SAPERE PER DECIDERE
CONTROINFORMAZIONE LIGURE
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Numero 13, 15 dicembre 2023
AUGURI LAICI
Alle amiche e agli amici di Sapere per Decidere, Controinformazione Ligure
Care e cari tutti,
il nostro magazine va in pausa il 15 dicembre, per poi riprendere il dialogo quindicinale dalla metà di gennaio 2024. Ad oggi la vostra attenzione e gli apprezzamenti che riceviamo ci inducono a pensare che la missione editoriale della nostra testata sia stata capita e condivisa: promuovere spirito critico come antidoto al veleno della disinformazione, su cui i signori delle rendite locali di potere puntellano le loro poltrone; con il codazzo di reggicoda che, da bravi camerieri, ne consolidano il controllo su una pubblica opinione sempre più inerte, tra l’annichilimento e la frustrazione. Spettacolo che contempliamo attoniti, ricordando che qui da noi si coltivavano attitudini critiche ben oltre il macchiettismo del mugugno: la memoria di quanti, ai primi del Novecento, difendevano la propria Camera del Lavoro con una forza tale da far cadere governi nazionali (il dicastero Saracco); e cinquant’anni dopo scendevano ancora in piazza contro i tentativi neofascisti di occupare lo spazio pubblico genovese, con uno spirito ribelle tale da bloccare sul nascere operazioni nazionali di stampo reazionario (il governo Tambroni).
Una fierezza che ormai si direbbe narcotizzata, mentre diventiamo il contenitore di qualsivoglia scarto politico, nazionale e internazionale. Ossia la recezione di tutte le ricette atte a disarticolare democrazia partecipata e inclusiva predisposte nei laboratori di pensiero reazionario d’oltre oceano, in sinergia con l’involuzione a Sinistra; per cui, inseguendo le fate morgane della Terza Via, si svende un patrimonio di impegno solidale per il piatto di lenticchie del carrierismo e dell’affarismo.
Se questa è la cornice di questo scivolare e poi precipitare in un declino senza fine, il senso del nostro volontariato al servizio della controinformazione discende dal rifiuto di accettare tale dato di fatto come irreversibile. Da qui lo spirito di servizio nel contestare narrazioni mendaci e comportamenti opportunistici. La proposta di creare una saldatura permanente tra opposizione sociale (emendata dal vizio di chiudersi nel proprio orticello) e opposizione politica (liberata da inconcludenze e vizi personalistici); oltre i ritardi delle due opposizioni nell’analisi dei punti di forza della destra al potere e il rischio in agguato del ritualismo vanamente celebrativo.
Noi continueremo a esserci, fiduciosi di ritrovarvi all’appuntamento.
Auguri laici.
Quelli di Controinformazione Ligure
Indice
- SPIFFERI
- C’È POSTA PER NOI
- ECO DALLA RETE
- ECO DELLA STAMPA
- LA LINEA GENERALE
- AMBIENTE
- POLITICA E ISTITUZIONI
- SPAZIO E PORTI
- SALUTE E SANITÀ
- FATTI E MISFATTI
- UNO SGUARDO DA LEVANTE
- UNO SGUARDO DA PONENTE
- PASSEGGIATE D’ARTE
- GENOVA MADRE MATRIGNA
SPIFFERI
Bertrand Russell ammonisce Marco Bucci
Si direbbe che il grande filosofo inglese avesse la premonizione dell’avvento a Tursi di “U Sbraggia”, il sindaco dedito a ululare scempiaggini; dall’insana teoria che “fare male è meglio del non fare” al “Modello Genova” (niente controlli sulle Grandi Opere per finirle più in fretta). Perciò, già dal 1937 lo aveva messo in guardia dal non dire e fare sciocchezze: “il mondo soffre per l’errata convinzione che ogni azione energica sia lodevole anche se male indirizzata; mentre la nostra società moderna, così complessa, ha bisogno di riflettere con calma, mettere in discussione i dogmi ed esaminare i punti di vista con grande larghezza di idee”. Tutto l’opposto del modo in cui questo tipo insiste a comportarsi, inseguendo il proprio Ego. Sbraitando pure alla memoria di Bertrand Russell.
Il sonno della ragione genera fregature (e fallimenti)
Tra Berlusconi-style e fraud, frodi da Destra made in USA, chi ci governa presume di tenere in scacco noi liguri con narrazioni rimbambenti: red carpet, dighe portuali sulla sabbia, milionate di container in arrivo, il basilico trasformato in pepite auree, sanità da favola con i privati nel ruolo dei benefattori. Il set alla Mediaset risulta una quinta di cartone pronta a crollare appena fa capolino la vita reale: gli aspetti più palesi dell’impoverire quotidiano, a dispetto delle sbruffonate. Quanto ci dicono le serrande abbassate dei negozi. Ieri a Genova sparivano Pescetto Jr. e Berti, fornitori di una borghesia delle professioni orfana di Grandi Imprese. Oggi sono dati in chiusura Tessil2 e Bagnara, nella sparizione del ceto medio che ne costituiva la clientela. Ormai proletarizzato.
Il sindaco cementificatore non tollera di essere disturbato
Andrea Moizo, una delle rare voci su piazza che intende il ruolo della libera stampa come “cane da guardia dei cittadini”, ha postato su Fb forti perplessità circa i lavori della nuova diga (o “diga Aponte”, stante il vero beneficiario): ritardi pazzeschi che minacciano il finanziamento PNRR e incognite geologiche sull’ancoraggio della diga, paventate da una miriade di esperti (per cui, se nell’esecuzione saltano fuori magagne, paghiamo noi cittadini. E Webuild ringrazia chi ha sottoscritto il contratto capestro). Interpellato, Bucci risponde che la pretesa civica di informazioni “esorbita”. Oltre che cementificatore il Primo Cittadino si rivela pure costituente. Riscrivendo l’art.1 della Costituzione: da “Italia è una repubblica democratica” a “In Italia non si disturba il manovratore”.
C’È POSTA PER NOI
Sul numero 10 di SxD Controinformazione Ligure del 31 ottobre scorso il nostro Carlo Martigli scriveva che:
Con le banche si può anche vincere (qualche volta).
Banca Intesa San Paolo ha ben sessantadue filiali in Liguria. Ora già 300.000 loro clienti in Italia sono stati – a loro insaputa, con una semplice comunicazione on line – trasferiti a un’altra banca del gruppo – Isybank – nome che scimmiotta easy. Un’operazione che ha cambiato per i tapini coinvolti tutti i dati bancari, compreso l’Iban, il coordinamento con le carte di credito, i rid e via dicendo. Crediamo sia giusto denunciare questa manovra, legalmente border line, che già coinvolge numerosi clienti della nostra regione. Altri hanno chiesto informazioni alle sedi locali e si sono sentiti rispondere che l’operazione è partita dalla Direzione Generale e loro non ne sanno nulla. Un legale ci ha confermato che è diritto richiedere il ripristino del conto originario.
Ora ci aggiorna al riguardo:
A proposito dell’anomalo trasferimento coatto di centinaia di migliaia di clienti da parte di Intesa-San Paolo su una newco di sua proprietà, l’Isibank.
In Liguria molte persone erano rimaste coinvolte, e le proteste con richiesta di spiegazioni ai vari direttori locali erano cadute nel vuoto. Bene, in questi giorni l’Antitrust ha bloccato tutto, come speravamo. Dicendo chiaramente che senza il consenso del cliente, il conto non poteva essere trasferito. I nostri concittadini che avessero avuto notizia del trasferimento possono stare (per ora) tranquilli, mentre quelli che lo avessero già subito, possono esercitare il diritto di rientro nel vecchio conto, come stabilito dall’Antitrust. Da parte nostra la piccola ma significativa soddisfazione di aver dato un sia pur minimo contributo per la felice conclusione di questa che risultava una vera e propria prevaricazione.
Carlo A. Martigli
Un appuntamento da non perdere
Scrive l’amico Federico Valerio
Bogliasco come Sisifo!
Il Comune con la scusa, sacrosanta, di difendere la costa, pensa che, con danari pubblici, si possa creare una nuova spiaggia per attrarre più “foresti”. Il riempimento, andato avanti per giorni, con un andirivieni di camion, carichi di ghiaia e sabbia, durato qualche mese.
Tre potenti mareggiate, una dopo l’altra, si sono portato via tutto.
Chi pensa che il cambiamento climatico sia un fatto “ideologico” è avvertito.
E per la nuova stagione balneare che cosa si vuol fare?
Federico Valerio
Fase 1 Fase 2
La nostra collaboratrice Maria Foti ci segnala un problema – il carente inserimento nei percorsi scolari dei figli degli immigrati – da portare sempre a ordine del giorno. Ricordando l’insegnamento del filosofo francese Marcel Gauchet: «una società esiste solo a partire dal momento in cui è capace di assicurare la continuità della sua cultura e l’identità della sua organizzazione a dispetto del continuo rinnovarsi dei suoi membri che nascono e muoiono».
Accogliere” i nuovi genovesi”, la civiltà che diventa lungimiranza
Da qualche tempo è nuovamente tornata tra noi la paura dello straniero, di chi viene da fuori dei confini nazionali per portarci via non si sa bene che cosa: il lavoro, le case, le donne… Addirittura qualcuno parla di “sostituzione etnica”. Qui a Genova, città che nella sua lunga storia ha visto transitare e risiedere uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo allora conosciuto, ultimamente si sono registrati episodi incresciosi riguardo alla non-accoglienza di quanti/e vanno considerati “nuovi/e genovesi”. Il caso di un ragazzino tredicenne giunto dal Marocco “rifiutato” per carenze linguistiche da diverse scuole; anche da quelle cosiddette accoglienti. E non si tratta di un caso isolato. Eppure l’istruzione pubblica non potrebbe permettersi nulla del genere. Ad ogni modo, nelle nostre scuole sono davvero tanti i ragazzi figli di immigrati. Verso i quali si riscontrano atteggiamenti discriminatori sul razzistico; analoghi a quelli – sempre ricorrenti – verso badanti e donne delle pulizie. Quando la Storia ci insegna che in Italia sono passate innumerevoli etnie, tanto da concorrere a rafforzare il nostro sistema immunitario, perché i geni si mescolavano dando vita a individui più sani. Nel dopoguerra al Nord ce l’avevano con i meridionali (terroni); oggi, anche quei “terroni settentrionalizzati”, se la prendono con gli immigrati. Quando nel nostro Paese quelli che svolgono i lavori pesanti, “umili”, che gli altri schifano, sono proprio gli extracomunitari. Nelle imprese edili, nelle case per anziani, nelle cooperative di pulizie industriali e private, c’è solo, o quasi, personale proveniente dall’Africa o dall’America Latina. Ma sono i “nuovi genovesi” a poter garantire quel ricambio generazionale che assicura la sopravvivenza e la riproduzione della nostra società.
Maria Foti
Riceviamo da Andrea Agostini
Anatomia di un omicidio. Di un nostro amico verde
Così si uccidono gli alberi: un’asfaltata che così soffocano e non ricevono più acqua. Poi, quando saranno belli secchi, si taglia e poi asfalto sul taglio e parcheggio blu. Questa è la città “meravigliosa” di Bucci nell’interpretazione di Aster…
ECO DALLA RETE
Su Africa ExPress del novembre scorso Antonio Mazzeo segnala le collusioni affaristiche, con gli insabbiatori dell’orrida vicenda Regeni, di Fincantieri; vanto dell’industria ligure. Riportiamo ampi stralci dell’intervento.
Viva il business abbasso i diritti umani: nuovi affari dell’Italia con l’Egitto
Condonato l’omicidio di Giulio Regeni e ignorati i report sull’escalation repressiva del regime di Abdel Fattah al-Sisi, governo e industrie belliche italiane stringono nuovi affari con l’establishment militare egiziano. Il 22 novembre il gruppo a capitale statale Fincantieri Spa ha firmato con la Armament Authority egiziana un contratto decennale di 260 milioni di euro per servizi a favore delle due fregate multi-missione Fremm “ENS Al-Galala” ed “ENS Bernees” della Marina Militare egiziana.
“Il contratto con le forze armate egiziane conferma la strategia di Fincantieri di creare partnership strategiche di lungo termine che prevedono forniture pluriennali di servizi tecnologici con clienti chiave”, dichiara l’A.D. del Gruppo PierRoberto Folgiero.
Le unità da guerra “ENS Al-Galala” ed “ENS Bernees” erano state consegnate da Fincantieri tra dicembre 2020 e aprile 2021 dopo le attività di restyling nel cantiere di Muggiano-La Spezia. Le Fremm sono armate con un cannone Leonardo da 127/64 mm, un cannone Super Rapido da 76/62 mm e due cannoni da 25 mm oltre al sistema missilistico superficie-aria in grado di lanciare missili terra-aria della famiglia Aster. Per l’acquisto Il Cairo versò al fornitore 990 milioni di euro.
Fincantieri spera di poter vendere all’Egitto altre quattro Fremm e una ventina tra corvette e pattugliatori della classe “Falaj”. All’edizione dell’Egypt Defence Expo – EDEX, l’esposizione internazionale delle industrie di guerra tenutasi al Cairo dal 29 novembre al 2 dicembre 2021, il gruppo italiano ha fatto da main sponsor dell’evento patrocinato dal presidente della Repubblica al-Sisi. Per la prossima expo militare (dal 4 al 7 dicembre 2023) compare come silver sponsor Leonardo DRS, la controllata dell’omonimo gruppo con sede negli Stati Uniti d’America, mentre tra i platinum sponsor ci sarà pure il colosso missilistico europeo MBDA, controllato per il 25% da Leonardo Spa, principale fornitore di missili per le unità di terra, cielo e mare del regime egiziano.
Mentre le grandi e medie aziende di morte del mondo intero si preparano alla kermesse, si moltiplicano le denunce sulla crescita esponenziale nel Paese delle violazioni dei diritti umani. Il 23 novembre (giorno successivo alla firma del contratto tra Fincantieri e il Ministero della Difesa egiziano), Amnesty International rilevava come si intensifichi la repressione contro dissidenti e manifestanti pacifici alla vigilia delle elezioni presidenziali in programma dal 10 al 12 dicembre.
Antonio Mazzeo
ECO DELLA STAMPA
Redazionale apparso su il Fatto Quotidiano del 4 dicembre scorso.
