Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- ECO DALLA RETE
- ECO DELLA STAMPA
- GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- SPAZIO E PORTI
- SALUTE E SANITÀ
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- PASSEGGIATE D’ARTE
- GENOVA MADRE MATRIGNA
SAPERE PER DECIDERE
CONTROINFORMAZIONE LIGURE
Consultabile anche sulla Pagina Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100092285688750
e sul Sito Web “Controinformazione ligure – sapere per decidere”: https://www.controinformazioneligure.it
Numero 15, 31 gennaio 2024
SPIFFERI
Orlando fa il piacione con Maria Elena Boschi
Andrea Orlando, l’ex guardasigilli dalla parte della Casta (con Nordio)
L’altra sera a Otto e mezzo l’ex ministro della Giustizia, il Pd Andrea Orlando, accusava il suo successore Carlo Nordio di farsi influenzare da fantomatici “sottosegretari forcaioli”, cioè di non essere ancora abbastanza berlusconiano, e definiva la blocca prescrizione di Bonafede, cioè l’unica riforma della giustizia dell’ultimo trentennio che sveltisce i tempi e aiuta le vittime, “un abominio”; per fortuna “smontato dalla Cartabia” (con l’improcedibilità che ammazza i processi se durano più di due anni in appello e di un anno in Cassazione). Ennesima dimostrazione di come questi ex comunisti di scuola spezzina (Lella Paita docet) abbiano interiorizzato la lezione secondo la quale compito dei politici è quello di tenere a bada le insane pulsioni democratiche del popolo di sinistra.
Avviso ai naviganti nella sanità ligure
Auguriamoci che gli strateghi di Piazza De Ferrari non leggano il Mattino di Padova, che il 22 scorso annunciava un nuovo attacco alla sanità pubblica. Stavolta contro il medico di base. La figura variegata che in certi casi si limita a timbrare il cartellino della ricetta medica, in altri s’impegna con dedizione alla cura del paziente. Invece di valorizzare la seconda versione, stanno inventando una terza via: dopo aver abbattuto il tabù dei professionisti privati nel pronto soccorso e nei reparti ospedalieri, il settore si apre al medico di base privato. Nell’orgia di privatismo, per cui non ha valore ciò che non ha un prezzo, la BMed Group di Mestrino (Pd) offre il servizio Family Doc, 50€ a visita. All’insegna del principio NeoLib che la salute è un lusso per chi può permetterselo.
Dress Code
Dal Secolo XIX di oggi – 27 gennaio – una notizia senza precedenti: rinfresco alla Camera di commercio per i più alti magistrati in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, su invito della Presidente della Corte d’Appello, evento finanziato dalla Fondazione Friends of Genoa capitanata da AON, la multinazionale delle assicurazioni e dal suo presidente – il marchese Carlo Clavarino – fresco protagonista dell’affaire dell’ex Piazza Portello, oggi grazie al parcheggio interrato trasformata nel suo garage personale dalla Giunta Bucci e dal Gruppo Viziano. L’Associazione Nazionale Magistrati per fortuna non parteciperà, ma i giudici che aderissero all’invito come si dovrebbero presentare all’evento?
C’È POSTA PER NOI
Riceviamo questo commento a proposito dell’articolo pubblicato sul numero scorso di SxD Controinformazione ligure, relativo all’attuale sistemazione della piazza Portello di Genova
A qualcuno il “cubotto” di Portello proprio non va giù
Mi stupisco che la Signora Marina Montolivo Poletti si stupisca alle critiche e all’indignazione di molti cittadini per l’immondo “cubotto” a completamento del parcheggio interrato per soli 29 posti auto venduti a due “nobili” privati, e realizzato in una delle piazze urbane nel centro città: Piazza Portello, dove insistono importanti Palazzi. I cittadini hanno vissuto e subito disagi evidenti per quasi 4 anni causa lavori molto invasivi e gravosi rispetto al beneficio che ne deriverà. E giustamente si sono indignati sui social e sui quotidiani cittadini per tale scelta e non solo per il “cubotto”.
Hanno scavato una voragine, tolto pietre in arenaria e terra per sostituirle con manufatti in cemento, hanno parzialmente rifatto la pavimentazione con moderne lastre industriali precompresse ad incastro. Il risultato è un miscuglio di materiali differenti che cozzano tra loro, una ringhiera in ferro, di lunghezza sproporzionata e impattante rispetto alla Piazza (la oscura infatti a chi arriva dall’Ascensore della Spianata Castelletto). Uno strano modo di tutelare il paesaggio. Inoltre, oggi sappiamo molto bene quali possono essere i disastri causati da interventi di questo tipo in una zona a rischio idrogeologico per la presenza di rivi sotterranei, alcuni dei quali non sono neppure riportati nelle mappe. Gli esperti ci avvertono che nei contesti urbani il problema delle acque meteoriche diventa più critico a causa della quantità di superficie costruita e cementificata, dei parcheggi interrati con costruzione di barriere che vedono deviati i corsi d’acqua, che fanno sì che il suolo non riesca a drenare correttamente l’acqua piovana. Ciò può provocare allagamenti e disagi viste le ormai frequenti precipitazioni particolarmente intense. E noi che facciamo? Costruiamo un’autorimessa sfruttando, in parte il vecchio sottopasso e scavando sotto la galleria. Spiace vedere il totale disinteresse delle Istituzioni per questo ulteriore sfruttamento di suolo. Viziano fa molto bene il suo lavoro di imprenditore per trarre profitto, molto discutibile invece appare la scelta fatta dalla Civica Amministrazione che, anziché ripristinare un’area già compromessa dal traffico intenso, anziché disincentivare l’uso del mezzo privato in centro, migliorare la qualità di vita delle persone, agire per l’interesse generale che dovrebbe essere prevalente, fa tutto l’opposto. In direzione ottusamente contraria. Fuorviante puntare l’attenzione solo sul cubotto, che con specchi o senza specchi, lì proprio non doveva esserci. Meglio sarebbe stato realizzarlo sul lato opposto della strada, ma forse troppo lontano da via Garibaldi costringendo a fare qualche passo in più agli utenti del parcheggio.
Cordialmente!
Ivana Canevarollo
Risponde l’architetto Marina Montolivo Poletti
Sono assolutamente d’accordo con Ivana Canevarollo che critica l’opportunità di realizzare il parcheggio, fissando l’attenzione sul reale problema che questi lavori possono creare, cioè la deviazione o ostacolo alla defluenza dei rii che scorrono sotto via Caffaro e salita S. Gerolamo. Per di più per realizzare un’opera di scarsissimo interesse e utilità pubblica. Il mio articolo parlava solo del cubetto di uscita che, a fronte di scelte inopportune e in una strada senza pregi particolari, mi pareva non così devastante da attivare- lui solo- le estenuanti polemiche e le – a parer mio non condivisibili- soluzioni proposte per il suo camuffamento. Detto questo, a ognuno il suo: non spetta a Viziano, che fa benissimo il suo mestiere, occuparsi della “res publica”, né dell’interesse collettivo di un’opera, né della compatibilità del progetto coi dettami di tutela architettonica. Paghiamo politici, uffici e Soprintendenti per occuparsi di queste cose, a Viziano tocca occuparsi dei fatturati della sua azienda. Quindi, cara Ivana, mi stupisco davvero, e mi incazzo anche, che l’unica indignazione espressa da questa città che vive di retorica, sia inerente l’estetica del cubotto. Cosa a parer mio quasi irrilevante rispetto alla compiacenza invereconda della soprintendenza nei confronti di quasi tutti gli scempi edilizi ed urbanistici perpetrati in questa città (vorrei ricordare solo il recente avallo ad operazioni tipo ” Fiumara due” nelle piscine di Albaro, scongiurate solo per le proteste virulente del quartiere, oltre che mie). Quindi, in sintesi, sono totalmente d’accordo nella sostanza con Ivana, ribadendo che le mie osservazioni riguardavano solo le ipotesi di rifasciamento del cubetto e non la decisione del Comune di offrire a Viziano questa succosa opportunità di lucro (giustamente colta al volo), laddove l’intervento nulla giova alla collettività, rischiando al contrario di creare pesanti problemi al nostro già fragile e massacrato territorio.
