Numero 30 del 30 settembre 2024

Consultabile anche sulla Pagina Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100092285688750

e sul Sito Web “Controinformazione ligure – sapere per decidere”: https://www.controinformazioneligure.it

Care navigatrici, cari navigatori, con questo numero

Controinformazione Ligure chiude i battenti.

Il basso livello di aperture delle nostre mail (20-22%)

è un segnale di cui abbiamo dovuto prendere atto.

Sperando di aver lasciato un buon ricordo, grazie

a chi ci ha seguito in questi anni. Come dice il poeta:

“scendiamo, buon proseguimento”.

Indice

SPIFFERI

Fenomenologia di Raffaella Paita 1

Da anni seguiamo ammirati e intimoriti la scalata ai Palazzi del Potere di Raffaella Paita; il peso massimo del wrestling politico cresciuto in quello che fu il sonnacchioso PCI spezzino. Una che non guarda in faccia nessuno. Persino il proprio boss Matteo Renzi, in avvicinamento alla da lui tanto irrisa sinistra per una rielezione purchessia alla prossima scadenza elettorale; dopo essersi lasciato terra bruciata alle spalle fregando ogni alleato. Ma ora a essere fregato potrebbe essere lui e proprio dalla sua erinni. Infatti, mentre il Rignanese blandisce Orlando per uno strapuntino nelle liste regionali liguri, la pervicace Lella – stando ai boatos – lo pugnala alla schiena facendo campagna per Bucci.

Un sagace investimento sul proprio personale futuro in questa fase di liberi tutti?

L’unico, vero amore della Paita

Questa stagione produce donne in carriera dal grilletto facile, tipo la PD Pina Picierno, che se potesse porterebbe a spalla i missili a Kiev per scatenare la Terza Guerra mondiale. Ma anche Paita non scherza come arma da fuoco. Difficile trovare umanità nella sua biografia catafratta. A mia memoria c’è solo il momento in cui ne fece trapelare uno spiraglio, quando in un talk a Primo Canale rivolse un pensiero affettuoso a Giorgio Napolitano, definendolo il MIO presidente. Capii che era quello il suo faro: il comunista che aveva perso la fede e guidava la corrente Migliorista del PCI; la cui ala milanese faceva affari con Fininvest aprendole il mercato della pubblicità TV in URSS. La deferenza verso il blairiano alla partenopea che l’accomuna all’altro wonder boy di Spezia: Andrea Orlando.

Il pianissimo che si suona alla Foce

Credo che tutte le volte si passa per corso Aurelio Saffi lo sguardo non può non posarsi sui nuovi appartamenti detti del Waterfront (lo dico – Renzo – piano: “fronte mare” sarebbe volgare). Gli appartamenti che guardano la sopraelevata costicchiano, ma quelli vista mare vanno tra gli 8 e i 10 mila al mq. Mio padre architetto livornese mi spiegava che gli appartamenti sul mare, se realizzati con infissi di metalli vari, come nel caso nostro, pur se trattati anti ruggine, con la salsedine prima o poi vanno a farsi friggere. L’unico materiale che resisterebbe sarebbe il legno. Ma era uomo d’altri tempi. Però una scommessina cattivella, magari un piatto di trofie al pesto buono, quello che fanno a Macelli di Soziglia, la farei. Lo dico ovviamente (a) piano e con rispetto per gli acquirenti.

C’È POSTA PER NOI

Sul decalogo elettorale del presidente di Italia nostra

A proposito del documento Fera non credo ci sia un dissenso incolmabile tra quanti hanno collaborato in questi anni al progetto di “voce del Circolo Pertini” poi trasformato in “Controinformazione Ligure”.

Occorre riconoscere che lo sforzo fatto di riunire un gruppo variegato di associazioni operanti in diversi settori , dando luogo a un documento comune, comunque a sostegno della candidatura di Andrea Orlando alla presidenza della Regione Liguria e dello schieramento che lo sostiene ai fini della composizione del consiglio regionale, rappresenta un tentativo importante e originale di dare un contributo, mantenendo vive alcune riserve e rivendicando, giustamente, una nuova metodologia di far politica, che ricerca un rapporto fecondo tra i vari movimenti che sviluppano la mobilitazione su singoli segmenti di impegno sociale e politico (ambiente, femminismo, salute pubblica, antifascismo, pacifismo, tematiche legate a temi locali, ecc.) e la politica, intesa come elemento di trasversalità e capacità di trasferire in consenso, quindi in attività legislativa, le aspirazioni dei movimenti stessi. Non esistono elementi di differenziazione su questi temi. La mia diffidenza iniziale era dovuta all’idea, alquanto astratta, da parte di alcuni esponenti di una parte dei movimenti, di arrivare a un’utopica candidatura comune espressa dai movimenti stessi. Ho scartato a priori questa idea assurda, tanto più che i movimenti non avevano un legame stabile tra loro e che l’emersione e individuazione di un candidato non è certo impresa facile e veloce.

Nicola Caprioni

Caro Nicola, nessuno di noi ha mai pensato a candidature per la presidenza di Regione Liguria emerse da un’opposizione sociale che ha tenuto vivo il dissenso contro il TotiBuccismo ma non ha mi saputo assurgere a soggetto politico (difesa di orticelli personalistici, narcisismo, incontinenza verbale, tendenze millenaristiche, che altro?). Ma il tema posto dal documento in oggetto (pubblicato due numeri fa) era un altro: criticare la brutta abitudine del sinedrio PD di arrogarsi il diritto di decidere in solitudine chi candidare e – a proposito del candidato, politico di lunga navigazione – evitare che l’auspicato successo diventi un ritorno al passato; sospetto che la biografia del suddetto legittima ampiamente.

Pierfranco

A proposito di pantouflage nei nostri porti

Il lettore Graziono Conti ci scrive da Portovenere

Oggetto: cortese risposta al sottostante chiarimento: Merlo da Aponte, Sommariva da Spinelli!

