Di miglioramento ci vedo poco, si procede ognuno per sé quando servirebbe una visione d’insieme”. Parole amare quelle di Gianluca Faziola, direttore del Best Western Hotel Metropoli di piazza Fontane Marose, che ieri mattina ha sgranato gli occhi quando gli operatori dell’Amiu hanno tolto i vecchi cassonetti per piazzare undici cubi di alluminio per dodici metri di lunghezza, proprio davanti alla fermata del bus. “Qui c’è bisogno di un progetto complessivo di arredo urbano. – insiste Faziola, che è anche presidente di Federalberghi Genova – A partire dai cassonetti ci vuole un ragionamento condiviso. Dal punto di vista architettonico quest’area diventa sempre peggio”. “Abbiamo messo in opera i cassonetti di ultima generazione che sono gli unici adatti al contesto. – replica il presidente Amiu, Giovanni Battista Raggi – Ovviamente la scelta è stata condivisa con l’Amministrazione e nell’ambito del Progetto Caruggi”. Per Raggi non ci sono alternative a portata.
Alessandro Palmesino
Ora ci si chiede: e il regista – il sindaco Bucci – dov’era? Forse al Festival di Venezia, a presentare la messa in scena della sua piece teatrale “Modello Genova”? Continua l’epopea genovese dei cassonetti più furbi che intelligenti.
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
Il “cerchio rosso” di Boeri
Sotto il Ponte Morandi: la memoria teatralizzata di una strage impunita
Ecco il progetto “Parco del Polcevera”, a firma Stefano Boeri:
-pista circolare sopraelevata (il cerchio rosso) elemento simbolico di unione fra le due sponde del fiume. Diametro 250 mt, un km. e mezzo di pista ciclopedonale, larga 6 mt.
– torre del vento alta 120 mt, con 144 turbine eoliche per produrre energia rinnovabile.
-parco botanico di 23 ettari, attrezzato per lo sport
-97000 mq. di nuove costruzioni.
Non parlo del layout, di cui conosco solo le linee generali. Esprimo alcune considerazioni metodologiche, in quanto mal sopporto la retorica celebrativa che permea le scelte progettuali e il linguaggio della loro esposizione pubblica. “Artefice di quella persuasione che induce a credere ma nulla insegna del giusto e dell’ingiusto”.
Di fatto il parco si inserisce in aree residuali tra ferrovia, autostrada, vie trafficatissime ed enormi complessi commerciali: una realtà urbana povera e senza identità che il progetto ignora. Né ha rispondenza nella realtà sociale del sito, composta per lo più da persone anziane, immigrate e famiglie impoverite. Difficile immaginarle interessate allo jogging, così come risulta improbabile che la middle class ecologista, progressista e salutista – che ne sarebbe il naturale fruitore- si sposti in macchina per raggiungere il parco, avendo ovunque posizioni più comode per un contatto con la natura, evitando di respirare gas tossici. E una pista ciclabile da un chilometro e mezzo è risibile. Dunque, progetto narcisistico, slegato dalla realtà urbanistica e sociale in cui si inserisce con roboanti intenzioni salvifiche, permeato della retorica propagandistica insita nel trendy degli architetti modaioli; con simbologie illeggibili quanto inutili. Ultima nota sulla necessità di erigere un “monumento alla memoria”. I caduti del ponte Morandi non sono eroi, ma vittime. Le vittime non vanno celebrate, semplicemente non devono esistere. Soprattutto se vittime del lucro e del profitto, dal Vajont al Mottatrone. Si abbandoni la retorica delle celebrazioni postume e si modifichino le norme sui Processi Penali su questo odioso reato. La norma sulla prescrizione che salva dalla galera efferati criminali. È inammissibile non sia stata revocata la concessione ai Benetton per gravissimo inadempimento contrattuale; è intollerabile che Draghi li abbia copiosamente ripagati coi nostri soldi, addossandoci pure le manutenzioni delle reti italiane. C’è una sola via seria per commemorare le vittime: fare giustizia sbattendo in galera gli assassini.
