SAPERE PER DECIDERE
CONTROINFORMAZIONE LIGURE
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Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- ECO DELLA STAMPA
- ECO DALLA RETE
- GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- SALUTE E SANITÀ
- SPAZIO E PORTI
- FATTI E MISFATTI
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- SUGGESTIONI DI LIGURIA
- GENOVA MADRE MATRIGNA
Numero 29, 16 settembre 2024
SPIFFERI
Andrea ed Edoardo, eterni attor giovani
Andrea Orlando (classe 1969) ed Edoardo Rixi (classe 1974) sono i due esponenti della leva politica che in Liguria si colloca tra una generazione anziana screditata eticamente (il Claudio Burlando dal sottopasso di Caricamento in poi, il sempre a propria insaputa Claudio Scajola, che definiva il Marco Biagi ucciso dalle BR “un rompicoglioni”, il Luigi Grillo con conto corrente nella banca di Vaduz) e la generazione under 30 data per non pervenuta. Anche se non si capisce quale appeal un trentenne dovrebbe provare verso questa politica. Sicché a trafficare nella bottega del potere restano loro due. Ma senza assumere un ruolo di leader per l’attitudine alla penombra di chi ha percorso troppo i corridoi della politica politicante. Attor Giovani che non sanno fare il salto a Primo Amoroso.
Arpal: al lupo, al lupo!
Ogni volta che c’è un po’ di pioggia, evento più che naturale, parte l’allerta. E se prima Arpal Liguria partiva con quella gialla, oggi per lo più inizia con l’arancione. Cominciamo con il chiarire che l’allerta gialla indica “piogge molto intense, localmente pericolose”. Mamma mia, stiamo chiusi in casa. Arancione che c’è anche un rischio elevato (quindi probabile, non solo possibile) di “esondazioni, smottamenti, frane significative, cadute di alberi e danni a persone o cose”. Con la rossa non resta che pregare. In sintesi, vuol dire: io ti dico di stare attento così se ti succede qualche cosa ti avevo avvertito e non sono responsabile. E’ la favola del “al lupo al lupo”, io non ci credo più e quella volta che davvero potrà esserci un pericolo, affogherò e nessuno sarà responsabile.
Un pensierino di Carlo su Toti che patteggia
“Ahi ahi ahi mi è caduta sull’Uccello” (Paolo?): la leggendaria frase della buonanima di Mike Bongiorno, diventata ormai metafora di un qualcosa che non dovrebbe mai accadere ma che accade. È il caso di Giovanni Toti, che dopo aver sbandierato la sua innocenza a destra e a sinistra (anche politicamente), adesso ha chiesto il patteggiamento a due anni e un mese, con 1.500 ore di lavoro socialmente utile (era l’ora) e la confisca di 84.000 euro. Il patteggiamento è una formula che consente a chi sa di essere colpevole di mitigare la pena. E allora? Si è pentito delle bugie? Credo piuttosto che, prove alla mano, gli avvocati glielo abbiano consigliato per evitare guai peggiori. Così Roma si allontana e sic transit gloria mundi: l’arroganza e la presunta onnipotenza non pagano sempre.
C’È POSTA PER NOI
Riceviamo dall’amico Agostini questa foto-notizia sugli
impiantamenti di alberelli al posto delle piante secolari fatte abbattere dal comune.
Secondo voi quanto dura? Così operano gli agrotecnici di Bucci e Ave-Niente!
Andrea Agostini!
ECO DELLA STAMPA
Le mani sulla perla del Tigullio. Perché continua l’assedio a Portofino, l’ultima gemma ancora semi-intatta della costiera ligure. Partendo dal nuovo assalto di Maurizio Raggio (su cui commenta in questo numero di Controinformazione anche Carlo Martigli), ce ne parlava sul XIX del 7 settembre scorso Marco Menduni. Dunque, il tentativo di speculare sulla ‘sindrome del tutto pieno’ di cui Portofino soffre da sempre: le contraddizioni dove abitano 355 persone e dove arrivano nella bella stagione 4mila visitatori al giorno. Ne riportiamo ampi stralci.
Il ritorno di Raggio
«Qui nel Borgo usano il termine ‘guerra’ e il legale storico di Raggio. Pasquale Tonani, annuisce: ‘oh sì è davvero una guerra’. Succede infatti che prima della presentazione del progetto, il sindaco e il consiglio comunale modifichino il piano urbanistico. L’area 5mila metri quadrati in piazza della Libertà, acquistata dall’imprenditore lo scorso autunno, con l’Immobiliare Portofino, non è più edificabile. Maurizio Raggio non se ne sta. Accusa il primo cittadino di un conflitto di interesse. […] C’è anche un altro elemento che rende quest’area la terra di confine, punto di attrito di due diverse visioni della Portofino del futuro. Perché questa zona potrebbe diventare anche lo sbocco del tunnel al quale si pensa come nuova via d’accesso al borgo. Tunnel che parte alla Cervara, attraversa Paraggi dove dovrebbe sorgere un parcheggio multipiano, per poi arrivare a lambire la Piazzetta. Raggio però non è tipo che si arrende facilmente. […] Così arriviamo al dettaglio. L’idea prevede di realizzare in quell’area per anni in stato di abbandono un centro multifunzionale su 8 piani, 2 sotterranei con 340 parcheggi. Sarà possibile prenotarli anche a distanza con una app, per trovarli disponibili all’arrivo senza attese. Poi ci sarà un centro medico d’emergenza con un eliporto, operativo 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana. Se un bambino dovesse farsi male, si può arrivare all’istituto Gaslini in 6 minuti. Ultimo colpo: ‘Un centro congressi per fare in modo che il Borgo possa vivere e prosperare anche in autunno e in inverno, le stagioni meno affollate dal turismo. Quanto tempo ci vorrà? Per eseguire le opere si parla di tre anni».
