SAPERE PER DECIDERE
CONTROINFORMAZIONE LIGURE
Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- ECO DELLA STAMPA
- Vittorio Storaro, a proposito di Carlo
- ECO DALLA RETE
- LA LINEA GENERALE
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- SPAZIO E PORTI
- SALUTE E SANITÀ
- FATTI E MISFATTI
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- PASSEGGIATE D’ARTE
- GENOVA MADRE MATRIGNA
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Numero 18, 15 marzo 2024
SPIFFERI
Bucci e Rixi come Salvini e Meloni?
Voci attendibili segnalano simmetrie del Potere tra Roma e Genova: nel silenzio dell’opposizione più inerte di sempre, in entrambe le sedi il fisiologico conflitto politico si ricrea entro la stessa maggioranza. Chi più di Matteo Salvini predispone quotidiane imboscate al premier Giorgia Meloni? Chi, più del vice-ministro Edoardo Rixi, lascia trapelare preoccupazioni per i deliri d’onnipotenza del commissindaco Marco Bucci: i suoi dialoghi previlegiati con i soli Aponte e Spinelli, a scapito del resto della business community locale, le sue attenzioni per la “Genova bene” di Levante a danno del popolo di Ponente. Scelte che attizzano risentimenti e possono mettere a repentaglio le aggregazioni elettorali. Mattane a cui un politico di lungo corso come Rixi non può restare indifferente.
O Boccadâze, quande a ti se chin-na
Il carnevale è passato, ma non in uno dei borghi più belli al mondo: la Boccadasse di Edoardo Firpo, ma anche di De Andrè e Paoli. Non credo ci sia un ligure che non ci si è mai fermato ad ascoltare il rumore del mare e a guardare le stelle tra le case dei pescatori. Scordatevi tutto: Boccadasse diventerà una sorta di Las Vegas, illuminata a giorno da migliaia di led. Non è uno scherzo: il CIV e la Pro Loco hanno avuto la bella pensata, ora approvata perfino dalla Soprintendenza, di questo scempio. Ma solo perché dietro ci sono i soldini e la pubblicità di una società svizzera di energia e illuminazione, la Axpo. Tenetela bene a mente quando vi telefoneranno dicendo se volete passare ad Axpo. Come dicono a Striscia la Notizia: per ora è tutto ma ritorneremo sull’argomento. Save Boccadâze.
Capitale o acchiappacitrulli?
Dopo il favoloso 2023 di Genova proclamata capitale del libro (pur in assenza di case editrici di livello nazionale e con librerie che chiudono una dopo l’altra) e – a far buon peso – capitale del formaggio (quando, al massimo, il titolo poteva andare a Recco per l’omonima focaccia), ecco arrivare nel 2024 l’ascesa a capitale dello sport. In una città popolata da d’anziani che, al massimo, potrebbero praticare il salto del catetere. In attesa che venga riconosciuto disciplina olimpica. Fatto sta, questa corsa a capitale di qualcosa risale alla fine degli anni ’80, quando un city-boss post-comunista proclamò l’investitura genovese a capitale del pesce azzurro (slow fish). Ora come allora il diversivo dei nostri politici per nascondere la loro incapacità di indicarci un sentiero di crescita.
C’È POSTA PER NOI
Riceviamo da una nostra lettrice
Frana a Capolungo
Dal 2014 le amministrazioni succedutesi al governo di Comune e Regione, hanno fatto di tutto per non riconoscere le loro responsabilità in merito alle cause che hanno determinato l’evento franoso ed hanno usato tutti i pretesti possibili per non adempiere agli obblighi imposti dalle sentenze del Tribunale.
Da anni era talmente noto il rischio che anche la Capitaneria aveva già vietato alle imbarcazioni di sostare a ridosso della costa, non è quindi il caso di sventolare tesi vergognose, come se le ripetute perizie non ne avessero già ampiamente chiarito il “perché della frana”. Adesso basta, un’amministrazione seria non gioca con la vita dei cittadini colpiti dall’evento, lo possono fare le persone senza etica e senza scrupoli, non coloro che hanno assunto un ruolo politico nel solo esclusivo interesse della città e dei suoi abitanti. Cari amministratori dimostrate una volta per tutte di avere un briciolo di rispetto per voi stessi, agite senza espedienti e fatela finita.
Giovanna Pucci
ECO DELLA STAMPA
Il grande direttore della fotografia Vittorio Storaro tre volte premio Oscar parla sul Secolo di venerdì 8 marzo della sua collaborazione con Carlo A. Martigli, di cui leggete le opinioni su Controinformazione L.
Vittorio Storaro, a proposito di Carlo
«Con la luce ha scritto la storia del cinema. Vittorio Storaro, grande autore della fotografia tre volte premio Oscar, conosce il segreto del successo: ‘lavorare divertendosi’. Ha collaborato con i più importanti maestri da Bernardo Bertolucci a Francis Ford Coppola, da Warren Beatty a Carlos Saura e Woody Allen nell’ultimo “Colpo di fortuna”.
Con la Liguria ha un rapporto?
L’ho frequentata negli anni attraverso gli amici. Recentemente sono venuto a Genova per incontrare lo scrittore Carlo A. Martigli. Io amo i suoi libri, lui amava i miei film. Abbiamo lavorato insieme alla stesura di una sceneggiatura ricavata dal trattamento figurato che avevo preparato sul viaggio della Sacra Famiglia in Egitto, dalla nascita di Maria ai dodici anni di Gesù. Ci siamo basati sui quattro Vangeli, ma non solo, per ritrovare episodi della vita di Gesù, un bambino che rappresenta la trasfigurazione tra la divinità e l’umanità. Ci spedivamo le nuove pagine in un ping-pong di quattro mesi. Posso dire che Genova per me è rappresentata dalla creatività di Martigli».