Marina Montolivo Poletti
Il gnommero del rigassificatore di Vado
Se penso a Marx, me lo immagino comodamente seduto sulla sua nuvoletta che guarda giù e ride di noi che ci arrabattiamo e scorniamo con le sue “contraddizioni del capitalismo” che, a valanga, aumentano in modo esponenziale, sempre più aggrovigliandosi in inestricabili “gnommeri”, per dirla col Dott. Ingravallo di gaddiana memoria. Dal punto di vista di chi, come me, è abituato a studiare le trasformazioni del territorio, constatando come queste altro non siano che devastazioni, è inevitabile rilevare un fatto sorprendente per la sua contraddittorietà. La tanto invocata e perseguita autonomia amministrativa e gestionale degli enti locali, cui ha contribuito sia la destra, sia e forse ancor più la sinistra, risulta essere un cavallo di troia con cui s’impongono ai più decisioni prese da pochi, talvolta nemmeno in ambito nazionale, ma sovranazionale. E ciò perché il capitalismo, più procede spedito, più esaspera le discrasie tra globale e locale. Da un lato crea enormi problemi a scala mondiale, dall’altro esige, non dico soluzioni, ma almeno pezze a scala locale. I cambiamenti climatici, la pandemia, la guerra, le migrazioni, le inflazioni e le stagflazioni e chi più ne ha più ne metta, sono tutti problemi creati a livello planetario dall’estrema mobilità e volatilità dei capitali, non più immobilizzati da cose, né ristretti da confini territoriali. Così, se un tempo si diceva “Dio lo vuole”, oggi si dice “l’ecosistema lo vuole”. Ma sebbene milioni di scienziati, divulgatori e attivisti si affannino a spiegare cosa sia e come funzioni questo ecosistema, l’entità rimane concettualmente poi non molto più concreta e pregnante dell’antico dio degli eserciti. E s’insinua pure il dubbio che a volerlo sia soprattutto sempre e solo lui: il vecchio sonante doblone. C’è poi un busillis. Le nostre democrazie hanno gettato la maschera e si mostrano per quello che sono: sistemi in franchising. Ai vertici, i testimonial televisivi che dettano la linea; su piazza, i concessionari del brand, ovvero capi bastone che quella linea devono tradurre in atti concreti, quasi mai graditi, non solo ai più, ma perfino ai loro stessi elettori. In questo gnommero è incorso il povero Toti col rigassificatore di Vado, per di più dovendo giostrarsela in modalità one mand band, perché titolare della ditta a livello nazionale, ma anche capo bastone a livello locale. Come possa andare a finire è presto per dirlo, ma è sicuro che di bastone se ne avrà bisogno, sia da una parte, sia dall’altra.
Stefano Fera
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
Che aria tira a Genova?
Il rapporto ARPAL 2022 sulla qualità dell’aria di Genova è impietoso.
Nonostante le ordinanze del sindaco Bucci, avverse alla circolazione in città d’auto e motocicli “d’epoca”, ancora una volta, il capoluogo ligure non rispetta i criteri nazionali ed europei per il biossido di azoto (NO2): a fronte del limite di 40 microgrammi per metro cubo d’aria, in corso Europa, incrocio con via san Martino, e in via Buozzi, uscita del Metrò, si sono registrati rispettivamente 54 e 46 microgrammi di NO2 per metro cubo di aria che respira chi vive o passa da quelle parti. La decina di microgrammi in più costano ogni anno un centinaio di morti precoci (evitabili) ai genovesi “fragili” e una condanna all’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea.
Gli ossidi di azoto si formano in tutte le combustioni, in particolare nei motori a combustione interna. Sicché, per stare nei limiti, a Genova bisogna ridurre drasticamente le emissioni del traffico urbano e pesante (autobus e TIR) ma, ancor più, navale e portuale.
Stranamente, per oltre 25 anni l’inquinamento nello scalo è stato ignorato; nonostante l’Inventario delle Emissioni, redatto dal 1995 da Regione Liguria, stimi che a Genova oltre il 60 % delle emissioni di NO2 derivi dalle attività portuali.
Solo nel 2021, ARPAL ha posizionato una stazione mobile nel quartiere di San Teodoro (in largo S. Francesco da Paola); lontano da importanti flussi di traffico ma con vista porto e all’altezza ciminiera delle nuove mega-navi da crociera.
In questo sito la media annuale di NO2 è stata di 28 microgrammi per metro cubo (μg/m3), quindi entro gli attuali limiti, ma con una concentrazione media superiore ai valori di fondo urbano registrati contemporaneamente a Quarto (14 μg/m3), nel parco Acquasola (17 μg/m3), e sul belvedere don Ga, in c.so Firenze (21 μg/m3). Differenze da attribuire alle emissioni portuali e navali che impattano sulle abitazioni in collina, con venti da sud, tipici del periodo estivo, insieme al maggior traffico di traghetti “fumanti” per le isole.
Ma i 28 μg/m3, registrati a San Teodoro, sono di gran lunga maggiori del nuovo limite annuale (10 μg/m3) proposto nel 2021 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in base a nuovi studi epidemiologici sugli effetti sanitari dell’aria inquinata, pericolosa anche a concentrazioni così basse.
In questi giorni, a Bruxelles, si discute sull’aggiornamento dei limiti.
Chi avrà il coraggio di opporsi, in nome della crescita “infinita” di occupazione e di PIL?
Federico Valerio
Continua l’epopea dei cassonetti (prima parte)
Parto da un presupposto evidente in apparenza, ma che nella realtà viene sistematicamente occultato: il miglior rifiuto è quello che non c’è. Bisogna fare in modo che di rifiuti se ne producano il minimo possibile; quindi basta contenitori inutili, che siano di plastica, di cartone, riciclabili o quant’altro, basta carte avvolgenti; stop plastica di tutti i tipi che regolarmente intasano i nostri cassonetti casalinghi e quelli della raccolta dei rifiuti in strada. Non è particolarmente difficile, la provincia di Treviso da decenni a guida leghista è regolarmente oltre 70-75% di raccolta differenziata.