Orlando attacca la giunta di Genova per il sacrario dei repubblichini
«Duro attacco del deputato Pd ed ex ministro del lavoro Andrea Orlando durante un intervento alla Camera sull’ordine dei lavori. Il deputato dem ha parlato della delibera di bilancio della giunta comunale di Genova: “In allegato a questa delibera è contenuto il piano pluriennale per le opere pubbliche, all’interno del quale è contenuto un intervento di ripristino di un insieme di sepolcri che contengono i resti dei caduti della Repubblica Sociale – spiega Orlando – L’importo di questo intervento è di un milione e 750mila euro su un fabbricato, un intervento privato, realizzato nel 1952″. “Dietro al velo che forse verrà steso della pietas, ci troviamo in realtà di fronte ad una provocazione e a un oltraggio alla storia della città”, attacca quindi l’ex ministro che sottolinea come Genova sia Medaglia d’Oro della Resistenza.
Questo intervento, dice ancora, “è una provocazione e un oltraggio ai patrioti caduti per mano dei repubblichini di Salò che zelantemente servivano l’occupante tedesco”. Si tratta, continua, di “un insulto alla decenza rispetto al quale spero che se nella maggioranza che regge questo Governo e anche il comune di Genova resta ancora qualcuno legato ai valori della Costituzione, mi auguro che batta un colpo”. “Sicuramente – dice ancora Orlando – alla nostra voce si unirà quella di tanti altri, cittadini, democratici, associazioni, che colgono la gravità di questo atto e non accettano, perché non lo possiamo accettare, che la storia del nostro Paese sia riscritta e sia cancellata la memoria di chi ci ha restituito la democrazia e la libertà. Ecco perché ritenevo urgente intervenire in questa sede per segnalare un episodio che considero gravissimo”»
Il deputato ligure Andrea Orlando scopre solo ora che la Liguria è ormai in mano a cinici politicanti interessati – qualsivoglia sia il prezzo – a blandire il proprio elettorato-target; in larga misura più che fascista, odiatore di tutto quanto abbia un vago sentore di sinistra: dal far pagare le tasse a politiche distributive, dall’impegno civile alle nostre tradizioni democratiche; per prima la lotta al Nazi-Fascismo? Mentre nell’aula parlamentare stigmatizza (?), con quella sua verve da frigidaire, i mestieranti che ci amministrano perché fanno il loro (vergognoso) mestiere, non si chiede l’Orlando quanto lui stesso abbia favorito la loro resistibile ascesa sovraintendendo una serie di campagne elettorali che sembravano concepite solo per far vincere l’avversario? E magari impedire che emergesse qualche possibile concorrente locale che insediasse la sua poltrona romana.
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
La società Ligure affetta da sonnambulismo
Il Rapporto sugli italiani Censis 2003, titolato “Ipertrofia emotiva”, è il referto di un popolo ormai impaurito e inerte a mo’ di sonnambulo. Se la stesura 2022 segnalava un diffuso stato d’animo “rabbioso”, almeno rivelatore di energia vitale seppure volta al negativo, nell’attuale rilevazioni dell’istituto fondato da Giuseppe De Rita nel 1964 la situazione pare totalmente cambiata: prevale l’assenza di reazioni in un sistema nervoso collettivo che si direbbe lobotomizzato. E la Liguria risulta la vetrina perfetta del fenomeno involutivo; nonché il suo punto terminale. Ossia il drammatico effetto da laboratorio di politiche in cui i nostri Toti, Bucci & company sono i propugnatori ridicoli, nella loro teatralizzazione dell’inconcludenza (largamente documentata da mesi sul nostro magazine); poi gli implementatori distruttivi (al netto dell’affarismo). Ossia gli utilizzatori pedissequi di ricette per la governance della complessità tradotte in abracadabra ad alto tasso di finzione, imposte come l’one best way mondiale a partire dagli anni ‘80. Nel momento in cui il combinato tra aumento delle materie prime e parossismo privatista, con la copertura ideologica della vague NeoLib, determinò l’accantonamento delle ricette keynesiane dell’investimento pubblico in funzione anti-ciclica: il più generoso esperimento di accomunare libertà e solidarietà mai tentato dall’umanità.
La liberazione del turbocapitalismo da controlli e contrappesi avviò il dimagrimento dello Stato causato dall’evasione fiscale dei vertici finanziari, con enormi ricchezza accumulate dalla plutocrazia ritornata in campo, investite nel finanziamento del crescente debito pubblico (i privati grandi creditori dei deficit. Persone fisiche celate nell’astrazione “mercati”; ormai in grado di imporre ai governi le scelte a garanzia dei loro investimenti). Si ribaltava così il gioco democratico delle parti: i cittadini declassati da moderno principe al ruolo di “fideiussori” degli indebitamenti pubblici; la finanza/mercati ascesa a decisore politico primario. Con il personale di partito, sottoscrittore del patto leonino con la plutocrazia, impegnato a occultare i rapporti di scambio e di forza reali per depistare il popolo taglieggiato. Mentendo e fingendo. Sicché, quando emerge la percezione del castello di chiacchiere mendaci con la consapevolezza di essere trappolati, dilaga la frustrazione che spinge il popolo ligure all’assenteismo; da sonnambulo della politica. In attesa di essere risvegliato?
Pierfranco Pellizzetti
Genova e Ivrea come grandi laboratori: la vicenda genovese Italimpianti-Iritecna di un’impresa della conoscenza come esperienza pilota per un nuovo modello competitivo; il prototipo in Olivetti del primo PC della storia realizzato nel team di progetto dell’ingegner Perotto: la Perottina, che avrebbe potuto rinnovare i fasti del Miracolo Economico trainato dalle innovazioni di prodotto. Due vicende stroncate dalla miopia delle leadership nazionali, avviando la deindustrializzazione italiana. PierGiorgio Perotto trascorse a Genova i suoi ultimi anni. Carichi di rimpianti.
La diga di Kariba, vanto dell’ingegneria italiana
Italimpianti, il modello che poteva essere. E non fu
L’Italimpianti (1951-1992) visse un’esperienza sindacale che potrebbe dare indicazioni anche all’oggi; seppure il mondo del lavoro stia andando in tutt’altra direzione.
Se nel primo ventennio di esistenza dell’azienda il sindacato era di tipo questuante, col ‘69 avviene il salto con la costituzione del Consiglio di Fabbrica, formato da delegati eletti nei reparti, indipendentemente dalla tessera sindacale; riconosciuto dall’azienda nel 1970. Il tasso di sindacalizzazione arriva al 60-70 % e tale rimane fino alla fine, anche grazie alla costituzione della FLM, il sindacato metalmeccanico unitario. Un caso raro nelle aziende impiantistiche caratterizzate dall’assenza di figure operaie e da elevati livelli professionali. Altro tratto caratteristico era l’alta presenza di knowledge workers: se in azienda i laureati costituivano il 30% della forza lavoro, nell’esecutivo del C.d.F. la percentuale s’invertiva. Questo conferì forza al sindacato, che nel 1971 stipulava un importante accordo che resterà in vigore fino al ‘92. Tale accordo era relativo al piano professionale: stabiliva che la crescita professionale è un diritto del lavoratore e spettava all’azienda rimuovere gli ostacoli a tale crescita. Ciò si tradusse in una continua formazione aziendale, sia tramite corsi di lingue e specialistici aperti a tutti, sia con l’inserimento nei gruppi di lavoro. Ovviamente alla crescita professionale corrispondeva un aumento del livello d’inquadramento e un incremento retributivo; anche con premi ad personam per i massimi livelli, comunque concordati col sindacato. Particolare attenzione fu rivolta alle donne, all’epoca quasi tutte segretarie (la dattilografia era ancora un mestiere), anche se non mancavano le laureate. La loro funzione fu modificata in “gestione delle informazioni” e in tale veste partecipavano a pieno titolo ai gruppi di lavoro. Il sistema organizzativo aziendale era a matrice, unendo l’organizzazione funzionale in verticale con quella a progetto in orizzontale. Non era prevista una gerarchia tra gli impiegati. Quindi nei gruppi di lavoro il ruolo di capo progetto e di coordinatore tecnico dipendeva dall’autorevolezza e non da status gerarchico. Anche grazie a questo modello organizzativo Italimpianti ebbe la capacità di conquistare mercati esteri realizzando grandi impianti in Brasile, Iran, Russia e Cina: il 70% del fatturato, che si traduceva in commesse per il made in Italy.
La stagione delle privatizzazioni pose fine a quel volo.
Mauro Solari
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
Cronache della nuova impresa titanica: Fiumara 2 (prima puntata)
All’inizio la grande idea: un nuovo quartiere di Genova in riva al mare. Ovviamente non poteva mancare la matita dell’archistar locale. Per cui ci mettiamo pure i canali, così la gente vi navigherà con la barca. E aggiungiamo case, per chi vuole averne una vista mare. Ecco il pacco confezionato e pubblicizzato su tutti i media. Poi arrivano i problemi: eh sì, perché una cosa è pensare alla cosa, un’altra è progettarla, la terza (ancora più complicata) definirla, la quarta sono i soldi per farla. Infine trovare un’azienda che tale cosa realizzi. Cominciano i dolori: Il progetto è sbagliato perché i canali ignorano le correnti marine della Foce. Poi le case, per ricconi. Le prime due, meravigliose, progettate dal super architetto, sono così appiccicate che se esci dalla finestra entri in quella di fronte. Dura da vendere. Fa strano che il primo a esporsi pubblicamente sia stato Spinelli. Ma dopo aver decantato l’opera, l’ha anche comprata? Ne dubito. Infatti dopo di lui non riescono a venderne neanche una. Difatti stanno già pensando di ricorrere al salvataggio pubblico.
Intanto si comincia dai canali. E anche questa faccenda è complicata, ma ci fanno un bando. Un’azienda lo vince, comincia a lavorare, scopre che ci vogliono molti più soldi per rimediare e quindi si ritira. Tutto a remengo? Neanche a parlarne. Ci pensa il Comune. Ecco i canali. Ma sono un pantano dove non scorre l’acqua. Il putridume. Eh già le correnti: un progetto senza studio delle correnti, è un progetto di acque stagnanti. Altra genialata: un mulino. Qualcosa che faccia circolare l’acqua. Chi paga il mulino? Ah beh, si beh. È ovvio: quelli che compravano le case che nessuno sta comprando. Poi, siccome quel terrapieno è stato costruito accatastando di tutto e di più, bisogna disinquinare l’area. Chi rimedia? Ovviamente il Comune, che si assume l’onere del disinquinamento fino a due metri e 40 di profondità.
Parte il lavoro e si scopre che lì sotto c’è una riserva inesauribile di petrolio che continua a spurgare. Ma un tappo di cemento risolve il dilemma. Ovviamente l’intervento del Comune arriva a 2,40 m. Ma quella area lì è stata messa insieme ammassando 8 m. di terre, ovviamente da bonificare. Pena l’agibilità. Ma ecco, arriva il soccorso Arpal a certificare che tutto è ripulito fino a 2 metri e 40. E gli altri 5, con tutti i rischi per gli abitanti? Ah beh, sì beh. Il bello è che per contratto l’onere se l’è assunto il Comune di Genova, mica l’azienda costruttrice che ci specula sopra.
Andrea Agostini
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
Parole in libertà sulla strategia energetica regionale
Il 24 novembre scorso il Consiglio Comunale di Genova approvava con i voti del centro destra e l’astensione del PD un O.d.G. in cui “si impegna il Sindaco e la Giunta a favorire un percorso di ottimizzazione della strategia energetica regionale, (…), che preveda il più ampio spettro di infrastrutture necessarie, incluse soluzioni quali termovalorizzatori e rigassificatori”. Riguardo al tema termovalorizzatore (sinonimo di inceneritore):
1) Il piano regionale dei rifiuti non prevede l’impianto di incenerimento perché non usufruisce dei fondi PNRR ed è fuori dalle politiche europee sull’economia circolare. Si colloca al penultimo posto nella gerarchia europea dei rifiuti;
2) Viola il principio DNSH (Do No Significant Harm, “non arrecare un danno significativo” all’ambiente) che coniuga crescita economica e tutela dell’ecosistema;
3) AMIU doveva apprestare nel decennio un impianto TMB (Trattamento Meccanico Biologico) e uno di biodigestione. Il TMB competeva a IREN, assegnataria tramite una singolare gara in cui chi elabora il progetto ottiene diritto di prelazione sull’opera. Ad oggi in alto mare. Della biodigestione non v’è traccia;
4) Era previsto il raddoppio dell’impianto di via Sardorella per valorizzare la RD (raccolta differenziata) di plastica e carta. Nulla è stato fatto;
5) La RD è lontana dagli obiettivi fissati da lustri al 65%;
6) Gli inceneritori sono impianti costosi e non essendoci finanziamenti europei il loro ammortamento si ripercuoterà inevitabilmente sulla TARI;
7) Gli inceneritori non eliminano la discarica: producono il 30% in peso di ceneri che, contenendo metalli pesanti pericolosi, devono essere poste in discariche per rifiuti speciali e un 3% di ceneri volanti;
8) Anche rispettando i limiti di legge, le emissioni al camino comportano un peggioramento della qualità dell’aria;
9) La produzione di energia elettrica da inceneritore ha rendimenti pari al 21-22%, contro il 42% di una centrale termoelettrica o del 60% di una a turbogas; con costi 5 volte superiori alla centrale termoelettrica (e molte volte di più del fotovoltaico).
La soluzione? “Rifiuti zero” tramite le quattro R (Riduzione, Riuso, Recupero, Riciclo). Il cassonetto è una miniera urbana da cui trarre materie prime. Occorre una RD di qualità per il recupero della materia; la realizzazione di impianti sia di valorizzazione della RD, sia il TMB; l’impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas e compost.
M.S.
Ma i nostri amministratori sanno su cosa decidono?
Nell’O.d.G. del 24 novembre, di cui sopra, si parla di rigassificatori. Come se il Consiglio Comunale reclamasse per Genova quello destinato a Vado.
Ora, la produzione di energia è un tema fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici. L’Europa si è posta l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050; con la tappa intermedia di riduzione del 50-55% di emissioni nel 2030. Sempre l’Europa indica due assi portanti per questi traguardi: lo sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) e l’efficientamento energetico, specie per edifici e trasporti.