Marina Montolivo Poletti
L’amico Nicola ci invia questa recensione scritta “sul tamburo”
Artemisia, prima di tutto artista sublime
Ho visitato la mostra a Palazzo Ducale di Genova dedicata ad Artemisia Gentileschi. Un appuntamento bello e ben allestito, che mi sento di consigliare a tutti. Vi rifulge l’arte raffinata della Gentileschi, sicuramente figura di primo piano della propria epoca. Una pittrice raffinata, di grande cultura e con una luce straordinaria nelle sue opere, frutto della lezione caravaggesca. Una pittrice, talmente stimata, da essere chiamata nelle capitali d’arte più prestigiose del tempo; da Firenze a Napoli e Genova, sino a Londra
Eppure ho trovato una pecca. Forse un eccessivo cedimento alla tentazione commerciale ha rischiato di ridurre l’esposizione al voyerismo sullo stupro subito da Artemisia, a soli diciotto anni, da parte di un amico e collaboratore del padre; il pittore Agostino Tasso.
In particolare risulta macabra e fuori luogo la stanza al centro del percorso obbligato dell’esposizione, in cui si vuole ricostruire il luogo della violenza. Un ambiente buio, vuoto, con solo un letto al centro, con alcuni effetti speciali tipo “trenini horror” dei Luna Park. Poi candele, una voce straziante di donna e – infine – l’effetto grandguignolesco del sangue che cola. Il rischio è che Artemisia venga ricordata più per l’abuso subito che per la sua sublime arte pittorica; che la sua vicenda venga anteposta ai suoi straordinari meriti artistici; al tempo della Controriforma, quando per una donna era difficilissimo farsi valere e affermarsi. Oggi i due aspetti, quello artistico e quello umano, andrebbero separati: se è giusto cogliere l’occasione della vicenda di Artemisia per parlare di stupro, altrettanto giusto è dare a questo genio pittorico il giusto ruolo e valore che gli spettano nella storia dell’arte. Le sue opere eccezionali. Cogliete l’occasione per ammirarle al Ducale.
Nicola Caprioni
ECO DALLA RETE
L’architetto Stefano Fera, Presidente di Italia Nostra, ha postato su Facebook questo severo commento all’incredibile vicenda in corso a Caricamento, ad opera dei pasticcioni (o non solo) che ci amministrano. Di cui Marina Montolivo Poletti ricostruisce l’iter fantozziano nella sezione Ambiente.
Dilettanti allo sbaraglio
«Della situazione archeologica in Piazza Caricamento, si sa tutto dai tempi della realizzazione del sottopasso. La zona fu attentamente indagata e rilevata dagli archeologi e i risultati di quella campagna di scavo sono noti a tutti, perché ampiamente documentati e pubblicati. Com’è possibile, dunque, leggere sul Secolo che “il progetto esecutivo dovrà essere rivisto secondo le indicazioni che darà la Soprintendenza”?
Com’è possibile arrivare a un tale livello di progettazione, ad appaltare lavori e a far partire un cantiere di risistemazione della piazza senza che i responsabili dell’intervento sapessero quel che avrebbero trovato sottoterra? A quale livello di pressapochismo e dilettantismo siamo arrivati nella progettazione urbanistica di questa città?».
Stefano Fera
ECO DELLA STAMPA
Annamaria Coluccia, per la terza volta premiata con voto segreto dei colleghi “migliore cronista genovese dell’anno”, ha fatto chiarezza sul Secolo XIX del 12 gennaio scorso riguardo al pasticciaccio grosso che Bucci sta combinando in Valbisagno. Riportiamo ampi stralci dell’articolo.
Progetto pieno di lacune lo Skymetro deve fermarsi
“Un progetto che peggiorerà la Valbisagno per almeno 100 anni”, con “buchi, carenze e almeno undici gravi difetti che dovrebbero renderlo non valutabile o non adatto al rilascio dell’autorizzazione edilizia”. Parte così la nuova offensiva contro la realizzazione dello Skymetro della Valbisagno, dopo che sul sito internet della Regione sono stati pubblicati i documenti trasmessi dal Comune per la Valutazione di impatto ambientale (Via). Passaggio che seguirà l’iter semplificato introdotto a fine dicembre con una norma approvata (a maggioranza) dal consiglio regionale e applicata per la prima volta proprio al metrò sopraelevato che dovrebbe collegare Brignole a Prato. Ad affilare le armi della contestazione è il gruppo Opposizione Skymetro – Valbisagno Sostenibile. Dopo “aver letto le 6.347 pagine e tavole” pubblicate, gli attivisti hanno elencato in un corposo dossier i rilievi su “un progetto che più che indicare, in molti punti chiave rimanda e manca di risposte e indicazioni”. Almeno undici sono le “criticità principali” individuate, a cominciare dall’impatto della metropolitana sopraelevata sulle strade sottostanti e gli argini del Bisagno. Poi “il cronoprogramma dei cantieri non tiene conto dei ritardi nella costruzione dello scolmatore del Bisagno, anche se si dice che la sua messa in funzione è essenziale per la realizzazione e l’esercizio dello Skymetro”. Sempre secondo il comitato “viene rimandata la soluzione dell’interferenza con gli 11 tralicci dell’alta tensione; mancano quadro economico, costi di esercizio e manutenzione, dati sulla gestione dei cantieri; non sono progettate le interferenze con gli affluenti del Bisagno, né l’integrazione con gli altri sistemi di trasporto pubblico; mancano i criteri ambientali minimi previsti dal codice degli appalti e i riferimenti all’impatto sulle falde acquifere intercettate dagli scavi”. Dulcis in fundo, il comitato contesta “la Valutazione di impatto ambientale accelerata che, imponendo di presentare entro 30 giorni le osservazioni, renderà quasi impossibile partecipare a cittadini e soggetti esterni alle istituzioni, come sarebbe previsto dalla legge”.
Annamaria Coluccia
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
Genova laboratorio post-democratico
Leggiamo sulla stampa nazionale che «l’ex sindaco Pd di Lodi Simone Uggetti è stato assolto nel secondo appello perché, sì, aveva truccato una gara d’appalto con un bando su misura per affidare a una ditta amica la gestione di due piscine comunali (che incassano 300-400 mila euro l’anno); sì, aveva tentato di cancellare le tracce informatiche del reato; sì, la Corte ha riconosciuto ‘la sussistenza del fatto, la sua illiceità penale, la sua corretta qualificazione giuridica, nonché l’accertamento che gli imputati lo hanno commesso’; ma non è punibile ‘per particolare tenuità del fatto’».