Ma non c’era un provvedimento che vietava ai Manager Pubblici di passare velocemente come la luce dal pubblico al privato nel medesimo settore produttivo Erano contemplati, se ricordo bene, i 5 anni precedenti. Ho 72 anni ma non credo ancora di essere picchiatello. Mi potete aiutare nella ricerca del provvedimento? Grazie e cordiali saluti. Graziano Conti

Risponde Riccardo Degl’Innocenti:

Nel caso di Merlo il problema si pose perché c’erano stati rapporti tra l’Autorità portuale e MSC (concessioni ecc.), per cui si configurava il conflitto di interesse ovvero il pantouflage; nel caso Sommariva Spinelli non ha rapporti con la Spezia. Merlo fu alla fine condannato ma la pena non fu applicata.

https://www.shippingitaly.it/2021/11/26/msc-perde-in-cassazione-sul-pantouflage-di-merlo-in-arrivo-la-sanzione-anac

https://www.shippingitaly.it/2022/05/16/dallanac-unarchiviazione-per-il-caso-pantouflage-di-merlo

https://www.shippingitaly.it/2022/05/17/lanac-spiega-il-perche-dellarchiviazione-per-merlo-nel-caso-pantouflage

ECO DELLA STAMPA

il Secolo | ABC ARTE

L’intervista a Marco Bucci a cura di Bruno Viani, apparsa sul Secolo XIX del 23 settembre, ci presenta un candidato alla presidenza di Regione Liguria sulla difensiva, ansioso di smorzare toni aggressivi che teme di non reggere e – per questo – ricorre al vecchissimo trucco di Ugo La Malfa di adottare la mossa sviante della “politica dei contenuti”; con cui il leader repubblicano si barcamenava tra DC e PCI. E cresce l’imbarazzo nell’assistere allo spettacolo di un malato a cui è stata estorta da Giorgia Meloni – facendo leva sulle sue debolezze caratteriali – la disponibilità a un impegno da cui avrebbe dovuto essere esentato. Per pudore e carità. Su cui imperversa la furia terrificante della streghetta crudele e impietosa, posseduta da un’incommensurabile avidità di potere.

Parliamo senza insultarci: un po’ di gentilezza, please

«Il candidato Bucci parla senza proclami. Per affrontare il nodo della sanità, ricorda prima di tutto gli infermieri che assistono i malati al Galliera durante il suo recente ricovero. ‘Basta una gentilezza quando si è in corsia e ti cambia la giornata. E io ho visto tanta gentilezza, non solo verso di me perché sono il sindaco ma verso tutti i pazienti’, Cosa le piace di questa campagna elettorale? ‘ la vedo come l’occasione di poter dire ai liguri, non solo ai genovesi, che le cose si possono fare. Ed è una bella sfida, abbiamo tante cose da fare, che si possono fare’. Piano piano si sta abituando a parlare di Liguria? ‘sì e non so quanti chilometri farò, ma cercherò di ottimizzare gli impegni per non bruciare troppo gasolio, l’ecologia conta’. Cosa non piace a Marco Bucci della sfida con Orlando? ‘Non mi piacciono i toni. Vorrei che si parlasse di temi concreti senza insultare nessuno, senza cattiverie. Con Orlando ci siamo parlati: mi ha detto che ho ragione, che certe cose è meglio non dirle. E poi ci casca. Questo mi delude. Italia Viva ha ufficializzato quello che già si sapeva: l’appoggio a Orlando. ‘Ma sul territorio vedo una fuga, all’80% stanno venendo con noi. Perché Italia Viva è sempre stata per opere come la Gronda, adesso si allea con chi è contro tutto, da ieri anche contro la Skymetro’ I refrain fanno parte di tutte le campagne elettorali. Come i tormentoni delle hit estive: il tormentone di Bucci è la contrapposizione tra quelli del sì e quelli del no. ‘Loro dicono: facciamo solo la A7, che non è la Gronda. Ma devono fare il compromesso con i Cinque Stelle che non la vogliono’. Bucci crede nei sondaggi? ‘Sì, l’ultimo che ho visto ci dà cinque punti avanti, poi c’è quello di Primo Canale che ci dà tre punti indietro. Siamo vicini, possiamo migliorare. Ma vorrei che fosse una sfida tra gentiluomini’».

Bruno Viani

E intanto i presunti “gentiluomini” iniziano a querelarsi tra loro. Che tristezza!

FUORISACCO ELETTORALE

Stefano Balleari se la ride dai manifesti

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Specie dopo che l’avete trasformata in una macelleria (della decenza).

ECO DALLA RETE

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Sabato 14 settembre Andrea Moizo ha postato nel suo sito Fb questa lunga e stimolante riflessione tra il politico e il giuridico, di cui riportiamo un ampio stralcio

Patteggiamento ed elezioni, una domanda ad Andrea Orlando

«La decisione di patteggiare ha diviso il campo fra chi ritiene che l’accordo dimostri la bontà dell’impianto accusatorio e chi invece pensa che puntelli la tesi totiana di una responsabilità formale dovuta a una normativa vetusta e soffocante sui rapporti fra politica e suoi finanziatori. Prevarrà la figura del corrotto o quella del perseguitato? Ma un dato politico importante, derivante dall’uno-due (candidatura Bucci-patteggiamento) che ha scompaginato in 48 ore il campo della prossima elezione regionale, è imprescindibile che le parti affrontino. Quale che sia il motivo per cui lo fanno i due principali imputati di corruzione, patteggiando riconoscono la concretezza dell’ipotesi accusatoria: dietro corresponsione di benefici, hanno usato le rispettive cariche per favorire l’adozione di pratiche formalmente legittime ma VIZIATE da una corruzione a monte, ammessa dai corrotti. L’unica verità giudiziaria che avremo; di tale rilevanza che le amministrazioni che le hanno adottate DEVONO annullarle. Gli atti del dossier Esselunga e le tre pratiche dell’Autorità portuali per cui Toti e Signorini si sarebbero spesi dietro corruzione.

È essenziale che tutti i candidati alle regionali lo pretendano dai responsabili pro tempore dei due enti, per fiducia nelle istituzioni prima ancora che, nel caso dell’opposizione, per rimarcare distanza di merito dalle amministrazioni decapitate. Particolare rilevanza riveste l’annullamento degli atti dell’Autorità portuale relativi al riempimento di Concenter: se è vero che per Esselunga Bucci si spese molto, è possibile pensare che agisse a prescindere dalla corruzione di Toti. Diversamente, nel caso Concenter e ancor più che nel caso Rinfuse, Bucci spinse come il corrotto Toti per l’atto poi adottato da Signorini, corrotto proprio per adottarlo. Perché Bucci lo fece? Le risposte sono solo due. La prima è che FU RAGGIRATO, e allora deve chiedere che Autorità portuale annulli l’atto ancor più decisamente dei suoi avversari. La seconda ipotesi è che Bucci avesse le stesse motivazioni (soddisfazione di Spinelli dietro compenso) che indussero Toti a spingere e Signorini ad adottare l’atto: se non chiederà l’annullamento non potrà che legittimare tale lettura. Per questo gli atti al centro dell’ipotesi corruttiva vanno annullati. Se i candidati di opposizione non lo fanno, confermano di non aver capito nulla del sistema politico che dicono di voler rimuovere (o, peggio, di averlo compreso e non volerlo rimuovere, ma subentrargli)».

Andrea Moizo

GLI ARGOMENTI DEL GIORNO

LA LINEA GENERALE

Una visione d’insieme sullo stato dell’arte regionale

Calenda lo vuole!