Nel PEAR 2030 (Piano per L’Energia e l’Ambiente Regionale), ancora da sottoporre a VAS, la Regione riconosce che “l’obiettivo di Burden Sharing 2020 (ripartizione tra le Regioni di incremento delle FER) risulta conseguito a livello nazionale, ma non a scala regionale: la Liguria si attesta infatti a 7,9% al 2020, a fronte del 14,1% atteso. Allora cosa propone? Nulla! Eppure solo dotando il 50% dei tetti esistenti (34 km2) con pannelli fotovoltaici avremmo una produzione di energia elettrica di 4.400 Gwh/anno. I consumi regionali 2022 sono stati di 6.000 GWh Invece si preferisce un rigassificatore, con tutti i rischi conseguenti all’importazione di GNL (gas naturale liquefatto). E il metano è 85 volte più climalterante della CO2 (ISPRA 2022). mentre il GNL importato dagli USA proviene dalla fratturazione delle rocce di scisto (fraking) con alte emissioni di gas. Inoltre costa il 50% in più del metano (Sole24Ore). Per quanto riguarda l’efficientamento degli edifici, i dati regionali dicono che il 95% ci questi hanno una efficienza energetica bassa. Anche qui la Regione brilla per assenza, quando si potrebbe fare moltissimo.
Queste in sintesi le motivazioni strategiche per rifiutare il rigassificatore. In realtà, nel votare l’Ordine del Giorno, il Consiglio non pensava al “rigassificatore”, bensì a un gassificatore: tutt’altro impianto. Grave che nessun consigliere abbia dato un’occhiata a wikipedia per capire cosa stava votando. Gassificatore è un impianto di termotrattamento dei rifiuti che, producendo gas di sintesi, li brucia a temperature superiori di un inceneritore, per cui non si ha produzione di ceneri ma di scorie inerti. Anch’esso è al di fuori dalle politiche per l’economia circolare e non finanziabile coi fondi europei. Il Consiglio lo considera un impianto per la produzione energetica, solo che il suo rendimento elettrico è attorno al 17-18%, inferiore persino a quello degli inceneritori.
Mauro Solari
Parole come pietre o foglie di fico?
Parole e pietre si assomigliano nel loro uso: difendersi, fare del male, ma anche nutrirsi e costruire. Le parole possono essere anche foglie di fico, nascondere vergogne o vuoti di comprensione della realtà. Una delle più abusate foglie di fico è manager. Dal francese manéger, che ricorda il nostro maneggiare, da cui maneggione. Il latino “manu agere” indicava il “condurre per mano l’animale standogli davanti”. Fonte di ispirazione per attuali managers o maneggioni?
Fine anni settanta, inizio ottanta, in Liguria chiudono i manicomi e nascono i Servizi di Salute Mentale. Contemporaneamente arrivano i managers con sicumera professional a salvare la Sanità pubblica con molte foglie di fico: efficienza, taglio degli sprechi, e via verso l’Infinito e oltre. Per prima cosa, via “Unitá” da Sanitaria Locale che diventa “Azienda”: meno “di sinistra”. Inizia la bella stagione che porterà all’oggi: sprechi non tagliati, servizio peggiorato, privato ingrassato; come succede dove i managers salvano qualcosa. Fine della fiducia nelle competenze manageriali. E con effetto domino quella nelle competenze dei tecnici al governo preannunciati con fanfare e bandierine sventolanti.
Ecco, managers e tecnici al governo sono i più prolifici produttori di parole/foglie di fico insieme a certi politici, che non hanno la stessa inventiva e si limitano a copiare o ripetere slogans cari al loro elettorato.
E gli economisti? Li si pensa chini a studiare il mercato e inventarsi espedienti per correggerne le distorsioni. Invece sono creativi, coniano neologismi o usano parole esistenti ma con nuove accezioni. Non è una foglia di fico anche “mercato” adorato come un’entità autonoma, non come un Golem cui cancellare la lettera aleph riducendolo a più miti consigli? Ma no, “perché ce lo chiede il mercato”, foglia di fico global.
Trovo affascinante che, invece di dire ai lavoratori “vi licenziamo”, “vi tagliamo lo stipendio”, “vi imponiamo orari di lavoro assurdi”, usino la parola “flessibilità”; come chiedere poeticamente “comportatevi come canne al vento”, non opponetevi, non siate di ostacolo al progresso, all’innovazione. E trovo misterioso come, dopo tutti questi disastri da licenziamento in tronco, interventi della Magistratura o una fragorosa risata quando riaprono bocca, riescano a passare indenni, rispuntare dopo l’ultimo disastro per andarne a fare un altro; più forti e più potenti che pria. Con lo stesso linguaggio, che uno attento potrebbe anche restituirglielo comparato ai risultati.
Maura Rossi
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
Amburgo e Genova, figli e figliastri di Aponte
Ad Amburgo si va verso la conclusione dell’OPA di MSC per il 49,9% di HHLA, il maggiore operatore portuale nel porto di Amburgo. In Germania le forze sindacali, imprenditoriali e politiche si oppongono all’operazione, però sostenuta dal sindaco di Amburgo, Peter Tschentscher (SPD). La città-Stato detiene il 69,2% delle azioni di HHLA quotate in borsa, mentre il 30,8% è in flottante. Tschentscher ritiene la nuova partnership molto positiva per i lavoratori e per il porto perché in grado di garantire gli investimenti necessari per il futuro dello scalo. MSC offre 1,4 mld per le azioni, 750 mil di investimenti tra il 2025 e il 28, il raddoppio dei propri dipendenti e un incremento di 1 milione di teu a partire dal 2031. Si consideri che il porto di Amburgo movimenta oltre 8 mil teu, con un’occupazione di 3000 addetti diretti e 600 forniti dal pool di manodopera.
Guardo a Amburgo e penso a Genova, dove MSC opera dal 2020 nel terminal Bettolo. È noto che MSC ha accettato la concessione (33 anni) a condizione che le si consenta, grazie alla nuova diga, l’ormeggio delle navi sino a 24mila teu; mentre oggi il max è 5-6mila teu per la ristrettezza del canale di accesso. In attesa della diga e della disponibilità dell’intera banchina (oggi agibile a metà: 90.000 mq), nel 2021 Bettolo ha movimentato 110mila teu e nel 2022 150mila. Mentre nel 2023 si segnala un’inversione di tendenza con ben -34,5% teu (la previsione fine anno è 98mila teu); a fronte del calo generale nel porto di 5,7%.
Ma che c’entra HHLA con Bettolo? A Amburgo, MSC ha presentato un piano di investimenti, nuova occupazione e aumento di traffici oggetto di acceso dibattito pubblico. A Genova si ignora il piano d’impresa presentato per ottenere la concessione. O meglio, vengono dati dei numeri in libertà senza riscontri ufficiali. Palazzo San Giorgio dichiara una capacità a regime del terminal a volte di 500mila, altre volte 800mila teu; gli investimenti annunciati di MSC passano da 136 a 280 milioni. Nel frattempo, dopo tre anni, il bilancio 2022 segnala investimenti 25mil. L’occupazione è di 73 addetti, 10% a tempo determinato, più un 30% di lavoratori avviati dalla CULMV: l’organico che corrisponde giusto a una produzione di 100mila teu. E sinora il terminal perde da tre anni 7,5mil euro. Sono questi i dati previsti nel (fantomatico) piano industriale, pure considerando che si tratta di un’impresa in fase di avvio? A quando (e come) il decollo per traffici, occupazione e impresa?
R.D.I
Bucci, Toti e Signorini: presentat’arm davanti a MSC
A proposito di parole in libertà, ci si chiede perché Gianluigi Aponte, gran capo di MSC, all’inaugurazione della diga di Genova a primavera scorsa, dichiarasse: «Potremo fare 2 milioni di teu grazie alle navi più grandi». Un accondiscendente «potremo», da “piccolo padre”. Ad Amburgo, che di norma fa 8 mil teu, MSC, nel corso dell’OPA sull’operatore portuale HHLA, promette realisticamente 1 mil di nuovi teu e non prima di 8 anni; nel porto di Genova, che ne fa in tutto 2,4 mil Aponte dichiara di aggiungerne quasi altrettanto, senza dire quando e come (+2 mil con un terminal da max 800mila!). Soprattutto togliendone quanti a PSA, quindi al saldo finale del porto? Eppure, nessun giornalista ha chiesto come si può sostenere tali cifre, e se sta scritto nel piano di impresa o no. Aponte ha aggiunto con pari accondiscendenza che Bettolo sarà aperto anche a navi di altre compagnie. Forse perché ormai svizzero, non sa che in Italia la concessione pubblica prescrive che un terminal non possa escludere a priori nessun cliente. Poi ha detto che il porto di Genova senza la diga è ingolfato. Ignora che le sue navi vanno liberamente al PSA SECH, che in media ha il 50% di banchina libera, e al PSA Prà che ne ha il 30%? Infine, per gli investimenti siamo alla farsa. Questo aprile 2023, nella cerimonia d’avvio del cantiere per pavimentare i 90mila mq di Bettolo ancora da consegnare, Signorini, Bucci, Toti e compagnia hanno avuto la faccia tosta di celebrare la “posa della prima pietra di calata Bettolo”. A distanza di 15 anni dall’effettivo inizio del tombamento e a 3 anni dalla fine dei lavori. Con l’aggiunta della spudoratezza di esporre ai media due numeri – a bella posta l’uno di fronte all’altro – per magnificare il privato MSC e sminuire la parte pubblica: 280 milioni di investimento MSC e 27 di investimento pubblico. Ma sul sito dell’AdSP c’è il dettaglio di 136 mil di investimenti, non 280, mentre per quanto riguarda la spesa pubblica lo Stato ha già speso 230 mil per Bettolo e semmai ne aggiunge altri 27. Mentre a Amburgo l’OPA di MSC è rivolta al pacchetto azionario di minoranza di HHLA in cambio di un piano attendibile di sviluppo, a Genova la fedeltà e la credibilità pubblica di Palazzo San Giorgio sembrano alla mercé di MSC. L’AdSP pubblichi il piano di impresa per cui ha concesso il nuovo terminal Bettolo a MSC. Se poi MSC non fosse più interessata, allora si faccia da parte e si offra il terminal a chi sia in grado di apportare davvero merce e lavoro.
Riccardo Degli Innocenti
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
Il bilancio 2024 della sanità ligure: 35 milioni di deficit
Toti dice sempre che occorre accettare qualche sacrificio per portare in parità il bilancio della sanità ligure. Purtroppo nonostante scene da terzo mondo con i malati sdraiati per terra all’ospedale Galliera, il San Martino allagato, l’ospedale Sant’Andrea alla Spezia che cade letteralmente a pezzi o quello di Bordighera regalato ai privati, il buco della sanità 2024 sale a ben 35 milioni di Euro.
Che fine hanno fatto le promesse di Toti di “azzerare il disavanzo”. Una delle cause principali del deficit sono i rimborsi che la regione Liguria deve pagare alle regioni vicine per la così detta “fuga dei pazienti”. Chi può o chi abita vicino ai confini regionali, a fronte dei ritardi abissali delle prestazioni sanitarie liguri, come visite specialistiche, esami clinici e anche interventi chirurgici, si rivolge sempre più spesso a strutture meglio attrezzate e che rispondono velocemente.
Ci fu un tempo lontano in cui la Liguria era, al contrario di oggi, polo di attrazione di persone bisognose di cure da altre regioni. Non mancavano i poli di eccellenza come il Gaslini, primo ospedale pediatrico in Italia, IST, CBA, l’ematologia del San Martino, la chirurgia della mano a Savona, la medicina iperbarica alla Spezia e altro.
Purtroppo la regione invece di investire sul potenziamento dei centri di eccellenza e su servizi per i quali la Liguria dovrebbe essere una destinazione naturale come le riabilitazioni dopo interventi cardiaci od ortopedici ha abbandonato tutto, perdendo da un lato entrate per i pazienti in arrivo e aumentando a dismisura il costo per i pazienti che, giustamente, cercano servizi e assistenza in altre regioni.
Però – nel frattempo – Toti non esita a spendere per gli yacht. L’accordo sui Fondi Sviluppo e Coesione stilato a settembre tra Toti e la presidente del consiglio Giorgia Meloni prevede un nuovo bacino di carenaggio di 150 metri per 30, che dovrebbe essere destinato al cantiere Amico.
I Fondi di Sviluppo e Coesione sono lo strumento principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri: di solito si usano per strade, scuole, ospedali, investimenti pubblici, per ridurre le disuguaglianze tra i territori. Qui Toti e Meloni li usano per le riparazioni degli yacht. È curioso che lo stanziamento per gli yacht pari a oltre 20,5 milioni di Euro superi lo stanziamento regionale per realizzare il nuovo ospedale del Felettino (15 miseri milioni).
Nicola Caprioni
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Per un arredo urbano liberato da ombrellini e baracconate circensi
Dopo decenni di progetti di architettura in tutta Italia, posso dire con una certa sicurezza che i genovesi hanno “buon gusto”. A parità di situazione socioeconomica, le case dei genovesi sono più belle, curate e amate. Stupisce quindi la sciatteria e il disinteresse con cui trattano la propria città che, in quanto ad arredo urbano equivale ad un salotto con calze sporche sul divano, pile di oggetti indefiniti, tavola da sparecchiare e letti disfatti. Contribuisce certamente un certo autismo asociale che ci identifica con la nostra casa e non con spazi comuni, lasciati ben fuori dalla porta del nostro privatissimo individualismo. Il dramma si consuma però quando ci si avventura in interventi di restyling, palesando un nuovo e sorprendente pessimo gusto, unito alla patologia dell’“horror vacui” camuffato da necessità. Ed ecco proliferare ovunque chioschi, baracche, panchine incongrue, tognolini, transenne, fioriere/spazzatura. Metastasi di un male incurabile. Dunque, a Genova la prima mossa per mettere ordine è la sottrazione: eliminiamo ogni ingombro inutile; svuotiamo il salotto da tutto ciò che non riguarda la sua funzione primaria, che rimane l’accoglienza. Oggi più che mai, essendo Genova salita al rango di città turistica. Girando per il centro, ho notato le prime decorazioni natalizie, talmente basiche da apparire quasi misere, e il mio cuore ha esultato, ricordando ombrellini, luminarie colorate da baraccone circense, scritte luminose con ordini perentori: ASCOLTA. CAMMINA. ESPLORA, purtroppo ancora presenti nei vicoli, a ostruire la vista di palazzi seicenteschi o medievali. “Il decoro urbano definisce e rappresenta la dignità dello spazio urbano nelle sue parti di uso collettivo, ed esprime un concetto estetico e morale che riguarda la qualità sociale delle città” (definizione tratta da un documento del Comune. Quindi?). Quindi l’arredo urbano ci dà la misura della responsabilità civile del singolo nei confronti della collettività, ed è pertanto cosa molto meno frivola di quanto possa apparire. Riguarda molti campi di attuazione nevralgici: gestione dei rifiuti, illuminazione, zone di sosta, verde pubblico, dehors. Infine si sa che il degrado porta degrado e dall’America ci arriva un divertente esperimento: due auto identiche lasciate una nel Bronx – immediatamente saccheggiata- e l’altra nel quartiere benestante di Palo Alto- non toccata. È bastato spaccare un vetro a quest’ultima perché anch’essa venisse saccheggiata all’istante.