E c’è un perché, tale raccolta per funzionare deve essere fatta porta a porta: ognuno riceve i sacchetti col proprio numero di identificazione, li riempie e li deposita regolarmente nei contenitori di casa o del palazzo che vengono svuotati con regolarità. Con quale vantaggio? Innanzitutto si paga per quello che si produce. Una persona, una famiglia di due persone come la mia, con il compostaggio produce circa 150 kg di rifiuti all’anno. In questo modo Io pagherei di meno del mio vicino con cinque figli e nonna al seguito e – ovviamente – della fruttivendola al piano terra che riempie i cassonetti di cassette e imballaggi. Con questo metodo non sfugge nessuno, nel senso che – ad esempio – se metto nella raccolta dell’umido una pila elettrica, questa verrà tolta manualmente nel ciclo di lavorazione e io pagherò per quel lavoro, mentre attualmente io pago una cifra in media statistica che corrisponde a una produzione di rifiuti molto più alta di quello che personalmente produco. Bisogna tenere presente che il ciclo della raccolta dei rifiuti prevede, dopo la raccolta nei cassonetti, il trasferimento a spese della popolazione in discarica, dove si deve pagare per il conferimento e prima ancora il tritovagliamento, che è necessario per legge, poi devo pagare la manutenzione della discarica per chi ci lavora.
A cui si aggiunge il costo molto più alto dell’incenerimento, perché utilizza energia e quindi va conteggiato il costo dello smaltimento delle ceneri dell’inceneritore (circa il 25% del volume, delle polveri dei filtri, quando ci sono e funzionano come Dio comanda). Queste polveri che insieme alla cenere dell’inceneritore vanno portate a nostre spese a discarica speciale in quanto altamente nocive e con un costo logistico e impiantistico molto maggiore.
Andrea Agostini (continua)
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
L’alto sprezzo del ridicolo di Regione Liguria in trasferta londinese
Se non altro Toti e Bucci, i Cric e Croc della politica ligure, almeno ci fanno ridere. Anche se i loro spot marchettari, dedicati a un territorio noto ai conoscitori come scrigno di bellezze appartate, rivelano l’incomprensione totale dell’essenza di pregi locali che non meriterebbero promozioni tanto sguaiate. Ultima trovata di Ollio Toti è il barcone che andrà su e giù per il Tamigi magnificando la salsa al pesto, di fronte a una platea fluviale che immaginiamo allibita. In attesa che Stanlio Bucci si riprenda la scena con la macchietta megalomane dell’uomo del fare, che risolve la siccità padana pompandovi cento milioni di metri cubi d’acqua marina desalinizzata e trasformando, con la salamoia velenosa accumulata, il Mar Ligure nel Mar Morto.
Ma torniamo al nostro ineffabile Governatore, che dichiara entusiasta: «la Liguria vola in tutta Europa con il suo pesto. A bordo di un mortaio gigante con tanto di pestello, il nostro oro verde farà il giro delle principali città europee, a partire da Londra dal 6 all’8 novembre in occasione della fiera del turismo». E mentre lo dice ci riporta alla mente la gag dei coniugi Porcone, ammessi per sbaglio al Gala della Croce Rossa, tenuto annualmente nello Yacht Club di Montecarlo, che si fanno subito riconoscere ingozzandosi e ruttando rumorosamente. Finendo espulsi dal consesso della creme internazionale per manifesta infrequentabilità. L’inevitabile sorte degli imbucati inopportuni: gente che ignora le regole dell’ambiente in cui pretende di infilarsi. Come il presidente bru bru della Liguria; impegnato a sgomitare tra gli snob british, senza rendersi conto che stavolta non è finito tra i frequentatori del cafonal Billionaire.
Per evitare l’ennesima brutta figura al nostro imbarazzante presidente, SxD Controinformazione Ligure ha chiesto il parere sull’iniziativa “pesto oro verde” a un tipico puzza-sotto-il-naso londinese quale George Mikes Duca di Bedford, immortale autore del celebre volumetto “Il libro degli Snob”. Sorseggiando una tazza di black tea, l’aristocratico del Regno Unito ha dichiarato: «approvo che i mangiaspaghetti vengano a omaggiare una specialità della nostra cucina, anche se non comprendo il senso dell’iniziativa. Da sempre noi inglesi sappiamo apprezzare il bel colore verde della salsa alla menta con cui accompagniamo l’agnello». E la nostra risata per l’imminente slapstick di Toti (cadute buffe e torte in faccia da film muto) vira a smorfia di imbarazzo per chi ci rappresenta.