“Ce lo chiede l’Europa”: questa la ricorrente motivazione con cui i governi di centro-sinistra giustificavano in passato l’adozione di politiche palesemente anti-popolari (quelli di destra non si sforzavano di giustificarsi, sbattendosene allegramente; forti di sofisticate tecniche di turlupinatura comunicativa dell’opinione pubblica: dagli americanismi brianzoli di Silvio Berlusconi tipo “partito dell’amore” e “rivoluzione liberale”, alla denuncia ricattatoria di oscure trame e congiure varie di Giorgia Meloni). Ora, con la discesa in campo del centro-sinistra light di Andrea Orlando, arriviamo alla barzelletta. Per cui l’ineluttabilità di scelte-fregatura, tratte dal repertorio illusionistico della politica abrakadabra (con immancabili retro-pensieri affaristici), vengono salmodiate nel caricaturale “ce lo chiede Calenda”. Ora, che Carlo Calenda creda nella necessità di buttare via soldi in infrastrutture inutili – così – per fare scena, passi pure. La scuola dei funzionarietti di Confindustria, dove si inoculano le scemenze rituali della vulgata neo-liberista, segna nel profondo la psiche dei suoi scolaretti. Per cui è inutile prendersela con l’ex assistente dell’imprenditore immaginario Cordero di Montezemolo. Piuttosto fa rizzare i capelli ascoltare chi dovrebbe liberarci dal Totismo mentre snocciola ricette per i mali liguri scopiazzate dal repertorio di luoghi comuni delle passate amministrazioni: la diga poggiata sulla sabbia, la Gronda sarchiapone (l’animale inesistente della vecchia gag di Walter Chiari), il Terzo Valico che dovrebbe attirare verso i nostri lidi torme di imprenditori e finanzieri in assenza del cosa avremmo di attrattivo da offrirgli. Situazione ben diversa da quando – a livello nazionale – si decise di costruire il ponte Morandi, per collegare il Paese a una Genova che allora era uno dei poli industriali italiani. Altri tempi. In cui nel cielo della politica brillava la luce di ricette strategiche capaci di coniugare felicemente inclusione e sviluppo, grazie all’intervento pubblico. Un castello abbattuto dall’avvento dei Reagan e delle Thatcher, con le mendaci contro-ricette del trickle-down (arricchire i ricchi farebbe arrivare un po’ di briciole pure ai poveri). E fu la catastrofe del pensiero progressista: l’illusione di vincere le elezioni inseguendo l’elettorato reaganiano. Non di recuperare il non-voto. Il chiodo solare di ragazzi di provincia che credono di aver capito tutto come Andrea Orlando. E Raffaella Paita.

P.F.P.

5 mosse per la discontinuità in Liguria

Stante la necessità, fuori dalle astruserie mistificatrici, di qualificare la svolta di cui la Liguria è in attesa da tempo, proviamo a formularne l’agenda nei 5 items di una possibile road map:


  1. Prendere sul serio la legalità, denunciando in sede ufficiale il pernicioso “modello Genova”, come assenza di controlli per una malintesa cultura della fretta, e ripristinando le pratiche europee di controllo in materia di appalti;

  2. Prendere sul serio il diritto alla salute. Pur nella consapevolezza che la de-finanziarizzazione della sanità ligure chiama in ballo politiche centrali, molto si può fare in sede gestionale, a partire dall’accertata inefficienza del sistema, e nella destinazione delle risorse disponibili; dando priorità al pubblico rispetto al privato;

  3. Prendere sul serio la democrazia civica, ossia la costruzione del futuro come destino condiviso attraverso i modelli già messi all’opera nelle programmazioni strategiche partecipate nell’esperienza delle Eurocities, formalizzati in Piani pluriennali;

  4. Prendere sul serio l’economia della conoscenza: il vantaggio competitivo del territorio non può prescindere dall’integrazione strategica tra ricerca e sistema locale d’imprese. Un’opera di coordinamento che chiama in campo il soggetto pubblico come regista e controllore delle politiche dei vari enti territoriali; a partire dall’Istituto Italiano di Tecnologie, ente privato largamente finanziato dal pubblico;

  5. Prendere sul serio l’ambiente. Nelle ultime tornate amministrative lo spazio ligure è stato oggetto di devastazioni speculative. Una controtendenza dichiarata passa dalla rimessa in funzione di normative e istituzioni preposte alla tutela, quanto largamente bypassate, coinvolgendo la cittadinanza in azioni concrete di vigilanza;

Avendo sempre presente che queste priorità irrinunciabili presuppongono un pre-requisito trasversale e unificante: prendere sul serio l’etica politica, che non deve essere calpestata dal mercimonio e neppure annegata nell’opportunismo. Il mercimonio insito nel mercato delle cariche tra schieramenti e relative campagne acquisti (come nei casi Terrile, Vianello o Ermini) che richiedono drastiche amputazioni della cancrena in sede politico-istituzionale. L’opportunismo dei “campi larghi” acchiappatutto, che pretende di imbarcare palesi incompatibilità al solo scopo di vincere a prescindere; della decenza e della coerenza (e magari ottenere il contrario).

La devastante cultura dell’affarismo va messa al bando nei fatti.

Pierfranco Pellizzetti

AMBIENTE

La fragile bellezza di uno spazio sotto costante attacco

A proposito di Citizen Science

Il 28 settembre, presso l’Auditorium dell ITTL Nautico San Giorgio di Genova si è svolto il Convegno “Sentinelle dell’aria. Esperienze di Citizen Science”, promosso da Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova. Comitati e associazioni (Rete Associazioni San Teodoro, Ecoistituto Re-GE, Che Aria Tira-Firenze, Cittadini per l’Aria), con studenti e insegnanti coinvolti nel progetto “Sentinelle 2022”, hanno riferito esperienze di tutela attiva della qualità dell’aria. Esperti di ARPAL, Medici per l’Ambiente, dell’Università di Milano hanno fornito aggiornamenti sulla qualità dell’aria a Genova e su nuove evidenze dei danni alla salute per l’esposizioni al biossido di azoto. É seguita un’ampia discussione su quanto realizzare al più presto (potenziamento Rete di Monitoraggio, indagini epidemiologiche, elettrificazione banchine, partecipazione dei cittadini alle scelte). Il Convegno si è concluso con l’annuncio di una seconda edizione, che si terrà a novembre-dicembre, incentrata sull’esperienza genovese delle “Sentinelle dei fumi dal porto”.

La realtà complessa in cui viviamo richiede adeguati strumenti per essere compresa e governata. Necessità che riguarda tutti. Non solo chi guida il Paese, ma anche ogni singolo cittadino interessato a governare, letteralmente, la propria dimora; la casa che condivide con le persone care. L’aria che respiriamo è un vitale bene comune. Tema di competenza dei cittadini che, nei diversi ruoli, desiderano affrontarlo con gli strumenti della Conoscenza e della Scienza. Ci riferiamo in particolare a due esperienze di Scienza Popolare: le “Mamme No Inceneritore” di Firenze, che dal 2016 hanno realizzato con la rete di esperti di “Che aria Tira” una centralina a basso costo per controllare con oltre 130 replicanti le polveri sottili che calano su altrettanti balconi e terrazzi di mezz’Italia; le “Sentinelle dell’Aria”, proposta nel 2022 da Ecoistituto ReGe a un centinaio di giovani genovesi che per la prima volta hanno misurato la qualità dell’aria nelle loro aule, nelle abitazioni, nelle autoambulanze. Esperienze di successo che stanno coinvolgendo migliaia di cittadini, che prima di poter disporre di semplici ma precisi strumenti di misura, come quelli di queste due campagne di monitoraggio, avevano solo un vago sentore, spesso solo olfattivo, del fatto che l’aria che respiravano non fosse salubre. In questo modo un importante processo di cambiamento è stato avviato. E tutto è pronto perché simili iniziative possano essere duplicate.