Riportiamo un’ampia sintesi dell’articolo di Andrea Moizo apparso su il Fatto del 3 marzo, qui commentato anche negli editoriali da Roberto Guarino
Genova, il tunnel voluto da Bucci può costare 1,6 mld
«Al Fatto risulta che il costo della galleria stradale urbana di 3,4 km, passando 45 metri in profondità sotto il porto, potrebbe più che raddoppiare a 1,6 miliardi di euro. L’opera che dovrebbe essere un risarcimento. Nel 2021 Marco Bucci e Giovanni Toti rimodularono con Autostrade per l’Italia il pacchetto ristori per il Morandi, barattando 10 anni di pedaggi gratuiti sulla rete genovese con l’impegno a realizzare il tunnel. Aspi pose la condizione di ribaltare sulla tariffa nazionale ogni euro eccedente i 700 milioni del costo stimato. La cifra di 1,6 miliardi è conosciuta da Edoardo Rixi, viceministro genovese alle Infrastrutture, che però spegne gli allarmi. “L’approvazione del Piano regolatore portuale – dice Aspi – consentirà di garantire la gestione ottimale dei costi allocando le terre di scavo al porto”; confermando il superamento dell’ultima versione del progetto, che prevedeva di riempire tre calate portuali, conferire una parte alla nuova diga foranea in costruzione e smaltire il resto (20%) in discarica. Ma la pianificazione portuale non prevede di riempire che due calate e la seconda fase della diga non è progettata né finanziata. Qui la vicenda s’intreccia con un’altra partita. Da due anni l’Autorità portuale sta redigendo il nuovo Piano regolatore. Però Bucci, ampliando senza titolo i poteri commissariali post Morandi, da tempo lavora nell’ombra a un piano parallelo e un paio di settimane fa ha cominciato a farne mostra privata al tycoon di Msc Aponte, ad alcuni industriali e, parrebbe, Aspi. Il suo disegno ha la soluzione per gli extracosti del tunnel prevedendo che lo “smarino” finisca nel raddoppio a mare dell’aeroporto (su cui Msc ha messo gli occhi) e nel tombamento di cinque calate portuali. Prospettive gradite a pochi grandi operatori portuali (Msc e soprattutto Spinelli), fonte invece di frizioni con molti altri, sia per tempistica (6 anni i lavori del tunnel) che per quantità. Oltre alle distonie con l’Autorità portuale, il piano Bucci è fortemente squilibrato a favore delle zone “bene” del levante cittadino e le reazioni dei quartieri del ponente preoccupano: l’enorme colata di cemento nel mare di Pra’ è il cardine del disegno, Multedo sarà gravata della navalmeccanica e il mare s’allontanerà da Sampierdarena. Rixi, Toti & C. sanno anche questo, ma l’extra-costo del tunnel è una bomba e il “commissindaco” una loro creatura più difficile da controllare. Forse è per questo che di tutto ciò la cittadinanza è stata tenuta all’oscuro».
Andrea Moizo
ECO DALLA RETE
Riceviamo e pubblichiamo con sentita partecipazione la voce amarissima dei portuali genovesi
Perché Bucci e Pazienza ridono demolendo attività e occupazione portuali?
Lasciamo discutere gli urbanisti sull’utilità del tunnel sub-portuale. Va ricordato solo che il progetto nasceva come alternativa alla Sopraelevata (estetica? funzionale?), mentre ora si dice che non lo è più. Lasciamo agli economisti i costi del tunnel che da 700 milioni, coperti da ASPI (Autostrade) a indennizzo di Genova per il crollo del Morandi, salgono a 1 miliardo ufficiale ma probabilmente a 1,6 mld. L’aumento sarà pagato dai pedaggi sull’intera rete, mentre gli automobilisti genovesi hanno già perso, grazie all’accordo tra Bucci e ASPI, le esenzioni dal pedaggio nel nodo genovese sino al 2031. Tali somme accresceranno il fatturato e i profitti di ASPI, costruttore del tunnel insieme alle ditte di appalto “in house” (perché non ci saranno gare). Lasciamo agli storici dire se è stato un momento “storico”. Del resto il progetto è stato accarezzato da tutte le giunte comunali degli ultimi vent’anni e il fatto che da allora la città abbia perso il 10% della popolazione non ne ha mutato l’impostazione.
Mentre dietro i volti autocelebranti degli artefici dell’impresa (il primo da destra che ride è Piacenza, commissario del porto) compaiono le ruspe che per aprire l’ingresso del tunnel abbattono CSM, il più vecchio magazzino del porto, nato 70 anni fa e trasformatosi con i container mantenendo la pratica della “rottura del carico”, ossia le attività a valore aggiunto sulle merci in transito scaricate e lavorate prima di essere rispedite. Un’azienda viva, lembo di quell’agognato “distripark” dedicato ad attività come confezionamento, assemblaggio, controllo di qualità, imballaggio, secondo le richieste del cliente finale. All’alba del nuovo porto di Genova riformato e ingigantito dall’espansione di Prà, negli anni 90 il postponement costituiva una delle prospettive di crescita sia dell’occupazione che del reddito locale. Promessa rimasta tale per il disinteresse dei terminalisti e l’inerzia di Palazzo San Giorgio contro la deriva del “porto pipe-line”, in cui le merci scorrono veloci come in una condotta di petrolio lasciando solo esternalità negative. Ora magazzini e valore aggiunto sono decantati da Bucci (il primo da sinistra che ride) solo per violare l’accordo di programma per le aree dell’acciaieria di Cornigliano a beneficio dei propri piani.
Chissà cosa succederà delle aziende industriali a Levante, dove il tunnel dovrà uscire.
Ci auguriamo di non sentire altre risate.