Pierfranco Pellizzetti
Difendere i diritti di una nullatenente: non collette ma battaglie politiche
No, non sono d’accordo con il consigliere municipale dei 5 stelle Federico Giacobbe che lancia la colletta per pagare la multa che una pattuglia di vigili ha comminato a una povera clochard: una donna che cercava riparo dal caldo sotto i portici di Via XX Settembre, a Genova. Duecento euro: che la donna, sola e nullatenente, non potrà mai pagare. Tanto per chiarire, i vigili sono al servizio della comunità, non dello sceriffo di Nottingham assessore alla sicurezza dei Fratelli d’Italia alalà, Antonino Sergio Gambino. E della comunità da proteggere e aiutare fa parte anche la signora in questione, che, essendo in stato di necessità, non ha commesso alcun reato. Così recita infatti l’articolo 54 c.p. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. E come dovrebbero sapere i tutori della legge e lo sceriffo, il codice è fonte del diritto superiore a qualsiasi ordinanza. Nel caso specifico della signora c’è necessità di salvare se stessa anche da morte per il caldo di questi afosi giorni di agosto. Quindi se ci attivassimo per pagare la multa saremmo complici di un sistema oppressivo e ingiusto, perché pagare è sottomissione. Così è stato: ed è stato un errore. Per il futuro se volessimo fare davvero qualcosa per aiutare altre persone in simile difficoltà, si dovrebbero semmai raccogliere dei fondi per pagare un avvocato. In modo che, davanti al giudice di pace, farebbe valere i diritti di questi cittadini che hanno solo la colpa di essere nullatenenti. Si creerebbe un precedente e metterebbe sull’avviso, sia gli ignoranti (nel senso che ignorano la legge) vigili che lo sceriffo, cui mi manca di augurare di trovarsi nella stessa situazione di totale disagio economico come la sua perseguitata. Ma, visto che il suo ruolo è quello di assessore alla sicurezza, e non siamo più nel Medioevo dove la giustizia era la parola del nobile, perché non dare vera sicurezza? Securus in latino, tanto per aiutare il signor Gambino nella comprensione, significa senza preoccupazione, senza cura, nel senso di affanno. Ecco, magari studiando un po’, e persino guardando i principi di una destra sociale, e magari anche solo per fare bella figura, Gambino faccia marcia indietro, magari senza sbattere. E paghi lui l’ammenda della signora in povertà.
Carlo A. Martigli
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
Due porti
‘Transfer’ estivo via mare, da Olbia a Genova. È l’opportunità per un crudele confronto tra due porti. A Olbia: sontuoso e moderno edificio per le partenze, con rapidi controlli di sicurezza e una navetta subito pronta a trasportare il viaggiatore sin sotto il traghetto. Porto attivissimo sebbene stagionale, fiume di auto in attesa di imbarco o sul punto di sbarcare, ma dappertutto ordine ed efficienza. L’afflusso estivo non sembra mettere in imbarazzo il porto di Olbia.
Quanto diverso l’arrivo a Genova!
Un porto che denuncia vecchiaia, stanchezza, indolenza, poca attenzione per utenti e passeggeri, quelli in auto come quelli a piedi. Edifici obsoleti (l’Hennebique troneggia!), vecchie carrette arrugginite, i resti della Torre Piloti, sulle banchine sostanziale disordine malamente mascherato da attività frenetica.
Uscire poi dal porto un’impresa, per le auto (un autentico labirinto, mal segnalato se non alla fine dal cartello stile New York che si ritiene ironico: ‘DOWNTOWN’ ) come – soprattutto – per i pedoni, costretti a trascinarsi dietro i bagagli sotto il sole cocente, verso una improbabile uscita sotto l’insegna COOP. Altro che comoda navetta!
Il porto di Genova è un interessante, confuso, forse inestricabile groviglio di antico, vecchio, abbandonato, e trascurato: proprio come la città che gli sta addosso, ostile. E poi… decrepiti consolidati interessi, corporazioni bloccate da lotte interne ma unite per l’inefficienza e le infinite sofferenze dei poveri utenti.
Chi sarà capace di mettere mano al porto di Genova, infischiandosene di tutte le incrostazioni passate e recenti, restituendolo alla sua meritata ma passata grandezza, che è anche grandezza della città dormiente di Genova?
Che debba essere proprio Olbia il modello?
Michele Marchesiello
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
La sanità ligure come problema politico
Un recente saggio di due economisti italiani trapiantati in Inghilterra espone una serie di freddi dati che disegnano scenari a dir poco agghiaccianti; ad esempio in materia sanitaria (Guendalina Anzolin e Stefano Gasperin, 30+1 cifre che raccontano l’Italia, Castelvecchi 2023). Solo poche chicche: la quota della spesa dedicata rispetto al PIL è 6,6%, tra le più basse in Europa dove la media è del 7%; dal 2010 al 2019 tale spesa ha subito 37 miliardi di tagli, con la chiusura di 173 ospedali e 837 strutture di assistenza ambulatoriale; secondo i dati OCSE 2017 abbiamo 3,2 posti letto ogni 100mila abitanti contro gli 8 tedeschi; negli ultimi dieci anni i nostri medici emigrati all’estero sono stati 10mila (il 50% di quelli stranieri in Europa). Intanto uno studio inglese, apparso sulla rivista scientifica Lancet, mostra che il tasso di mortalità cresce dello 0,38% per ogni punto percentuale di spesa sanitaria transitata dal pubblico al privato. Se questo è il quadro nazionale (acuito dall’introduzione dell’autonomia regionale con la riforma 2001 del Titolo V) c’è da chiedersi il perché di tale accanimento contro il diritto costituzionale alla salute. E in questo la Liguria risulta perfettamente in linea con i trend nazionali. Con l’aggravante rappresentata dal costante invecchiamento della popolazione.