Federico Valerio

POLITICA E ISTITUZIONI

Lo stato dell’arte delle regole e delle pratiche pubbliche

La strumentale semplificazione del campo politico:

sì contro no

La penosa narrazione dei nostri amministratori riduce tutto alla contrapposizione fra “quelli del sì”, cioè quelli che danno loro ragione sempre e comunque senza aver in mano il minimo argomento plausibile, e “quelli del no”, cioè coloro che si permettono di chiedere ragione delle scelte, ne vogliono conoscere motivazione e dettagli, vogliono sapere quali studi approfonditi sono stati fatti per arrivare ad esse, ma, non paghi di cotanta lesa maestà, peraltro garantita dalla Costituzione, si permettono financo di fare proposte alternative, con vere e proprie progettazioni di massima o ben dettagliate.

Ohibò, quanta arroganza!

Ecco così arrivare all’attenzione delle forze politiche, in vista della prossima scadenza elettorale e con la forza dell’imponente manifestazione dell’11 maggio scorso, un documento di 25 pagine a firma Rete Liguria Comitati Bene comune, che aggrega una sessantina fra Associazioni nazionali e Comitati di tutto l’arco ligure. Vi si chiede un impegno a cambiare radicalmente il modo di governare fin qui adottato a partire da tre aspetti problematici: abuso della semplificazione delle regole, non più giustificato dall’emergenza; assenza di coinvolgimento e di ascolto dei cittadini nella discussione su opere che sconvolgerebbero la loro vita; mancanza di trasparenza su motivazioni, studi preliminari, progetti dettagliati. Vi si elenca inoltre: un No all’accentramento del potere in figure commissariali per le opere pubbliche; l’aumento di investimenti e progettazioni ragionevoli sui servizi pubblici essenziali (Sanità, Scuola, Trasporti, manutenzione del territorio e del verde); politiche di contrasto al cambiamento climatico e stop alla cementificazione; gestione adeguata di energia e acquedotti; No all’autonomia differenziata. Si chiede l’elaborazione condivisa di una legge regionale sulla democrazia partecipativa; una lotta ferma alla catena dei subappalti, fonte di pericolo per i lavoratori e a rischio di infiltrazione mafiosa; tutele per la popolazione esposta ai rischi da cantiere anche minimi; lotta all’inquinamento nelle sue varie forme e al rischio idrogeologico.

Le richieste contenute nel documento sono corredate da precise indicazioni. Un capitolo del documento è dedicato alle infrastrutture e un paragrafo contempla il riesame delle opere pubbliche per valutarne opportunità e fattibilità in base al principio di utilità e non pericolosità collettiva. Le forze politiche in campo sono avvisate che la Rete non farà sconti a nessuno.

Maura Rossi

Il pasticcio di Palazzo San Giorgio risale al 2016

Giustamente nel verminaio portuale genovese ci si concentra su quanto le indagini dei magistrati hanno portate alla luce; e che i patteggiamenti dei reprobi confermano ampiamente (checché ne dica Toti, improvvisato giurista di scuola berlusconiana). Forse un minimo d’attenzione andrebbe rivolta anche alle regole che lo hanno reso possibile. Questo ci riporta al fatidico 2016, quando l’allora ministro Infrastrutture e Trasporti Graziano Del Rio riformò la governance portuale col decreto 169, istitutivo delle “Autorità di Sistema”. Presunta riforma all’insegna del taglio dei costi che fece emettere gridolini entusiastici alle categorie interessate, ebbre di neoliberismo efficientista come panacea gestionale. Il provvedimento, che riduceva a 15 le 24 Autorities, inserito nella vague della legge Boschi-Renzi (poi bocciata nel referendum del 4 dicembre di quell’anno) per cui le procedure di consultazione e verifica erano inutili perdite di tempo. La sedicente modernità di un provvedimento ispirato alla bimillenaria figura del dictator romano. Nel caso di Del Rio in preda alla febbre rottamatoria, eliminare qualsivoglia partecipazione delle categorie interessate, datoriali come sindacali, all’elaborazione delle politiche marittime. A vantaggio di un decisionismo verticista che sostituisce la rappresentanza con il modello comitato d’affari. Visto che l’unica parvenza di partecipazione sarebbe quel Comitato di Gestione che – alla luce dei fatti – si rivela composto da membri facilmente manipolabili da parte di chi li ha designati.

Nella peggiore caricatura delle ricette consulenziali labour saving anni ‘90, per cui un’azienda vedeva aumentare il proprio valore borsistico eliminando posti di lavoro. E il più delle volte andando in fallimento nel giro di sei mesi. Scemenza applicata alle istituzioni come lotta ai corpi intermedi, di cui possiamo constatare le devastazioni in casa nostra (ma nessuno pare accorgersene); magari il pasticcio creato nelle CCIAA liguri, già tavolo di confronto per le categorie produttive, accorpando realtà lontane e diverse quali Imperia-Savona e La Spezia. Così, per fare fuori qualche dipendente e creare disfunzioni. Nella cancellazione di un principio base della cultura manageriale: i quartier generali non hanno informazioni sul proprio spazio operativo se non vengono fornite loro dalle prime linee impegnate sul campo. Concetto di cui la stagione della politica politicante, virata ad affarismo, se ne è sempre bellamente fregata.

Pierfranco Pellizzetti

SALUTE E SANITÀ

La prima tutela in una regione che invecchia

Riceviamo dalla nostra psicoterapeuta di fiducia questo check sulla salute mentale di chi ci ha governato:

Bucci e Toti sul lettino dell’analista

The way se were è un film di Sidney Pollack con due bravissimi Robert Redford e Barbra Streisand, accompagnato dalla languida colonna sonora omonima.

A noi psicoterapeuti capita spesso di esplorare “com’erano” i pazienti per capirne l’oggi, ma anche il contrario: ricostruirne il passato da ciò che osserviamo ora.

Abbiamo, a volte, il diletto, o la deformazione professionale, di applicare lo stesso criterio ai personaggi che popolano l’agone politico per fare un viaggio a ritroso attraversando fisionomie, tic, atteggiamenti e modi di comunicare. Non per il piacere di ridurne la figura al suo lato troppo umano – un po’ come ai tempi del liceo si suggeriva di immaginare il professore severo seduto sul water – ma per ricollocarla nella dimensione del vivente che cerca di trovare il suo posto nel mondo, magari scegliendo strade diverse da quelle che sceglieremmo noi e sulla cui salubrità nutriamo dubbi.