Porto di Genova – Comitato per il dibattito pubblico
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
A proposito del tunnel sub-portuale genovese
Pur lusingato che un quotidiano a diffusione nazionale dedichi quasi una pagina intera a un fatto locale, noto che praticamente tutti gli argomenti elencati sono già noti, almeno alle persone che come me hanno un minimo background tecnico e un minimo interesse per la cosa pubblica. Quello che più mi preoccupava già prima, mi preoccupa e, sono sicuro, mi preoccuperà è che, in presenza di addirittura due Ministri, si è “inaugurato” il cantiere di un’opera che ancora presenta tante e tali incognite progettuali che farebbero tremare le vene dei polsi a qualunque Project Manager degno di tale incarico. Il Commissario ha ben presente queste incognite? Mi spiego: durante anni di vita professionale il mio vecchio capo e mentore ripeteva a noi giovani ingegneri: “un’ora in più spesa in progettazione fa risparmiare 10 ore di officina e 100 ore di cantiere”.
Questo per far capire che la progettazione (sempre e per qualsiasi realizzazione, dal pollaio alla Tour Eiffel) deve rivestire un’importanza focale. Deve essere accurata, controllata, e possibilmente completa.
In questo caso, un dettaglio non da poco è il conferimento di 2,5 milioni di metri cubi (sic): non si sa ancora bene come. Il conflitto tra Piano Regolatore Portuale e desideri del Commissario è cosa nota. Gli operatori portuali (MSC e Spinelli ad esempio) spingono per una soluzione di tombamento in zona Sampierdarena, altri frenano. Il riempimento dei cassoni della nuova diga è per il momento nel mondo dei desideri. È doveroso ricordare che Webuild ha condizionato le sue stime di costo alla soluzione, a loro grata, dello smaltimento dei materiali di risulta; a quanto pare soluzione piuttosto lontana. Il problema degli espropri degli operatori delle officine navali è lontano dalla soluzione. Lo sbocco in zona foce non è ancora stato definito, come non sono ancora stati definiti eventuali sbocchi/ingressi intermedi.
Ancora: “l’affair” tariffe. Il Tunnel avrebbe dovuto essere la compensazione dei danni che Aspi causò a Genova con il crollo del Ponte. Già si parla di eventuali pedaggi per la quota “eccedente” al preventivo (attuale 700 M€, previsioni per oltre 1,5 MD€). Però non si capisce il meccanismo del ribaltamento sulle tariffe autostradali di tutto l’eccedente per quanto riguarda il costo dell’opera. Ma ASPI non è fuori dalla gestione della rete?
Infine: dove sta il progetto? Per il Ponte il progetto completo fu pubblicato sul sito del Comune e reso disponibile a tutti; io lo lessi con interesse professionale.
Quello del Tunnel?
Roberto Guarino
Tu vo’ fà l’americano: fenomenologia di Marco Bucci
Fa parte del personaggio la gag del nostro commissindaco di alternare nei propri speach frasi in italiano e slang degli States. A costante memento pubblico del suo curriculum di manager stelle-e-strisce. Più esattamente, la sua esperienza lavorativa nell’antica multinazionale produttrice di materiali e apparecchiature fotografiche: la Kodak di Rochester. Seppure non ci è chiaro con quali ruoli ricoperti. Quanto si sa è che il Nostro ha lavorato nell’azienda degli involucri giallo-polenta dal 1999 fino al 2016. E questo nonostante la ditta fosse già stata dichiarata fallita nel 2012; poi passata a Instagram e infine rilevata da Facebook. Ma che ci faceva in azienda, il Bucci? Certamente non era operativo nel settore ricerca&sviluppo, visto che la sua laurea in farmacia non ha nessuna attinenza con il fotosensibile. Così pure con l’area amministrativa. Per esclusione, si può ipotizzare un impiego nelle vendite, come darebbe conferma la collocazione – secondo abbellimento da curriculum – quale addetto “ai piani di espansione dei marchi”. Posizione singolare in un’azienda a encefalogramma piatto per totale smarrimento della capacità innovativa nel dopo analogico (ultima occasione: nel 1975 il Top Management cestinò l’invenzione del suo ingegnere Steven Sasson che aveva realizzato la prima fotocamera digitale. E fu un’incomprensione fatale). Sicché l’unica lezione manageriale that’s american that’s all right (copy Sante Baylor – l’americano a Roma di Alberto Sordi), ricavabile dal settennato, risulterebbe il taglio delle teste: quella di far fuori personale come ricetta manageriale laboursaving (il massmediologo Jaron Lanier, che Time 2010 inserì tra i cento pensatori più influenti del tempo, quantificò la mattanza Kodak nel passaggio dai 140mila addetti degli anni migliori ai tredici presenti al momento della cessione). Dunque, quel sovrano disprezzo verso la piccola gente, che porta il nostro attuale Primo Cittadino a scaricare – fregandosene altamente – ogni disagio sugli abitanti del Ponente genovese; con un costante occhio di riguardo per i quartieri benestanti a Levante. Anche questa una lezione americana; per gli arrampicatori sociali (o social climbers, tipo “Lupo di Wall Street”): blandire ricchi e potenti per essere cooptati nel loro club esclusivo.
Pierfranco Pellizzetti
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
Bucci non è Barabino
A seguito del “Piano di ampliamento della città” di Carlo Barabino (1825), nella seconda metà del XIX secolo si sviluppò a Genova un ampio dibattito sull’urbanizzazione delle nostre pendici collinari. Il problema di intervenire sulle affascinanti ortografie verticali rendendole accessibili grazie a infrastrutture di orizzontalità. Di cui continuiamo a godere i servizi. Anche oggi Tursi pretenderebbe di promuovere un vasto piano infrastrutturale. Ma dando l’impressione di muoversi a casaccio: del resto Bucci non è Barabino.