Marco Menduni
ECO DALLA RETE
Regionali liguri. Lo stallo della Destra sulle candidature ancora al 9 settembre nella ricostruzione di Genova 24 a firma Fabio Canessa. Poi è arrivata Giorgia Meloni a sparigliare i giochi con una mossa di raro cinismo, facendo figurare i nomi che erano stati avanzati sino a quel momento come dei veri e propri scartini. Ricordiamocela in futuro questa valutazione della “mister”. Mentre l’articolo che riportiamo per ampi stralci è un interessante documento dello smarrimento della politica locale poco prima dello tsunami creato dalla premier. Scrive Canessa:
Genova 24
La Destra alle regionali, un giorno prima della mossa di Meloni
«Il vertice romano ha partorito l’ennesima fumata nera per il candidato presidente del centrodestra in Liguria. Ma almeno lo scenario si è semplificato. Solo due nomi restano in corsa: Edoardo Rixi e Ilaria Cavo. Il segretario regionale della Lega ha passato tutto agosto a negare la sua disponibilità, ripetendo che sarebbe stato molto più utile per la Liguria averlo a Roma. Poi, negli ultimi giorni, la svolta: “decide il mister”. Il mister è Giorgia Meloni, e pure a livello locale Fratelli d’Italia considera Rixi la prima scelta. Il viceministro nelle ultime ore ha alzato l’asticella. La sua dovrebbe passare come una candidatura “di coalizione”, cioè dell’intera compagine senza bandierine. Inoltre il braccio destro di Salvini avrebbe chiesto carta bianca per comporre la squadra in caso di vittoria. Tradotto: anche se il Carroccio ottenesse un risultato poco lusinghiero (alle europee era terza e ultima forza del centrodestra) il presidente vorrebbe la garanzia di poter piazzare in giunta le sue pedine più fidate svincolandosi dalle percentuali. Condizioni che non piacciono a Fratelli d’Italia – che vorrebbe una candidatura “politica” anche per promuovere una contropartita utile a ottenere da Salvini la casella del Veneto – e nemmeno a Forza Italia, quest’ultima esclusa per anni dalla giunta Toti. Date queste premesse, i meloniani continuano a spingere la deputata Ilaria Cavo, che sconta i dubbi legati alla contiguità con Giovanni Toti. E non lascerebbe entusiasti né i leghisti né i civici nell’orbita di Claudio Scajola. Suscitando qualche antipatia persino tra alcuni arancioni che avrebbero gradito di più Pietro Piciocchi.
Il vicesindaco ormai sembra uscito dalla partita. Effetto dei sondaggi che hanno rilevato un gradimento non soddisfacente fuori di Genova, ma anche di Fratelli d’Italia che lo considera troppo importante per la tenuta della giunta comunale. In realtà, secondo alcuni insider, il primo partito della coalizione non vedeva di buon occhio un asse Bucci-Piciocchi che avrebbe marginalizzato le altre forze politiche. E poi Piciocchi viene considerato l’erede naturale al vertice di Palazzo Tursi.
Nel mazzo non ci sono più carte da calare. Anzi, una ci sarebbe: è Carlo Bagnasco, il segretario regionale di Forza Italia proposto da Antonio Tajani, che finora è rimasto alla finestra. Le sue quotazioni non sono mai state alte, ma c’è chi non esclude che qualcuno adesso potrebbe pensare a una terza via».
Fabio Canessa
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
Regionali liguri, la Destra in stato confusionale
A due mesi dalle elezioni regionali, indette per colmare il cratere del Totigate, l’aggregato destrorso che ci ha governato nelle ultime due tornate amministrative sembra trasformato in una sorta di campo d’Agramante (metafora ariostesca del “tutti contro tutti”). Difatti l’unica traccia di senso attualmente riscontrabile è la volontà di prendere le distanze dal lascito (devastante) della presidenza di Giovanni Toti, nonostante le sue arrampicate sugli specchi per affermare una problematica verginità. Aspetto della vicenda su cui la parola definitiva spetta alla magistratura, anche se – ad oggi – il diretto interessato non sembra rendersi ben conto del significato comunque imbarazzante delle azioni e dei comportamenti che gli vengono addebitati. Tanto da impancarsi – in un soprassalto di impudicizia – a Pablo Neruda della politica ligure, intitolando la propria autobiografia “Confesso che ho governato” (parafrasi delle memorie “Confesso che ho vissuto” del poeta cileno). Ma così non sembra aver commosso i vecchi compagni di cordata, che ne hanno bloccato la manovra per rientrare subito in gioco sponsorizzando la candidatura a suo successore della fedelissima Ilaria Cavo; l’attuale deputata che, passando alla presidenza di Regione Liguria, libererebbe un posticino in Parlamento per un estremo tentativo del rieccolo al basilico. Ed è sintomatico che tale manovra sia stata bloccata proprio dalle palle nere dei residui pesi massimi della Destra locale: il vice ministro Edoardo Rixi e il sindaco imperiese Claudio Scajola. Destra locale che ora si aggira piuttosto groggy alla ricerca di un candidato, dall’esponente della mitica “società civile” al multi-uso Marco Bucci. Anche se dovrebbero sconsigliare quest’ultima soluzione le condizioni di salute dell’uomo di Tursi (in più sempre a rischio di un coinvolgimento nel Totigate), ma non le sue croniche e inarrestabili ansie di protagonismo. Mentre passa in cavalleria un’altra scelta disperata: quella del vice sindaco ultra-cattolico tradizionalista Pietro Piciocchi; precettato a presidiare la poltrona di Primo Cittadino genovese.
Una vicenda che comunque segnala lo scarso interesse per la “Liguria meravigliosa” del duo Bucci e Toti da parte dei loro referenti nazionali. Ossia la marginalità ligure rispetto ad altri appuntamenti della Destra. Vedi il post Zaia in Veneto.
Occasione d’oro per l’opposizione. Ma siamo sicuri che il blocco elettorale destrorso abbienti+impauriti sia stato disaggregato dagli scandali?
P.F.P.
Regionali liguri, e l’opposizione fa il pesce in barile
Un segno promettente per chi si candida a ribaltare gli equilibri in Regione e a un effettivo cambio di linea politica, è rappresentato – stando ai si dice – dalla contrazione del flusso di finanziamenti che in passato alimentava la politica totiana di scambio collusivo. Meno confortante è il modo con cui è stato individuato il pivot dell’auspicata campagna di liberazione dall’affarismo (e peggio), nonché il suo approccio a questo impegno decisivo: Andrea Orlando, scelto dati i tempi ristretti col solito metodo dei pourparler tra pochi intimi nel sinedrio della nomenclatura PD. In aggiunta allo scarso entusiasmo con cui assume l’incarico il candidato alla guida della Liguria. Del resto in linea col profilo biografico che sino a ieri la nuova segretaria del suo partito osteggiava atteggiandosi a “scopa dei cacicchi” (ma che oggi sembra essere stata cooptata nel club di costoro, con la benedizione di Matteo Renzi). Può essere il funzionario di partito Orlando, con un palmares di poltrone dove è passato senza lasciare traccia, il leader che scuote un elettorato di sinistra portandolo alla vittoria, resuscitando sopiti entusiasmi? Ha cominciato annunciando la centralità del lavoro, ma molti lo ricordano ministro delle politiche sociali (2021-22) che non mosse un dito per smontare quel Jobs Act che precarizzava i lavoratori; promosso cinque anni prima dal PD renziano, di cui era già un signore delle tessere. Del resto, da responsabile giustizia del partito fotocopiava i progetti sulla separazione delle carriere dei giudici scritti dall’avvocato Ghedini per conto di Berlusconi.