Partendo quindi dalla fisiognomica, ho immaginato i nostri Marchetto e Giovannino alle prese con la loro infanzia. Premetto: non è sempre e solo colpa della madre, ci sono padri e contesti che danno potenti rinforzi alla formazione di personalità disturbate e disturbanti, attenzioni empatiche negate, vanaglorie che i pargoli devono soddisfare per sentirsi, se non amati, apprezzati. E i nostri due ragazzi sicuramente non ebbero un’infanzia davvero felice, se oggi – l’uno – cova un rancore sordo per chi non condivide al millimetro le sue idee o si ribella ai suoi modi; l’altro, ha trovato conforto in un’altra vittima del bisogno di essere, se non amato, apprezzato: il figlio di quella “mamma Rosa” che non si preoccupava di mettere in imbarazzo il suo virgulto, ormai assurto a “statista”, chiamandolo pubblicamente “il mio Silvio”; tanto per mettere in chiaro l’esistenza di un bel cordone infernale. Così, un Marchetto con tanta voglia di giocare col plastico di un trenino veniva redarguito e incitato a studiare, studiare fino a scegliere un indirizzo che gli garantisse un buon posto di lavoro e lauti guadagni, facendogli così sfumare il sogno di fare il capostazione. Ma, cavolo, il plastico oggi ce l’ha, oggi può fare di più: il capo-città o – forse – il capo-Regione! Mentre Giovannino, che faceva flanella in una hall d’albergo, perché ad uscire fuori i colleghi lo avrebbero, come sempre, preso in giro per la sua silhouette che parrebbe usciti dalla matita dei disegnatori di Peppa Pig, cerca di riciclarsi come novello Gesù. Mentre i discepoli se la sono data a gambe.

Maura Rossi

SPAZIO E PORTI

Traffici e infrastrutture nella prima industria ligure

Bucci, il bluffatore

Grazie all’inchiesta giudiziaria che ha scoperto come la gestione del porto di Genova fosse viziata da comportamenti criminosi che li ha visti come protagonisti, Signorini, Spinelli e Toti si sono rivelati come tre bari che imbrogliano al tavolo da gioco. Tra loro, si è scoperto che il quarto – Bucci – ha rivestito una parte diversa, non penalmente rilevante ma politicamente essenziale: quella del bluffatore. Tralasciando le capriole con i numeri che il sindaco esibisce ogni volta che gli si chiede conto dell’andamento della popolazione e dell’occupazione genovese rispetto ai suoi originari proclami elettorali, guardiamo a un paio dei progetti irrealizzati del Bucci commissario.

Il primo, a maggiore impatto sociale e ambientale, riguarda lo spostamento nel porto dei depositi chimici di Multedo. Compito, e ancora prima una promessa elettorale, che Bucci deve assolvere da 7 anni. In realtà al sindaco spetta la decisione di spostare i depositi, ma dove metterli spetta al Presidente del porto. Finché lo era Signorini, il baro Bucci aveva fatto quello che voleva nel porto, senza rendere conto delle proprie mosse. Non aveva battuto ciglio quando l’altro baro, Spinelli, grazie a Signorini e a Toti, si era accaparrato l’area dell’ex carbonile ENEL destinata ai depositi chimici. Dopo di che Bucci aveva promosso un accordo industriale, che non è mai stato mostrato al pubblico, per insediare i depositi nel terminal ro-ro di Ponte Somalia. Contro ogni logica commerciale e occupazionale del porto, Signorini, il baro, ha assecondato Bucci in questo palese bluff, che a distanza di 3 anni è stato smentito dal TAR e dal nuovo presidente-commissario del porto. Ma Bucci ha rilanciato il bluff e piuttosto andrà al Consiglio di stato, pur di non mostrare le carte e di ammettere di avere perso. Nel frattempo Gavio, concessionario a Ponte Somalia ha venduto la società al gruppo Messina, ma Bucci non si perita di dire se l’“accordo” per i depositi chimici esista ancora. D’altro canto, temendo di essere ormai scoperto nell’impostura, Bucci comincia a piagnucolare che ha fatto tutto quello che poteva, che piuttosto si faccia vivo qualcuno con una proposta alternativa, che spetta comunque al porto trovarla. Insomma, dopo avere manovrato come una marionetta Signorini e avere fatto pressione sul comitato di gestione, ora, che deve finalmente mettere sul tavolo le carte, vuole farci credere che non ha bluffato, ma che è stato solo sfortunato e che comunque la colpa è sempre degli altri.

R.D’I.

Il secondo bluff di chi si crede il Duca di Galliera

A parte la ricostruzione del ponte sul Polcevera, che è stato un solitario più che una partita di carte, per indurre l’opinione pubblica a rinunciare a qualsiasi critica o alternativa e a affidarsi alla sua volontà autocratica, Bucci ha giocato sino dall’inizio puntando su progetti facendo credere di avere le carte vincenti per realizzarli. Lo ha fatto con continui rilanci, per evitare di mostrare le carte e dover confessare il bluff. Prova ne è che, dopo il ponte, Bucci non ha concluso una sola opera e che continuamente ne modifica i progetti, aumentandone i budget a danno della finanza pubblica e a favore degli appaltatori.

L’altro esempio di progetto-bluff è la diga. Non siamo ancora al 5° dei 105 cassoni da mettere sul fondo (uno al mese significa ancora 8 anni solo per la loro posa; se si raddoppia il tempo di costruzione restano almeno 4 anni, sino al 2029, mentre Bucci bluffa dichiarandone la realizzazione entro il 2026). E al netto dell’opacità che ha caratterizzato dall’inizio progetto e appalto. Bastino i dati più recenti: mai fornito il progetto esecutivo né gli atti sul contenzioso con l’appaltatore per i sovra-costi lamentati nei mesi scorsi, né soprattutto le relazioni sul consolidamento dei fondali.

Bucci spenderebbe soldi propri per costruire la sua casa senza una relazione del geometra che gli assicura che non franerà a fronte di una generale denuncia del rischio di crollo? Sarebbe lo stesso schema criminoso delle Autostrade con il ponte Morandi. Del resto, la diga non la paga Bucci, neanche il Duca di Galliera a cui lui vorrebbe essere paragonato, ma lo stato, ossia tutti noi. Ma Bucci anche in questo caso rilancia, modifica il progetto, lo estende, butta la palla avanti e grida e critica chiunque dissenta come un autocrate isterico.

Soprattutto, non vuole mostrare le carte. Infatti, il bluffatore non solo vuole vincere ingannando, ma pretende che non se ne scoprano le malefatte.