Genova, che da verticale si scoprì orizzontale
Le mura medievali cingevano un’area di 55 ettari controllati dalla Chiesa e dalle Consorterie nobiliari, racchiudevano un organismo urbano stratificato e unitario, sviluppato ad anfiteatro attorno al mare. La mancanza di spazi produce caratteristiche peculiari: come rileva nel 1850 Louis Enault, se Genova avesse avuto comodi spazi per costruire, non avremmo l’originalità architettonica che introduce in ogni anfratto “l’inatteso della grandezza”. Né avremmo il primato europeo della pianificazione urbanistica: risale infatti al 1550, in pieno “siglo de los genoveses”, il grande progetto di trasformazione urbana a partecipazione pubblica e privata, col tracciato della Via Aurea. Se non abbiamo aree pianeggianti le creiamo, con la logica insita nel nostro DNA contadino dei terrazzamenti sostenuti da muri. Basta recarsi sul belvedere di Castelletto per abbracciare la storia urbanistica della città; un poema epico dall’anno mille ai giorni nostri: l’anfiteatro medievale, il grande anello pianeggiante cinquecentesco, poi ancora ripida collina fino al nuovo grande intervento urbanistico del Barabino, col nuovo terrazzamento di circonvallazione a monte, in quota 80 mt. Mutamenti senza perdita di identità, intimamente connessi con le esigenze dello sviluppo, il rispetto del territorio e delle tradizioni. Nel 1825 Barabino ci regala la teatrale originalità dei collegamenti fra le diverse quote: non vie arcuate che assecondano le curve di livello, ma frecce perfettamente perpendicolari fra il centro e la nuova pianura inventata in collina: via Assarotti, via Palestro, via Caffaro, via Pertinace. Non a caso, per accentuarne il carattere, le schianta su muraglioni scenografici, accuratamente decorati, vere quinte teatrali. Ovviamente vie faticosissime da percorrere, persino dai genovesi, “stambecchi di mare” capaci di correre in salita senza rallentare. Ed ecco dunque il fiorire di funicolari (S. Anna, Zecca), ascensori visionari (Montegalletto, unico al mondo che percorre una tratta in orizzontale prima di salire verso corso Dogali), cremagliere (Granarolo). In totale 14 ascensori, 2 funicolari e una cremagliera, che quasi passano attraverso i salotti delle case circostanti, offrendoci intime visuali. Già Stendhal si lamentava della fatica che Genova chiede ai suoi innamorati, financo per raggiungere gli appartamenti dei nobili, “quasi sempre al terzo piano per poter vedere il mare”. Ma per noi genovesi l’incomparabile mutevolezza della nostra città vale ogni fatica.
Marina Montolivo Poletti
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
ANPI, che succede?
Uno dei dati più preoccupanti per la salute civica è la presenza di fenomeni involutivi nell’associazionismo locale; il termometro e l’antemurale della qualità democratica.
Due anni fa la crisi che portò il nostro magazine sull’orlo della chiusura avvenne per lo scontro redazionale tra chi intendeva andare a fondo sulle scelte di Legambiente Ligure che chiudeva circoli “indisciplinati” (perché sgraditi al duo Bucci-Toti) e quei colleghi che invitavano alla prudenza “dei panni sporchi da lavare in casa”.
Oggi cominciamo ad avere dubbi su un’altra benemerita associazione, nella sua espressione genovese: l’ANPI, custode del capitale politico e civile di una lotta partigiana che dalle nostre parti conobbe esempi di vero eroismo. Seppure tra luci e ombre, una bandiera di giustizia e libertà per i nostri concittadini; soprattutto ora, che buio fosco cala sulla vita pubblica genovese e ligure. Ci ha messo in guardia un recente episodio legato alla prima rivista di cultura politica italiana – MicroMega – che ha dedicato il numero 1/2024 ai valori della Costituzione. Un circolo cittadino aveva invitato Paolo Flores d’Arcais e il sottoscritto a presentare tali tesi il 27 febbraio scorso ai giardini Luzzatti, proponendo come discussant la vice-presidente dell’ANPI provinciale. Fu – quindi – con sorpresa che sulle locandine non trovammo il suo nome, sostituito con quello del pur stimabilissimo Sergio Dalmasso (che poi si rivelò un ottimo interlocutore). Incuriositi dal cambio, scoprimmo un veto nei confronti della testata. Probabilmente a seguito della presa di posizione di PFdA sulla vicenda ucraina: la sua puntigliosa distinzione tra aggressori e aggrediti. Posso ammettere che tale posizione pecchi di schematismo (le vicende belliche in quella che papa Bergoglio chiama “Guerra Mondiale a pezzi” sono episodi di un più vasto moto tellurico legato alla fine della centralità americana nel sistema-Mondo). Il che non giustifica il rifiuto del dialogo e relativa messa all’indice. Del resto analogo episodio di intolleranza di soci ANPI contro la rivista si era verificato la settimana prima a Palermo. Insofferenze localizzate: visto che nello stesso tempo l’ANPI di Bologna mi chiedeva l’autorizzazione a pubblicare sul loro house organ un mio recente saggio apparso nel sito di Mm (Il Male come normalità). Stalinismi/putinismi e/o togliattismi a pelle di leopardo? E perché un nucleo qualificato di consiglieri ANPI di Chiavari si dimettono dal direttivo? Parliamone.
Pierfranco Pellizzetti
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
L’Autorità Portuale fa entrare le due volpi nel pollaio
Giorni fa gli agenti marittimi lamentavano sul Secolo XIX che il Piano regolatore portuale in corso di elaborazione sotto la guida del Presidente-Commissario Piacenza, per favorire il traffico container escluderebbe il traffico delle rinfuse secche nel porto di Genova a favore di quello di Savona.
Ricapitoliamo. Nel 2017 l’Autorità portuale presieduta da Signorini approvò la vendita della società concessionaria del Terminal Rinfuse Genova dal Gruppo Ascheri alla coppia MSC-Spinelli, già titolari rispettivamente della concessione a levante (Bettolo) e a ponente (Ponte Etiopia). Entrambi operatori di navi container e ro-ro, privi di esperienza e interesse nella movimentazione delle rinfuse secche, Aponte e Spinelli erano attratti esclusivamente dall’impossessarsi delle calate Concenter e Giaccone e le relative banchine (l’area del Terminal rinfuse), allo scopo di ottenerne il riempimento per realizzare un’unica banchina lineare dedicata ai loro esclusivi traffici di container.