Puro accanimento sadico? Indifferenza verso i malati, categoria che tende a non recarsi a votare? Non essendo nella psiche di Toti & Co. si può ipotizzare che le scelte assassine di tali pericoli pubblici si spieghino con la loro incredibile mentalità. Che talvolta fa capolino in tutta la sua repellenza quando costoro parlano a ruota libera. Lo ricordate, a inizio Covid, il nostro Governatore che giustificava il proprio disinteresse verso gli anziani perché non utili economicamente? Lampante prova di semplicismo tracotante ispirato al criterio elettorale vincente del “the economy, stupid”; copyright del piacione spudorato Bill Clinton. Un faro per ignoranti in carriera, dal presidente della Regione alla sua iniziale antagonista; quella Paita, candidata 2015 alla poltrona di Piazza De Ferrari promettendo “una Liguria rock”. Dunque, ispirandosi a chi teorizzava l’alternativa tra slow e rock quale “re degli ignoranti”: il maître à penser Adriano Celentano.
Una desolazione intellettuale diventata mercificazione dei cittadini carne da macello, che non trova opposizioni politiche. Stante che i Burlando di prima la pensavano allo stesso modo di chi li ha soppiantati.
Pierfranco Pellizzetti
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Osvaldo Jeans
Mascotte, la brandizzazione del nulla
La Liguria si mostra inesauribile produttrice di mascotte, come ha osservato Giulio Silvano in un recente articolo sul ‘Foglio’. Fuori tempo, naturalmente, come sembra essere costume dei nostri baldi (o ‘bracco-baldi’?) amministratori.
Se le goffe immagini tratte da popolari cartoons sono ormai tramontate dappertutto come promotrici di auto-proclamatisi ‘grandi eventi’, e se addirittura la Venere influencer dell’estate italiana è data per dispersa, la Regione Liguria e il Comune di Genova insistono nel cercare di rilanciarsi grazie alle mascotte.
L’Agenzia regionale per la promozione turistica – in un parossismo alla Hellzapoppin’– ne ha addirittura escogitata una per ciascun parco ligure: dalla farfalla-manga di Montemarcello, alla genetta ribalda delle Alpi liguri, al sasso antropomorfo di Piana Crixia, al corbezzolo di Portofino, sino alla mucca cabanina, che invita a esplorare i sentieri già percorsi niente meno che da Albert Einstein. Un pullulare un po’ isterico di mascotte, uscite dalla impiegatizia fantasia degli addetti alla ‘promozione turistica’ della Regione.
Ma il Comune di Genova non rimane indietro e – con la benedizione comprensibilmente ritrosa di Anna Orlando – curatrice generale della manifestazione ‘Genova-jeans’ – ha dato alla luce Osvaldo, coniglietto in braghe di tela, che ci si dice ‘nato dall’estro dell’artista albisolese Paolo Pastorino e dal restyling di Alberto Podestà; eletto, con l’approvazione della curatrice Anna Orlando testimonial della comunicazione di Genova-jeans.’
Così estro artistico, restyling, benedizione di una autorevole storica dell’arte genovese e fiamminga, hanno ‘brandizzato’ il povero Osvaldo, ennesima e puerile replica in jeans degli innumerevoli ‘Osvaldi’, pullulanti su internet. Tutti, peraltro, risalenti ai ‘lapins crétins’, fortunati personaggi di videogiochi e cartoons creati dagli esperti della società francese Ubisoft e opportunamente protetti da copyright.
C’è solo da sperare che il munifico ceramista donatore di Osvaldo si sia procurato l’apposita licenza, prima di ‘estrapolare’ Osvaldo dai coniglietti cretini. Già due anni fa gli organizzatori di Genovajeans erano andati incontro a una disavventura, pubblicando una foto di Richard Avedon realizzata nel 1995 per Versace, non senza aver tagliato, con la testa di una modella, anche il marchio. Tuttavia, una ragione nella scelta genovese di Osvaldo crediamo di vederla: precisamente nell’identificazione dei genovesi nei ‘lapins crétins’ cui si sono ispirati i creatori dell’ennesima mascotte.