Come non notare la sintonia della sentenza con quella del novembre scorso, in cui la Corte d’Appello di Genova ha respinto il ricorso contro la nomina del sindaco Bucci perché incompatibile con il ruolo di commissario straordinario? Decisione motivata con la bizzarra (e pure oscura) considerazione che il Primo Cittadino «rivestiva già una posizione di influenza – ben prima della nomina di commissario straordinario – essendo tale nomina giunta successivamente alla carica di sindaco». Sicché, dietro ai due pronunciamenti si può scorgere il comune retro-pensiero che il potere legittima sé stesso. Vuoi come arbitrio nella gestione del pubblico denaro, vuoi come incetta di ruoli che annullano la separazione tra controllore e controllato; fondamento del costituzionalismo liberale, da Montesquieu in poi.
Andando a scavare ancora più profondamente nello spirito del tempo, scopriamo il cuore di tenebra dell’evoluzione post-democratica contemporanea: il principio che il successo elettorale funge da legittimazione taumaturgica dell’eletto (il teologo dei potenti Gianni Baget Bozzo, cappellano di Silvio Berlusconi, parlava di “unti dal Signore”), tanto da sottrarlo a qualsivoglia forma di controllo. L’egemonia dell’Esecutivo, che ne azzera la classica ripartizione con Legislativo e Giudiziario. Un mood che influenza anche le modalità di concettualizzare della magistratura, sempre sensibile alle variazioni nel pensiero pensabile dell’epoca. Così come le pratiche di incontrollato dirigismo tecnocratico teorizzate nel Modello Genova. Il tutto riconducibile al vero retro-pensiero dell’intera la faccenda: la convinzione che il comando sia incompatibile con la democrazia. Che va rapidamente sbaraccata a vantaggio del decisionismo.
Quanto teorizza Bucci: “fare male è meglio che non fare”.
Ne riparleremo – ahimè, a posteriori – quando ci si renderà conto dei disastri prodotti tra ponti e dighe.
Pierfranco Pellizzetti
Bologna chiama, Genova risponde?
“Andavo a 100 all’ora/ Per trovar la bimba mia”. Così cantava Gianni Morandi, nel 1963. Oggi i 100 all’ora sono un sogno proibito; e in molte città italiane, sull’esempio di Bologna, si sarà costretti a rispettare il limite dei 30.
Anche a Genova si discute sul limite fatidico. Come succede inevitabilmente da noi, si sono formate due fazioni, sul registro destra-sinistra: a sinistra i fautori dei 30, a destra i contrari. Tra gli automobilisti prevale l’opposizione a una misura ritenuta iniqua. Minima questione, non fosse per la constatazione che cresce sempre più l’intolleranza dei cittadini per misure che – propagandate come tutela dei pedoni (peraltro, a Genova, ampiamente trascurati) – si rivelano in pratica destinate a rimpinguare le casse dei comuni. Sintomatiche le simpatie del pubblico nei confronti degli ignoti che si sono dedicati all’abbattimento degli Autovelox; vere e proprie trappole sul percorso degli automobilisti, già vessati in ogni maniera. Come con i semafori, divenuti ‘intelligenti’.
E dire che le maniere per ridurre gli incidenti e l’occupazione del centro da parte delle macchine ci sarebbero. Si potrebbe cominciare col vietare i centri cittadini alla circolazione privata, limitandola ai residenti. Anche in questo Bologna è all’avanguardia. E poi, parcheggi (non certo quello, molto esclusivo, che ha deturpato piazza Portello a Genova), ascensori e funicolari, microbus per le alture, con linee eventualmente affidate a esercenti privati. E taxi, molti taxi a tariffe ragionevoli e sempre in movimento, come nelle principali città del mondo. Quando verrà il giorno che – lo si vede solo nei film – basterà alzare un ombrello? Infine perché tanta paura dei dissuasori che, senza provocare pericolosi sobbalzi, inducano i conducenti a saggi rallentamenti?
Infine, una nota personale. Dopo lunghe esitazioni, sono salito col mio nipotino di tre anni sul trenino ‘Pippo’ che, partendo dall’Acquario, fa fare ai turisti il giro del centro di Genova; con una varietà di itinerari uno più gradevole dell’altro. Ho percorso a velocità anche inferiore ai mitici ‘30’ piazze e strade della mia città, accorgendomi della loro bellezza E mi chiedevo se non fosse possibile immaginare un analogo ‘trenino’ non solo per turisti, magari non chiamandolo ‘Pippo’e dandogli una frequenza – mettiamo – di quindici minuti. Allora ci accorgeremmo che la velocità non è tutto e la lentezza apre gli occhi sulla bellezza di ciò che ci appare banale e ordinario.
Michele Marchesiello
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
A proposito dell’articolo “Portovenere l’ultima minaccia”, una doverosa rettifica
Dopo la pubblicazione sul numero del 15 gennaio dell’articolo Portovenere, l’ultima minaccia, ho avuto un aperto confronto con Francesca Angelicchio, moglie di Roberto Tomasi e socia, assieme alle figlie, dell’azienda agroturistica Le Terre di Portovenere.
La sorpresa è che si tratta di un progetto interessante e ambizioso per ripristino e manutenzione di 5 ettari di terreno agricolo abbandonati, con l’obiettivo di recuperare i terrazzamenti franati e la destinazione agricola del territorio prevalentemente a uliveto; con la sistemazione delle piante esistenti e la piantumazione di nuove piante, (oltre 200 nuovi ulivi) nel rispetto del cultivar prevalente (avendo l’azienda chiesto la certificazione di qualità DOP). All’interno di questo progetto vi è anche il recupero di immobili presenti, da lungo tempo abbandonati, nel pieno rispetto del loro valore testimoniale.
Non cementificazione diffusa ma recupero di territorio, un tempo coltivato, curato e terrazzato, che negli ultimi anni, era diventato una discarica di rifiuti. Sicché la nuova attività agrituristica ha dovuto rimuovere a proprie spese ben 6 tonnellate di rifiuti. Sono evidenti i benefici per l’intero territorio in termini di presidio contro incendi e rischi idrogeologici, ma anche per il mantenimento e la pulizia dei sentieri, per non parlare del ripristino dei muretti a secco operata a carico della famiglia Tomasi-Angelicchio.
Il comune di Portovenere (amministrazione di centro-destra) ha inizialmente negato il permesso per il restauro dei manufatti. Il TAR della Liguria ha dato ragione all’Angelicchio e ha condannato il comune al pagamento delle spese processuali.
Nel nostro articolo si parlava di una strada che il nuovo AD di Autostrade per l’Italia starebbe costruendo. La verità è che la strada esiste già, è prevista dal Piano Regolatore di Portovenere, solo che qualcuno l’ha sbarrata, impedendo il passaggio. Non si vuole costruire una nuova strada, ma soltanto chiedere la riapertura di una strada pubblica, che qualcuno ha chiuso.
La nuova società agricola ha chiesto l’accesso agli atti del Comune di Portovenere per sapere come mai una strada che dovrebbe essere pubblica è chiusa con barriere e lucchetti e cosa abbia fatto il comune per impedire questa situazione.
Infine il titolo dell’articolo era in evidente errore, quando lasciava intendere un’intesa tra la soc. Autostrade per l’Italia e la Regione Liguria per assaltare Portovenere. È evidente che una simile affermazione non corrisponde al vero.
Nicola Caprioni
Caricamento, ma che bella sorpresa!