Suvvia, il Nostro è un cultore di quella Terza Via che prescrive alla Sinistra la via del successo indossando i panni della Destra. E difatti nelle sue prime prolusioni in questa campagna elettorale ritroviamo tutti i must cari al governo locale (e ai loro partner appaltatori): Gronda, Terzo Valico, diga sulla sabbia…
C’è chi dice che comunque la candidatura del né carne né pesce luogocomunista-liberista consentirà di sfrattare la Destra. Mentre altri ritengono che si può sostenere questo ricambio “fisico” solo se ci saranno precise garanzie che il maquillage non si riduca a un ritorno al passato (burlandiano). Come i 36 sottoscrittori, esponenti di quell’opposizione sociale che da anni scende in piazza contro le devastazioni dei beni comuni di Toti &Co, del decalogo promosso dal presidente di Italia Nostra Stefano Fera (che abbiamo pubblicato sullo scorso numero di Controinformazione).
Pierfranco Pellizzetti
Il sogno “normale” di una donna di Liguria
Mi piace sognare, non ho smesso di farlo con l’età. Sono sogni realizzabili, basati sulla modificabilità di cose reali. Perciò sono intollerante alle risibili giustificazioni di inadempienze che sono sotto gli occhi di tutti: tutte le giustificazioni che rimandano a una visione del funzionamento del mondo, “le cose come devono andare”, che ha largamente e disastrosamente dimostrato la propria incapacità di governarlo in modo decente, sia a livello locale che globale. Mi scompiscio di fronte a chi ascolta come oracoli coloro che, avendo in mano piccole o grandi leve del potere, dopo aver prodotto disastri rilanciano come se la soluzione fosse sempre spostare in avanti qualcosa che ormai non si sa neanche più cosa sia. Quindi, intollerante e ridanciana, a fronte delle prossime elezioni regionali voglio ribadire quanto, se un amministratore si comportasse come una vecchia buona casalinga di una volta, farebbe parte del suo mansionario.
Sanità, Scuola e Trasporti sono servizi pubblici, pagati con tasse e ticket. Pensare di “guadagnare” dai servizi che spettano ai cittadini, togliendo finanziamenti, riducendo spazi e personale, è da imbecilli, liberisti spocchiosi, ma sempre imbecilli.
La messa in sicurezza del territorio, che sta crollando ovunque, è una priorità, non una frottola elettorale da mammoletta che “se c’era, dormiva”. Se la mammoletta poi innalza peana sulle Grandi Opere invece di imbufalirsi affinché tutte le risorse possibili vengano investite nella messa in sicurezza, la conta dei liberisti imbecilli si allarga.
L’ambiente, quel poco e nelle condizioni in cui ci resta nelle nostre città è più prezioso di qualunque atto di roboante orgoglio, quindi basta con la vergognosa frottola di Genova città green: giù le zampe dal verde che resta nelle città, mettervi mano solo per curare e incrementare, non per sterminare.
La progettazione urbanistica non può essere lasciata in mano ad incompetenti, o peggio, al servizio di chi fa affari con le nostre città. Il focus deve essere la qualità della vita, la salute, il bisogno di vivere in quartieri piacevoli lasciando da parte il mito marinettiano della velocità e i cittadini che vanno ascoltati.
Il lavoro va difeso e non può essere un lavoro qualsiasi, tanto per vantarsi dell’aumento dell’occupazione: dev’essere un lavoro pieno di senso e utile, il lavoratore deve “possedere”, se non i mezzi, i processi di produzione. Insomma, politici che dicano e facciano “cose di sinistra” e lascino a casa i dentoni famelici.
Maura Rossi
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
La Gronda, opera necessaria o feticcio?
E così il Sindaco del fare vuole diventare Governatore del fare, contro quelli del no. Anche Renzi vuole entrare nel centrosinistra per continuare a fare le grandi opere e Calenda ha posto come condizione per partecipare al campo largo che le grandi opere, Gronda in testa, vadano avanti.
Di Gronda se ne parla da 20 anni. Ma è chiaro a tutti di cosa si tratta? Sinteticamente prevede il raddoppio della A7 nel tratto Ge-Ovest/Ge-Bolzaneto e la realizzazione di un nuovo tratto di autostrada a monte della A10 nel tratto Ge-Bolzaneto a Ge-Voltri.
La ragione di questa imponente opera, comprensiva di 54 km di gallerie (più di quella del Monte Bianco) e del costo ipotizzato di 8 miliardi di euro, è fornire al porto l’infrastruttura necessaria per il trasporto delle merci. Solo che le merci vanno in direzione nord-sud, mentre gran parte della Gronda scorre est-ovest.
Ma perché l’attuale progetto della Gronda di Genova non è condivisibile? Presenta notevoli criticità trasportistiche; anche a causa della sua vetustà che non tiene conto delle modifiche viabilistiche intervenute, quali la Guido Rossa ed il costruendo ingresso a Ponente del Porto. Tra l’altro convoglia il traffico pesante da e per il porto di Ge-Sampierdarena sul casello Ge-Ovest rendendo quindi poco utile l’ingresso di ponente che gravita invece sul casello Ge-Aeroporto. Quindi non serve alla viabilità del porto odierno. Inoltre la Gronda vera e propria da Bolzaneto a Voltri così come progettata toglie solamente il 20% del traffico dalla A10. Però genera 6,75 milioni di metri cubi di rocce verdi amiantifere, elimina 61 sorgenti con desertificazione dei versanti, attraversa diverse paleofrane, pone decine di pali (540) nel greto del Polcevera con notevole pericolo in caso di alluvione e così via. Aggiungiamo che dieci anni di lavori nel ponente cittadino e in Valpolcevera saranno devastanti sia per il traffico portuale che zonale. Essendo progettata per lotti costruttivi potrà produrre, scarsi, benefici solo a opera ultimata; quindi tra 10-20 anni. Per tale motivi l’intera opera dovrebbe essere ripensata realizzandola per lotti funzionali, dando priorità al raddoppio della A7 nel tratto Ge-Ovest–Ge-Bolzaneto (non sull’attuale progetto ASPI) con un disegno che ne riduca al massimo gli impatti. In questi anni sono state presentate alternative come la Genovina (con un’analisi costi-benefici favorevole) o la Gronda di Colombo che tengono conto delle criticità elencate e magari, costano meno.