Riccardo Degl’Innocenti

FATTI E MISFATTI

Affarismi (o peggio) e miserie del potere, locale e non

Il mondo a rovescio: i cittadini tutelano, la soprintendenza avalla danni

La res publica tutelata dai privati. Gli interessi speculativi privati protetti con servilismo dagli enti pubblici. Gli organi a servizio dei cittadini che, ben lungi dal fornire il servizio per cui sono pagati, pretendono in arrogante abuso di potere di essere serviti. Non si parli poi delle strutture preposte a controllo e tutela dei nostri beni artistici: le soprintendenze. Capaci di bloccare una banale ristrutturazione interna per due piastrelle rotte degli anni ’50 (confuse per reperto secentesco) ma non di obiettare agli scempi edilizi perpetrati nella nostra sfortunata città. Vediamone alcuni, a partire dall’inverosimile progetto di abbattere tutti gli alberi dell’Acquasola, perché qualche amicuccio potesse lucrare costruendo un bel silos sotto il parco. Purtroppo molti alberi vennero abbattuti velocemente per battere i tempi della Magistratura, che infatti ha condannato due Soprintendenti e due funzionari per “violazione al Codice dei Beni Ambientali e danneggiamento”; laddove, essendo il parco storico bene protetto e tutelato (si fa per dire) risulta reato ogni uso incompatibile con la conservazione degli alberi. Passiamo a piazza Leopardi, dove al lassismo complice della Soprintendenza si unisce l’immorale avidità dei frati francescani, beneficiati di un palazzo d’epoca regalato per opere benefiche, oggetto di un devastante progetto speculativo. Per fortuna i cittadini hanno rifiutato la devastazione estetica della piazza, avallata da chi è pagato e preposto alla tutela dei nostri tesori. Continuiamo? Casalinghe legate agli alberi per impedire che il bell’edificio sportivo razionalista delle piscine di Albaro si trasformasse nella “Fiumara 2”: sostituzione delle gradinate con due orridi condomini, un bel centro commerciale, cinema e quant’altro possa essere inutile e nocivo alla città. Nell’ex mercato del pesce di piazza Cavour alla nostra Soprintendenza va bene un supermercato e abitazioni, sprecando un’interessante architettura anni ’30 in posizione strategica per usi turistico/culturali; aspettiamo di vedere gerani e mutande stese alle finestre dell’Hennebique, mentre ci domandiamo esterrefatti perché bloccano i lavori di Caricamento per le pietre degli antichi moli trovate negli scavi. Considerando che questo fermo lavori danneggia l’immagine turistica della città e intralcia la vita dei cittadini, mentre dell’esistenza degli antichi moli se ne è talmente scritto e parlato dalle Colombiane, che lo sa persino il mio cane.

Marina Montolivo Poletti

Pateracchio, pateracchi: al basilico

Ci risiamo: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Lo disse Gesù durante una predica e quando ricevette una sassata in testa guardò tra la folla e si accorse che l’aveva tirata sua madre. Ma se questa è teologia da quattro soldi, la politica dei trenta denari morde l’attuale campagna elettorale delle regionali. La destra fa una delle sue carognate obbligando Marco Bucci ad accettare la sfida. Perché, lo hanno detto loro, era l’unico candidato, tra la marea di Carneade più o meno fasci, più o meno ignoranti, che sarebbe stato in grado di battere la sinistra. Che si chiami ancora così ho seri dubbi, ma tiremm innanz. Carognata perché, come ha detto sua moglie, Marco Bucci dovrebbe pensare più a curarsi che non a impegnarsi in un agone che, pur durando poco tempo, in caso di vittoria lo precetterà ad affrontare problematiche e personaggi ben più impegnativi che a carica comporta; anche solo per gli spostamenti geografici necessari tra ponente e levante e tra Roma e Genova. Era Sindaco, aveva ancora un paio d’anni o poco più di mandato, aveva in mano tutta Genova e chi resisteva a collaborare con le sue sfuriate gli rendeva la vita impossibile. Un po’ di narcisismo? Non vorrei pensare al canto del cigno. E ora andiamo dall’altra parte. Il prode Orlando che come novello Noè, in queste giornate tra sole e pioggia, raccoglie nella sua arca di tutto e di più. Non fa un campo largo (brutta espressione): “un camposanto” (come lo ha definito il nostro Pellizzetti) o forse un campo impraticabile, visto che prova a far giocare esponenti fino a ieri graditi alla destra e che oggi in un’ottica di solo potere hanno fatto il salto della quaglia. Parlo del Renzi arabian man, che mescolato a + Europa e ai Socialisti si chiameranno Riformisti Uniti per la Liguria. Insomma, il solito pateracchio, con i Cinque Stelle, fortunatamente quasi orfani dell’Eletto di Sant’Ilario, che hanno posto il veto. Ma sarà così? O troveranno un accordo, tanto provare una volta tanto a vincere o sarà la solita perdita annunciata. A breve l’ardua sentenza: la telenovela continua…

Carlo A. Martigli

UNO SGUARDO DA LEVANTE

Cosa bolle in pentola nell’Est ligure? Testimonianze

Uniti contro un Totismo senza Toti. Le Regionali viste da Levante

Considerando la situazione politica generale, i tempi ristrettissimi della campagna elettorale e la necessità di mettere in campo risorse umane, intellettuali e finanziarie che ogni campagna elettorale richiede (e che in Liguria probabilmente vedrà in campo la formidabile e ricchissima dotazione finanziaria della destra: i soldi di Change dove saranno finiti?) ridurrei al minimo le possibili diversità di punti di vista. La mia preoccupazione è che una destra quanto mai avida e antidemocratica, ma sostenuta in maniera massiccia da imponenti dotazioni di capitale, è tutt’altro che sconfitta in Liguria. Lo stesso scandalo che ha coinvolto Toti non sembra aver nuociuto più di tanto alla destra nei consensi. Il blocco elettorale che l’ha sostenuta è ancora in piedi, come in piedi sono gli interessi economici che la sostengono, dalla lobby del cemento a quella dell’armiero, dalle imprese della sanità privata alla grande distribuzione commerciale, sino agli operatori portuali, ai gestori di stabilimenti balneari e ai settori immobiliari e finanziari.

Sul lato politico permangono delle perplessità, che derivano dalle passate esperienze delle vecchie giunte di centro-sinistra, a presidenza Burlando. Ci si aspettava un maggior rinnovamento da parte soprattutto del PD. Orlando non è esattamente il “nuovo che avanza”, la presenza di renziani e calendiani non è facilmente digeribile, in primis per chi scrive. È tutto vero, ma non c’è e non c’era alternativa reale. Orlando non è mai stato in sintonia con Burlando, nel PD renziano è stato all’opposizione interna, è figura conosciuta e con esperienza.

La coalizione di centro sinistra ha il PD come forza centrale, Alleanza Verdi Sinistra, cui hanno aderito anche la Lista Sansa e altri, e il Movimento 5 Stelle come principali alleati. Poi c’è Linea Condivisa, la lista “moderata” (Azione, I.V., PSI, + Europa). Il movimento 5 stelle è percosso dalla lite tra Grillo che dall’alto della sua villa S. Ilario polemizza con Conte, dalla mini scissione di Morra, che presenta una lista di disturbo nell’intento di favorire la destra. C’è poi la lista di PCI e Rifondazione che sottrarrà voti alla sinistra.