A settembre scompare piazza Caricamento dietro un’orribile recinzione gialla che obbliga genovesi e turisti a giri tortuosi per raggiungere porto antico, la zona più frequentata della città. Motivazione: inizio dei lavori di restyling, che trasformeranno la piazza da landa desolata in accogliente punto di aggregazione, con panchine e alberi. Inizio lavori in gergo architettonico significa che si è giunti alla fine di un lungo iter: progetto di massima, progetto definitivo, progetto esecutivo. Tutti concordati con gli uffici competenti, a cui seguono le autorizzazioni specifiche di detti uffici: Soprintendenza, Urbanistica, Traffico urbano, Ufficio disabili, Ufficio idrogeologico e archeologico. E qui sorge la prima domanda: come diavolo è stato possibile che a nessuno dei suddetti uffici “competenti” sia venuto in mente di richiedere un’analisi del sottosuolo, prima di procedere agli sbancamenti? Seconda domanda: nel 1992, in occasione delle Colombiane, i giornali hanno parlato per mesi dei vecchi moli medievali ritrovati sotto la piazza, che furono tutti mappati; ogni pietra fu smontata, numerata, schedata nel Catalogo Generale dei beni Culturali della Soprintendenza, compilato nel 1994 e aggiornato nel 2017. Come è stato possibile arrivare all’inizio lavori senza che nessuno sollevasse il problema dei moli storici sottostanti? Vero è che le antiche banchine smontate nel ’92 furono scaricate sotto un ponte al Lagaccio o a Scarpino, nella discarica, dove giacciono abbandonate da 30 anni. E qui sorge la terza domanda: se al Comune nulla importa dei moli medievali, se la Soprintendenza ignora quanto tutti sanno in merito alle nostre ricchezze storiche, e se ne infischia della loro tutela, perché noi cittadini dobbiamo subire l’enorme disagio di cantieri fermi, piazze ostruite, percorsi a ostacoli e bruttura perenne di transenne, staccionate, ruspe abbandonate? Gettate la maschera e cacciate via tutto, chiudete questi uffici inutili quanto costosi e lasciateci in pace. Perché non è la prima volta: succede TUTTE le volte! Tanto per citare le più recenti, la loggia di Banchi e la rotonda di Carignano. Ciliegina sulla torta poi, a progetto appena approvato, la richiesta di cambiare totalmente l’elaboratro perché le panchine intorno agli alberi rischiano di diventare bivacchi e dormitori per senzatetto. Cosa che a me è davvero dispiaciuta perché mi sembrava una grande occasione per incontrare in un solo colpo le poche facce intelligenti rimaste in questa città.
Marina Montolivo Poletti
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
Lo scolmatore del Bisagno non s’ha da fare.
Nel Bisagno è prevista la costruzione di uno scolmatore del costo di circa 300 milioni. Di certo si tratta di un’opera dal grande valore tecnico e storico. Soprattutto utile quando fu progettata dagli ingegneri del dipartimento di idraulica dell’università di Genova. Però, come contenimento di possibili piene del Bisagno, è ormai uno strumento obsoleto.
Il fenomeno pluviale è molto cambiato. Oggi piove in maniera alluvionale in porzioni relativamente piccole del bacino del torrente e questo comporta numeri e modelli diversi. Mutano i dati di valutazione della cosiddetta piena duecentennale, che andrebbero ricalcolati alla luce dell’attuale situazione; sia dalla piovosità sia della conformazione del terreno. Ovvio che se piove in maniera diversa potrebbe non esserci piena sull’alto corso del Bisagno ma su qualche affluenza, che poi determina l’alluvione catastrofica sul basso corso; come l’ultima di Genova. Inoltre sembra che l’imboccatura della presa per deviare le acque sia sbagliata, in quanto lascia scoperti alcuni importanti rii in sponda destra, di fronte alla Sciorba e Ponte Carrega. L’imbocco previsto è comunque troppo stretto per contenere le previsioni di piena duecentennale e l’insieme di volumi galleggianti o trascinati che andrebbero a intasare il tubo.
Sicché questi 300 milioni potrebbero essere spesi meglio utilizzando tecniche più innovative ed efficaci, già implementate in molte aree d’Europa. Non da noi, fermi a tecniche e metodi da anni 50-60. È soprattutto nei versanti a valle non manutenuti che stanno producendosi decine di frane con trascinamento di detriti che ostruiscono la presa. Per cui lo scolmatore non scolmerà più niente. Purtroppo di tali frane nel bacino del Bisagno nessuna autorità ha mai voluto occuparsi, mentre autorizzava costruzioni in alveo e in collina. Insomma, si direbbe che lo scolmatore sia un pretesto per buttare via soldi e consentire speculazioni private in aree idrogeologicamente fragili.
La prima cosa da fare sarebbe stappare il Bisagno alla foce; dove ci sono le isolette con le paperotte che ci sguazzano. Fatto indegno per chi pretende di salvare Genova con opere faraoniche. Un intervento idraulico non costoso ma significativo sarebbe rimuovere le tonnellate di terra che bloccano lo scorrimento dell’acqua e minacciano il quartiere. Ma conoscendo la propensione per la cementificazione della giunta e dei tecnici all’orecchio… Ci rivedremo alla prossima alluvione.
Andrea Agostini
Skymetro, ultima fermata. Signori si scende.
Non ci sarebbe bisogno di scomodare la lettera di Oscar Wilde che inizia con le famose parole De Profundis, ma quando ci vuole…Avevamo ragione sull’obbrobrio dello Skymetro, costoso, inutile e pericoloso. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in cinque pagine di relazione ha bocciato il progetto. O per correttezza, come scrive Repubblica, ha pubblicato la pagella relativa rimandando i nostri alunni di Tursi e De Ferrari in tutte le materie. Costi (enormi) per benefici impalpabili e fumosi, criticità geologiche e idrogeologiche per le fondazioni ovvero per i pali che insisterebbero sul greto del Bisagno. Pericolosità in caso di esondazione di questo, in assenza o mal funzionamento degli scolmatori. Sul ponte che poi dovrebbe attraversare il fiume la bacchettata sulle mani è ancora più pesante: si parla non solo di documentazione insufficiente, ma addirittura che lo stesso risulta “fortemente inclinato rispetto all’asse del torrente e questo fa sì che la lunghezza dello stesso conduca ad una struttura di grande impegno, quasi cento metri di lunghezza, per altro anche fortemente obliqua”. Sono poi contestati anche i problemi acustici per la popolazione residente e infine anche i calcoli di fine vita dell’opera: cinquant’anni, secondo la fumosa (lo dice il ministero) relazione. Calcolo che è stato fatto – sembra – per pararsi il cosiddetto, visto quello che è successo con il Ponte Morandi. Almeno Piano garantiva che il nuovo ponte – sue dichiarazioni del 7 settembre 2018 – “dovrà durare mille anni, e non è una battuta”. È una lenza il nostro archistar: mica ci sarà nessuno a controllare che la profezia si avvererà. Però fa scena. I progettisti dello Skymetro sono molto più prudenti, perché sanno benissimo – perché non sono mica ignoranti, sono dei veri esperti, anche se hanno la volpe sotto l’ascella – che i problemi esistono. E i nostri amministratori l’alternativa tram manco la prendono in considerazione. Per quale motivo? A questo punto, perché non smetterla con questa idiozia dello Skymetro? Per i denari che girano? A pensar male si fa peccato, diceva il compianto Andreotti. Rimpiangere Andreaotti è davvero il colmo, ma a vedere quali politici sono tra i più gettonati, il leader DC appare un gigante, magari cattivo, ma è meglio un malvagio che uno stupido, almeno sai cosa aspettarti. A questo punto speriamo solo che l’alunno, rimandato in tutte le materie, cambi almeno scuola (di pensiero, se ne ha).