Marina Montolivo Poletti
Le classifiche del Sole24Ore smentiscono i vantoni di casa nostra
Il Sole24Ore redige una classifica annuale sulla qualità della vita nelle città. E si stupirà solo chi continua a vantare il recupero delle città ligure: nel 2023 siamo messi sempre peggio. E il bello, ovvero il brutto, è che la stampa locale di questa graduatoria quasi non ne fa menzione. C’è da pensare che glielo vieti qualche ordine dall’alto del gruppo GEDI (di cui fanno ormai parte Il Secolo XIX, la Repubblica e La Stampa. Le testate locali degli Agnelli). Valga per sineddoche il capoluogo: stante che le altre città stanno pure peggio. Quest’anno Genova cala di ben venti posizioni passando dal ventisettesimo al quarantasettesimo gradino. Una vera batosta, ma non basta. Per quanto riguarda il lavoro perde sei punti, mentre per ricchezza e consumi ne perde addirittura ventinove, fissandosi al cinquantaseiesimo posto. Ma peggio di tutti lo fa il vanto di una certa destra: per giustizia e sicurezza, Genova scende all’ottantaseiesimo posto, tra i peggiori d’Italia. Però sale al dodicesimo per criminalità: uno dei luoghi più citati dalla cronaca nera. Cultura e tempo libero? Quasi un successo, cede solo quattro posizioni. Unica nota positiva, il miglioramento di dodici posizioni per ambiente e servizi: ma quando arriverà l’idiozia dello Skymetro scenderemo anche in questa categoria. Tuttavia siamo al top della classifica (decimi) per… la vecchiaia. Ovvio: i giovani se ne vanno per cercare lavoro in altre città o all’estero e Genova conquisterà sempre più posizioni. E siamo al secondo posto in Italia, sperando di arrivare primi il prossimo anno, per il contrabbando. Per l’indice di solitudine c’è solo da sparare sulla Croce Rossa: su centodieci capoluoghi di provincia, Genova si piazza al…centocinquesimo posto. Evviva, eccoci in top five! Potremmo andare avanti, ma siamo sotto le feste… Intanto festeggiano i grandi proprietari di immobili, perché la valutazione media è in aumento; in controtendenza rispetto alla maggior parte del Paese: 3,4%, con 3.050 euro di media al metro2. Naturale che chi abita a Sampierdarena o a Quezzi strabuzzi gli occhi per questi dati: ma è il solito effetto di chi mangia un pollo e il suo vicino niente, ma la statistica ne registra mezzo a testa. Se le case del waterfront le vendono a quasi 7.000€ al metro quadro e a Quezzi a 500 si fa presto a fare la media. Rimedi? Bisognerebbe lavorare sul FIL (la felicità interna lorda) e non sul PIL (prodotto interno lordo): alla fine saremmo tutti più felici. E magari anche meno poveri.
Carlo A. Martigli
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
La Reazione all’attacco della Sarzana “rossa” e antifascista
L’associazione destrorsa “Canto nuovo – democrazia futurista” propone convegni “revisionistici”, quando non vere provocazioni, nella “rossa” Sarzana, passata alla storia per aver respinto i fascisti nel 1921 nonché per i suoi condannati dal tribunale speciale, i confinati, gli esiliati e i partigiani.
È grave che l’attuale amministrazione le conceda patrocinio e utilizzo dei locali del comune, come già con il convegno su Julius Evola, “presunto intellettuale” nazista, razzista e sessista. Poi annullato per le proteste cittadine. Ora è la volta di Mario Arillo, definito “eroe spezzino”. Ma se era un “eroe spezzino”, perché celebrarlo a Sarzana? La motivazione è che costui, ufficiale della Regia Marina nei reparti speciali, fu uno dei protagonisti degli assalti alla flotta inglese con i famosi “maiali”, o siluri a lenta corsa guidati a cavalcioni da due subacquei. Ricevendone una medaglia d’oro.
L’8 settembre 1943 buona parte della Flotta passò con gli alleati, partecipando alla guerra di Liberazione. Difatti la grande maggioranza dei decorati di quei reparti speciali – Luigi Durand de La Penne, Agostino Straulino (poi medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1952), Luigi Faggioni – insieme a ufficiali e marinai scelsero di stare dalla parte della Resistenza.
Invece Mario Arillo si schierò con i fascisti, ovvero con il “principe nero” Junio Valerio Borghese nella nuova X MAS repubblichina; non più reparto della marina, ma un’unità di terra autonoma e alle dirette dipendenze del comando tedesco; utilizzata nella lotta antipartigiana e responsabile di crimini verso la popolazione civile.
Con Salò Arillo fu commissario prefettizio della Spezia, dove operava anche il famigerato Aurelio Gallo, criminale torturatore; poi condannato a morte da un tribunale italiano e fucilato nel dopoguerra.
Una falsità storica, diffusa da lui stesso, è il merito attribuitosi di aver salvato il porto di Genova che i tedeschi avevano minato. In realtà il generale Mehinold si era arreso ai parigiani dando l’ordine di sminare le banchine.
Secondo la destra di oggi un decorato è pur sempre un decorato. Quindi Arillo è un eroe. Gli antifascisti rispondono che allora si dovrebbe considerare tale anche il maggiore delle SS Walter Reder, responsabile della lunga scia di stragi di popolazioni inermi – da Sant’Anna di Stazzema a San Terenzo Monti e Vinca per arrivare a Marzabotto – visto che prima di dedicarsi ai massacri aveva “meritato” due croci di ferro e una medaglia d’oro sul fronte orientale.
Nicola Caprioni
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
Il peso di Genova grava su Savona (come da copione)
Un grande giornalista d’altri tempi – Eugenio Scalfari – soleva rappresentare un rapporto altamente squilibrato attraverso la metafora gastronomica: il pasticcio di carne con un cavallo e un tordo. In cui non vi è dubbio su quale sia il sapore prevalente nel connubio. Un po’ lo stesso caso dell’area centrale nella nostra regione, in cui gli sforzi savonesi rischiano di finire calpestati dagli zoccoli dell’ingombrante quadrupede genovese. A partire dal settore trainante in entrambe le economie territoriali: la portualità. E mentre la Lanterna punta tutto sulla crescita nei volumi dei container, come contropartita all’essersi prostrata ai voleri di due soli player (Gianluigi Aponte e Aldo Spinelli che, come più volte ricordato nel nostro magazine, poi non mantengono le loro promesse mirabolanti), sotto il Priamar si cresce all’insegna della multi-merceologia, con il progetto realistico di raggiungere in breve tempo l’obiettivo 20 milioni di tonnellate trattate (a fronte degli attuali 15/16). Un risultato assolutamente alla portata dello scalo, sempre che vengano realizzate le infrastrutture indispensabili. E qui siamo alle dolenti note: ossia le risorse finanziarie assorbite dalla pompa aspirante genovese che prosciuga le disponibilità savonesi (neppure un decimo degli oltre 3miliardi messi a disposizione dei due porti dalle spartizioni del malloppo PNRR).
Per cui ancora una volta le categorie economiche ponentine hanno fatto la loro parte nel totale assenteismo della politica locale. Come ai primi anni ’90, con l’invenzione di una vocazione crocieristica promossa dalla sinergia fra tutte le rappresentanze portuali, del lavoro e datoriali, sotto la regia dell’allora Port Authority; con i vari sindaci a fare i convitati di pietra. Sicché la fine del tordo dipende soprattutto da un mancato ruolo politico capace di promuovere gli interessi d’area. Sarà perché le carriere locali di partito subiscono la forte attrazione del capoluogo regionale. Sarà perché la geografia politica del Ponente replica l’impotenza della Cina 1911, alla caduta della dinastia Qing, frammentata nei feudi dei vari “signori della guerra”. Con la Marca Finale-Loano-Albenga insediata da Angelo Vaccarezza, la Franca Contea all’estremo occidente dominio degli Scajola; e con tutte le loro personalistiche tendenze centrifughe che lasciano l’aspirazione/vocazione economica di territorio priva di sponda nelle istituzioni.
Mentre procede la calata degli spezzini, su cui si ritornerà prossimamente.
Pierfranco Pellizzetti
PASSEGGIATE D’ARTE
Le bellezze dimenticate da riscoprire
La Maddalena, un gioiello nascosto
Caffaro narra che nel 1140 sulla Via Romana (che attraversava la città da levante a ponente fuori delle mura carolinge) sorgeva una cappelletta dedicata a Maria Maddalena che, dopo la costruzione delle fortificazioni del Barbarossa, venne a trovarsi entro le mura di Genova. Seguirono alterne vicende fino a che nel 1576 la Chiesa fu affidata ai Padri Teatini i quali, con il patronato degli Spinola, ne curarono il restauro affidandolo ad Andrea Ceresola, detto il Vannone (1585-1587). La Chiesa venne ruotata in senso opposto, fu realizzato l’ingresso a trifora con il grande arco ancora oggi visibile e la dedica a San Gerolamo Emiliani. Interessante è il portico del 1589, sorretto da quattro colonne lisce di ordine cosiddetto tuscanico, raro a Genova (è simile all’ordine dorico nel capitello, formato principalmente da un echino con abaco sovrapposto, ma differisce per l’assenza di scanalature nel fusto e per la presenza di una base, costituita per lo più da un grosso toro e un plinto). Il portico era sormontato da cinque statue con al centro la Madonna con Bambino, circondata dalle quattro virtù cardinali Giustizia, Temperanza, Prudenza e Fortezza, realizzate nel ‘300 da Giovanni Pisano, autore del monumento funebre a Margherita di Brabante. Quelle che si trovano oggi all’ingresso sono copie, poiché gli originali sono conservati nel Museo di Sant’Agostino. Entrando nella Chiesa si viene avvolti dalla bellezza e colpisce il grande affresco della navata centrale dipinto nel 1729 dal fiorentino Sebastiano Galeotti, dedicato alla Gloria di Santa Maria Maddalena, mentre quelli alle pareti del transetto sono opera di Sigismondo Betti (1737). Altri artisti realizzarono affreschi; tra cui G.B. Parodi, Paolo Girolamo Piola, Domenico Parodi, Santino Tagliafichi e il fiammingo Jan Howart. Nella prima cappella destra di grande rilevanza è un’opera tarda di Bernardo Castello “Madonna con Bambino e i Santi Maddalena e Nicola” commissionata dalla corporazione dei materassai nel 1623. Tra le opere scultoree notiamo il gruppo ligneo policromo con San Gerolamo Emiliani e Angeli di Agostino Storace (1747) e la statua della Madonna col Bambino di Tommaso Orsolino, cui si devono anche due bassorilievi marmorei. Infine la Chiesa conserva un importantissimo Crocifisso ligneo degli inizi del 1300, attributo a un anonimo artista tedesco che, finalmente restaurato e sapientemente valorizzato in capo alla navata centrale, si mostra oggi nel suo antico splendore.
Orietta Sammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga
La Città Metropolitana cancella tradizioni culturali del Levante
Presto saranno cinque anni che il Teatro Cantero ha chiuso i battenti e da mesi si sono staccate le lettere della storica insegna. Quando Chiavari concorse a Capitale della Cultura, come si sarebbe promossa tale candidatura senza quella testimonianza prestigiosa?
Memoria insegna che lì c’era il cuore pulsante del territorio: il Politeama, Il Radium, il teatro Eden e tanti altri Tutti luoghi cancellati dal tempo. Negli anni in cui l’impresario per eccellenza, Andrea Cantero, rileva il Radium e lo porta a divenire la sala di maggior successo. Le novità sono tali che la gestione del Verdi cade in una profonda crisi, fino al rovinoso fallimento del 1931. Sono proprio i Cantero a voler salvare lo storico teatro. L’amministrazione chiavarese rifiuta ogni proposta e il Verdi chiude. Ma i Cantero non rinunciano. Promuovono l’idea di una rinascita per dotare la città delle strutture adeguate. Il 29 dicembre del 1925 presentano il progetto e la Commissione Edilizia rilascia il permesso “per l’edificazione del Politeama da erigersi in Piazza XX Settembre”. Sola clausola, l’opera va realizzata in quindici mesi. I lavori prendono inizio, coinvolgendo i migliori artigiani chiavaresi: le decorazioni di Luigi Sfrondini; gli stucchi della ditta Papini; gli arredi di Brizzolara; il maestro d’Arte Roberto Ersanilli predispone maschere decorative e bassorilievi. Coordina Ido Gazzano. Si giunge alla prima inaugurazione solo col Grande Veglione del 1931; la seconda prevede la Tosca di Puccini, sabato 15 maggio 1937. Arriva la guerra e le regole del coprifuoco complicano molto, ma teatro e proiezioni non si fermano. A guerra finita i Cantero realizzano il Tetro di Lavagna (1948), e il cinema Nuovo in Chiavari. Negli anni del “boom economico” si riapre il dibattito sul vecchio teatro Verdi. Demolito nell’estate 1963. Il suo ultimo spettacolo sarà l’esposizione di un capodoglio: il cetaceo spiaggiato venne esibito sul pavimento della platea. Ancora una demolizione cancella nel 1996 il Teatro Astor. E il Secolo XIX titola il 18 febbraio 1994: “Riaprire il cinema Astor per non impoverire la città”. Ancora oggi il Gruppo Amici del Cantero propone soluzioni per recuperare quella pagina ricca di cultura. Ma con la Città Metropolitana fu subito chiuso l’Ente Decentramento Culturale della vecchia Provincia, che organizzava eventi su tutto il territorio. Ecco, questo è il futuro: si cancellano tracce della nostra tradizione mentre un mortaio gonfiabile carico di pesto naviga sul Tamigi!