Mauro Solari
Continua la lotta a difesa del verde cittadino
Basta taglio di alberi! Martedì siamo andati a Tursi a dirglielo in faccia. Mentre uno sparuto gruppetto di esperti si riuniva al Matitone e produceva le dichiarazioni roboanti campate in aria dell’assessore Avvenente, Attila Aster continuava in sincrono a lavorare alacremente a tagliati alberi. Di piantare alberi nemmeno un’idea. Intanto comincia la scuola e i giardini di San Fruttuoso non sono stati messi in sicurezza, problema non importante per i nostri amministratori che si occupano da settimane di tagliare e basta, altrettanto si potrebbe dire del Rio Sampietro a Quinto, che i nostri eroi della sega non considerano a rischio allagamento anche se c’è cresciuto un bosco, e che bosco! Ma si sa, amministratori e tecnici intervengono come sempre a loro insindacabile giudizio e secondo priorità e cronoprogrammi che rifiutano di rendere pubblici. Bé, verremo a dirvelo prossimamente a Tursi; a voi e ai consiglieri comunali che vi sostengono. E pure ia molti che fanno finta di opporsi e ai tecnici, agli ordini e alla sovrintendenza che vi reggono il moccolo. Ci vediamo tutti il 21 settembre prossimo e ve lo ripeteremo in coro.
Cosa vogliamo? Che venga rispettata la legge e il regolamento comunale del verde. Vogliamo conoscere il numero, la posizione, la tipologia e le condizioni degli alberi nell’area urbana, le aree private che contribuiscono alla qualità e quantità del verde cittadino. Vogliamo che le continue violazioni siano sanzionate. Chiediamo di conoscere quali sono i duecento alberi più volte dichiarati da abbattere in città, vedere i documenti che attestano tale necessità e discutere pubblicamente nei municipi di competenza con possibilità per le associazioni e i semplici cittadini di effettuare verifiche e fare proposte. Chiediamo lo scioglimento di Aster Verde riportando in Comune tutti i lavoratori con una riduzione di costi a cominciare dai doppioni di dirigenti e funzionari, per capire perché i costi Aster sono molto maggiori degli stessi lavori fatti da privati. Infine chiediamo perché il piano del verde che doveva essere pronto a maggio (assessore dixit) sia ancora in altomare. Consci che questo guazzabuglio di violazioni e contorcimenti non resisterà un attimo alla verifica in tribunale. Noi il piano del verde lo vogliamo fatto bene rispettando regole giuridiche e tecniche. Vogliamo vedere il tecnico spiegare in tribunale che il piano del verde si può fare senza anagrafe del verde pubblico e privato, come avviene in tutta Italia e in Europa!
Andrea Agostini
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
La colpa più grave di Giovanni Toti e della Destra ligure
Il vero misfatto di Giovanni Toti non è costituito dai capi d’imputazione ma dalla assoluta mancanza di visione progettuale, che ha causato un pauroso arretramento della Liguria; le campagne d’immagine del presidente-comunicatore valse a oscurare i problemi, non a risolverli. Il declino economico ligure curato varando mortai gonfiabili sul Tamigi.
La Liguria dagli anni ‘80 è il lato del triangolo industriale italiano che ha subito la più grave deindustrializzazione. Se il censimento 1938 classificava industriali solo 13 province; 3 erano liguri: Genova Savona e La Spezia. Solo 40 anni fa gli occupati nel settore produttivo erano ancora il 30% del totale. Oggi siamo scesi al 12%. In compenso la Liguria è la regione europea con l’età media più alta, in cui il numero dei pensionati supera gli attivi; mentre il calo degli abitanti non viene compensato neppure dall’immigrazione.
La crisi dell’industria ligure è in gran parte quella delle Partecipazioni Statali, ma è anche effetto della quasi totale assenza di un segmento aziendale che in altre realtà mantiene dinamicità e capacità innovativa: la media impresa. Infatti, se da un lato sopravvive un certo numero di grandi imprese, dall’altro abbiamo solo micro imprese, inferiori per addetti a quelle di altre regioni dell’Italia settentrionale. Da qui scarsa introduzione di nuove tecnologie, soprattutto legate al digitale, un sistema formativo inadeguato, una classe manageriale selezionata in vecchie famiglie e circoli chiusi non hanno garantito la necessaria dinamicità alle imprese. Soprattutto l’assenza di vere politiche industriali.
Difatti Toti ha governato per ben 9 anni puntando solo su turismo e portualità. Ancora recentemente imputava i ritardi liguri a carenze di infrastrutture viarie e ferroviarie. Mentre il declino ligure subiva una preoccupante accelerazione.
Da qui alcune ipotesi di lavoro per chi ci governerà nei prossimi 5 anni. Iniziando a potenziare il sistema formativo, si dovrebbe puntare su un nuovo modello di sviluppo basato su ricerca scientifica e tecnologica per ricadute sul tessuto produttivo grazie a un rapporto strutturato con Università e Centri di Ricerca (L’IIT che ci sta a fare?). Politiche per favorire la crescita dimensionale nei settori produttivi anche promuovendo start-up e spin-off. Infine ricordiamo che pure il settore sanitario pubblico non è solo un necessario fattore di costo per le esigenze dei cittadini, ma anche un centro di sviluppo per ricerche nelle biotecnologie.
Nicola Caprioni
Caso Genova: Accademia e Confindustria fanno a capocciate
Il passaparola mi ha fatto scorrere il saggio di Maurizio Conti, ordinario di Politica Economica, dal titolo provocatorio e intrigante: “La Liguria è (ancora) una regione del Nord?” (Erga, giugno 2024). E ho apprezzato la sincerità dell’autore quando mette le mani avanti rinunciando a discutere specifici casi d’impresa, in quanto «tale strumento d’analisi esula dalle competenze di chi scrive così che si preferisce lasciarlo ad altri, più attrezzati». Un modesto consiglio derivato da antiche frequentazioni: il giovane Conti non si illuda di trovare tali competenze tra i suoi colleghi, del tutto avulsi dalla realtà economica che li circonda (come constatai quando l’amico Giorgio Giorgetti mi coinvolse in ben due analisi sul campo del tessuto produttivo locale, che le risorse interne di facoltà dichiaravano di ignorare). Estraneità al contesto di un po’ tutta l’accademia genovese (clamorosa Architettura, in cui un futuro preside – nel consiglio di corso di laurea – pigolava “teniamo fuori la politica” in una materia intrisa di politicità; come sanno le dirimpettaie milanesi e torinesi). Difatti suona velleitaria la proposta contiana di promuovere sviluppo attirando studenti in una Università genovese senza appeal qualitativo (a parte Scuola Politecnica, Conservatorio Paganini e poco altro). Difatti i nostri baldi economisti si mimetizzano nel macro virando un genere letterario a presunta scienza dura. Anche perché non hanno mai sentito l’odore del ferro fresato e tornito… E lo fa anche il nostro Conti, matematizzando un tema che andrebbe esplorato fattualmente. Ad esempio per capire che il nanismo delle micro-imprese locali dipende dal familismo che riduce la guida aziendale al tavolo di compensazione dei rapporti tra congiunti. Ciò detto, ai miei occhi il saggio ha due meriti: osa parlare di declino, auspica una politica industriale (ma spiegasse quale). E qui scatta la furia di una persona solitamente mite quale il direttore di Confindustria Genova Guido Conforti, che si è lanciato su Genova Impresa in una stroncatura del testo, all’insegna del solito panglossismo (“siamo il migliore dei mondi possibili” a difesa dei propri datori di lavoro perinde ac cadaver per occultarne le magagne; come suoi predecessori pompieristi da Peppino Manzitti a Paolo Corradi).