Carlo A. Martigli
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
La guerra in Medio Oriente imporrebbe ripensamenti genovesi
L’impatto della situazione bellica nel Mar Rosso sui traffici marittimi, in particolare su quelli verso il porto di Genova, sono stati considerati dal punto di vista della maggior durata della rotta per il Capo di Buona Speranza, dei maggiori consumi di carburante, con relativo inquinamento, e del maggior costo dei trasporti.
Il conflitto innescato dagli Houthi – ispirati da Teheran – dopo l’intervento militare di USA e UK viene a inquadrarsi in un più grave conflitto che impedisce la ripresa dei traffici.
C’è da temere che la perdurante chiusura di Suez provochi effetti permanenti. Non solo la ricerca di nuove rotte ‘alternative (la ‘Artic Polar Route’, profittando del provvidenziale – sotto questo profilo – scioglimento dei ghiacci), ma anche riguardo al fenomeno in costante espansione del cosiddetto ‘gigantismo navale’.
La diminuzione dei traffici nel Mediterraneo che si può constatare già da ora, renderà sempre meno utilizzati i porti che vi si affacciano, a favore di quelli atlantici e nordici.
Di conseguenza è immaginabile che le navi maggiori ricorreranno al transhipment svolto da natanti di minori dimensioni (c.d. feeder), destinate ai porti del Mediterraneo.
Ora, tra le ragioni reiterate per la realizzazione della rischiosa e costosa, nuova diga foranea genovese, la principale è proprio quella per cui, con la nuova opera, il nostro porto potrebbe accogliere quei colossi del mare che – c’è da temere – dall’Atlantico non si affacceranno più oltre lo stretto di Gibilterra. Rendendo tra l’altro inutili gli enormi investimenti richiesti da tali navi per le infrastrutture: non solo la nuova diga ma anche l’allungamento delle banchine, il potenziamento delle gru, l’ampliamento dei piazzali e il più veloce inoltro dei container.
La mancanza di lungimiranza, messa in sordina dalle esigenze immediate del profitto, rischia di produrre l’ennesima – ancora, cosiddetta – “cattedrale del deserto”. Proprio quello che sta accadendo per il TAV Torino-Lione.
Intanto i lavori per la nuova diga foranea – da poco iniziati –proseguono alacremente e in gran segreto, nonostante le autorevoli critiche tecniche loro mosse, incuranti dei provvedimenti della giustizia amministrativa di cui sono stati oggetto.
Perché tanta precipitazione?
Non sarebbe forse il caso di una riflessione tra tutti gli stakeholders, cittadini inclusi, che riconsideri la necessità di una diga ‘faraonica’, anche sulla base dei nuovi scenari strategico-militari che si profilano nell’area mediterranea?
Michele Marchesiello
Depositi chimici a Ponente, un po’ di storia
Gian Enzo Duci, docente universitario, imprenditore marittimo e vice Presidente di Conftrasporto, propone di trasferire i depositi chimici di Superba e Carmagnani da Multedo al prospiciente Porto petroli. L’idea di evitarne la presenza in mezzo alle abitazioni (nel 1987 un’esplosione causò la morte di 4 lavoratori e il terrore nel quartiere). Una soluzione razionale: collocare i depositi dove avviene la movimentazione via mare (Superba e Carmagnani sono azionisti di Porto petroli). Come a Calata Oli minerali con i depositi di ENI e Esso, a Ponte Paleocapa con quelli di SAAR, a Ponte Etiopia e Calata Mogadiscio con Silomar e Sampierdarena Oli. Ma sinora non si è verificato se nel Porto petroli ci sia lo spazio utile, anche rispetto alla Fincantieri confinante, sia agibile la movimentazione via terra, che il terminalista concessionario sia disponibile e infine se siano soddisfatte le innumerevoli condizioni normative previste. A Multedo sopravvivono i ricordi di due tremende esplosioni: nel 1981 la petroliera Hakuyu Maru causò tre morti tra i marinai; nel 1991, la petroliera Haven bruciò per tre giorni prima di affondare, con 5 morti e un disastro ambientale. Tuttavia, il Porto Petroli – a Multedo dal 1963 – appare una servitù abbastanza metabolizzata dalla cittadinanza. Ma occorrerebbe che l’aggiunta dei depositi fosse oggetto di un reale processo informativo e partecipativo. E nel Ponente il confronto democratico e la credibilità delle istituzioni a oggi appaiono compromessi.
Bucci ha dato solo segnali negativi. Nel confronto pubblico sui depositi ha offerto alla cittadinanza 4 soluzioni tra cui non compariva Ponte Somalia, salvo poi tirarla fuori dal cilindro a dibattito chiuso. Tra le 4 ce n’erano due a oltre 500 mt dalle case (Ponte Somalia è a 300 mt): l’ex Carbonile ENEL, concesso invece al solito Spinelli, e un’area del Terminal Messina, per il quale il concessionario aveva chiesto 100 milioni. Messina (socio MSC) ha poi comprato la società del terminal di Ponte Somalia dal Gruppo Gavio. Questi aveva sottoscritto un accordo con Superba per cedergli l’area. Chissà se l’accordo di Gavio, mai mostrato da Signorini, è diventato l’accordo di Messina con Superba. Oppure si è alzata la posta? Nel porto di Genova è sempre più oscuro ma florido il mercato delle concessioni pubbliche in barba allo sviluppo dei traffici e dell’occupazione sottoscritti dai terminalisti. In barba a trasparenza e pubblicità degli atti; cui sarebbe preposto Palazzo S. Giorgio.
R.D.I
Duci propone e Bucci dispone. Contro tutti
La proposta di Duci, il quale aveva già fatto uscire dai gangheri Bucci per un “tweet” (“un mio studente di Economia che collocasse i depositi chimici a Ponte Somalia verrebbe bocciato a qualsiasi esame e additato quale somaro”), ha avuto il merito di fare venire allo scoperto il PD, contrario a aggiungere nuove servitù al Ponente, che ha invece espresso favore al trasferimento dei depositi su una banchina da crearsi ex novo sulla diga in costruzione, che potrebbe anche estendersi a ospitare gli attracchi del Porto Petroli: la traslazione del Porto Petroli allargato ai depositi chimici dalla linea di costa all’off shore. Una soluzione che da quando la nuova diga è diventata una prospettiva reale e finanziata, a molti è apparsa come la più logica e sostenibile (ricavandone le risorse finanziarie dal ridimensionamento della larghezza e profondità dell’attuale progetto, ritenute insicure e ingiustificate), contemperando quindi l’economia e la funzionalità del porto con le esigenze di sicurezza e di vivibilità della cittadinanza. È questa anche la soluzione delineata nei rispettivi lay-out progettuali da Piero Silva, l’ingegnere di fama internazionale dimessosi dall’incarico per la nuova diga reputandola a rischio di collasso per la sua eccessiva profondità, e da Guido Barbazza, presidente del Municipio Ponente, peraltro eletto con i voti del Centrodestra. Ma Bucci continua tirare dritto senza alcuna considerazione dei pareri altrui. Pure avendo contro l’intero fronte delle parti sociali da Confindustria alla CGIL, ripete con fastidio che solo di fronte a una alternativa potrebbe ricredersi. Una tiritera – questa di Bucci – indegna e irresponsabile. Come se una tale soluzione potesse venire dalla bella idea di qualcuno e non invece da un processo istruttorio e decisionale, tecnico e politico, condotto entro i binari tracciati dai documenti di indirizzo e di piano dell’amministrazione portuale e partecipato democraticamente dalle rappresentanze economiche, sociali e civili della città (DPSS, POT, PRP, tutti atti ufficiali ex lege, anche i più recenti, non menzionano affatto i depositi a Ponte Somalia). Documenti sistematicamente ignorati e disprezzati da Bucci, che si sente al di sopra di Palazzo San Giorgio e della legge. E siccome la legge deve essere uguale per tutti, Bucci è contro tutti.