Due autentiche volpi, Aponte e Spinelli, come ripetiamo da tempo, a cui Signorini, in caccia di “meriti” con i padrini politici da cui è stato ripagato con la promozione economica in IREN, ha aperto la porta del pollaio per “fare strage” delle rinfuse, nel silenzio/assenso quasi generale, purtroppo, del porto e della città. Anche degli agenti marittimi. C’era un problema però. La concessione ereditata con l’acquisto del terminal scadeva nel 2020. Nelle more della proroga richiesta, Aponte nell’estate del 2021 ha messo a rapporto Toti, Bucci e Signorini disponendo che affrettassero la costruzione della diga e il riempimento delle calate per giungere rapidamente alla banchina lineare per i suoi container. Signorini, invece che prendere atto della volontà dei due soci di abbandonare le rinfuse e quindi negargli la proroga, gliene ha concesso una di 30 anni! Nel mentre, non contento, faceva eco a Aponte e Spinelli in occasioni ufficiali dichiarando che il terminal rinfuse sarebbe diventato una banchina ad esclusivo uso dei container.
Non diciamo un giudice, ma non c’è stato neanche un politico o sindacalista o un giornalista o un operatore sinora che abbia chiesto conto, allora come oggi, a Signorini o al successore Piacenza, allora suo segretario generale, del perché sia stata fatta la proroga di 30 anni a Aponte e Spinelli per fare traffici che negano di volere fare.
R.D’I.
Se a Palazzo San Giorgio regnasse la legge
Una proroga, a scapito degli interessi economici genovesi, che varrà a Aponte e a Spinelli il titolo di pretendere una nuova concessione per i container senza dovere affrontare una gara con altri concorrenti, spartendosi la banchina fifty-fifty. E Genova perderà definitivamente il traffico delle rinfuse, che oggi vale in tonnellaggio, per fare un esempio, più del doppio dei depositi chimici.
Oltre a questo scempio giuridico e amministrativo restano da accertare due aspetti:
Primo, come vanno i traffici dei container nel porto di Genova, per giustificare una tale offerta di banchine per movimentarli, tenuto conto che i terminal che già lavorano con i container a Genova sono sottoutilizzati del 50%? Visto anche che i container continuano a calare dal 2017, ossia da ben 6 anni, costituendo così una evidente tendenza negativa.
Secondo, cosa c’è scritto nel piano di impresa del Terminal Rinfuse sottoscritto da Aponte e Spinelli, ossia il documento principe che legittima l’atto concessorio di proroga rilasciato da Palazzo San Giorgio?
Grazie a una sentenza del TAR Liguria (I sez., 18 marzo 2019, n. 233) l’Autorità portuale ha l’obbligo su richiesta di accesso civico di pubblicare il piano nei suoi dati di rilievo pubblico, ossia i traffici stimati, gli investimenti e il piano occupazionale, dati che non sollevano questioni di “segreto commerciale o industriale”.
A questo scopo e forti di questa sentenza abbiamo fatto l’accesso civico al piano del Terminal Rinfuse. Ma Palazzo San Giorgio ha avuto l’indecenza di inviare un documento di 31 pagine, di cui ben 27 completamente oscurate da OMISSIS e nessuna pagina in chiaro inerente i traffici, l’occupazione e gli investimenti come disposto dal TAR.
È evidente la volontà dell’impresa e dell’Autorità portuale di impedire all’opinione pubblica, anche in violazione della legge, di conoscere la verità.
Intanto gira sui social la foto che ritrae Aldo Spinelli, sorridente e compiaciuto, mentre in un video pubblico mostra il “suo” piano regolatore con in evidenza i riempimenti al posto del terminal rinfuse, condiviso fifty-fifty con Aponte.
Riccardo Degl’Innocenti
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
Fronte Comune per la salute
Già da alcuni mesi opera nella nostra regione il Fronte Comune per la salute, che persegue quella ricerca di raccordo strategico tra le varie realtà in lotta contro la svendita della salute propugnata da sempre dalla line editoriale del nostro magazine. E che auspicherebbe estesa in chiave unitaria a tutte le opposizioni sociali liguri impegnate a contestare la mercificazione in ogni ambito (oltre la salute, l’ambiente, il lavoro, ecc.). Ossia la creazione di vaste opposizioni dal basso alle politiche “estrattive di futuro” perseguite dai nostri governanti locali. Da Toti a Bucci. Abbiamo chiesto al dottor Bruno Piotti, animatore del FCL, di illustrarci le line-guida del suo movimento.
Fronte Comune Ligure per la salute di tutti: insieme per la sanità pubblica
Il Fronte Comune Ligure (FCL) nasce nell’assemblea indetta a Genova (giugno 2023) da una rete spontanea di operatori sanitari, medici, associazioni tematiche e di quartiere. Si è partiti dalla critica alla gestione della pandemia da Covid in Liguria, una delle regioni italiane a più alta mortalità. Una politica che mette a repentaglio il SSN, nato nel 1978 come pubblico, universale e gratuito (legge 838/78). Abbiamo partecipato a manifestazioni di protesta contro la chiusura di servizi ospedalieri nel Ponente e La Spezia, dato vita a reiterati presidi davanti alla Regione, incluso il giorno dell’approvazione del Piano Socio Sanitario da parte della Giunta ignorando le proposte alternative, e davanti alla Prefettura per dire no al Disegno Calderoli sull’ Autonomia Differenziata. Organizziamo momenti di riflessione e confronto con realtà associative di base, coinvolgendo anche operatori dei servizi pubblici di Regione Toscana ed Emilia Romagna. Programmiamo assemblee distrettuali o municipali: è importante “fare rete” per diffondere le “pratiche esemplari” secondo gli obiettivi del SSN, soprattutto sensibilizzando la popolazione. L’originalità del FCL – cui già aderiscono 50 soggetti – sta nel promuovere unità di obiettivi tra espressioni eterogenee ma convergenti sulla difesa dei diritti alla salute; a partire dal rifiuto di qualsiasi Autonomia Differenziata che aggrava le diseguaglianze tra regioni. Rilanciare il Servizio Sanitario Regionale come Servizio Pubblico, con cessazione di qualsivoglia incentivo alla sanità privata; incrementandone il finanziamento con risorse vicine al livello medio europeo (pari almeno l’8% del PIL).