Getto Viarengo
SAPERE PER DECIDERE
CONTROINFORMAZIONE LIGURE
Consultabile anche sulla Pagina Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100092285688750
e sul Sito Web “Controinformazione ligure – sapere per decidere”: https://www.controinformazioneligure.it
Numero 13, 15 dicembre 2023
AUGURI LAICI
Alle amiche e agli amici di Sapere per Decidere, Controinformazione Ligure
Care e cari tutti,
il nostro magazine va in pausa il 15 dicembre, per poi riprendere il dialogo quindicinale dalla metà di gennaio 2024. Ad oggi la vostra attenzione e gli apprezzamenti che riceviamo ci inducono a pensare che la missione editoriale della nostra testata sia stata capita e condivisa: promuovere spirito critico come antidoto al veleno della disinformazione, su cui i signori delle rendite locali di potere puntellano le loro poltrone; con il codazzo di reggicoda che, da bravi camerieri, ne consolidano il controllo su una pubblica opinione sempre più inerte, tra l’annichilimento e la frustrazione. Spettacolo che contempliamo attoniti, ricordando che qui da noi si coltivavano attitudini critiche ben oltre il macchiettismo del mugugno: la memoria di quanti, ai primi del Novecento, difendevano la propria Camera del Lavoro con una forza tale da far cadere governi nazionali (il dicastero Saracco); e cinquant’anni dopo scendevano ancora in piazza contro i tentativi neofascisti di occupare lo spazio pubblico genovese, con uno spirito ribelle tale da bloccare sul nascere operazioni nazionali di stampo reazionario (il governo Tambroni).
Una fierezza che ormai si direbbe narcotizzata, mentre diventiamo il contenitore di qualsivoglia scarto politico, nazionale e internazionale. Ossia la recezione di tutte le ricette atte a disarticolare democrazia partecipata e inclusiva predisposte nei laboratori di pensiero reazionario d’oltre oceano, in sinergia con l’involuzione a Sinistra; per cui, inseguendo le fate morgane della Terza Via, si svende un patrimonio di impegno solidale per il piatto di lenticchie del carrierismo e dell’affarismo.
Se questa è la cornice di questo scivolare e poi precipitare in un declino senza fine, il senso del nostro volontariato al servizio della controinformazione discende dal rifiuto di accettare tale dato di fatto come irreversibile. Da qui lo spirito di servizio nel contestare narrazioni mendaci e comportamenti opportunistici. La proposta di creare una saldatura permanente tra opposizione sociale (emendata dal vizio di chiudersi nel proprio orticello) e opposizione politica (liberata da inconcludenze e vizi personalistici); oltre i ritardi delle due opposizioni nell’analisi dei punti di forza della destra al potere e il rischio in agguato del ritualismo vanamente celebrativo.
Noi continueremo a esserci, fiduciosi di ritrovarvi all’appuntamento.
Auguri laici.
Quelli di Controinformazione Ligure
SPIFFERI
Bertrand Russell ammonisce Marco Bucci
Si direbbe che il grande filosofo inglese avesse la premonizione dell’avvento a Tursi di “U Sbraggia”, il sindaco dedito a ululare scempiaggini; dall’insana teoria che “fare male è meglio del non fare” al “Modello Genova” (niente controlli sulle Grandi Opere per finirle più in fretta). Perciò, già dal 1937 lo aveva messo in guardia dal non dire e fare sciocchezze: “il mondo soffre per l’errata convinzione che ogni azione energica sia lodevole anche se male indirizzata; mentre la nostra società moderna, così complessa, ha bisogno di riflettere con calma, mettere in discussione i dogmi ed esaminare i punti di vista con grande larghezza di idee”. Tutto l’opposto del modo in cui questo tipo insiste a comportarsi, inseguendo il proprio Ego. Sbraitando pure alla memoria di Bertrand Russell.
Il sonno della ragione genera fregature (e fallimenti)
Tra Berlusconi-style e fraud, frodi da Destra made in USA, chi ci governa presume di tenere in scacco noi liguri con narrazioni rimbambenti: red carpet, dighe portuali sulla sabbia, milionate di container in arrivo, il basilico trasformato in pepite auree, sanità da favola con i privati nel ruolo dei benefattori. Il set alla Mediaset risulta una quinta di cartone pronta a crollare appena fa capolino la vita reale: gli aspetti più palesi dell’impoverire quotidiano, a dispetto delle sbruffonate. Quanto ci dicono le serrande abbassate dei negozi. Ieri a Genova sparivano Pescetto Jr. e Berti, fornitori di una borghesia delle professioni orfana di Grandi Imprese. Oggi sono dati in chiusura Tessil2 e Bagnara, nella sparizione del ceto medio che ne costituiva la clientela. Ormai proletarizzato.
Il sindaco cementificatore non tollera di essere disturbato
Andrea Moizo, una delle rare voci su piazza che intende il ruolo della libera stampa come “cane da guardia dei cittadini”, ha postato su Fb forti perplessità circa i lavori della nuova diga (o “diga Aponte”, stante il vero beneficiario): ritardi pazzeschi che minacciano il finanziamento PNRR e incognite geologiche sull’ancoraggio della diga, paventate da una miriade di esperti (per cui, se nell’esecuzione saltano fuori magagne, paghiamo noi cittadini. E Webuild ringrazia chi ha sottoscritto il contratto capestro). Interpellato, Bucci risponde che la pretesa civica di informazioni “esorbita”. Oltre che cementificatore il Primo Cittadino si rivela pure costituente. Riscrivendo l’art.1 della Costituzione: da “Italia è una repubblica democratica” a “In Italia non si disturba il manovratore”.
C’È POSTA PER NOI
Sul numero 10 di SxD Controinformazione Ligure del 31 ottobre scorso il nostro Carlo Martigli scriveva che:
Con le banche si può anche vincere (qualche volta).
Banca Intesa San Paolo ha ben sessantadue filiali in Liguria. Ora già 300.000 loro clienti in Italia sono stati – a loro insaputa, con una semplice comunicazione on line – trasferiti a un’altra banca del gruppo – Isybank – nome che scimmiotta easy. Un’operazione che ha cambiato per i tapini coinvolti tutti i dati bancari, compreso l’Iban, il coordinamento con le carte di credito, i rid e via dicendo. Crediamo sia giusto denunciare questa manovra, legalmente border line, che già coinvolge numerosi clienti della nostra regione. Altri hanno chiesto informazioni alle sedi locali e si sono sentiti rispondere che l’operazione è partita dalla Direzione Generale e loro non ne sanno nulla. Un legale ci ha confermato che è diritto richiedere il ripristino del conto originario.
Ora ci aggiorna al riguardo:
A proposito dell’anomalo trasferimento coatto di centinaia di migliaia di clienti da parte di Intesa-San Paolo su una newco di sua proprietà, l’Isibank.
In Liguria molte persone erano rimaste coinvolte, e le proteste con richiesta di spiegazioni ai vari direttori locali erano cadute nel vuoto. Bene, in questi giorni l’Antitrust ha bloccato tutto, come speravamo. Dicendo chiaramente che senza il consenso del cliente, il conto non poteva essere trasferito. I nostri concittadini che avessero avuto notizia del trasferimento possono stare (per ora) tranquilli, mentre quelli che lo avessero già subito, possono esercitare il diritto di rientro nel vecchio conto, come stabilito dall’Antitrust. Da parte nostra la piccola ma significativa soddisfazione di aver dato un sia pur minimo contributo per la felice conclusione di questa che risultava una vera e propria prevaricazione.
Carlo A. Martigli
Un appuntamento da non perdere
Scrive l’amico Federico Valerio
Bogliasco come Sisifo!
Il Comune con la scusa, sacrosanta, di difendere la costa, pensa che, con danari pubblici, si possa creare una nuova spiaggia per attrarre più “foresti”. Il riempimento, andato avanti per giorni, con un andirivieni di camion, carichi di ghiaia e sabbia, durato qualche mese.
Tre potenti mareggiate, una dopo l’altra, si sono portato via tutto.
Chi pensa che il cambiamento climatico sia un fatto “ideologico” è avvertito.
E per la nuova stagione balneare che cosa si vuol fare?
Federico Valerio
Fase 1 Fase 2
La nostra collaboratrice Maria Foti ci segnala un problema – il carente inserimento nei percorsi scolari dei figli degli immigrati – da portare sempre a ordine del giorno. Ricordando l’insegnamento del filosofo francese Marcel Gauchet: «una società esiste solo a partire dal momento in cui è capace di assicurare la continuità della sua cultura e l’identità della sua organizzazione a dispetto del continuo rinnovarsi dei suoi membri che nascono e muoiono».
Accogliere” i nuovi genovesi”, la civiltà che diventa lungimiranza
Da qualche tempo è nuovamente tornata tra noi la paura dello straniero, di chi viene da fuori dei confini nazionali per portarci via non si sa bene che cosa: il lavoro, le case, le donne… Addirittura qualcuno parla di “sostituzione etnica”. Qui a Genova, città che nella sua lunga storia ha visto transitare e risiedere uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo allora conosciuto, ultimamente si sono registrati episodi incresciosi riguardo alla non-accoglienza di quanti/e vanno considerati “nuovi/e genovesi”. Il caso di un ragazzino tredicenne giunto dal Marocco “rifiutato” per carenze linguistiche da diverse scuole; anche da quelle cosiddette accoglienti. E non si tratta di un caso isolato. Eppure l’istruzione pubblica non potrebbe permettersi nulla del genere. Ad ogni modo, nelle nostre scuole sono davvero tanti i ragazzi figli di immigrati. Verso i quali si riscontrano atteggiamenti discriminatori sul razzistico; analoghi a quelli – sempre ricorrenti – verso badanti e donne delle pulizie. Quando la Storia ci insegna che in Italia sono passate innumerevoli etnie, tanto da concorrere a rafforzare il nostro sistema immunitario, perché i geni si mescolavano dando vita a individui più sani. Nel dopoguerra al Nord ce l’avevano con i meridionali (terroni); oggi, anche quei “terroni settentrionalizzati”, se la prendono con gli immigrati. Quando nel nostro Paese quelli che svolgono i lavori pesanti, “umili”, che gli altri schifano, sono proprio gli extracomunitari. Nelle imprese edili, nelle case per anziani, nelle cooperative di pulizie industriali e private, c’è solo, o quasi, personale proveniente dall’Africa o dall’America Latina. Ma sono i “nuovi genovesi” a poter garantire quel ricambio generazionale che assicura la sopravvivenza e la riproduzione della nostra società.
Maria Foti
Riceviamo da Andrea Agostini
Anatomia di un omicidio. Di un nostro amico verde
Così si uccidono gli alberi: un’asfaltata che così soffocano e non ricevono più acqua. Poi, quando saranno belli secchi, si taglia e poi asfalto sul taglio e parcheggio blu. Questa è la città “meravigliosa” di Bucci nell’interpretazione di Aster…
ECO DALLA RETE
Su Africa ExPress del novembre scorso Antonio Mazzeo segnala le collusioni affaristiche, con gli insabbiatori dell’orrida vicenda Regeni, di Fincantieri; vanto dell’industria ligure. Riportiamo ampi stralci dell’intervento.
Viva il business abbasso i diritti umani: nuovi affari dell’Italia con l’Egitto
Condonato l’omicidio di Giulio Regeni e ignorati i report sull’escalation repressiva del regime di Abdel Fattah al-Sisi, governo e industrie belliche italiane stringono nuovi affari con l’establishment militare egiziano. Il 22 novembre il gruppo a capitale statale Fincantieri Spa ha firmato con la Armament Authority egiziana un contratto decennale di 260 milioni di euro per servizi a favore delle due fregate multi-missione Fremm “ENS Al-Galala” ed “ENS Bernees” della Marina Militare egiziana.
“Il contratto con le forze armate egiziane conferma la strategia di Fincantieri di creare partnership strategiche di lungo termine che prevedono forniture pluriennali di servizi tecnologici con clienti chiave”, dichiara l’A.D. del Gruppo PierRoberto Folgiero.
Le unità da guerra “ENS Al-Galala” ed “ENS Bernees” erano state consegnate da Fincantieri tra dicembre 2020 e aprile 2021 dopo le attività di restyling nel cantiere di Muggiano-La Spezia. Le Fremm sono armate con un cannone Leonardo da 127/64 mm, un cannone Super Rapido da 76/62 mm e due cannoni da 25 mm oltre al sistema missilistico superficie-aria in grado di lanciare missili terra-aria della famiglia Aster. Per l’acquisto Il Cairo versò al fornitore 990 milioni di euro.
Fincantieri spera di poter vendere all’Egitto altre quattro Fremm e una ventina tra corvette e pattugliatori della classe “Falaj”. All’edizione dell’Egypt Defence Expo – EDEX, l’esposizione internazionale delle industrie di guerra tenutasi al Cairo dal 29 novembre al 2 dicembre 2021, il gruppo italiano ha fatto da main sponsor dell’evento patrocinato dal presidente della Repubblica al-Sisi. Per la prossima expo militare (dal 4 al 7 dicembre 2023) compare come silver sponsor Leonardo DRS, la controllata dell’omonimo gruppo con sede negli Stati Uniti d’America, mentre tra i platinum sponsor ci sarà pure il colosso missilistico europeo MBDA, controllato per il 25% da Leonardo Spa, principale fornitore di missili per le unità di terra, cielo e mare del regime egiziano.
Mentre le grandi e medie aziende di morte del mondo intero si preparano alla kermesse, si moltiplicano le denunce sulla crescita esponenziale nel Paese delle violazioni dei diritti umani. Il 23 novembre (giorno successivo alla firma del contratto tra Fincantieri e il Ministero della Difesa egiziano), Amnesty International rilevava come si intensifichi la repressione contro dissidenti e manifestanti pacifici alla vigilia delle elezioni presidenziali in programma dal 10 al 12 dicembre.
Antonio Mazzeo
ECO DELLA STAMPA
Redazionale apparso su il Fatto Quotidiano del 4 dicembre scorso.
Orlando attacca la giunta di Genova per il sacrario dei repubblichini
«Duro attacco del deputato Pd ed ex ministro del lavoro Andrea Orlando durante un intervento alla Camera sull’ordine dei lavori. Il deputato dem ha parlato della delibera di bilancio della giunta comunale di Genova: “In allegato a questa delibera è contenuto il piano pluriennale per le opere pubbliche, all’interno del quale è contenuto un intervento di ripristino di un insieme di sepolcri che contengono i resti dei caduti della Repubblica Sociale – spiega Orlando – L’importo di questo intervento è di un milione e 750mila euro su un fabbricato, un intervento privato, realizzato nel 1952″. “Dietro al velo che forse verrà steso della pietas, ci troviamo in realtà di fronte ad una provocazione e a un oltraggio alla storia della città”, attacca quindi l’ex ministro che sottolinea come Genova sia Medaglia d’Oro della Resistenza.