Riccardo Degl’Innocenti
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
Il punto sulla protesta dei medici del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)
Nel novembre scorso il personale del servizio sanitario nazionale aveva finalmente deciso di proclamare lo sciopero nazionale a dicembre. In realtà i sindacati medici sono riusciti a dividersi sulla data. Da sempre la categoria non ama questo strumento di lotta; ma stavolta la misura era stracolma e così si è arrivati allo sciopero, con soddisfacenti adesioni. In Liguria abbiamo visto giovani medici e specializzandi insieme agli “anziani”, con striscioni e fischietti; e abbiamo solidarizzato con loro. Determinante il sottofinanziamento per la sanità previsto dalla legge di bilancio (i fondi stanziati non bastano a coprire gli esigui aumenti contrattuali del recente contratto collettivo) e la penalizzazione sulle pensioni prevista per i dipendenti pubblici. Le altre principali rivendicazioni erano: rilancio del SSN con finanziamenti e leggi adeguate; piano di assunzioni; eliminazione del famigerato tetto di spesa alle assunzioni; depenalizzazione dell’atto medico. Su quest’ultimo aspetto va chiarito che ogni anno in Italia vengono intentate oltre 35mila azioni legali contro medici e strutture sanitarie, 300 mila giacciono nei tribunali. L’esito di tali azioni porta nel 95% dei casi al proscioglimento. Ma il timore di aggressioni fisiche e giudiziarie spinge l’assistenza medica ad assumere un atteggiamento difensivo, costoso non solo in termini economici: i medici rivendicano un’area di non punibilità che restituisca loro la serenità della propria autonomia professionale e la garanzia del diritto costituzionale alla salute.
Frattanto si sono concretizzate due misure emendamento al Milleproroghe: lo scudo penale per i medici e l’innalzamento volontario dell’età pensionabile da 70 a 72 anni per la categoria. Se sulla prima c’è il favore degli interessati, i medici sono pronti a dare battaglia contro la modifica dei limiti d’età. Come dice Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale ANAAO, “la ragione di questa misura è favorire i soliti baroni e piccole lobby”. Perciò il sindacato proseguirà nell’azione di protesta, che già oggi – aggiunge Di Silverio – “senza riposte da parte del governo prevede due nuove giornate di sciopero nel mese di febbraio”. E mentre i cittadini cominciano a confrontarsi seriamente con il rischio di perdere un SSN pubblico unico al mondo, i nostri amministratori locali si spendono in conferenze stampa sull’avanzamento dei provvedimenti adottati e il Governatore denuncia la “bassa polemica propagandistica in atto sulla sanità ligure”.
Nuccia Canevarollo
Sanità ligure: ultimi tra gli ultimi
Alla fine del secolo scorso l’Italia occupava il secondo posto nella classifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la qualità dell’assistenza sanitaria, dietro solo alla Francia. Oggi, occupa il 27° posto, mentre la spesa sanitaria pro-capite è in continua discesa e molto al di sotto di quella di paesi civili. Una recente classifica collocava la Liguria al penultimo posto per la qualità dell’assistenza sanitaria, seguita solo dalla Calabria. Solo pochi decenni fa la Liguria era una delle eccellenze sanitarie italiane. All’interno di questo disastro la provincia della Spezia è all’ultimo posto con l’ospedale di Spezia, inaugurato nel 1914 e che oggi cade a pezzi, un ospedale relativamente nuovo a Sarzana, svuotato di reparti e privato di medici e infermieri e un ex ospedale a Levanto, degradato a casa della salute, praticamente privo di personale. Per avere un’idea dello squilibrio, il personale dipendente delle 5 ASL liguri ogni10.000 abitanti è il seguente:
ASL 1 (Imperiese) 122,3 addetti; ASL 2 (Savonese) 150,6; ASL 3 + Gaslini, S. Martino, Galliera, IST, OEL 185; ASL 4 (Tigullio) 126,7; ASL 5 (Spezzino) 100,2.
Quindi, in una regione già sotto media, la provincia della Spezia ha carenza di personale per almeno 1/3. Mentre la provincia di Imperia, con lo stesso numero di abitanti della Spezia, ha il 22% in più di personale.
Intanto si fanno sentire gli effetti della mancata programmazione. L’eccesso del numero chiuso alle facoltà di Medicina, solo 1 ammesso ogni 6 candidati e un 20% di abbandoni. Più grave la situazione delle specializzazioni con un numero assolutamente al di sotto del fabbisogno. Una carenza accentuata nella medicina d’urgenza (anestesia, rianimazione, pronto soccorso), che il privato evita perché non genera dividendi e profitti. In soli due anni i ricoveri nei due ospedali spezzini sono passati da 23.000 a 19.000. Nel periodo si sono persi ben 25 medici, solo parzialmente sostituiti da 14 “medici a gettone”, che costano il doppio di uno in organico senza garantire esperienza e continuità.
Per ora parte della popolazione spezzina ha potuto ricorrere alla vicina Toscana, che vanta il modernissimo ospedale di Massa-Carrara e quelli di Pontremoli e Fivizzano, nonché il centro cardiologico specializzato dell’OPA. Una provincia con gli stessi abitanti della Spezia e il doppio di posti letto e personale. È certo che l’autonomia differenziata in approvazione governativa vanificherà il ricorso anche a questa soluzione tampone.
Nicola Caprioni
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Il nuovo svincolo di San Benigno, alla ricerca del tempo perduto
Ho sempre ben presente il nodo di San Benigno: dal 1992 al 1996 lavorai al Matitone e poi a Torre Shipping, fino al trasferimento in via Alboreto a Sestri Ponente, per raggiungere la quale dovevo comunque transitare da San Benigno. Ho visto la fine dei lavori del Terminal Traghetti, la costruzione della Concessionaria Auto Biasotti, la costruzione delle Torri Faro, quella della Torre MSC…
È per questo che ho percorso con curiosità la nuova viabilità che collega direttamente la sopraelevata con Lungomare Canepa. Già il primo giorno di apertura, Primocanale si era premurato di pubblicare su Facebook un reel in cui magnificava l’intervento di viabilità.
Con la mia storia di progettista strutturale non posso che condividere la scelta dell’acciaio, ormai certificato come più affidabile nel tempo rispetto al cemento armato, quale materiale di costruzione delle stesse strutture portanti.
La larghezza delle nuove corsie, purtroppo, lascia a desiderare ma gli spazi, si sa, nella nostra città sono quelli che sono ed è necessario adattarsi. Sono fiducioso che i progettisti abbiano tenuto conto della Teoria della Code, in accordo alla quale al dimezzamento del servizio (da due corsie della sopraelevata e/o di Lungomare Canepa ad una dello svincolo) corrisponde la quadruplicazione della coda stessa. Fin qui tutto bene, ma ancora esistono innumerevoli aspetti non risolti. Così come si fa un gran parlare del futuribile tunnel sub portuale che avrebbe dovuto essere il risarcimento alla Liguria dei danni causati dal crollo del Morandi da parte di Atlantia Ma per il quale, al contrario, si parla di recupero costi tramite pedaggi. Vabbè, vedremo.
I cantieri del tunnel (se mai partono) insisteranno pesantemente per anni sul nodo di San Benigno, richiedendo altri importanti interventi sulla viabilità levante-ponente e viceversa.