Continui Conti a scandalizzare l’establishment, ma in futuro si astenga da logori mainstream Neo-Lib tipo privatizzare l’aeroporto: i privatizzatori vorrebbero solo trasformarlo in un deposito containers.
Pierfranco Pellizzetti
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
In corsia con l’elmetto
Dobbiamo ancora occuparci di violenza sui sanitari, i casi si moltiplicano di giorno in giorno anche nella nostra regione. Su quali basi si manifestano comportamenti assurdi rivolti contro persone deputate alla cura? La proposta di applicare una sorta di DASPO (divieto di avvicinamento già in atto per i tifosi violenti) non ha nessuna possibilità di successo, perché confligge con l’obbligo di assistenza, da un lato, e non entra nel vivo della gestione del rapporto col richiedente assistenza o i suoi familiari, cioè quella necessaria mediazione fra accoglienza e prestazione che dovrebbe essere il primo passo di un’istituzione sanitaria.
Oggi che i nostri Pronto Soccorso sembrano anticamere della NASA, con pavimenti percorsi da strisce colorate, porte chiuse con scritte altisonanti e incomprensibili, ma rapidamente trasformabili in sovraffollati Suq quando gli accessi esorbitano la capacità di contenerli, parlare di mediazione diventa assurdo, perché non esistono figure né formazioni adeguate ad effettuarla.
Saper cogliere la condizione psicologica e non solo fisica del richiedente assistenza, saper fornire una risposta empatica e rassicurante in grado di far accettare i tempi di attesa (purtroppo sempre più dilatati) richiede non solo attitudine, ma anche preparazione e un ruolo dedicato. Il sanitario impegnato nell’atto terapeutico in condizioni da catena di montaggio non è in grado, al di là delle capacità personali, di svolgere questo ruolo e l’attuale organizzazione del triage mostra troppo spesso i suoi limiti: basta un errore nell’attribuzione dei codici di accesso, magari per la fretta o scarsa competenza, e si creano le condizioni per un malcontento crescente, con persone piegate in due dal dolore che si vedono scavalcare da altre apparentemente meno sofferenti.
Per non parlare dell’ingorgo stagionale di persone anziane e non, che vengono portate in ambulanza, quindi con precedenza, semplicemente perché ormai nessuno, o quasi mai, dei medici di base si reca più in visita domiciliare con perdita di quel fondamentale effetto filtro abbinato a un pronto avvio di terapia.
Alla palese inefficienza della Sanità, che pesa non solo sulle spalle dei pazienti, ma anche dei sanitari, si somma la crescente reattività degli utenti, che, in un clima da Far West alimentato mediaticamente da risse, aggressioni verbali e non solo, si sentono investiti del ruolo di far valere la legge del più forte proprio là dove l’estrema debolezza, loro o dei loro cari, li ha portati.
Maura Rossi
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
Bucci nel verminaio del porto di Genova
Mentre la Destra ligure, ancora sotto lo choc Totigate, si dimostra incapace di individuare una candidatura plausibile alle prossime regionali, dobbiamo assistere allo spettacolo indecente per brutalità e cinismo di Giorgia Meloni che usa il corpo malato di Marco Bucci per uscire dall’impasse. La strumentalizzazione a scopo di puro potere della cronica ansia da protagonismo di una persona vieppiù resa fragile dalle precarie condizioni in cui versa. In politica vale tutto pur di vincere? Può darsi, ma in questo caso l’azzardo gli si potrebbe ritorcere contro, visto che in passato il sindaco di Genova non è stato estraneo alle vicende che hanno portato in tribunale la questione portuale. Di certo Bucci non ha partecipato ai riti blasfemi dei pellegrinaggi a cellulari spenti sullo yacht di Aldo Spinelli. Giureremmo – salvo prova contraria – che sia sempre stato estraneo ai giri di denaro che scorrevano attorno ai vertici dell’Autorità Portuale. Questo perché altra è sempre stata l’avidità che motiva il nostro Primo Cittadino: non di soldi, bensì di visibilità e prestigio. Ma questa non è una giustificazione per scelte a forte rischio di finire nel mirino della magistratura. La qual cosa creerebbe un secondo calvario per chi già deve fare i conti con un nemico subdolo e sempre in agguato quale la metastasi linfonodale da neoplasia cutanea. Al tempo stesso potrebbe vanificare una seconda volta il tentativo della Destra di giocarsi le proprie carte elettorali, smascherando la maldestraggine della mossa Meloni. D’altro canto i fatti sono noti: quando il Comitato di Gestione dell’Autorità di sistema Genova e Savona – sotto la spinta del consigliere Rino Canavese – si espresse in prima battuta contro l’abnorme concessione trentennale di una preziosa area portuale al corruttore Aldo Spinelli, fu proprio Bucci a richiamare all’ordine il consigliere da lui designato Giorgio Carozzi. Difatti, dopo il “pressante” invito costui si allineò nell’avvallare l’indecenza. Così come le cifre spropositate (il più alto investimento infrastrutturale del PNRR nazionale) destinate dal Bucci, in veste di commissario alla Diga; magari pagando tranche in anticipo all’aggiudicatario e per il vantaggio di due – solo due – beneficiari: MSC e Spinelli. Tutto questo per un’opera di sospetta pericolosità, nonostante che il commissario non intenda ragioni per un vaglio più accurato. Così da alimentare il sospetto di comportamenti illeciti penalmente rilevanti. Megghiu cumannari ca fotteri?
Pierfranco Pellizzetti
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Portofino, che casino!