Nello spazio ristretto di queste note, vogliamo ribadire che alle emergenze straordinarie di oggi si deve rispondere con un piano a medio/lungo raggio fondato sul potenziamento della rete territoriale di assistenza e su un piano straordinario di recupero delle risorse umane e professionali: si dovrebbe partire dagli obiettivi della legge 833/78, puntando concretamente sulla prevenzione primaria, non solo per la difesa della salute ma per la promozione del benessere generale. A tale scopo va riorganizzata l’assistenza domiciliare, con trasferimenti e nuove assunzioni. Debbono essere costruite le Case e gli Ospedali di Comunità previsti dal PNRR, dimensionati rispetto alla popolazione esistente. Ricordando quanto detta la Costituzione: la salute non è una merce ma un diritto inalienabile.
Bruno Piotti
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Ho visto cose che voi umani…
Chissà cosa direbbe Rutger Hauer nei panni del replicante Roy Batty di fronte alle cose che a noi genovesi tocca vedere giornalmente, magari simulate a computer grafic.
Immaginiamo la bella voce del doppiatore Iovino che scandisce: “…tunnel subportuali alle porte del Waterfront, funivie balenanti come raggi beta in direzione dei Forti, skymetro sferragliare su piloni piantati in alveo… e tutto questo andrà perduto nell’acqua, come lacrime nella pioggia”.
Perché non aggiungere il plastico con cui il Nostro mostrerà agli ignari d’Oltralpe le meraviglie che sta sognando per la sua Genova meravigliosa 2030? Forse a rivangare i giochi col trenino dell’infanzia con cui meno dannosamente scorrazzava nella casa avita?
E ci sono cose meno evidenti, ma non meno sconvolgenti. Qualche mese fa, con pompa degna di un’eccezionalità, il Comune informava i cittadini della messa in funzione di centraline ARPAL in Val Bisagno per il monitoraggio della qualità dell’aria.
Una di queste, con encomiabile sprezzo del pericolo, in prossimità della cava Cavalletti, sito cui confluiscono per lo smaltimento i residui bituminosi genovesi e che non pochi disagi respiratori e non solo sta arrecando ai residenti. E, a onor del vero, l’impavida centralina ogni giorno ci informava degli allarmanti superi che, sempre alla stessa ora, rendevano l’aria pericolosamente irrespirabile.
Sembrava un atto responsabile in un’area già gravata dallo smaltitore dei fanghi e in vista di un ulteriore forno crematorio/inceneritore, senza contare i 220 cantieri, uno ogni 30 metri per ciascun pilone, di una metropolitana sopraelevata con le zampe piantate nell’alveo del Bisagno; che si estende ben oltre gli argini attuali e sovrasta, pensa un po’, le nostre preziosissime falde acquifere.
I sogni muoiono all’alba e pochi giorni fa ARPAL stoppa l’impavida centralina per poi, non si sa se a seguito delle proteste dei cittadini, dichiarare con candore virginale che lo fa perché, essendo concomitante alla cava il cantiere dello Scolmatore, i dati del rilevamento sarebbero “alterati”. Ma come funziona il rilevamento ARPAL e come ragionano i suoi tecnici? La centralina che rileva una pericolosa fonte di inquinamento viene spenta perché in zona c’è un’altra pericolosa fonte di inquinamento?
Dobbiamo andreottianamente pensar male e dedurne che ARPAL stia facendo un assist agli intenti cementificatori e fornocrematori dei Nostri, lasciando a mandibola slogata anche il povero Roy?
Maura Rossi
Affaire Palazzetto genovese dello Sport: rogna o che altro?
Prima delle dimissioni da responsabile dei servizi finanziari di un grande gruppo bancario per dedicarmi alla scrittura, giovane pischello mi trovavo vicedirettore di alcune filiali liguri di un’altra banca. Ricordo quando stavamo esaminando con il mio capo una serie di pratiche chiamate in gergo “incagliate”, ovvero di aziende che per ragioni varie non restituivano fidi e finanziamenti prestati. Il direttore, un romanaccio simpatico, all’ennesima constatazione d’insolvenza se ne uscì con una frase che ricordo sempre. “A Cà qui er più pulito c’ha ‘a rogna!” Tale frase, di cui non credo occorra la traduzione, torna alla mente a proposito di alcuni fatti vecchi e recenti. Corsi e ricorsi storici, direbbe Giambattista Vico, su quanto ruota intorno alla ristrutturazione, la gestione e alle vendite del Palazzetto dello Sport genovese. Ricordo (senza fare i nomi dei politici di allora; ma ce n’è per tutti, basta rammentare le date) che nel 2018 l’area circostante fu ceduta dal Comune a privati per 14 milioni e spiccioli. Quest’anno Tursi imputa ben 24 milioni a spesa per il riacquisto di solo una parte del complesso. Qualcuno ci ha guadagnato fior di milioni e qualcuno li ha persi. I primi sono i soliti ben noti privati e i secondi noi cittadini. Che razza di operazione è? Peggio di quella dei Magazzini Harrods, dove il Vaticano ci rimise decine di milioni. Però quello è uno Stato sovrano. Qui i soldi sono nostri, gestiti da minus habentes (si può dire? O è meglio capre, alla Vittorio Sgarbi?). Nel migliore dei casi, altrimenti c’è davvero da pensare male. E non vado oltre per evitare denunce. Mi piacerebbe che qualcuno facesse un bell’esposto alla Corte dei Conti. Vedremo se l’opposizione politica avrà gli attributi per farlo. E non è solo questo il punto, se tutta l’operazione nasce per dare spazi pubblici a finalità sociali e sportive. Difatti la nostrana Pubblica Amministrazione, bravissima a spendere soldi, pare abbia alzato bandiera bianca, annunciando di non essere in grado di gestire il Palazzetto; che quindi sarà dato in affidamento a privati. E le finalità sociali, che pure erano la giustificazione (comunque folle, a quei prezzi) del riacquisto, andranno a farsi benedire. A far buon peso: i soldi per l’operazione dove sono? C’è una motivata delibera d’indirizzo?