Questo intervento, dice ancora, “è una provocazione e un oltraggio ai patrioti caduti per mano dei repubblichini di Salò che zelantemente servivano l’occupante tedesco”. Si tratta, continua, di “un insulto alla decenza rispetto al quale spero che se nella maggioranza che regge questo Governo e anche il comune di Genova resta ancora qualcuno legato ai valori della Costituzione, mi auguro che batta un colpo”. “Sicuramente – dice ancora Orlando – alla nostra voce si unirà quella di tanti altri, cittadini, democratici, associazioni, che colgono la gravità di questo atto e non accettano, perché non lo possiamo accettare, che la storia del nostro Paese sia riscritta e sia cancellata la memoria di chi ci ha restituito la democrazia e la libertà. Ecco perché ritenevo urgente intervenire in questa sede per segnalare un episodio che considero gravissimo”»
Il deputato ligure Andrea Orlando scopre solo ora che la Liguria è ormai in mano a cinici politicanti interessati – qualsivoglia sia il prezzo – a blandire il proprio elettorato-target; in larga misura più che fascista, odiatore di tutto quanto abbia un vago sentore di sinistra: dal far pagare le tasse a politiche distributive, dall’impegno civile alle nostre tradizioni democratiche; per prima la lotta al Nazi-Fascismo? Mentre nell’aula parlamentare stigmatizza (?), con quella sua verve da frigidaire, i mestieranti che ci amministrano perché fanno il loro (vergognoso) mestiere, non si chiede l’Orlando quanto lui stesso abbia favorito la loro resistibile ascesa sovraintendendo una serie di campagne elettorali che sembravano concepite solo per far vincere l’avversario? E magari impedire che emergesse qualche possibile concorrente locale che insediasse la sua poltrona romana.
GLI ARGOMENTI DEL GIORNO
LA LINEA GENERALE
Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale
La società Ligure affetta da sonnambulismo
Il Rapporto sugli italiani Censis 2003, titolato “Ipertrofia emotiva”, è il referto di un popolo ormai impaurito e inerte a mo’ di sonnambulo. Se la stesura 2022 segnalava un diffuso stato d’animo “rabbioso”, almeno rivelatore di energia vitale seppure volta al negativo, nell’attuale rilevazioni dell’istituto fondato da Giuseppe De Rita nel 1964 la situazione pare totalmente cambiata: prevale l’assenza di reazioni in un sistema nervoso collettivo che si direbbe lobotomizzato. E la Liguria risulta la vetrina perfetta del fenomeno involutivo; nonché il suo punto terminale. Ossia il drammatico effetto da laboratorio di politiche in cui i nostri Toti, Bucci & company sono i propugnatori ridicoli, nella loro teatralizzazione dell’inconcludenza (largamente documentata da mesi sul nostro magazine); poi gli implementatori distruttivi (al netto dell’affarismo). Ossia gli utilizzatori pedissequi di ricette per la governance della complessità tradotte in abracadabra ad alto tasso di finzione, imposte come l’one best way mondiale a partire dagli anni ‘80. Nel momento in cui il combinato tra aumento delle materie prime e parossismo privatista, con la copertura ideologica della vague NeoLib, determinò l’accantonamento delle ricette keynesiane dell’investimento pubblico in funzione anti-ciclica: il più generoso esperimento di accomunare libertà e solidarietà mai tentato dall’umanità.
La liberazione del turbocapitalismo da controlli e contrappesi avviò il dimagrimento dello Stato causato dall’evasione fiscale dei vertici finanziari, con enormi ricchezza accumulate dalla plutocrazia ritornata in campo, investite nel finanziamento del crescente debito pubblico (i privati grandi creditori dei deficit. Persone fisiche celate nell’astrazione “mercati”; ormai in grado di imporre ai governi le scelte a garanzia dei loro investimenti). Si ribaltava così il gioco democratico delle parti: i cittadini declassati da moderno principe al ruolo di “fideiussori” degli indebitamenti pubblici; la finanza/mercati ascesa a decisore politico primario. Con il personale di partito, sottoscrittore del patto leonino con la plutocrazia, impegnato a occultare i rapporti di scambio e di forza reali per depistare il popolo taglieggiato. Mentendo e fingendo. Sicché, quando emerge la percezione del castello di chiacchiere mendaci con la consapevolezza di essere trappolati, dilaga la frustrazione che spinge il popolo ligure all’assenteismo; da sonnambulo della politica. In attesa di essere risvegliato?
Pierfranco Pellizzetti
Genova e Ivrea come grandi laboratori: la vicenda genovese Italimpianti-Iritecna di un’impresa della conoscenza come esperienza pilota per un nuovo modello competitivo; il prototipo in Olivetti del primo PC della storia realizzato nel team di progetto dell’ingegner Perotto: la Perottina, che avrebbe potuto rinnovare i fasti del Miracolo Economico trainato dalle innovazioni di prodotto. Due vicende stroncate dalla miopia delle leadership nazionali, avviando la deindustrializzazione italiana. PierGiorgio Perotto trascorse a Genova i suoi ultimi anni. Carichi di rimpianti.
La diga di Kariba, vanto dell’ingegneria italiana
Italimpianti, il modello che poteva essere. E non fu
L’Italimpianti (1951-1992) visse un’esperienza sindacale che potrebbe dare indicazioni anche all’oggi; seppure il mondo del lavoro stia andando in tutt’altra direzione.
Se nel primo ventennio di esistenza dell’azienda il sindacato era di tipo questuante, col ‘69 avviene il salto con la costituzione del Consiglio di Fabbrica, formato da delegati eletti nei reparti, indipendentemente dalla tessera sindacale; riconosciuto dall’azienda nel 1970. Il tasso di sindacalizzazione arriva al 60-70 % e tale rimane fino alla fine, anche grazie alla costituzione della FLM, il sindacato metalmeccanico unitario. Un caso raro nelle aziende impiantistiche caratterizzate dall’assenza di figure operaie e da elevati livelli professionali. Altro tratto caratteristico era l’alta presenza di knowledge workers: se in azienda i laureati costituivano il 30% della forza lavoro, nell’esecutivo del C.d.F. la percentuale s’invertiva. Questo conferì forza al sindacato, che nel 1971 stipulava un importante accordo che resterà in vigore fino al ‘92. Tale accordo era relativo al piano professionale: stabiliva che la crescita professionale è un diritto del lavoratore e spettava all’azienda rimuovere gli ostacoli a tale crescita. Ciò si tradusse in una continua formazione aziendale, sia tramite corsi di lingue e specialistici aperti a tutti, sia con l’inserimento nei gruppi di lavoro. Ovviamente alla crescita professionale corrispondeva un aumento del livello d’inquadramento e un incremento retributivo; anche con premi ad personam per i massimi livelli, comunque concordati col sindacato. Particolare attenzione fu rivolta alle donne, all’epoca quasi tutte segretarie (la dattilografia era ancora un mestiere), anche se non mancavano le laureate. La loro funzione fu modificata in “gestione delle informazioni” e in tale veste partecipavano a pieno titolo ai gruppi di lavoro. Il sistema organizzativo aziendale era a matrice, unendo l’organizzazione funzionale in verticale con quella a progetto in orizzontale. Non era prevista una gerarchia tra gli impiegati. Quindi nei gruppi di lavoro il ruolo di capo progetto e di coordinatore tecnico dipendeva dall’autorevolezza e non da status gerarchico. Anche grazie a questo modello organizzativo Italimpianti ebbe la capacità di conquistare mercati esteri realizzando grandi impianti in Brasile, Iran, Russia e Cina: il 70% del fatturato, che si traduceva in commesse per il made in Italy.
La stagione delle privatizzazioni pose fine a quel volo.
Mauro Solari
AMBIENTE
La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco
Cronache della nuova impresa titanica: Fiumara 2 (prima puntata)
All’inizio la grande idea: un nuovo quartiere di Genova in riva al mare. Ovviamente non poteva mancare la matita dell’archistar locale. Per cui ci mettiamo pure i canali, così la gente vi navigherà con la barca. E aggiungiamo case, per chi vuole averne una vista mare. Ecco il pacco confezionato e pubblicizzato su tutti i media. Poi arrivano i problemi: eh sì, perché una cosa è pensare alla cosa, un’altra è progettarla, la terza (ancora più complicata) definirla, la quarta sono i soldi per farla. Infine trovare un’azienda che tale cosa realizzi. Cominciano i dolori: Il progetto è sbagliato perché i canali ignorano le correnti marine della Foce. Poi le case, per ricconi. Le prime due, meravigliose, progettate dal super architetto, sono così appiccicate che se esci dalla finestra entri in quella di fronte. Dura da vendere. Fa strano che il primo a esporsi pubblicamente sia stato Spinelli. Ma dopo aver decantato l’opera, l’ha anche comprata? Ne dubito. Infatti dopo di lui non riescono a venderne neanche una. Difatti stanno già pensando di ricorrere al salvataggio pubblico.
Intanto si comincia dai canali. E anche questa faccenda è complicata, ma ci fanno un bando. Un’azienda lo vince, comincia a lavorare, scopre che ci vogliono molti più soldi per rimediare e quindi si ritira. Tutto a remengo? Neanche a parlarne. Ci pensa il Comune. Ecco i canali. Ma sono un pantano dove non scorre l’acqua. Il putridume. Eh già le correnti: un progetto senza studio delle correnti, è un progetto di acque stagnanti. Altra genialata: un mulino. Qualcosa che faccia circolare l’acqua. Chi paga il mulino? Ah beh, si beh. È ovvio: quelli che compravano le case che nessuno sta comprando. Poi, siccome quel terrapieno è stato costruito accatastando di tutto e di più, bisogna disinquinare l’area. Chi rimedia? Ovviamente il Comune, che si assume l’onere del disinquinamento fino a due metri e 40 di profondità.
Parte il lavoro e si scopre che lì sotto c’è una riserva inesauribile di petrolio che continua a spurgare. Ma un tappo di cemento risolve il dilemma. Ovviamente l’intervento del Comune arriva a 2,40 m. Ma quella area lì è stata messa insieme ammassando 8 m. di terre, ovviamente da bonificare. Pena l’agibilità. Ma ecco, arriva il soccorso Arpal a certificare che tutto è ripulito fino a 2 metri e 40. E gli altri 5, con tutti i rischi per gli abitanti? Ah beh, sì beh. Il bello è che per contratto l’onere se l’è assunto il Comune di Genova, mica l’azienda costruttrice che ci specula sopra.
Andrea Agostini
POLITICA E ISTITUZIONI
Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche
Parole in libertà sulla strategia energetica regionale
Il 24 novembre scorso il Consiglio Comunale di Genova approvava con i voti del centro destra e l’astensione del PD un O.d.G. in cui “si impegna il Sindaco e la Giunta a favorire un percorso di ottimizzazione della strategia energetica regionale, (…), che preveda il più ampio spettro di infrastrutture necessarie, incluse soluzioni quali termovalorizzatori e rigassificatori”. Riguardo al tema termovalorizzatore (sinonimo di inceneritore):
1) Il piano regionale dei rifiuti non prevede l’impianto di incenerimento perché non usufruisce dei fondi PNRR ed è fuori dalle politiche europee sull’economia circolare. Si colloca al penultimo posto nella gerarchia europea dei rifiuti;
2) Viola il principio DNSH (Do No Significant Harm, “non arrecare un danno significativo” all’ambiente) che coniuga crescita economica e tutela dell’ecosistema;
3) AMIU doveva apprestare nel decennio un impianto TMB (Trattamento Meccanico Biologico) e uno di biodigestione. Il TMB competeva a IREN, assegnataria tramite una singolare gara in cui chi elabora il progetto ottiene diritto di prelazione sull’opera. Ad oggi in alto mare. Della biodigestione non v’è traccia;
4) Era previsto il raddoppio dell’impianto di via Sardorella per valorizzare la RD (raccolta differenziata) di plastica e carta. Nulla è stato fatto;
5) La RD è lontana dagli obiettivi fissati da lustri al 65%;
6) Gli inceneritori sono impianti costosi e non essendoci finanziamenti europei il loro ammortamento si ripercuoterà inevitabilmente sulla TARI;
7) Gli inceneritori non eliminano la discarica: producono il 30% in peso di ceneri che, contenendo metalli pesanti pericolosi, devono essere poste in discariche per rifiuti speciali e un 3% di ceneri volanti;
8) Anche rispettando i limiti di legge, le emissioni al camino comportano un peggioramento della qualità dell’aria;
9) La produzione di energia elettrica da inceneritore ha rendimenti pari al 21-22%, contro il 42% di una centrale termoelettrica o del 60% di una a turbogas; con costi 5 volte superiori alla centrale termoelettrica (e molte volte di più del fotovoltaico).
La soluzione? “Rifiuti zero” tramite le quattro R (Riduzione, Riuso, Recupero, Riciclo). Il cassonetto è una miniera urbana da cui trarre materie prime. Occorre una RD di qualità per il recupero della materia; la realizzazione di impianti sia di valorizzazione della RD, sia il TMB; l’impianto di digestione anaerobica per la produzione di biogas e compost.
M.S.
Ma i nostri amministratori sanno su cosa decidono?
Nell’O.d.G. del 24 novembre, di cui sopra, si parla di rigassificatori. Come se il Consiglio Comunale reclamasse per Genova quello destinato a Vado.
Ora, la produzione di energia è un tema fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici. L’Europa si è posta l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050; con la tappa intermedia di riduzione del 50-55% di emissioni nel 2030. Sempre l’Europa indica due assi portanti per questi traguardi: lo sviluppo delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) e l’efficientamento energetico, specie per edifici e trasporti.