Il 24 ottobre del 1994, Bettino Craxi scriveva al suo collaboratore/amico Maurizio Raggio per manifestargli la sua indignazione a fronte delle accuse rivoltegli dalla magistratura. Se fosse ancora vivo chissà da che parte starebbe, se con lui o con Roberto Viacava, Sindaco di Portofino. Perché nel borgo del Levante è scoppiata una guerra su questioni di principio, di libertà, di benessere dei cittadini e via dicendo (scherzo!). Non so dove stia la verità e la giustizia: probabilmente sono andate in vacanza insieme da qualche parte per non tornare mai più. Tutto comincia quando Maurizio Raggio compra 5.000 mq a Portofino adiacenti/comprendenti Piazza della Libertà. Qualche giorno fa presenta un progetto, detto del Castelluccio, per creare proprio lì un mega parcheggio di otto piani, con un centro medico d’emergenza dotato di eliporto, un centro congressi, una SPA e un’area giochi panoramica sul tetto, per bambini e famiglie. “Nessuna speculazione” promette Raggio “solo servizi per i portofinesi”. Tutte vecchie cose che solitamente – ma questo non sarà di sicuro il caso vista la storia lineare e onorevole del signor Raggio – si promettono quando si vuole gabellare una pur legittima speculazione immobiliare con la beneficenza, sperando che i soliti idioti ci caschino, oppure che i soliti furbi sentano odore di guadagni extra. Per quelli sotto i 40 anni, Raggio era il cosiddetto garçon de lit, pardon fidanzato (con 18 anni di meno) della contessa Vacca che si gettò o fu gettata in mare nel 2001. Nel 2009 (fonte La Stampa) l’Agenzia delle Entrate gli sequestrò arredi e oggetti per un milione di euro, “per cominciare a coprire il mancato pagamento di 25 milioni: le tasse per il «tesoretto» di Bettino Craxi che il compagno della contessa, poi inquisito da Antonio Di Pietro e condannato per riciclaggio, avrebbe prelevato da un conto svizzero facendone perdere le tracce alle Bahamas”. Nel 2017 si interessa di biomedical e ora ce lo ritroviamo immobiliarista. Ma pare che Viacava gli abbia fatto uno scherzetto: dopo l’acquisto il Comune ha cambiato il piano urbanistico facendo diventare l’area inedificabile. E ora appunto sarà guerra: anche perché pare che proprio Raggio voglia strappare a Viacava la poltrona di sindaco. In quel caso immagino che nel rispetto del conflitto eventuale di interessi l’area resterà inedificabile. Insomma, andate a Portofino, direbbe Davide Rampello, non come turisti, ma come ospiti e divertitevi a vedere quello che succederà.
Carlo A. Martigli
Sulla siderurgia italiana imperversano le Lucie Morselli
Ho masticato pane e siderurgia per 40 anni e credo di avere una certa conoscenza di questo mondo. Il suo cuore italiano era (purtroppo se ne deve parlare al passato) Taranto, ma anche Genova-Cornigliano e Novi subiscono l’inettitudine di chi negli ultimi decenni ha gestito l’industria di base (acciaio) di cui nessun Paese Industrializzato può fare a meno.
Qui parliamo dell’Acciaieria di Piombino che non è ligure ma la cui vicenda è istruttiva per capire il perché anche Cornigliano, che con qualche investimento potrebbe fare soldi, senza i rotoli (coils) di Taranto è destinato a chiudere bottega.
Pochissimi cenni sul passato: Lucia Morselli fu messa, dal padrone ThyssenKrupp, a capo dello Stabilimento AST (Acciai Speciali Terni). La sua gestione non fu certamente brillante.
A Taranto, dopo i disastri Riva, arriva Arcelor Mittal (Gruppo Indiano) vista come il Cristo Salvatore. Già da subito molti osservatori “maliziosi” come me sospettarono che il fine ultimo di Mittal fosse quello di azzerare, a zero costi, un pericoloso concorrente in Europa. Chi ha scelto Mittal come AD di Taranto? Guarda caso: Lucia Morselli che, in 5 anni di gestione ha ridotto quello che era l’impianto più grande d’Europa in una realtà dal problematico futuro produttivo.
Veniamo a Piombino. Dopo anni travagliati, pochi giorni fa il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo URso cava un coniglio dal cilindro. “C’è una compagine, che incontrerò, interessata a rilevare lo Stabilimento di Piombino”: la compagine composta dal Gruppo Indiano Jindal (evidentemente i “pacchi” di Mittal non sono bastati) e dal gruppo ucraino (sic) Metinvest che in patria ha ormai una produzione prevalentemente bellica per una guerra che dura da quasi tre anni e pare senza fine. Nell’ipotesi che vadano avanti le trattative, ci aspettiamo Lucia Morselli come AD? Tanto varrebbe “regalare” Piombino agli acciaieri nostrani per mantenere in Italia la produzione dei binari per l’Alta Velocità (specialità dello stabilimento) che compriamo all’estero; che potrebbe interessare a Metinvest in vista della ricostruzione delle infrastrutture ucraine.
Tornando in Liguria, su Cornigliano non possiamo aspettarci niente di buono: Taranto è in mano a Commissari e le soluzioni tecniche di cui si sta “chiacchierando” (dire “parlando” sembrerebbe troppo) sono quanto meno “fantasiose”. Tanto che addirittura il Presidente di FederAcciai si è lasciato scappare: “La soluzione Forni Elettrici a Taranto non sta in piedi”.
Roberto Guarino
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
La Spezia è ancora Liguria?
Genova la dominante segnava l’intero territorio. Questo a conferma che la geografia politica ligure ha sempre privilegiato il capoluogo, con le altre provincie, per dirla alla Calvino, praticamente invisibili. Per chi vive nel Levante Ligure il confine invalicabile era il Passo del Bracco; quella strada che saliva tortuosa, conducendo verso ambienti sconosciuti. Ecco cosa era il Bracco! Un luogo che non ci apparteneva, estraneo, minaccioso: rocce impervie e una carrozza ferma, i viaggiatori sotto la mira dei fucili di briganti che li rapinavano. Il Bracco era questo, un territorio talmente impervio da consentire lo spietato lavoro dei banditi, che sfruttavano queste erte montagne per restare impuniti. La ricerca storica ci porta ai ruderi di San Nicolao di Pietra Colice, un complesso che assicurava pause sicure ai pellegrini in transito, ai tanti mulattieri, a commercianti che si spostavano per affari. Così nasce la narrazione popolare tra fatti reali e leggenda, dove le testimonianze corrono lungo i tornanti montagnosi, tra sentieri e boschi, tra casolari e ruderi, con la paura ad accompagnare costantemente il viaggiatore. Il lungo tratto “terra di nessuno”, dove il cammino era interrotto dalle armi spianate e la rapina diventava il mesto racconto del malcapitato.
Rendere sicuro il tragitto sarà obiettivo politico delle successive istituzioni di governo; i francesi dell’amministrazione napoleonica e i piemontesi del Regno di Sardegna tenteranno interventi risolutivi. Ma garantire la sicurezza dai briganti e un percorso stradale adeguato ai tempi non era facile. Nella seconda metà dell’Ottocento sarà la ferrovia ad assicurare un viaggio sicuro: il 24 ottobre del 1874 si potrà raggiungere Spezia da Sestri Levante. Anche la strada ferrata subirà le fragilità di questo territorio e il progetto sarà rivisto e realizzato in più occasioni. Il vecchio tracciato non è abbandonato, ma quel buio budello lungo la costa diventerà un’alternativa per raggiungere i borghi marini. Per noi chiavaresi resta sempre da leggere l’epigrafe di Palazzo Rocca, la testimonianza di Papa Pio VII che qui dimorò nel suo viaggio dopo aver attraversato le montagne del Bracco. Racconti lontani, miti tuttora presenti, che rivivono in questo attuale punto interrogativo di una provincia poco conosciuta, di una città sul mare che appare lontana, quasi fuori dalla Liguria. Chissà se il quesito geografico troverà soluzione nelle prossime elezioni regionali, con uno dei candidati spezzino.