Aveva ragione il mio capo: qui er più pulito c’ha ‘a rogna”. Oppure…
Carlo A. Martigli
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
Alla ricerca dell’identità ligure: il caso Val Graveglia
Come rappresentare il popolo ligure senza cadere nel folkloristico? Solo un serio lavoro “sul campo” può delinearne i tratti salienti, come ci mostrò nel nostro Levante Hugo Plomteux, insuperato maestro della ricerca etnografica.
Ho avuto il piacere di conoscere il professore dell’Università belga di Lovanio. La mia prima domanda fu capire la motivazione di uno studio così ampio sulla Val Graveglia. “Chiesi ai miei studenti di individuare un oggetto e un metodo di ricerca su un territorio omogeneo e culturalmente non inquinato; un’enclave dove raccogliere l’intero ciclo della vita di una comunità”. Hugo Plomteux mise molte bandierine sull’intero continente europeo, poi iniziò a setacciarne i tanti luoghi e – infine – giunse alle spalle di Chiavari; lungo il corso dell’Entella, dove il Rio Graveglia ne diviene affluente: qui iniziava la profonda vallata, una gola aspra che raggiunge la dorsale Appenninica. Qui studenti e professore iniziarono la loro ricerca nel 1966, a partire dalle venti frazioni del comune di Ne, a pochi chilometri dal mare sino al valico del Monte Biscia. Subito il professore scrisse una “premessa” sulla preziosa caratteristica della valle “chiusa”, non devastata dal modernismo quanto aperta a millenari contatti extra-valligiani, lungo l’Alta Via dei Monti Liguri che attraversa l’intera regione. In particolare, l’area del Monte Biscia, la valle del Vara e il territorio del parmense verso il fiume Taro. Perciò il primo dettaglio tipologico riguarda la cultura ligure letta attraverso le innumerevoli presenze del mondo contadino. Il vero protagonista.
La modernità della pubblicazione sta nel metodo di studio: dalla descrizione del territorio alla vita di relazione. A seguire un grande capitolo di analisi del lavoro umano in Valle Graveglia. Qui il metodo diviene descrizione dell’attività agricola, le sue stagionalità, per concludere – novità assoluta – con il lavoro della donna nell’universo contadino. Solo l’inchiesta Bertani (il deputato che avviò il censimento 1871) ebbe l’attenzione di rilevare i dati relativi alla condizione femminile. Il volume prosegue con la rappresentazione della vita senza trascurare nessun passaggio, dalla nascita alla morte, e si conclude con diverse appendici: cenni di fonetica e morfosintassi, l’originale indice dei termini dialettali rilevati. Un lavoro che conferma la necessità di analoghe ricerche sull’intero territorio. Proprio perché sono sempre più rari “i portatori della memoria” del nostro passato.
Getto Viarengo
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
Mercanti d’acqua, di suolo e di energia
La diga sul torrente Argentina non solo una minaccia per vita nella vallata e il valore del territorio, un rischio per gli ecosistemi. È un’operazione finanziaria che considera l’acqua una merce a disponibilità sempre più limitata da cui trarre profitto. In quest’ottica, con il commissariamento dell’Ambito Territoriale Ottimale, l’organo di governo del servizio idrico imperiese, sono state avviate scelte che determinano il futuro delle nostre comunità.
Per non perdere i finanziamenti Pnrr si riesuma un progetto per la costruzione della diga di Glori, già abbandonato in passato per accertata pericolosità, coinvolgendo Rivieracqua, trasformata dai sindaci in Spa e in procinto di rimettere in discussione l’affidamento pubblico del servizio idrico, a favore di un socio privato. Decisione che tradisce l’esito del Referendum 2011. Il piano si completa con la realizzazione di una centrale idroelettrica nella piana di Taggia, il vero scopo delle opere: prosciugare l’Argentina. Non sono queste le soluzioni urgenti alla siccità e alla crisi eco-climatica; non incidenti casuali, semmai aggravati dalle attività umane, con l’aumento dei gas serra e le politiche di mercato che contribuiscono al disastro attuale. Le risorse idriche disponibili sono ancora sufficienti ad assicurare l’approvvigionamento idro-potabile, purché ci sia un ripensamento sulle dighe, sulla cementificazione degli alvei, per non sottrarre acqua ai fiumi e alla ricarica delle falde. Lo sanno le associazioni e realtà del ponente che hanno saputo costruire un fronte comune a difesa del territorio e indicare percorsi alternativi, rivolgendosi ai Ministeri e a tutte le Autorità competenti. Chiedono di ripartire dall’idea di acqua bene comune e dalla realizzazione di nuove reti, che oggi registrano 20 milioni di metri cubi di perdite annue: quattro volte la capacità dell’invaso ipotizzato. Quando per fronteggiare le crisi idriche basterebbe ridurre tali dispersioni, che in provincia di Imperia si attestano al 44%, contro una media europea del 15-18%. Chiedono interventi per la salvaguardia delle falde, lo sfruttamento delle sorgenti inutilizzate, il recupero delle acque reflue depurate, la realizzazione di pozzi di ricarica, con costi di molto inferiori ai 55 milioni per la diga.