La sensazione è che ce la si possa fare, ma che la battaglia sarà durissima e forse decisa per pochi numeri di percentuale. Ora non è tempo di polemiche, ma di unire gli sforzi, perché sopportare altri 5 anni senza Toti ma col suo clone di nome Bucci è troppo per chiunque.

Nicola Caprioni

UNO SGUARDO DA PONENTE

Cosa bolle in pentola nell’Ovest ligure? Testimonianze

Riceviamo da Gabriele Lugaro, candidato Alleanza Verdi Sinistra alle prossime elezioni per la provincia di Savona

Mancano strade, mancano prospettive

Della distruzione di Savona per mano di una città-regione inefficiente

Qualunque savonese conosce le difficoltà che comportano gli spostamenti da e verso Genova: autostrade ad una corsia, code infinite e cantieri eterni (spesso vuoti). Per non parlare dei treni: pochi, estremamente costosi per adulti, studenti e famiglie e che non erogano servizi in direzione Genova dalle 21.30 in poi. Se poi ampliamo lo spettro e includiamo tutto l’entroterra valbormidese e sassellese, il problema si amplifica e rivela l’abbandono di territori che vengono progressivamente spolpati dei servizi essenziali: dalla sanità, all’istruzione, al diritto alla mobilità, fino al diritto sacrosanto alla felicità e al benessere. Questo potrebbe sembrare l’ennesimo “mugugno” da Ligure eppure nasconde in sé la metafora perfetta per comprendere i rapporti di forza all’interno della Regione Liguria fra Genova e le sue “figliocce” ignorate.

Un territorio privato della mobilità è un territorio destinato a scomparire.

La Provincia di Savona è quella più vecchia d’Italia (50,1 anni Dati ISTAT 2023) e se autostrade, strade e treni non garantiscono servizi adeguati i paesi muoiono, i giovani emigrano, l’economia precipita. Se non hai mezzi di trasporto pubblici e non disponi di un’auto non puoi lavorare la sera, non puoi frequentare una scuola serale o un corso professionalizzante. Se sei una madre o un padre e devi portare i figli a scuola al mattino difficilmente potrai usufruire di un trasporto pubblico accessibile e vivrai la tua vita in auto (spesso dietro a camion che fanno su e giù per la strada del Cadibona). Per non parlare della mai realizzata Aurelia-bis, nodo stradale potenzialmente risolutivo per la costa savonese, paralizzata dall’inadeguatezza e dal disinteresse della Regione e del Ministero dei Trasporti. La centralizzazione politica delle ultime legislature ha creato quel mostro amministrativo della “Città-Regione Genova” che ha totalmente sacrificato Savona, la costa e il suo entroterra privandolo dei diritti essenziali di mobilità, sanità e istruzione.

Se si tagliano le strade e crollano i ponti le prospettive dei territori si azzerano, la natalità crolla, il lavoro scappa e il futuro, semplicemente, non esiste.

Apriamo nuove strade, creiamo prospettive, abbassiamo i costi esorbitanti dei biglietti di treni e autostrade. Pretendiamo il futuro.

Gabriele Lugaro

http://www.savonaintasca.it/app/wp-content/uploads/2011/07/800px-C_o_a_popes_Della_Rovere1.png Stemma papale dei Della Rovere

Savone pays du Roi. Lo sviluppo a Ponente (12)

Sul finire dell’Età di Mezzo lo sviluppo dell’area centrale ligure dipendeva in larga misura da quella che oggi chiamiamo “economia del mare”. Di Genova e del suo “impero fenicio” cresciuto attorno alla rete dei fondaci, prefigurazione medievale degli odierni trading post, si è detto. Per quanto riguarda la Savona di fine ‘400, vi si registravano accumulazioni proto-capitalistiche largamente dipendenti dai commerci marittimi; oltre alle diffuse competenze artigianali relative e ai vantaggi clientelari per quanti seguirono a Roma i due papi rinascimentali. I Della Rovere Sisto IV e Giulio II, che non dimenticheranno mai le loro origini. Va sempre ricordato che a quell’epoca la città si sviluppa attorno a uno dei cinque porti mediterranei (con Chio, Genova, Napoli e Maiorca) in grado di ospitare le grandi navi del tempo; da mille tonnellate di portata. Uno scalo che, pur essendo molto più piccolo di quello genovese, poteva intercettarne i traffici risultando la porta verso il Piemonte (come Genova lo era per la Lombardia). Una concorrenza costante di tutta la storia savonese, tradotta in alternanti rapporti con il capoluogo ligure. Tra vantaggi e svantaggi. I primi incassati utilizzando i mercati e la logistica genovesi. Gli svantaggi sorgevano e sorsero quando, volendo prendere le distanze da tale influenza, si scatenavano conflitti sbilanciati nei rapporti di forze. Come presto avremo modo di constatare.

Comunque alla fine di XV secolo Savona è una città in costante espansione (ne dà conferma l’essere prescelta nel 1507 quale sede dello storico incontro tra Ferdinando Il d´Aragona e Luigi XII di Francia, che prelude alla Lega di Cambrai). Ormai le sue rotte coprono il Mediterraneo: quelle locali, comprendendo il cabotaggio verso le isole tirreniche, rappresentano da sole il 56% dei capitali investiti, ma il restante 44% si dirige verso il Mediterraneo di Levante (5,5%) e il Ponente (11,2%) per la penisola iberica, il 6% per Fiandre ed Inghilterra. Ai capitali investiti fanno riscontro le materie prime importate con numeri di tutto rispetto. Ad esempio la lana, lavorata da centinaia di artigiani savonesi. Sempre con lo sguardo ai fabbisogni marini: come nella lavorazione della canapa, indispensabile per i cordami. Un vero e proprio ceto professionale. Per cui nel 1513 il re del Portogallo faceva incetta di questi artigiani (soprattutto falegnami, remolai e calafati) per i suoi arsenali in terra iberica: “pera fazer gualles”, costruire galee (Continua).