Nel PEAR 2030 (Piano per L’Energia e l’Ambiente Regionale), ancora da sottoporre a VAS, la Regione riconosce che “l’obiettivo di Burden Sharing 2020 (ripartizione tra le Regioni di incremento delle FER) risulta conseguito a livello nazionale, ma non a scala regionale: la Liguria si attesta infatti a 7,9% al 2020, a fronte del 14,1% atteso. Allora cosa propone? Nulla! Eppure solo dotando il 50% dei tetti esistenti (34 km2) con pannelli fotovoltaici avremmo una produzione di energia elettrica di 4.400 Gwh/anno. I consumi regionali 2022 sono stati di 6.000 GWh Invece si preferisce un rigassificatore, con tutti i rischi conseguenti all’importazione di GNL (gas naturale liquefatto). E il metano è 85 volte più climalterante della CO2 (ISPRA 2022). mentre il GNL importato dagli USA proviene dalla fratturazione delle rocce di scisto (fraking) con alte emissioni di gas. Inoltre costa il 50% in più del metano (Sole24Ore). Per quanto riguarda l’efficientamento degli edifici, i dati regionali dicono che il 95% ci questi hanno una efficienza energetica bassa. Anche qui la Regione brilla per assenza, quando si potrebbe fare moltissimo.
Queste in sintesi le motivazioni strategiche per rifiutare il rigassificatore. In realtà, nel votare l’Ordine del Giorno, il Consiglio non pensava al “rigassificatore”, bensì a un gassificatore: tutt’altro impianto. Grave che nessun consigliere abbia dato un’occhiata a wikipedia per capire cosa stava votando. Gassificatore è un impianto di termotrattamento dei rifiuti che, producendo gas di sintesi, li brucia a temperature superiori di un inceneritore, per cui non si ha produzione di ceneri ma di scorie inerti. Anch’esso è al di fuori dalle politiche per l’economia circolare e non finanziabile coi fondi europei. Il Consiglio lo considera un impianto per la produzione energetica, solo che il suo rendimento elettrico è attorno al 17-18%, inferiore persino a quello degli inceneritori.
Mauro Solari
Parole come pietre o foglie di fico?
Parole e pietre si assomigliano nel loro uso: difendersi, fare del male, ma anche nutrirsi e costruire. Le parole possono essere anche foglie di fico, nascondere vergogne o vuoti di comprensione della realtà. Una delle più abusate foglie di fico è manager. Dal francese manéger, che ricorda il nostro maneggiare, da cui maneggione. Il latino “manu agere” indicava il “condurre per mano l’animale standogli davanti”. Fonte di ispirazione per attuali managers o maneggioni?
Fine anni settanta, inizio ottanta, in Liguria chiudono i manicomi e nascono i Servizi di Salute Mentale. Contemporaneamente arrivano i managers con sicumera professional a salvare la Sanità pubblica con molte foglie di fico: efficienza, taglio degli sprechi, e via verso l’Infinito e oltre. Per prima cosa, via “Unitá” da Sanitaria Locale che diventa “Azienda”: meno “di sinistra”. Inizia la bella stagione che porterà all’oggi: sprechi non tagliati, servizio peggiorato, privato ingrassato; come succede dove i managers salvano qualcosa. Fine della fiducia nelle competenze manageriali. E con effetto domino quella nelle competenze dei tecnici al governo preannunciati con fanfare e bandierine sventolanti.
Ecco, managers e tecnici al governo sono i più prolifici produttori di parole/foglie di fico insieme a certi politici, che non hanno la stessa inventiva e si limitano a copiare o ripetere slogans cari al loro elettorato.
E gli economisti? Li si pensa chini a studiare il mercato e inventarsi espedienti per correggerne le distorsioni. Invece sono creativi, coniano neologismi o usano parole esistenti ma con nuove accezioni. Non è una foglia di fico anche “mercato” adorato come un’entità autonoma, non come un Golem cui cancellare la lettera aleph riducendolo a più miti consigli? Ma no, “perché ce lo chiede il mercato”, foglia di fico global.
Trovo affascinante che, invece di dire ai lavoratori “vi licenziamo”, “vi tagliamo lo stipendio”, “vi imponiamo orari di lavoro assurdi”, usino la parola “flessibilità”; come chiedere poeticamente “comportatevi come canne al vento”, non opponetevi, non siate di ostacolo al progresso, all’innovazione. E trovo misterioso come, dopo tutti questi disastri da licenziamento in tronco, interventi della Magistratura o una fragorosa risata quando riaprono bocca, riescano a passare indenni, rispuntare dopo l’ultimo disastro per andarne a fare un altro; più forti e più potenti che pria. Con lo stesso linguaggio, che uno attento potrebbe anche restituirglielo comparato ai risultati.
Maura Rossi
SPAZIO E PORTI
Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure
Amburgo e Genova, figli e figliastri di Aponte
Ad Amburgo si va verso la conclusione dell’OPA di MSC per il 49,9% di HHLA, il maggiore operatore portuale nel porto di Amburgo. In Germania le forze sindacali, imprenditoriali e politiche si oppongono all’operazione, però sostenuta dal sindaco di Amburgo, Peter Tschentscher (SPD). La città-Stato detiene il 69,2% delle azioni di HHLA quotate in borsa, mentre il 30,8% è in flottante. Tschentscher ritiene la nuova partnership molto positiva per i lavoratori e per il porto perché in grado di garantire gli investimenti necessari per il futuro dello scalo. MSC offre 1,4 mld per le azioni, 750 mil di investimenti tra il 2025 e il 28, il raddoppio dei propri dipendenti e un incremento di 1 milione di teu a partire dal 2031. Si consideri che il porto di Amburgo movimenta oltre 8 mil teu, con un’occupazione di 3000 addetti diretti e 600 forniti dal pool di manodopera.
Guardo a Amburgo e penso a Genova, dove MSC opera dal 2020 nel terminal Bettolo. È noto che MSC ha accettato la concessione (33 anni) a condizione che le si consenta, grazie alla nuova diga, l’ormeggio delle navi sino a 24mila teu; mentre oggi il max è 5-6mila teu per la ristrettezza del canale di accesso. In attesa della diga e della disponibilità dell’intera banchina (oggi agibile a metà: 90.000 mq), nel 2021 Bettolo ha movimentato 110mila teu e nel 2022 150mila. Mentre nel 2023 si segnala un’inversione di tendenza con ben -34,5% teu (la previsione fine anno è 98mila teu); a fronte del calo generale nel porto di 5,7%.
Ma che c’entra HHLA con Bettolo? A Amburgo, MSC ha presentato un piano di investimenti, nuova occupazione e aumento di traffici oggetto di acceso dibattito pubblico. A Genova si ignora il piano d’impresa presentato per ottenere la concessione. O meglio, vengono dati dei numeri in libertà senza riscontri ufficiali. Palazzo San Giorgio dichiara una capacità a regime del terminal a volte di 500mila, altre volte 800mila teu; gli investimenti annunciati di MSC passano da 136 a 280 milioni. Nel frattempo, dopo tre anni, il bilancio 2022 segnala investimenti 25mil. L’occupazione è di 73 addetti, 10% a tempo determinato, più un 30% di lavoratori avviati dalla CULMV: l’organico che corrisponde giusto a una produzione di 100mila teu. E sinora il terminal perde da tre anni 7,5mil euro. Sono questi i dati previsti nel (fantomatico) piano industriale, pure considerando che si tratta di un’impresa in fase di avvio? A quando (e come) il decollo per traffici, occupazione e impresa?
R.D.I
Bucci, Toti e Signorini: presentat’arm davanti a MSC
A proposito di parole in libertà, ci si chiede perché Gianluigi Aponte, gran capo di MSC, all’inaugurazione della diga di Genova a primavera scorsa, dichiarasse: «Potremo fare 2 milioni di teu grazie alle navi più grandi». Un accondiscendente «potremo», da “piccolo padre”. Ad Amburgo, che di norma fa 8 mil teu, MSC, nel corso dell’OPA sull’operatore portuale HHLA, promette realisticamente 1 mil di nuovi teu e non prima di 8 anni; nel porto di Genova, che ne fa in tutto 2,4 mil Aponte dichiara di aggiungerne quasi altrettanto, senza dire quando e come (+2 mil con un terminal da max 800mila!). Soprattutto togliendone quanti a PSA, quindi al saldo finale del porto? Eppure, nessun giornalista ha chiesto come si può sostenere tali cifre, e se sta scritto nel piano di impresa o no. Aponte ha aggiunto con pari accondiscendenza che Bettolo sarà aperto anche a navi di altre compagnie. Forse perché ormai svizzero, non sa che in Italia la concessione pubblica prescrive che un terminal non possa escludere a priori nessun cliente. Poi ha detto che il porto di Genova senza la diga è ingolfato. Ignora che le sue navi vanno liberamente al PSA SECH, che in media ha il 50% di banchina libera, e al PSA Prà che ne ha il 30%? Infine, per gli investimenti siamo alla farsa. Questo aprile 2023, nella cerimonia d’avvio del cantiere per pavimentare i 90mila mq di Bettolo ancora da consegnare, Signorini, Bucci, Toti e compagnia hanno avuto la faccia tosta di celebrare la “posa della prima pietra di calata Bettolo”. A distanza di 15 anni dall’effettivo inizio del tombamento e a 3 anni dalla fine dei lavori. Con l’aggiunta della spudoratezza di esporre ai media due numeri – a bella posta l’uno di fronte all’altro – per magnificare il privato MSC e sminuire la parte pubblica: 280 milioni di investimento MSC e 27 di investimento pubblico. Ma sul sito dell’AdSP c’è il dettaglio di 136 mil di investimenti, non 280, mentre per quanto riguarda la spesa pubblica lo Stato ha già speso 230 mil per Bettolo e semmai ne aggiunge altri 27. Mentre a Amburgo l’OPA di MSC è rivolta al pacchetto azionario di minoranza di HHLA in cambio di un piano attendibile di sviluppo, a Genova la fedeltà e la credibilità pubblica di Palazzo San Giorgio sembrano alla mercé di MSC. L’AdSP pubblichi il piano di impresa per cui ha concesso il nuovo terminal Bettolo a MSC. Se poi MSC non fosse più interessata, allora si faccia da parte e si offra il terminal a chi sia in grado di apportare davvero merce e lavoro.
Riccardo Degli Innocenti
SALUTE E SANITÀ
La prima tutela in una regione che invecchia
Il bilancio 2024 della sanità ligure: 35 milioni di deficit
Toti dice sempre che occorre accettare qualche sacrificio per portare in parità il bilancio della sanità ligure. Purtroppo nonostante scene da terzo mondo con i malati sdraiati per terra all’ospedale Galliera, il San Martino allagato, l’ospedale Sant’Andrea alla Spezia che cade letteralmente a pezzi o quello di Bordighera regalato ai privati, il buco della sanità 2024 sale a ben 35 milioni di Euro.
Che fine hanno fatto le promesse di Toti di “azzerare il disavanzo”. Una delle cause principali del deficit sono i rimborsi che la regione Liguria deve pagare alle regioni vicine per la così detta “fuga dei pazienti”. Chi può o chi abita vicino ai confini regionali, a fronte dei ritardi abissali delle prestazioni sanitarie liguri, come visite specialistiche, esami clinici e anche interventi chirurgici, si rivolge sempre più spesso a strutture meglio attrezzate e che rispondono velocemente.
Ci fu un tempo lontano in cui la Liguria era, al contrario di oggi, polo di attrazione di persone bisognose di cure da altre regioni. Non mancavano i poli di eccellenza come il Gaslini, primo ospedale pediatrico in Italia, IST, CBA, l’ematologia del San Martino, la chirurgia della mano a Savona, la medicina iperbarica alla Spezia e altro.
Purtroppo la regione invece di investire sul potenziamento dei centri di eccellenza e su servizi per i quali la Liguria dovrebbe essere una destinazione naturale come le riabilitazioni dopo interventi cardiaci od ortopedici ha abbandonato tutto, perdendo da un lato entrate per i pazienti in arrivo e aumentando a dismisura il costo per i pazienti che, giustamente, cercano servizi e assistenza in altre regioni.
Però – nel frattempo – Toti non esita a spendere per gli yacht. L’accordo sui Fondi Sviluppo e Coesione stilato a settembre tra Toti e la presidente del consiglio Giorgia Meloni prevede un nuovo bacino di carenaggio di 150 metri per 30, che dovrebbe essere destinato al cantiere Amico.
I Fondi di Sviluppo e Coesione sono lo strumento principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri: di solito si usano per strade, scuole, ospedali, investimenti pubblici, per ridurre le disuguaglianze tra i territori. Qui Toti e Meloni li usano per le riparazioni degli yacht. È curioso che lo stanziamento per gli yacht pari a oltre 20,5 milioni di Euro superi lo stanziamento regionale per realizzare il nuovo ospedale del Felettino (15 miseri milioni).
Nicola Caprioni
FATTI E MISFATTI
Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non
Per un arredo urbano liberato da ombrellini e baracconate circensi
Dopo decenni di progetti di architettura in tutta Italia, posso dire con una certa sicurezza che i genovesi hanno “buon gusto”. A parità di situazione socioeconomica, le case dei genovesi sono più belle, curate e amate. Stupisce quindi la sciatteria e il disinteresse con cui trattano la propria città che, in quanto ad arredo urbano equivale ad un salotto con calze sporche sul divano, pile di oggetti indefiniti, tavola da sparecchiare e letti disfatti. Contribuisce certamente un certo autismo asociale che ci identifica con la nostra casa e non con spazi comuni, lasciati ben fuori dalla porta del nostro privatissimo individualismo. Il dramma si consuma però quando ci si avventura in interventi di restyling, palesando un nuovo e sorprendente pessimo gusto, unito alla patologia dell’“horror vacui” camuffato da necessità. Ed ecco proliferare ovunque chioschi, baracche, panchine incongrue, tognolini, transenne, fioriere/spazzatura. Metastasi di un male incurabile. Dunque, a Genova la prima mossa per mettere ordine è la sottrazione: eliminiamo ogni ingombro inutile; svuotiamo il salotto da tutto ciò che non riguarda la sua funzione primaria, che rimane l’accoglienza. Oggi più che mai, essendo Genova salita al rango di città turistica. Girando per il centro, ho notato le prime decorazioni natalizie, talmente basiche da apparire quasi misere, e il mio cuore ha esultato, ricordando ombrellini, luminarie colorate da baraccone circense, scritte luminose con ordini perentori: ASCOLTA. CAMMINA. ESPLORA, purtroppo ancora presenti nei vicoli, a ostruire la vista di palazzi seicenteschi o medievali. “Il decoro urbano definisce e rappresenta la dignità dello spazio urbano nelle sue parti di uso collettivo, ed esprime un concetto estetico e morale che riguarda la qualità sociale delle città” (definizione tratta da un documento del Comune. Quindi?). Quindi l’arredo urbano ci dà la misura della responsabilità civile del singolo nei confronti della collettività, ed è pertanto cosa molto meno frivola di quanto possa apparire. Riguarda molti campi di attuazione nevralgici: gestione dei rifiuti, illuminazione, zone di sosta, verde pubblico, dehors. Infine si sa che il degrado porta degrado e dall’America ci arriva un divertente esperimento: due auto identiche lasciate una nel Bronx – immediatamente saccheggiata- e l’altra nel quartiere benestante di Palo Alto- non toccata. È bastato spaccare un vetro a quest’ultima perché anch’essa venisse saccheggiata all’istante.