A mio avviso uno degli argomenti oziosi e fuorvianti riguarda la demolizione o meno della sopraelevata, che verrebbe sostituita dal tunnel. Parere personale a parte, secondo cui la scelta è dovuta agli immobiliaristi del Nuovo Waterfront alla Foce che preferirebbero offrire i carissimi nuovi alloggi non gravati dalla vista e dal rumore della sopraelevata, l’aspetto demolizione pone un’altra importante domanda: come mai le Amministrazioni hanno deciso di investire un capitale di risorse economiche così importante per migliorare il collegamento con la città di una struttura destinata alla demolizione? La pianificazione è un optional? Ai posteri…
Roberto Guarino
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
Un confronto epistolare sul controverso “Caso Facio” con Getto Viarengo, memoria storica del Levante; quell’ala della Liguria dove probabilmente si coltiva con maggiore devozione il ricordo dell’epopea partigiana
Salvare la Resistenza dalle burocrazie guardiane
Parto dal volumetto 2023 “Indagine sulla morte di un partigiano”: il turpe ammazzamento del comandante Facio – il ragazzo calabrese classe 1920 Dante Castellucci – ad opera dei suoi stessi compagni. Storia dalle conclusioni avvolte nel mistero, iniziata con l’apprendistato antifascista del giovanotto nel casale dei Cervi, osteggiati dalla nomenclatura PC reggiana per anarchismo (ma il padre Alcide è iscritto al partito dal 1933). In realtà, lo scontro caratteriale tra titubanze burocratiche e ardimento. Il tratto che accomuna Dante ai fratelli Cervi; che dopo la loro fucilazione, cui il futuro comandante della brigata Picelli si sottrae con una fuga rocambolesca, gli procurerà l’ostracismo mortale dei comunisti di Reggio. Così – col nome di battaglia Facio – diventa un capo amatissimo. Ma ancora una volta destinato a scontrarsi con l’establishment rosso. Nel caso, spezzino; custode occhiuto della linea comunista nazionale per il controllo delle formazioni combattenti nel centro-Italia. Cui Facio si oppone con spavalderia. Scatta così la seconda condanna a morte, in duplice versione: il dibattimento-farsa nel 21 luglio 1944 per beghe di ripartizioni dei lanci alleati, con condanna alla fucilazione eseguita il 22; oppure l’uccisione immediata con messa in scena a posteriori del processo, pezze d’appoggio apocrife e testimoni mendaci. Laura Seghettini compresa, la compagna di Facio; per le minacce dell’anima nera del misfatto – il commissario politico Antonio Cabrelli “Salvatore” – ma anche per sottomissione ai voleri imperscrutabili del partito. Che premierà il bieco assassino con la segreteria dell’ANPI Spezia nel 1947. Puro Buio a Mezzogiorno: l’opera di Arthur Koestler sui processi staliniani, in cui eroici militanti, mai piegati dalle torture naziste, si denunciano per vassallaggio psicologico. Come Facio, suggestionato dal bisogno di appartenenza da ammettere colpe indebite. Macabra ironia, nel 1962 la presidenza della Repubblica attribuirà al reo confesso la medaglia al valor militare. Un’acquiescenza patologica sperimentata anche da mio zio Scoglio, arrestato nel ’46 mentre con i compagni della Coduri caricava armi su un cargo di antifranchisti catalani. Se lo indignarono le manette del poliziotto che mesi prima era lui ad arrestare, da camicia nera, peggio risultò scoprire la delazione dei togliattiani.
Anche questo fu Resistenza. La cui memoria va difesa non solo dal prepotente ritorno del Fascismo, ma anche da laudatori acritici e custodi settari.
Pierfranco Pellizzetti
Il caso “Facio”, storia di eroismo e stalinismo
La fucilazione di un partigiano segnata dal sospetto; arma degli stalinisti di ieri e, aimè, di oggi. Precisando che il caso “Facio” Dante Castellucci, illumina il valore della Resistenza, quello umano e politico di uomini come lui. Nel 2007 presentai il libro di Carlo Spartaco Capogreco, dal titolo che riassume l’intera vicenda: “Il piombo e l’argento”. Con il piombo metafora dell’esecuzione. Solo la tenacia di uomini giusti recupererà la realtà dei fatti e la successiva concessione del sigillo aureo. La vicenda di quel giovane e della sua famiglia; emigrata in Francia dalla provincia di Cosenza. Lì Dante si rivela ragazzo sveglio e studioso. Durante la crisi degli anni ‘30 avviene il rientro in Calabria. Dante è anche un eccellente suonatore di violino e chitarra, buon decoratore, scrive poesie. Nel 1940, chiamato alle armi, compie ad Acqui Terme il servizio militare. Nel 1942, con l’Armir in Russia, è ferito sul Don e rientra in Italia. Qui incontra Otello Sarzi, un artista antifascista, che lo ingaggia nella sua compagnia viaggiante. In questo pellegrinare sul territorio incontrerà la famiglia Cervi nel luglio del 1943. E si passa all’azione diretta contro i fascisti. In seguito alla cattura del gruppo e alla fucilazione dei Fratelli Cervi Dante riesce a fuggire. Questo fatto attira il sospetto quale spia fascista. Tanto da affrontare il giudizio del comitato militare clandestino reggiano. La sentenza la condanna a morte. Così entra nella formazione partigiana “Picelli”. Col nome di battaglia “Facio” guida la divisione in diverse scontri con i nazifascisti. Partecipa a quello leggendario e drammatico di Lago Santo: 16 morti e 36 feriti partigiani. Anche questa cronaca sarà utilizzata per creare ulteriore discredito. Successivamente verrà attirato in un tranello, dove subirà il processo che lo farà fucilare il 22 luglio 1944. Invidie, calunnie, contrasti politici tra formazioni, condannano a morte un giovane innocente. Si dovrà attendere vent’anni per una prima riabilitazione, viziata dall’incapacità di raccontare tutta la verità: si concede la medaglia dal Comando partigiano XV zona ma con motivazione falsa. Solo nel 2007 la totale riabilitazione, grazie a studiosi capaci di cancellare il sospetto staliniano e ricostruire la verità. Il titolo già citato, del piombo e dell’oro, è sintesi e metafora di una pagina buia della resistenza, con erre minuscola, per ridare piena luce a uomini come “Facio”. Su cui non può allignare il sospetto.
Getto Viarengo
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
Elezioni a San Remo: due Destre in campo. E la Sinistra?
Nel prossimo giugno, con le elezioni europee, si vota anche per le comunali a Sanremo.
Da qualche mese ci si prepara alla partita, molto interessante perché l’attuale sindaco Biancheri non si potrà più ricandidare. Alberto Biancheri era già stato protagonista di una giravolta politica durante il primo mandato (2014-2019), cambiando sostanzialmente il senso e l’orientamento della sua maggioranza, da civica e centro-sinistra a (progressivamente sempre di più) civica e centro-destra. Ora conferma e consolida questa natura ispirando e costruendo una proposta elettorale che lo vede alleato di colui che fu il suo contendente perdente (di destra) nella competizione del 2019 e presentando un fronte vasto che comprende la sua maggioranza uscente e un magma composto da Associazioni variamente ispirate da personalità locali, tutte dell’ambito del centro-destra. Il candidato proposto è l’algido Avvocato Alessandro Mager, uomo nuovo della politica.