Pierfranco Pellizzetti

SUGGESTIONI DI LIGURIA

Bellezze dimenticate da riscoprire

Il trattenimento che fa pensare

Nella splendida cornice genovese di Palazzo Bianco è ospitato un capolavoro assoluto, dovuto al genio di Alessandro Magnasco detto il Lissandrino (1667-1749) e denominato “Trattenimento in un giardino d’Albaro”, probabilmente eseguito tra il 1735 ed il 1740. Ad un primo sguardo può sembrare una composizione ottimamente eseguita che ritrae uno spaccato di vita nobiliare, ambientato in uno strepitoso giardino, probabilmente quello della Villa Paradiso di proprietà della committente famiglia Saluzzo; arricchito ed amplificato dalla veduta della Valbisagno. Come avrebbe detto Leopardi “sì dolce, sì gradita quand’è com’or la vita”, o forse no, forse è proprio il contrario… vediamo coppie che danzano, dame che sembrano ascoltare con attenzione le parole di un anziano signore e di un frate, mentre altri gentiluomini giocano a carte seduti attorno a un tavolo. Tutti immersi in una natura di una bellezza quasi sospesa. Le pennellate di Magnasco, more solito, sono piccole e nervose, ma l’effetto è di stupefacente bellezza. Peccato per quel muro, che sembra dividere le figure dal paesaggio: non solo è un po’ cadente, ma consente ad un giovane, dagli abiti non certo alla moda, di scavalcarlo senza fatica. Ed il pittore ci vuole condurre proprio in quel punto: dame e cavalieri, preti e cicisbei i cui abiti saettano di luce nel verde circostante, altro non sono che la rappresentazione di una civiltà che ormai è giunta all’epilogo finale: la Repubblica di Genova e pure i suoi potenti di lì a poco verranno travolti dalla storia. A Magnasco non interessava fare della pittura descrittiva, o addirittura decorativa. Semmai con spirito critico e con una lucidità tipicamente illuminista registrava il venire meno di quell’ancien régime che caparbiamente credeva di poter resistere al dissolvimento; continuando ad illudersi che il proprio giardino incantato non sarebbe stato scalfito dagli eventi; che nessun plebeo avrebbe scavalcato il muro. Si tratta di un dipinto che va osservato con particolare attenzione, non solo per coglierne ogni finezza della sapiente realizzazione, ma per comprenderne il significato intrinseco e magari trarre qualche spunto di riflessione sulla realtà in cui siamo immersi…

Orietta Sammarruco

GENOVA MADRE MATRIGNA

Al centro di una regione centrifuga e laconica

A proposito di Iren e di vampiri

Un amico mi dice che Iren è l’unico vampiro che succhia acqua prelevando sangue dagli utenti, un altro sostiene che, dopo l’invasione Napoleonica, è giusto collocare il gestore unico come massimo occupante del territorio. Metafore di quanto sia indispensabile una materia prima come l’acqua, che col referendum del 12 e 13 giugno 2011 doveva rimanere patrimonio pubblico. Dove 26 milioni di cittadini italiani sancirono che sull’acqua non si sarebbe potuto più fare profitto, ma la scelta del voto e dei cittadini fu tradita. Ora in molti si chiedono cosa serva il voto se la politica lo ignora. Con quel “Sì” sulla scheda si decise di abrogare (parzialmente) una norma relativa alla tariffa che prevedeva l’“adeguata remunerazione del capitale investito”. Togliere quel passaggio comportava niente più margini, finanza speculativa o business, semmai un servizio efficiente a fronte di investimenti sulla rete tangibili; magari per ridurre le perdite. In forza del fatto che “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici” – come sancito dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 26 luglio 2010. “Un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. Mi pare che potrebbe bastare per dare ragione al mio amico circa la metafora su Iren. Ma chi è Iren? Il lungo cammino sulla cessione degli acquedotti ai privati avvenne dopo la Legge Galli, che indicava tutte le acque superficiali e sotterranee come pubbliche e il loro consumo umano prioritario rispetto agli altri usi. Nel 2006 la legge fu abrogata e sostituita dal D. Lgs. n. 152/2006 “Norme in materia ambientale”, questo nuovo quadro normativo portò alla cessione degli acquedotti comunali ai privati e nacquero specifichi gestori dei servizi integrati, cioè distribuzione e depurazione delle acque. In Liguria questi soggetti sono molti e diffusi sull’intero territorio, i loro bilanci sono sempre tutti a carico degli utenti, cioè in bolletta. Un solo esempio: Chiavari ha il depuratore dagli anni Settanta, nel frattempo si è allargato ad altre comunità – Zoagli e Leivi – ma si presenta superato tecnicamente e si pensa ad un nuovo impianto. I comuni dell’Ato hanno deliberato un depuratore comprensoriale. Cioè si smantella il tutto e si utilizzerà l’ultimo, pregiatissimo, territorio di Chiavari: l’Area di Colmata sul mare. Costo? Oggi siamo a più di 130 milioni di euro, ma mancano ancora diverse voci. E io mi fermo perché ormai la metafora del mio amico ha ricevuto adeguata conferma.

Getto Viarengo

Vini liguri, pochi ma buoni

La Liguria, causa orografia, non ha una forte produzione vinicola quantitativa, ma eccelle per qualità. Annualmente 46.000 ettolitri (fonte Ansovini), di cui circa il 30% di rossi e rosati, il 70% di bianchi.

Il vitigno predominante è il Vermentino. Un tempo praticamente solo ligure, con poche eccezioni sarde e toscane, è diventato il vitigno bianco più coltivato in Italia.

Sono attive 8 DOP, tre in provincia della Spezia, con la maggior produzione regionale: Colli di Luni, Colline di Levanto. Due nella città metropolitana di Genova: Golfo del Tigullio–Portofino e Val Polcevera. Una che comprende quasi tutto il ponente ligure, Riviera Ligure di Ponente, e poi Pornassio o Ormeasco e Rossese di Dolceacqua: Le IGT sono tre: Colline del genovesato, Colline savonesi e Golfo dei poeti.

In genere negli ultimi anni, probabilmente a causa del cambiamento climatico e dell’aumento delle temperature, è in calo il consumo di vini rossi, mentre cresce la richiesta di vini bianchi o rosati. Questo elemento sembra favorire la produzione ligure, prevalentemente orientata verso i bianchi. Non mancano alcune eccellenze tra i rossi, tra cui merita sicuramente il posto d’onore il Rossese di Dolceacqua. Ma attenzione all’etichetta, perché è stata autorizzata la denominazione di Rossese anche per un vino genericamente prodotto nel ponente. Cercate quindi la denominazione specifica.

Risultati brillanti si sono raggiunti nel ponente con la granache (granaccia), un vitigno molto valorizzato in Francia e non diffuso in Italia. Una curiosità è il vino Abissi, che un produttore del Tigullio affina in mare a 60 metri di profondità.

Un cenno particolare merita lo Sciacchetrà, il vino dolce e liquoroso delle 5 Terre. Viticoltura eroica, con vigneti a strapiombo sul mare, l’impossibilità di usare mezzi meccanici e l’immane fatica degli uomini e delle donne nel curare le vigne e vendemmiare; infine l’esposizione al sole e la bassa resa. Con un costo decisamente alto, ma il prodotto merita la spesa (attenti alle imitazioni).

Quelle che erano debolezze dei produttori vinicoli liguri – la piccola dimensione e la scarsa attitudine associativa – in un’epoca nella quale fortunatamente non vale più la standardizzazione ma si ricercano gusti, aromi e particolarità, la piccola produzione e i suoi sacrifici vengono esaltati e stimolano l’amante del buon vino; lontano dagli scaffali dei supermercati. Meglio visitare le cantine, assaggiare, conoscere i produttori e affidarsi all’olfatto e al palato.

Nicola Caprioni