Michele Marchesiello
Rossettiade (cantami o Diva dell’Andrea Orlando l’ira funesta)
Chi va con il pifferaio (Renzi) impara a pifferare (Calenda). E così un gruppetto di peones liguri, agli ordini del capataz Pippo Rossetti, è passato dai dem agli Azionisti. Fatti suoi, ma il fatto è un esempio del degrado della politica latu sensu. Una fonte, al di sopra di ogni sospetto, non fa che confermare da una parte i si dice e dall’altra le dichiarazioni del povero Orlando, che si vede sfilacciare consensi. Sotto la spinta di una rabbia emotiva l’ex ministro spezzino rivela i retroscena del tradimento. Illo tempore Rossetti chiese il terzo mandato alla regione, che nessuno o quasi voleva dargli. Allora s’impuntò e sotto la spinta di alcuni maggiorenti dette una sorta di ultimatum. Qui la politica si fa davvero penosa, sotto la solita forma del do ut des: tutto legale, per carità, tutto normale. In pratica si giunse a un accordo: in cambio del sostegno a Ferruccio Sansa, avrebbe avuto il famoso terzo mandato. Il prode Orlando quindi si sente oggi tradito, svelando tuttavia che il tradimento più che odorare di bruciato, puzza. Se l’accordo non era un patto tra gentiluomini, dirlo è stato proprio una bischerata. Pippo però lo aveva fatto già capire a gennaio quando aveva dichiarato “Basta con la linea Orlando, è perdente” (Secolo XIX, 17 gennaio 2023). E in cambio? Si accettano scommesse sul fatto che Calenda gli offrirà la candidatura alle Europee. La pedona Lodi invece ha trovato la sua strada: con un semplice doppio carpio, passa dall’opposizione alla maggioranza, visto che Azione sostiene Bucci. Ma ci sono peones anche da parte della comunità ecuadoriana, traditori del proprio elettorato, che pure avrebbe bisogno di correttezza e aiuto: il carneade Manuel Aragundi, primo sudamericano eletto nel Municipio Centro Ovest che aveva dichiarato “più integrazione e aiuto ai fragili”, si è subito “integrato” con il sistema, alla faccia dei suoi connazionali, mettendosi al seguito del mentore Rossetti. Questo è un sistema che non è di destra, sinistra o centro: è quel metodo opportunista, volgare e trasformista, che provoca la disaffezione verso la politica. Il Mahatma Gandhi disse “l’uomo si distrugge con la politica senza princìpi”. In questi giorni abbiamo assistito proprio a una piccola, e per questo ancora più squallida, distruzione.
Carlo A. Martigli
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
Il potere a Spezia (secondo tempo)
Nel censimento 1938 dell’industria italiana La Spezia risultava una delle 13 provincie industriali d’Italia. Fatto curioso non abbia mai espresso una classe imprenditoriale autoctona. Le industrie spezzine più importanti erano statali (Arsenale) o pubbliche (Oto Melara, Termomeccanica).
Tema a parte gli appetiti immobiliari speculativi, da sempre legati in vario modo ai partiti di governo del momento, con una straordinaria capacità camaleontica a ogni cambio di amministrazione. Appetiti ora rivolti all’ex tenuta del Monte dei Paschi a Marinella di Sarzana. L’area pianeggiante di oltre 500 ettari, tra i comuni di Sarzana e Ameglia; dotata di un prezioso patrimonio immobiliare in abbandono: il paese storico di Marinella, ex case coloniche, stalle, fienili, latteria e caseificio e una magnifica piana incontaminata, destinata a uso agricolo.
Oscure vicende, tra cui “misteriosi” incendi di due fienili, hanno condotto al fallimento di Marinella Spa e alla vendita per spezzettamento della proprietà. Intanto un altro gruppo esterno e pure sospetto, con a capo l’imprenditore siciliano Bulgarella, ha acquisito la ex Colonia Olivetti per trasformarla in un lussuoso hotel a Cinque Stelle, mentre cresce la proposta cementificatrice di una gigantesca RSA superlusso nell’abitato di Marinella.
Ancora una volta formidabili intrecci tra gruppi d’affari di altri lidi, politica locale e interessi minori di un’imprenditoria che raccoglie i lucrosi resti dei business altrui.
Altri appetiti riguardano Palmaria. L’unica isola abitata della Liguria. Finora risparmiata dalla cementificazione perché sottoposta a vincolo militare. Caduto il quale, mani inquietanti si allungano su un paradiso ancora incontaminato. Toti ha definito la magnifica vegetazione mediterranea isolana “enorme macchia di rovi” e sostiene l’assurdo progetto di trasformare Palmaria nella “Capri della Liguria”. Il sindaco di Portovenere, comune del quale fa parte l’isola, capo gabinetto di Toti in Regione, ha già autorizzato alcuni scempi come uno stabilimento balneare stile hollywoodiano dove sorgeva l’antica cava di marmo.
Difatti l’idea totiana di sviluppo che sta prevalendo si basa sulla svendita turistica. Così le Cinque Terre soffocano in un affollamento da ore di punta della metropolitana; a Spezia sbarcano migliaia di crocieristi che però non si fermano in città, dove restano solo i fumi inquinanti delle mega navi. Se questa è l’idea di sviluppo, il futuro non sembra roseo.
Nicola Caprioni
Caro Nicola, consentimi una breve nota aggiuntiva alla tua già ricca (e impietosa) esplorazione degli interessi dominanti nel nostro Levante, accennando al tema conseguente della mentalità indotta che diventa spirito del luogo. In questa e nella precedente puntata ci hai presentato la natura eterodiretta dello sviluppo spezzino. Osservo che la colonizzazione economica dall’esterno diffonde tra i fiduciari locali dei boss, sradicati dai reali interessi del territorio, una sorta di solipsismo carrieristico. Che a chi entra nel gioco elettorale induce cinismo politicante. Insomma, se non c’è una classe imprenditoriale cittadina, non si riscontra neppure un ceto politico in quanto tale; solo arrampicatori solitari, furbi e spregiudicati. E per di più convinti che questa sia la one best way della politica. Come dimostrano gli attuali parlamentari spezzini (e pure loro predecessori). Tale ethos tatticistico contagia perfino chi proclama improbabili rinnovamenti e la banalizzazione del politicamente corretto condanna all’insignificanza pure la Sinistra retroversa, intenta a salvarsi l’anima con rituali di passate ortodossie e pellegrinaggi consolatori. Pierfranco
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
La scuola esprime un’opinione. Per Toti è reato
«Siamo chiamati ad educare ai valori dell’Agenda 2030, ponendo attenzione alla salvaguarda del Pianeta per le future generazioni: per questo dichiariamo di disertare qualsiasi proposta in merito a educazione ambientale, civica e alla salute che pervenga dagli Uffici Regionali della Liguria»: il collegio docenti dell’Istituto comprensivo di Quiliano, nel Savonese, scrive nero su bianco nella delibera approvata all’unanimità la propria dichiarazione di guerra alla Regione, che ha deciso di realizzare un rigassificatore, a Vado, di fronte alla linea di costa savonese.