Accanto a questa proposta si colloca, in versione di maggiore concorrente, la destra classica, partitica, ufficiale: i partiti governativi coordinati dal Senatore Berrino, l’ex Sindaco Zoccarato (recuperato dall’era pre-Biancheri, di cui per il secondo mandato era stato sostenitore), il presidente Toti e la sua formazione. Ma alcuni totiani sono insofferenti e si collocano con il centro-destra civico. Il candidato è l’Ing. Rolando, già proposto in elezioni precedenti. In questa miscellanea, c’è chi non dispera ancora in una réunion dei due fronti (lo stesso Toti per interessi di sua prospettiva politica), con un nome unico di sintesi; gli intrecci sono tanti e sostanziosi, ma anche i personalismi e le ambizioni. Insomma, tipici ricollocamenti sanremesi in una città conservatrice che esprime prevalentemente una vocazione e una storia a destra.
Unica novità è nel centro-sinistra con candidato l’ex Segretario Provinciale CGIL Fulvio Fellegara, che ha il pregio di riunire finalmente tutto il centro-sinistra, con un ritrovato PD insieme alla sinistra di Progetto Comune e Associazioni storiche come Sanremo Insieme. Fellegara è giovane e dinamico, portato all’ascolto, impegnato sui temi delle “periferie” urbane e sociali, dell’ambiente, del lavoro e della cultura.
Dà speranza ed è un ottimo investimento e, in questo scenario in movimento, si spera possa rappresentare non solo un chiaro elemento di rottura con le logiche e gli equilibri del passato, ma soprattutto un elemento di sorpresa!
Daniela Cassini
PASSEGGIATE D’ARTE
Le bellezze dimenticate da riscoprire
San Giorgio e il Drago
Piazza San Matteo è stata il cuore della consorteria della famiglia Doria: con i suoi palazzi, caratterizzati da fregi di archetti e dal tipico paramento a bande bianche e nere, crea ancora oggi l’illusione di ritrovarsi in pieno Medio Evo.
Inizialmente i Doria abitavano in un borgo esterno alle mura c.d. carolingie, ma quando nel XII secolo furono costruite le nuove mura dette “del Barbarossa”, i palazzi entrarono far parte della cerchia urbana. La sistemazione della piazza avvenne nella seconda metà del XII secolo e grosso modo corrisponde a quella attuale, anche se ovviamente i palazzi hanno subito all’interno significative modifiche. La sua collocazione era assolutamente strategica in quanto era poco distante dalle più importanti consorterie familiari genovesi e vicina alla cattedrale di San Lorenzo, a Piazza Soziglia e a Via Luccoli. La Chiesa di San Matteo in stile gotico è datata 1278, quale rifacimento della precedente in stile romanico e riprende i motivi ornamentali dei palazzi con i quali è collegata.
Nella piazza, dopo il palazzo di Branca Doria, venne edificato quello di Lamba Doria, donato dalla Repubblica di Genova al condottiero vincitore della battaglia di Curzola il 7 settembre 1298 con un portico a quattro arcate e formato da due corpi di fabbrica affiancati unificati nella facciata, quello di Domenicaccio Doria, con portico a tre arcate ogivali, e il palazzo Giorgio Doria, detto anche palazzo Doria Quartara costruito nel XV secolo, accorpando più case medievali tra cui quella di Oberto Doria. Al piano terreno si può notare un’opera di pregevole qualità, ossia il portale opera di Giovanni Gagini da Bissone, datato 1457 e che colpisce soprattutto per il soprapporta che raffigura San Giorgio con il Drago Per la prima volta lo scultore inserisce una fascia decorativa che unisce il soprapporta con la cornice del portale, con un elemento di assoluta novità rispetto alla precedente tradizione figurativa. E’ una scultura emozionante, anche se manca il volto del Cavaliere e gli scudi sono abrasi, tuttavia spiccano i dettagli come il pastore che suona la cornamusa e il gregge al pascolo. Ci sono gli spettatori che assistono alla scena del Santo che trafigge il Drago, c’è la principessa che indossa una morbida tunica, la corona sul capo e le braccia incrociate sul petto e ci sono i gendarmi che presidiano la scena, racconto vivo e palpitante delle gesta di un Santo probabilmente mai esistito, ma molto amato in città. Era privilegio esclusivo dei capitani che avevano difeso il vessillo di San Giorgio adornare l’ingresso del proprio palazzo con le effigia del patrono militare della Repubblica e quando passeggiando nel Centro Storico si notano portali con la rappresentazione del Santo ciò costituisce un sicuro indizio che in ciascuno di quei palazzi ha abitato un valoroso comandante di Genova. In seguito il palazzo appartenne a Isabella Gnecco e poi divenne proprietà della famiglia Quartara.
Orietta Sammarruco
.
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga
Pubblichiamo per gentile concessione di Piazza Levante queste considerazioni di Antonio Gozzi, a seguito del convegno a Palazzo Ducale “L’impero di Genova dal Mar Nero all’Atlantico”, sulla partita giocata nel Mediterraneo dal nostro capoluogo nella sua storia millenaria e che le vicende geopolitiche odierne riportano a nuovo. Da leggere in sequenza con l’intervento di Michele Marchesiello nella rubrica Spazio e Porti.
Cosa ci insegna la storia di Genova e Venezia nel Medioevo?
Secondo Alessandro Barbero, il modello genovese è unico. “Un sistema pubblico-privato che differenzia Genova da Venezia dove prevale l’aspetto pubblico. A Genova tutti possono trafficare, a Venezia tutto è regolamentato. L’iniziativa privata ha svolto un ruolo cruciale nella costruzione dell’impero genovese. Le flotte erano costruite e gestite da armatori privati, le maone corrispondevano a compagnie commerciali private, persino azioni militari furono organizzate da privati”. Le rotte marittime genovesi e le “colonie” (in sostanza limitate a fortificazioni intorno ai porti, agli attracchi e ai fondaci) riguardano tutte le coste del Nord Africa dal Marocco all’Egitto, i Balcani e il Mar Nero. Ragionare su questa epopea – dal 1250 al 1400 – ci fa riflettere sull’importanza crescente del Mediterraneo e il ruolo che l’Italia e le sue città di mare (per prima Genova) possono giocare. Per due ragioni. La prima è che l’espansione genovese medievale ci indirizza verso aree sempre più strategiche per il nostro Paese. Dove possiamo giocare una partita vitale per vicinanza culturale ed empatia storica con le popolazioni. L’Italia ‘traduttore’ dei valori dell’Occidente per Paesi in cerca di riscatto economico e di progresso. Il nostro saldo ancoraggio atlantico e la capacità di dialogo ci consentono di operare meglio di altri Paesi europei con un passato coloniale più ingombrante del nostro. La seconda ragione sta nelle modalità con cui l’espansione genovese, insieme a quella veneziana, avvenivano. Privatistiche le genovesi, statuali e pubbliche le veneziane; così diverse eppure entrambe di successo.
Il baricentro europeo, a lungo basato sull’asse franco-tedesco, nei prossimi anni si sposterà a sud; per ragioni demografiche, economiche, geostrategiche. È nella cooperazione mediterranea a sud e a est che la stanca Europa può ritrovare l’energia vitale che oggi le manca nella competizione internazionale. Porti, piattaforme logistiche, cantieri navali, investimenti in energia rinnovabile e idrogeno, infrastrutture sottomarine, sfruttamento delle disponibilità di gas presente nel bacino per essere decarbonizzato come energia della transizione, formazione di mano d’opera giovane per flussi migratori gestiti e regolati, tutto ciò rappresenterà il banco di prova per un cambiamento anche culturale. Se importare prodotti e componenti dall’Asia diventa sempre più rischioso e costoso, perché non sostituirli almeno in parte con altri localizzati nel bacino del Mediterraneo?
Tonino Gozzi