In attesa di conoscere quali giocatori siederanno al tavolo del grande “Monopoly” convocato dal commissario Scajola, si rassegnino i mercanti di beni comuni: a ponente le vite e il territorio valgono più di qualunque profitto!
Mauro Giampaoli
PASSEGGIATE D’ARTE
Le bellezze dimenticate da riscoprire
Il palazzo Lercari e i due Telamoni
Uno dei più bei Palazzi di Via Garibaldi, realizzato tra il 1571 ed il 1578, si trova al numero 3, conosciuto come Lercari – Parodi: il portone d’accesso è decorato con due Telamoni non rari in città. Tuttavia questi rivelano una particolarità: sono privi del naso. Non è l’opera di qualche vandalo né la salsedine né il passare dei secoli, poiché le due statue furono realizzate così da Taddeo Carlone, come omaggio di Franco Lercari, potente banchiere e politico al servizio di Carlo V, a un suo antenato. Lercari apparteneva alla “nuova nobiltà”, ma smaniava di accreditarsi tra le famiglie più antiche e fece ricorso a una leggenda. Si racconta che il mercante genovese Megollo Lercari nel 1314 fosse ospite presso la corte di Alessio II a Trebisonda ove venne sfidato agli scacchi da Andronico, un cortigiano dell’imperatore. Durante la partita Megollo fu più volte deriso da parte di Andronico e quando chiese soddisfazione al sovrano, Alessio II prese le difese del suo eunuco. Allora Megollo tornò a Genova, armò due galee e per vendicarsi dell’affronto cominciò a razziare le navi mercantili dirette a Trebisonda, sottoponendo gli equipaggi al taglio di naso e orecchie, conservati in salamoia. Questa barbarie terminò quando Megollo decise di far recapitare ad Alessio II un barile colmo di tali amputazioni: l’imperatore, per evitare ulteriori sofferenze ai marinai, si risolse di consegnare Andronico al Lercari, il quale, tuttavia, lo congedò con un calcio nelle terga e pronunciando una frase, divenuta celebre come riportato da Michelangelo Dolcino nel suo libro “I misteri di Genova” (Nuova Editrice Genovese): “Sappi tu e sappiano i greci tutti che chi offende un genovese deve attendere inesorabile il castigo. Noi genovesi siamo tutti della stessa tempra, per cui s’io fossi morto o fossi stato preso prima che la mia vendetta fosse compiuta, altri genovesi sarebbero sorti per portarla a termine.” Come detto si tratta quasi certamente di una leggenda, dal momento che l’unica fonte dell’episodio è una lettera dell’annalista Bartolomeo Senarega, quasi due secoli più tardi. Però l’aneddoto è intrigante in quanto illustra lo spirito dei genovesi dell’epoca, arditi al limite della crudeltà pur di difendere i propri interessi commerciali. Un’ultima chiosa: se si fa attenzione, sul lato sinistro della Cattedrale di San Lorenzo è ancora oggi visibile una scacchiera, che dicono sia appartenuta a Megollo, che diede “scacco” all’Imperatore e lavò col sangue l’onore genovese.
OriettaSammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga
Genova per Gianrico Carofiglio
Paracadutato su Genova per un pezzo di colore, il buon Gianrico Carofiglio adempie la sua missione. Pericolosa, a quanto risulta dal suo racconto su Repubblica.
Difatti, per il popolare magistrato-scrittore, la paura è stata la cifra dominante nella sua lettura della Superba.
Già nella prima passeggiata notturna ‘per i dintorni poco rassicuranti della mia pensione’. Con un brivido inquietante nei vicoli: addirittura ‘il balenare di lame nell’oscurità’.
‘Genova come Marsiglia?’, si chiede a disagio il magistrato giallista. Per tranquillizzarsi allinea i più triti luoghi comuni cui è condannata la nostra tetra città. Da Paolo Conte (quel mare oscuro) all’immancabile De Andrè (con le sue creuze), a Gino Paoli (la soffitta a Boccadasse). E poi Cristoforo Colombo, la Meloria, il ‘ Secolo dei Genovesi’…
Carofiglio passeggia (ma potrebbe anche essere restato a Bari) e sbircia attraverso le finestre gli affreschi seicenteschi, o “fa capoccella” nella drogheria di via San Bernardo.
Trattandosi di una città china sul suo glorioso passato, ecco un salto d’obbligo all’IIT, che con la città ha rapporti a dir poco evanescenti e un rapido sguardo al viadotto (erroneamente chiamato ‘ponte’) donato a Genova dal suo cittadino più iconico, Renzo Piano. Ignora, il buon Carofiglio, che proprio la fulminea realizzazione di quell’opera ha dato origine al mito sciagurato del ‘metodo Genova’, grazie al quale si è presume, qui e altrove in Italia, che gli appalti più appetitosi si possano attribuire senza i fastidiosi vincoli della gara pubblica. E non ha visto. le favoleggiate ‘grandi opere’, a partire dalla ‘Gronda’ e dal tunnel sub-portuale. Non ha potuto perché continuamente inaugurate ma mai realizzate. Qualcuno avrebbe dovuto arrampicarsi con Carofiglio sulla desolata, ventosa collina di Erzelli per contemplare, con gli occhi dell’immaginazione, la nuova ‘cittadella tecnologica’. L’“audace sperimentazione urbanistica” alla merce’ della più bieca speculazione, mentre le creuze inselvatichiscono e il prezioso centro storico è in bilico tra degrado e gentrificazione.
Davvero città pericolosa; dove – raccolta di passaggio da Carofiglio – “una leggenda narra che, durante certe notti buie e tempestose (copyright Charlie Brown) gli spiriti dei prigionieri pisani vagano ancora, con spaventosi lamenti e rumori di catene, in Campo Pisano per i vicoli circostanti”.
Genova, città della paura. Come i turisti dell’800 Carofiglio avrebbe dovuto fare anche un salto a Staglieno.
Michele Marchesiello