Una presa di posizione seria, che può anche non essere condivisa, ma che si preoccupa di salute e sicurezza.
Toti che fa? Evita il confronto con gli insegnanti e la popolazione locale, ma risponde con una nota di censura, nello stile dei gerarchi di un regime che fu. Pretende un intervento repressivo del ministro Valditara contro la dirigente e gli insegnanti dell’Istituto.
In realtà la posizione dei docenti di Quiliano esprime preoccupazioni diffuse sul territorio interessato dal posizionamento del rigassificatore. Si sa che a Toti l’opinione dei cittadini non interessa, così come non interessano le preoccupazioni per le possibili ricadute negative dell’impianto su un territorio da tempo martoriato. L’area tra i comuni di Vado e Quiliano dove è stata attiva per anni una mega centrale a carbone, con il paesaggio devastato da enormi condotte, stabilimenti industriali, discariche, porto e retro-porto invaso da container e mezzi pesanti.
La scelta di riposizionare l’impianto di rigassificazione a Vado Ligure è stata fatta in totale autonomia da Toti con la complicità dell’ex sindaca di Vado Monica Giuliano, eletta col PD e passata alle dipendenze di Toti, che l’ha remunerata con la presidenza dell’inutile ente regionale per la spazzatura e la bella cifra di 140.000 euro l’anno
A Toti non è neppure chiaro che la Regione non ha competenze sulla didattica scolastica. Non può permettersi ingerenze in tale settore, soprattutto con atteggiamenti intimidatori e repressivi. In un regime democratico il collegio dei docenti ha pieno diritto di esprimere le proprie opinioni e anche l’eventuale dissenso, in particolare su questioni che possono comportare ricadute sugli studenti e la popolazione locale.
Ancora una volta emerge la chiusura di Toti a un reale confronto democratico. Il suo pensiero è che chi ha la maggioranza è libero di decidere su tutto.
Un altro unto dal Signore?
Nicola Caprioni
PASSEGGIATE D’ARTE
Le bellezze dimenticate da riscoprire
Un altare nero e un’annunciazione policroma nella chiesa del basilisco
A metà di Via San Siro si erge la meravigliosa Chiesa omonima: fondata secondo la tradizione nel IV secolo, venne riedificata dai Teatini a fine XVI secolo ed è uno scrigno di tesori d’arte. La decorazione ad affreschi e stucchi è per la maggior parte opera dei Carlone, tra le tantissime tele spicca l’Annunciazione di Orazio Gentileschi, mentre per la parte scultorea assoluto capolavoro è l’altare maggiore di Pierre Puget. Con l’innovazione stilistica della forma trapezoidale, diventerà un riferimento per il barocco genovese, contribuendo alla rivoluzione scultorea dell’epoca. In precedenza gli altari erano semplici arredi, adesso diventano “scenografiche sculture”. L’opera, che richiese 8 anni di lavoro, è in marmo nero e bronzo, mentre le alzate dei gradini sono decorate con tarsie di onice e marmo fior di pesco. Il sarcofago presenta due blocchi di marmo di uguale grandezza, scavati per la creazione della nicchia-reliquiario. Caratteristica del prezioso altare è l’essere visitabile da tutti i lati, per consentire ai fedeli di rendere omaggio alle reliquie dei 4 Santi Vescovi genovesi; tra i quali San Siro, che avrebbe snidato il basilisco (simbolo dell’eresia ariana) spingendolo ad affogarsi.
Nella prima cappella sulla destra è situata l’Annunciazione di Orazio Gentileschi, che Roberto Longhi definisce dipinto di tema profano: “aristocratica che ascolta con attenzione le parole di un giovane gentiluomo nella sua camera”. Scrive il critico nel 1916:“una scena impossibile tra una dama serissima e un giovinotto scalzo ma vestito di seta e con due ali enormi d’avvoltoio appiccate alle scapole”. Personaggi e ambiente sono di forte realismo. Le pieghe delle lenzuola, il drappeggio della tenda, la luce dalla finestra (con la colomba simbolo della purezza di Maria), uniscono diverse influenze artistiche, la bellezza aristocratica della Vergine che accetta sorpresa e umile il volere divino è di impronta toscana, il letto sfatto di cultura fiamminga, l’uso cinematografico della luce è omaggio a Caravaggio. Singolare l’intensità dell’espressione di Maria che rivela sensazioni intuibili anche dai gesti: il braccio sinistro raccoglie l’orlo del mantello con grande pudicizia, la mano destra alzata può essere l’atto di sottomissione al messaggio dell’Arcangelo Gabriele, inginocchiato di fronte a lei e con in mano un giglio, altro simbolo di purezza. E che colori: giallo, rosso, bianco, blu che paiono quasi esplodere nella tela regalando grandi emozioni.