Marina Montolivo Poletti
Le classifiche del Sole24Ore smentiscono i vantoni di casa nostra
Il Sole24Ore redige una classifica annuale sulla qualità della vita nelle città. E si stupirà solo chi continua a vantare il recupero delle città ligure: nel 2023 siamo messi sempre peggio. E il bello, ovvero il brutto, è che la stampa locale di questa graduatoria quasi non ne fa menzione. C’è da pensare che glielo vieti qualche ordine dall’alto del gruppo GEDI (di cui fanno ormai parte Il Secolo XIX, la Repubblica e La Stampa. Le testate locali degli Agnelli). Valga per sineddoche il capoluogo: stante che le altre città stanno pure peggio. Quest’anno Genova cala di ben venti posizioni passando dal ventisettesimo al quarantasettesimo gradino. Una vera batosta, ma non basta. Per quanto riguarda il lavoro perde sei punti, mentre per ricchezza e consumi ne perde addirittura ventinove, fissandosi al cinquantaseiesimo posto. Ma peggio di tutti lo fa il vanto di una certa destra: per giustizia e sicurezza, Genova scende all’ottantaseiesimo posto, tra i peggiori d’Italia. Però sale al dodicesimo per criminalità: uno dei luoghi più citati dalla cronaca nera. Cultura e tempo libero? Quasi un successo, cede solo quattro posizioni. Unica nota positiva, il miglioramento di dodici posizioni per ambiente e servizi: ma quando arriverà l’idiozia dello Skymetro scenderemo anche in questa categoria. Tuttavia siamo al top della classifica (decimi) per… la vecchiaia. Ovvio: i giovani se ne vanno per cercare lavoro in altre città o all’estero e Genova conquisterà sempre più posizioni. E siamo al secondo posto in Italia, sperando di arrivare primi il prossimo anno, per il contrabbando. Per l’indice di solitudine c’è solo da sparare sulla Croce Rossa: su centodieci capoluoghi di provincia, Genova si piazza al…centocinquesimo posto. Evviva, eccoci in top five! Potremmo andare avanti, ma siamo sotto le feste… Intanto festeggiano i grandi proprietari di immobili, perché la valutazione media è in aumento; in controtendenza rispetto alla maggior parte del Paese: 3,4%, con 3.050 euro di media al metro2. Naturale che chi abita a Sampierdarena o a Quezzi strabuzzi gli occhi per questi dati: ma è il solito effetto di chi mangia un pollo e il suo vicino niente, ma la statistica ne registra mezzo a testa. Se le case del waterfront le vendono a quasi 7.000€ al metro quadro e a Quezzi a 500 si fa presto a fare la media. Rimedi? Bisognerebbe lavorare sul FIL (la felicità interna lorda) e non sul PIL (prodotto interno lordo): alla fine saremmo tutti più felici. E magari anche meno poveri.
Carlo A. Martigli
UNO SGUARDO DA LEVANTE
Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze
La Reazione all’attacco della Sarzana “rossa” e antifascista
L’associazione destrorsa “Canto nuovo – democrazia futurista” propone convegni “revisionistici”, quando non vere provocazioni, nella “rossa” Sarzana, passata alla storia per aver respinto i fascisti nel 1921 nonché per i suoi condannati dal tribunale speciale, i confinati, gli esiliati e i partigiani.
È grave che l’attuale amministrazione le conceda patrocinio e utilizzo dei locali del comune, come già con il convegno su Julius Evola, “presunto intellettuale” nazista, razzista e sessista. Poi annullato per le proteste cittadine. Ora è la volta di Mario Arillo, definito “eroe spezzino”. Ma se era un “eroe spezzino”, perché celebrarlo a Sarzana? La motivazione è che costui, ufficiale della Regia Marina nei reparti speciali, fu uno dei protagonisti degli assalti alla flotta inglese con i famosi “maiali”, o siluri a lenta corsa guidati a cavalcioni da due subacquei. Ricevendone una medaglia d’oro.
L’8 settembre 1943 buona parte della Flotta passò con gli alleati, partecipando alla guerra di Liberazione. Difatti la grande maggioranza dei decorati di quei reparti speciali – Luigi Durand de La Penne, Agostino Straulino (poi medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1952), Luigi Faggioni – insieme a ufficiali e marinai scelsero di stare dalla parte della Resistenza.
Invece Mario Arillo si schierò con i fascisti, ovvero con il “principe nero” Junio Valerio Borghese nella nuova X MAS repubblichina; non più reparto della marina, ma un’unità di terra autonoma e alle dirette dipendenze del comando tedesco; utilizzata nella lotta antipartigiana e responsabile di crimini verso la popolazione civile.
Con Salò Arillo fu commissario prefettizio della Spezia, dove operava anche il famigerato Aurelio Gallo, criminale torturatore; poi condannato a morte da un tribunale italiano e fucilato nel dopoguerra.
Una falsità storica, diffusa da lui stesso, è il merito attribuitosi di aver salvato il porto di Genova che i tedeschi avevano minato. In realtà il generale Mehinold si era arreso ai parigiani dando l’ordine di sminare le banchine.
Secondo la destra di oggi un decorato è pur sempre un decorato. Quindi Arillo è un eroe. Gli antifascisti rispondono che allora si dovrebbe considerare tale anche il maggiore delle SS Walter Reder, responsabile della lunga scia di stragi di popolazioni inermi – da Sant’Anna di Stazzema a San Terenzo Monti e Vinca per arrivare a Marzabotto – visto che prima di dedicarsi ai massacri aveva “meritato” due croci di ferro e una medaglia d’oro sul fronte orientale.
Nicola Caprioni
UNO SGUARDO DA PONENTE
Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze
Il peso di Genova grava su Savona (come da copione)
Un grande giornalista d’altri tempi – Eugenio Scalfari – soleva rappresentare un rapporto altamente squilibrato attraverso la metafora gastronomica: il pasticcio di carne con un cavallo e un tordo. In cui non vi è dubbio su quale sia il sapore prevalente nel connubio. Un po’ lo stesso caso dell’area centrale nella nostra regione, in cui gli sforzi savonesi rischiano di finire calpestati dagli zoccoli dell’ingombrante quadrupede genovese. A partire dal settore trainante in entrambe le economie territoriali: la portualità. E mentre la Lanterna punta tutto sulla crescita nei volumi dei container, come contropartita all’essersi prostrata ai voleri di due soli player (Gianluigi Aponte e Aldo Spinelli che, come più volte ricordato nel nostro magazine, poi non mantengono le loro promesse mirabolanti), sotto il Priamar si cresce all’insegna della multi-merceologia, con il progetto realistico di raggiungere in breve tempo l’obiettivo 20 milioni di tonnellate trattate (a fronte degli attuali 15/16). Un risultato assolutamente alla portata dello scalo, sempre che vengano realizzate le infrastrutture indispensabili. E qui siamo alle dolenti note: ossia le risorse finanziarie assorbite dalla pompa aspirante genovese che prosciuga le disponibilità savonesi (neppure un decimo degli oltre 3miliardi messi a disposizione dei due porti dalle spartizioni del malloppo PNRR).
Per cui ancora una volta le categorie economiche ponentine hanno fatto la loro parte nel totale assenteismo della politica locale. Come ai primi anni ’90, con l’invenzione di una vocazione crocieristica promossa dalla sinergia fra tutte le rappresentanze portuali, del lavoro e datoriali, sotto la regia dell’allora Port Authority; con i vari sindaci a fare i convitati di pietra. Sicché la fine del tordo dipende soprattutto da un mancato ruolo politico capace di promuovere gli interessi d’area. Sarà perché le carriere locali di partito subiscono la forte attrazione del capoluogo regionale. Sarà perché la geografia politica del Ponente replica l’impotenza della Cina 1911, alla caduta della dinastia Qing, frammentata nei feudi dei vari “signori della guerra”. Con la Marca Finale-Loano-Albenga insediata da Angelo Vaccarezza, la Franca Contea all’estremo occidente dominio degli Scajola; e con tutte le loro personalistiche tendenze centrifughe che lasciano l’aspirazione/vocazione economica di territorio priva di sponda nelle istituzioni.
Mentre procede la calata degli spezzini, su cui si ritornerà prossimamente.
Pierfranco Pellizzetti
PASSEGGIATE D’ARTE
Le bellezze dimenticate da riscoprire
La Maddalena, un gioiello nascosto
Caffaro narra che nel 1140 sulla Via Romana (che attraversava la città da levante a ponente fuori delle mura carolinge) sorgeva una cappelletta dedicata a Maria Maddalena che, dopo la costruzione delle fortificazioni del Barbarossa, venne a trovarsi entro le mura di Genova. Seguirono alterne vicende fino a che nel 1576 la Chiesa fu affidata ai Padri Teatini i quali, con il patronato degli Spinola, ne curarono il restauro affidandolo ad Andrea Ceresola, detto il Vannone (1585-1587). La Chiesa venne ruotata in senso opposto, fu realizzato l’ingresso a trifora con il grande arco ancora oggi visibile e la dedica a San Gerolamo Emiliani. Interessante è il portico del 1589, sorretto da quattro colonne lisce di ordine cosiddetto tuscanico, raro a Genova (è simile all’ordine dorico nel capitello, formato principalmente da un echino con abaco sovrapposto, ma differisce per l’assenza di scanalature nel fusto e per la presenza di una base, costituita per lo più da un grosso toro e un plinto). Il portico era sormontato da cinque statue con al centro la Madonna con Bambino, circondata dalle quattro virtù cardinali Giustizia, Temperanza, Prudenza e Fortezza, realizzate nel ‘300 da Giovanni Pisano, autore del monumento funebre a Margherita di Brabante. Quelle che si trovano oggi all’ingresso sono copie, poiché gli originali sono conservati nel Museo di Sant’Agostino. Entrando nella Chiesa si viene avvolti dalla bellezza e colpisce il grande affresco della navata centrale dipinto nel 1729 dal fiorentino Sebastiano Galeotti, dedicato alla Gloria di Santa Maria Maddalena, mentre quelli alle pareti del transetto sono opera di Sigismondo Betti (1737). Altri artisti realizzarono affreschi; tra cui G.B. Parodi, Paolo Girolamo Piola, Domenico Parodi, Santino Tagliafichi e il fiammingo Jan Howart. Nella prima cappella destra di grande rilevanza è un’opera tarda di Bernardo Castello “Madonna con Bambino e i Santi Maddalena e Nicola” commissionata dalla corporazione dei materassai nel 1623. Tra le opere scultoree notiamo il gruppo ligneo policromo con San Gerolamo Emiliani e Angeli di Agostino Storace (1747) e la statua della Madonna col Bambino di Tommaso Orsolino, cui si devono anche due bassorilievi marmorei. Infine la Chiesa conserva un importantissimo Crocifisso ligneo degli inizi del 1300, attributo a un anonimo artista tedesco che, finalmente restaurato e sapientemente valorizzato in capo alla navata centrale, si mostra oggi nel suo antico splendore.
Orietta Sammarruco
GENOVA MADRE MATRIGNA
Al centro di una regione centrifuga
La Città Metropolitana cancella tradizioni culturali del Levante
Presto saranno cinque anni che il Teatro Cantero ha chiuso i battenti e da mesi si sono staccate le lettere della storica insegna. Quando Chiavari concorse a Capitale della Cultura, come si sarebbe promossa tale candidatura senza quella testimonianza prestigiosa?
Memoria insegna che lì c’era il cuore pulsante del territorio: il Politeama, Il Radium, il teatro Eden e tanti altri Tutti luoghi cancellati dal tempo. Negli anni in cui l’impresario per eccellenza, Andrea Cantero, rileva il Radium e lo porta a divenire la sala di maggior successo. Le novità sono tali che la gestione del Verdi cade in una profonda crisi, fino al rovinoso fallimento del 1931. Sono proprio i Cantero a voler salvare lo storico teatro. L’amministrazione chiavarese rifiuta ogni proposta e il Verdi chiude. Ma i Cantero non rinunciano. Promuovono l’idea di una rinascita per dotare la città delle strutture adeguate. Il 29 dicembre del 1925 presentano il progetto e la Commissione Edilizia rilascia il permesso “per l’edificazione del Politeama da erigersi in Piazza XX Settembre”. Sola clausola, l’opera va realizzata in quindici mesi. I lavori prendono inizio, coinvolgendo i migliori artigiani chiavaresi: le decorazioni di Luigi Sfrondini; gli stucchi della ditta Papini; gli arredi di Brizzolara; il maestro d’Arte Roberto Ersanilli predispone maschere decorative e bassorilievi. Coordina Ido Gazzano. Si giunge alla prima inaugurazione solo col Grande Veglione del 1931; la seconda prevede la Tosca di Puccini, sabato 15 maggio 1937. Arriva la guerra e le regole del coprifuoco complicano molto, ma teatro e proiezioni non si fermano. A guerra finita i Cantero realizzano il Tetro di Lavagna (1948), e il cinema Nuovo in Chiavari. Negli anni del “boom economico” si riapre il dibattito sul vecchio teatro Verdi. Demolito nell’estate 1963. Il suo ultimo spettacolo sarà l’esposizione di un capodoglio: il cetaceo spiaggiato venne esibito sul pavimento della platea. Ancora una demolizione cancella nel 1996 il Teatro Astor. E il Secolo XIX titola il 18 febbraio 1994: “Riaprire il cinema Astor per non impoverire la città”. Ancora oggi il Gruppo Amici del Cantero propone soluzioni per recuperare quella pagina ricca di cultura. Ma con la Città Metropolitana fu subito chiuso l’Ente Decentramento Culturale della vecchia Provincia, che organizzava eventi su tutto il territorio. Ecco, questo è il futuro: si cancellano tracce della nostra tradizione mentre un mortaio gonfiabile carico di pesto naviga sul Tamigi!
Getto Viarengo