Getto Viarengo
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
La corsa masochista dei partiti scaccia voti, vista da Savona
Stando alle ultime elezioni europee dovremmo prendere atto che la partita Pd-M5S-AVS
contro FdI-Lega-FI si sia conclusa 44% pari. L’apparente ago della bilancia sarebbe rappresentato da Azione! e Stati Uniti d’Europa con le loro percentuali fra il 3,5% e il 3,7%. Ma le regionali sono un’altra partita e quel 49,39% che alle europee non ha votato risulterà determinante. Il punto sta nel dare un motivo per votare.
Se il centrodestra prova a riciclare il faccione di Bucci per riprendersi dal KO tecnico, a
sinistra il gioco sembra quello di avvelenarsi con vecchie pozioni. Orlando non vuole mettere da parte lo scaccia voti Renzi, che lo nominò Ministro dieci anni fa, e se Calenda
sembra ormai imbarcato, viene da chiedersi se la combriccola orlandiana riuscirà a polverizzare i propri consensi da qui al 28 ottobre.
Si è riusciti a convergere sulla sanità (ci mancherebbe), ma sulle grandi opere, dalla Gronda al Terzo Valico, gli alleati centristi hanno puntato i piedi. Se il M5S si trova a dover gestire beghe interne, Alleanza Verdi Sinistra resta sempre a traino; come se qualunque partito a sinistra del Pd fosse condannato alla sfiga eterna di non venire mai
preso in considerazione. Si pensa solo ai moderati, che votano sempre, e mai agli astensionisti, che pretenderebbero un cambio di passo da chi governerà in futuro. E non
li smuovi con i Calenda e i Renzi, specie in una regione dove i problemi concreti sono la
mancanza di un sistema sanitario diffuso, la devastazione del territorio e la carenza di lavoro non precario. Ci si chiede se la partita non sia già scritta. Se il M5S e AVS abbiano
già gettato la spugna, se Orlando sia già pronto a piazzare i suoi amici centristi nella gestione delle grandi opere liguri e se Renzi, dopo aver eletto qualcuno dei suoi in Regione, ci ripensi e mantenga il sostegno alla giunta Bucci, sempre che riesca ancora ad averne il controllo. Dalla Torretta di Savona questa prospettiva fa temere che il tanto contestato rigassificatore possa rientrare nelle grandi opere che l’eventuale nuova amministrazione di centrosinistra potrebbe rivalutare. Magari sotto il ricatto dei centristi pronti a millantare progresso per qualsiasi opera di devastazione del territorio che faccia girare milioni in appalti. Fino a quando si tratta di amministrare una città di 50mila abitanti è facile essere tutti amici e amiche. Ma quando il gioco si fa più sostanzioso da che parte ci si schiera? Da quella dominante ovviamente, sempre non riesca a perdere anche stavolta.
Piero Sibilli
La battaglia della Meloria
Savone pays du Roi. Lotta per la supremazia sui mari: Genova contro Pisa (11)
Il dinamismo savonese all’inizio del XIII secolo coincise con lo smarcamento della città dall’influenza genovese e con la sua connotazione ghibellina. Mentre cresceva il sospetto della Genova guelfa nei suoi confronti: il timore di una alleanza con l’altrettanto ghibellina Pisa che avrebbe sovvertito gli equilibri nell’area tirrenica.
L’inizio delle ostilità vere e proprie tra le due repubbliche marinare risale al giugno 1162,
a Costantinopoli, «la città più brillante, più ricca, più popolosa del Medioevo, dove i genovesi occupavano un quartiere intero, non solo per esigenze commerciali ma anche per ragioni di prestigio; richiamati dall’Imperatore bizantino «che rinsanguava la sua marina ormai in decadenza con gli antichi scolari dei Greci diventati a loro volta maestri».
A due soli anni dalla fondazione, l’insediamento genovese venne assalito dai pisani: circa un migliaio di armati coadiuvati da veneziani e levantini vogliosi di bottino. Gli assediati resistettero due giorni, per poi lasciare case e merci in balia degli assalitori, che si abbandonarono ai saccheggi. All’arrivo della notizia il Comune di Genova rispose immediatamente dichiarando guerra a Pisa (il 19 giugno di quell’anno). Da qui un’interminabile serie di ostilità culminate nello scontro finale detto “della Meloria”.
La battaglia prende il nome dalle omonime secche dove, il 6 agosto 1284, le flotte di Genova e Pisa si affrontarono in una sanguinosa battaglia navale le cui sorti arrisero ai liguri, cambiando per sempre i rapporti di forza tra le due città; insieme alla loro storia. Infatti, mentre Genova assurgeva a potenza europea, la sconfitta nelle acque davanti a Livorno diede inizio alla decadenza della Repubblica pisana, sconvolta da enormi perdite umane e militari. Da cui sopravvisse solo qualche centinaio delle migliaia di soldati pisani fatti prigionieri da Genova. Nelle cui prigioni restò a lungo quel Rustichello che scrisse sotto dettatura le memorie del celebre viaggiatore veneziano Marco Polo: “Il Milione”, di certo il lascito letterario più insigne della Meloria. Insieme a una gustosa creazione gastronomica, diventata ambasciatrice di Genova nel mondo: la farinata, detta anche “oro di Pisa”. Secondo la leggenda, alla fine dello scontro i marinai liguri, sfiniti e affamati, si ritrovarono soltanto con alcuni sacchi di farina di ceci inzuppati d’acqua di mare. In carenza di meglio, quella poltiglia venne cotta, creando per caso un piatto tipico della cucina locale (Continua).