Orietta Sammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga
Alba e tramonto dell’autonomia chiavarese. La memoria storica
Data 15 giugno 1797 il primo passo del Chiavarese verso l’autogoverno: l’inizio dell’esperienza giacobina. Il giorno precedente si era insediato in Genova il “governo provvisorio”. Gli insorti avevano distrutto il “Libro d’Oro”, simbolo dell’oligarchia cittadina. Il primo ottobre si definisce il territorio comunale di Chiavari, annettendo le frazioni e il grande quartiere di Rupinaro. Finiva un’estate di grandi novità, culminate nella Costituzione del Popolo Ligure: abolizione dei privilegi della nobiltà, scioglimento delle corporazioni, nuovi ruoli dei poteri pubblici, libertà di culto e stampa. Giorni di tensioni e di forte reazione contro-rivoluzionaria: fase denominata “rivolta dei Viva Maria”. Il movimento prende vita il 4 settembre in Fontanabuona. Il popolo dell’entroterra, fomentato dai nobili e attivato da alcuni parroci, muove in centinaia alla volta di Chiavari: l’invasione della città, gli scontri coi giacobini e l’incendio della Cittadella restano nelle pagine di storia. La rivolta sarà sedata dalle forze rivoluzionarie che ristabiliranno l’ordine non senza spargimento di sangue. Con successiva verifica plebiscitaria: il voto di 117.082 elettori confermerà il progetto costituzionale: 115.890 voti favorevoli e 1.192 contrari. Nel giugno del 1805 la Liguria entra a far parte dell’Impero Francese, con Chiavari a capo del “Departement des Appennins”. Ma le modifiche istituzionali – vedi l’abolizione delle corporazioni e dei magistrati delle professioni – produrranno flessioni in molte attività. Alla caduta dell’impero francese la Liguria sarà incorporata nel Regno di Sardegna. Chiavari resta capoluogo sino al 1860. Intanto alcune famiglie locali avranno un ruolo di primissimo piano nel progetto risorgimentale: Giacomo Mazzini nasce a Chiavari nel 1767; Domenico Garibaldi nel giugno 1766; Tommaso Bixio nel 1776. Gli antenati di Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio. È del 1882 la grande riforma elettorale, mentre a Chiavari si fondano i primi giornali: 1863, esce la testata economica “La Verità”, stampata sino al 1866; nel ’64 “L’Entella”, foglio di battaglie popolari; nel 1871 “Chiavari” diffonde la notizia dell’apertura degli sportelli del Banco di Sconto del Circondario di Chiavari. Fervore che conferma la centralità territoriale del Tigullio. Ma che non corrisponde alle attuali condizioni politico-amministrative di un territorio spesso confuso con l’area genovese. Condizione che ne conculca la vocazione all’autogoverno.
Getto Viarengo
Genova non finisce a Genova
In questo periodo riflettevo sul fatto che il capoluogo ligure ha inspiegabilmente perso il proprio interesse per quello che è il suo bacino di utenza privilegiato, in termini non solo di lavoratori pendolari ma anche di fruitori di servizi pubblici, oltre che culturali e di svago. La provincia di Genova conta circa 860mila abitanti, compreso il capoluogo, a cui occorre sommare gli abitanti dell’area dell’Oltregiogo, storicamente e culturalmente ligure, che conta circa 130 mila abitanti: un bacino di utenza di circa 1 milione di cittadini. Mi chiedo come mai le Amministrazioni comunali che si sono succedute in questi ultimi trent’anni hanno accettato senza batter ciglio il taglio indiscriminato dei servizi di trasporto pubblici (treni e bus) che, immagino, abbia avuto pesanti conseguenze sul tessuto commerciale genovese. Una persona che abita nell’Oltregiogo, ad esempio, nel 1992 poteva contare su parecchie corse ferroviarie che permettevano di rimanere a Genova per uno spettacolo teatrale, cinematografico o semplicemente per una cena al ristorante: l’ultima corsa per Arquata Scrivia era alle 23,36. Ora la stessa persona non può più stare a Genova dopo il lavoro perché l’ultimo treno per Arquata parte alle 21,44. È lampante per tutti che la stessa persona non possa utilizzare il proprio mezzo: al di là delle considerazioni sull’inquinamento veicolare che andrebbe ad aggiungersi a quello già pesante della città, non esistono parcheggi di interscambio mentre quelli situati in città hanno tariffe orarie molto alte che sommate all’elevato prezzo dei carburanti rendono questa opzione non percorribile. Sorvolo sul taglio dei bus, delle corriere e dei treni del mare che, in aggiunta ai noti problemi infrastrutturali, stanno causando il collasso della rete viaria regionale. Perché tutto ciò? Quali sono le dinamiche e le strategie politiche dietro a queste scelte di rara miopia?
Paola Lugaro