SUGGESTIONI DI LIGURIA
Bellezze dimenticate da riscoprire
Il Piatto Blu di Albenga
Uno degli edifici più importanti e suggestivi di Albenga è sicuramente il Palazzo Oddo, nome con cui è oggi conosciuto la residenza che ospitò il Collegio Oddi e al cui interno è ospitata la mostra permanente “Magiche Trasparenze” dove è possibile ammirare molti interessanti e preziosi reperti vitrei ritrovati nella vicina Necropoli dell’antica Albingaunum (visitabile grazie all’impegno e nelle giornate del FAI) tra i quali spicca un pezzo di rilievo straordinario che venne definito dal compianto Philippe Daverio “il vetro antico più bello al mondo”. All’interno delle sale è possibile compiere un viaggio suggestivo per consente di comprendere il processo di trasformazione dall’opaca silice al translucido ed incorporeo vetro, per poi lasciarsi ammaliare ed ammirare in tutto il suo splendore Il Piatto Blu. Si tratta di un pezzo unico e strepitoso, che risale al II secolo d.C. ed al cui interno sono stati intagliati due putti alati che danzano in onore di Bacco. Il primo regge una siringa, strumento musicale a sei canne, e un bastone da pastore con la tipica estremità ricurva, mentre l’altro stringe il tirso e reca sulle spalle una specie di otre, che costituisce un chiaro riferimento al dio Bacco e all’ebrezza del vino. Non si conosce il nome del maestro che ha prodotto una tale opera d’arte, ma ne è probabile l’appartenenza alla scuola alessandrina: sia come sia, è assolutamente geniale l’effetto di chiaroscuro, tanto che sembra di trovarsi di fronte ad un altorilievo e le forme dei putti hanno la plasticità di una scultura, elementi tutti enfatizzati dalla trasparenza del vetro. Gli studiosi ritengono che, dopo la colatura a stampo, il maestro vetraio abbia molato e levigato il vetro da ambo i lati per terminare poi, con l’ausilio di ruota e tornio, gli intagli della decorazione e apporre infine il tocco finale tramite incisioni a mano libera di stupefacente precisione. Non è necessario andare al Louvre…basta andare ad Albenga per immergersi nella bellezza e nello stupore del blu del mare e del Piatto.
Orietta Sammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga e laconica
Al lavoro, fannulloni!
Negli ultimi anni ho cercato disperatamente un architetto da assumere, ben pagato. Chiedevo preparazione basica (padronanza autocad e computer, minima esperienza acquisita su presentazioni telematiche dei progetti). Non l’ho ancora trovato. Alle mie vibrate richieste all’Ordine professionale (ma dove cavolo sono finiti gli architetti??!!) mi rispondono che, salvo pochissimi fuori classe che vanno subito fuori Genova, si laureano in età quasi pensionistica e fanno subito domande e concorsi per diventare insegnanti di appoggio alle medie, commessi dell’IKEA o dipendenti comunali. Lavoro autonomo? Non se ne parla nemmeno, troppo faticoso e poco tempo per l’happy hour, meglio il minimo garantito, spalle coperte e nessuna responsabilità. Depredati drammaticamente di un futuro che era il loro, e viziati per assoggettarne la psiche: panem et circenses. Stando ai dati Istat Genova ha il tasso di occupazione più basso fra tutti i grandi Comuni del centro/nord, il tasso di disoccupazione più elevato (8,4%), il livello di inattività più alto (30 %). Gli inattivi in età di lavoro (dai 15 ai 64 anni) si attestano a 102.000 persone, pari a Verona e Firenze insieme. E la popolazione continua a calare (in 4 anni, Genova ha perso quasi 30.000 persone, il 5% della popolazione). Un quadro desolante, una città di vecchi e parassiti. Si è creato un corto circuito fra domanda e offerta: tutti i disoccupati frignano che non si trova lavoro e tutti i lavoratori cercano disperatamente lavoranti che non trovano. Idraulici, elettricisti, falegnami, imprese edili, paralumai, impagliatori di seggiole, ogni bottega cerca giovani che non trova per insegnargli un mestiere e garantirgli stipendi oggi leggendari (un bravo artigiano sotto i 40 anni non guadagna meno di 7.000 euro al mese). E così via, in ogni settore è la stessa solfa: gli ingegneri cercano ingegneri, gli avvocati cercano avvocati, gli architetti cercano architetti.
Che fare? Io non ho ricette praticabili senza rischiare incriminazioni. Certo, quando devo scavalcare erbacce alte un metro fra topi morti e bottiglie rotte per raggiungere casa mia nella centralissima salita S. Gerolamo, il solo pensare che ASTER ha 369 dipendenti preposti e mai visti, che appaiono solo per tagliare pini sanissimi al solo fine di evitarne la manutenzione, bè, il mio cuore sogna un lanciafiamme.
Marina Montolivo Poletti
Genova, regno segreto del cioccolato artigianale
Pensando alle città italiane del cioccolato si cita Torino, Perugia o la Valle dell’Arno, magari Modica per un suo prodotto particolare, mai una città che ebbe e mantiene un ruolo di alta gamma in tale produzione. In realtà si potrebbe dire che il cioccolato in Italia è arrivato proprio a Genova: i legami commerciali tra la città e la Spagna, il fatto che fossero proprio gli spagnoli a importare il cacao in Europa dai loro possedimenti nel Nuovo Mondo, fecero proprio di Genova il porto di destinazione dei primi carichi di cacao.
Genova coltivava un’antica tradizione, quella dei canditori, probabilmente arrivata dagli arabi lungo le rotte del Mediterraneo. Era un modo per fare circolare frutta in un’epoca dove era difficile la conservazione. E presto i canditori si trasformarono in cioccolatieri.
Ancora oggi Genova vanta tradizione e qualità invidiabili nella produzione artigianale di cioccolato e non solo. Il nostro viaggio comincia da Romanengo col suo storico e bellissimo negozio di piazza Soziglia; ma una visita la meriterebbe anche il laboratorio da favola in viale Mojon, dietro Brignole.
Buffa è un’istituzione che unisce l’esperienza di due storiche aziende del settore: Buffa stessa e Kiwi. Il suo bel negozio in via Fiasella è una tappa imperdibile. Viganotti è nascosta nei vicoli del Centro Storico. Entrando si ha la sensazione di ritrovarsi in un atelier dell’Ottocento. Da non dimenticare Zuccotti in via Santa Zita, con una vetrina che farebbe svenire anche un digiunatore professionale. In via del Portello, a fianco della Camera di Commercio, c’è Profumo: una bottega dal sapore d’altri tempi con una incredibile selezione di praline. Se andate al Porto Antico c’è Chocolat con le sue variazioni straordinarie sul tema. Nel quartiere Marassi trovi la cioccolateria Robiano, mentre a Cornigliano c’è il Tempio del Cioccolato della famiglia Le Rose, con creazioni di alta pasticceria e cioccolateria.
Per anni a Nervi, operò un’industria cioccolatiera, la Aura, che occupava quasi 200 lavoratori, sfornando anche una preziosa manodopera.
Infine ecco le cioccolaterie liguri fuori Genova, a partire da Varazze, dove l’antico atelier Lavoratti a rischio chiusura è stato rilevato da Fabio Fazio. A San Barltolomeo al Mare merita una visita la pasticceria Racca, da non perdere le sue “fiorentine” al cioccolato. Degna di una visita anche Articioc a Savona con le sue praline al chinotto e L’artigiano del cioccolato alla Spezia e le sue artistiche statue di cioccolato.
Nicola Caprioni